Il rinvio della causa in primo grado non rileva come nuovo giudizio: il termine si conta dall’inizio

La durata ragionevole del processo, nel caso di rimessione al giudice di primo o secondo grado, non può essere calcolata come se questo fosse un nuovo processo, poiché esso costituisce una fase successiva di quello già pervenuto in sede di legittimità.

Questo è il principio stabilito dalla sesta sezione civile della Suprema Corte nella sentenza n. 10524/15, depositata il 21 maggio. Un caso che si trascina dal 1981. La questione riguarda una richiesta di risarcimento nei confronti del Ministero della Giustizia, ai sensi della legge Pinto, per l’irragionevole durata di un procedimento civile, iniziato nel 1981 e non ancora concluso, dopo un rinvio dalla Cassazione al Tribunale di Roma, al momento della proposizione del ricorso per l’ottenimento dell’equo indennizzo, avvenuto nel 2011. Il giudizio era stato instaurato, come detto, nel settembre del 1981, definito in primo grado con sentenza depositata il 30 novembre 1998, poi in appello prima udienza il 15 luglio 1999 , con sentenza depositata il 2 ottobre 2001, e quindi in Cassazione con sentenza del 17 novembre 2005, che però cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa dinanzi al Tribunale di Roma, dinanzi al quale veniva riassunto con prima udienza fissata al 10 maggio 2007. A seguito del ricorso ex legge Pinto, la Corte d’Appello, nel giudizio in cui si era costituito come resistente il Ministero della Giustizia, con decreto depositato l’8 giugno 2012 accertava l’irragionevole ritardo del giudizio, quantificando l’eccessiva durata in 17 anni su una durata complessiva di trenta . Con il suddetto decreto, condannava il Ministero al pagamento della somma di € 16.250,00, liquidando l’importo di € 750,00 per i primi 3 anni e quello di € 1.000,00 per i successivi due per ciascuno dei ricorrente, oltre interessi dalla domanda, con compensazione integrale delle spese giudiziali. Contro detta sentenza, hanno proposto ricorso in Cassazione tutti gli originali ricorrenti, sulla base di cinque motivi, e ha resistito con controricorso il Ministero della Giustizia. Secondo i ricorrenti, il decreto della Corte d’appello è da cassare sotto diversi profili, tra cui, per quelli che qui interessano maggiormente, quello relativo alla illogica determinazione della durata ragionevole del giudizio presupposto, e sull’errata decisione di compensazione delle spese, che presuppone una soccombenza reciproca. Inoltre, i ricorrente lamentavano altri motivi, quali ad esempio la mancata valutazione del danno patrimoniale, che verranno respinti dalla Cassazione. Come si determina la ragionevole durata del processo. La Cassazione ha esaminato la questione, accogliendo il primo e parzialmente quello relativo alla compensazione delle spese, che ha posto per metà a carico delle parti resistenti. Secondo la Suprema Corte, la Corte d’appello ha errato nel suo ragionamento poiché, da consolidata giurisprudenza, la durata ragionevole del giudizio ordinario civile va calcolata in 3 anni per il primo grado, in 2 per l’appello, 1 per il giudizio di legittimità e un ulteriore anno per le eventuali fasi successive. La Corte d’appello, come detto, ha ritenuto che, per effetto della rimessione al giudice di primo grado, iniziasse a decorrere un nuovo termine ordinario di durata del procedimento per la Suprema Corte, invece, la durata ragionevole del processo presupposto, anche nel caso in cui vi sia remissione al giudice di primo grado, non può identificarsi con quelle del grado iniziale del giudizio, non potendosi configurare il rinvio al giudice di prime cure come un nuovo giudizio ed azzerando quindi il conteggio ai fini del risarcimento del danno da eccessiva durata del processo, dato che si tratta della continuazione del giudizio originario. Di conseguenza, la Cassazione ha ritenuto erronea la valutazione della Corte d’appello, in base alla quale la durata ragionevole del processo avrebbe dovuto essere di 4 anni anche nel giudizio riassunto in primo grado, stabilendo che il giudizio di primo grado avrebbe dovuto avere una durata massima di 2 anni. Ha quindi accolto il ricorso sul primo punto, compensando per metà le spese del giudizio e di quello di merito.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 17 dicembre 2014 – 21 maggio 2015, n. 10524 Presidente/Relatore Petitti Fatto e diritto Ritenuto che C.G. in proprio e nella qualità di erede di T.E. +Altri chiedevano alla Corte d'appello di Perugia, con distinti ricorsi poi riuniti tempestivamente depositati, il riconoscimento dell'equa riparazione, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un giudizio civile dagli stessi instaurato dinanzi al Tribunale di Roma con atto di citazione notificato il 10 settembre 1981, definito in primo grado con sentenza depositata il 30 novembre 1998, poi in appello la cui prima udienza si era tenuta il 15 luglio 1999 con sentenza depositata il 2 ottobre 2001 e, quindi, in cassazione con sentenza depositata il 17 novembre 2005, che cassava la sentenza impugnata e rinviava la causa al Tribunale di Roma, dinanzi al quale il giudizio veniva riassunto con fissazione della prima udienza per la data del 10 maggio 2007 giudizio di rinvio che non si era ancora concluso al momento dell'introduzione del ricorso per l'ottenimento dell'equo indennizzo che i ricorrenti invocavano, quindi, la condanna del Ministero della Giustizia al risarcimento dei danni non patrimoniali subiti per la irragionevole durata complessiva del predetto giudizio che nella costituzione del resistente Ministero, l'adita Corte di appello, con decreto depositato l'8 giugno 2012, accertava l'irragionevole ritardo del suddetto giudizio presupposto nella durata di anni diciassette su un computo totale della durata complessiva di anni trenta e condannava l'Amministrazione convenuta al pagamento della somma di Euro 16.250,00 liquidando l'importo di Euro 750,00 per i primi tre anni e quello di Euro 1000,00 per i successivi due , per ciascuno dei ricorrenti dovendosi intendere per unica parte anche coloro che avevano agito in qualità di eredi di un solo de cuius , oltre interessi dalla domanda, con compensazione integrale delle spese giudiziali che avverso il suddetto decreto non notificato hanno proposto ricorso per cassazione tutti coloro indicati come ricorrenti in epigrafe, con atto notificato il 17 luglio 2012, sulla base di cinque motivi che nessuno degli intimati ivi compreso il Ministero della Giustizia ha svolto attività difensiva in questa sede di legittimità che, all'udienza del 9 gennaio 2014, rilevato che il ricorso era stato notificato all'Avvocatura distrettuale di Perugia, questa Corte, con ordinanza n. 3284 del 2014, ha disposto la rinnovazione della notificazione presso l'Avvocatura generale dello Stato che, avendo i ricorrenti adempiuto al detto incombente, il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso che la trattazione della causa è stata quindi fissata per l'udienza del 17 dicembre 2014, in vista della quale i ricorrenti hanno depositato memoria. Considerato che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano violazione o falsa applicazione degli artt. 392, 393 e 394 cod. proc. civ. dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, dell'art. 6, par. 1, della CEDU e dell'art. 111, secondo comma, Cost., nonché illogica motivazione in ordine alla determinazione della durata ragionevole del giudizio presupposto che, rilevano i ricorrenti, la Corte d'appello ha ritenuto il detto giudizio di complessità elevata e ha determinato la durata ragionevole per il primo grado in quattro anni, per il giudizio di appello in tre, per quello di cassazione in due e per il successivo giudizio in sede di rinvio in primo grado, altri quattro anni, dolendosi del fatto che, pur se la controversia si trova ancora in primo grado, possa essere stata ritenuta ragionevole una durata di diciassette anni, detratto da quella complessiva di trenta anni il segmento di quattro anni ritenuto ragionevole per il giudizio di primo grado che con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti deducono violazione dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, dell'art. 6, par. 1, della CEDU e dell'art. 111, secondo comma, Cost., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione con riferimento alla determinazione dell'indennizzo che, tenuto conto dell'oggetto del giudizio presupposto mancata assegnazione di posto macchina e della rilevanza dello stesso, non avrebbe potuto essere determinato nella misura minima prevista, per di più senza una specifica motivazione che con il terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione o falsa applicazione dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, degli artt. 1226 e 2056 cod. civ. e degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., e omessa motivazione in ordine alla domanda di danno patrimoniale, richiesto nella misura di Euro 32.400,00 per ciascuno di essi, tenuto conto del canone di locazione pagato per ottenere nella medesima via un posto macchina che con il quarto motivo, recante la medesima rubrica del terzo, i ricorrenti si dolgono del mancato esame della domanda di danno patrimoniale con riferimento alle maggiori spese legali sostenute a causa della lunghezza del processo che con il quinto motivo i ricorrenti censurano il provvedimento impugnato nella parte in cui ha disposto la compensazione delle spese, adducendo motivi parziale accoglimento della domanda, valutato come soccombenza reciproca esistenza di un abuso del procedimento per avere introdotto diversi giudizi poi riuniti sussistenza di altre gravi ed eccezionali ragioni, peraltro non esplicitate , del tutto inidonei a giustificare la statuizione adottata che il primo motivo di ricorso è fondato che, invero, nella giurisprudenza di questa Corte, sulla base di analoghe affermazioni fatte dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, si è chiarito che la durata ragionevole del giudizio ordinario civile va ragguagliata a tre anni per il primo grado, a due anni per il grado di appello, ad un anno per il giudizio di legittimità e ad un anno per le eventuali fasi successive criterio, questo, poi esplicitamente recepito dal legislatore del 2012, con l'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001 che, nella specie, il giudizio presupposto, per effetto di una sentenza di questa Corte, è stato rimesso al giudice di primo grado che la Corte d'appello ha ritenuto che, per effetto della rimessione al giudice di primo grado, cominciasse a decorrere un nuovo termine ordinario di durata del procedimento che, al contrario, la durata ragionevole del processo presupposto, anche nel caso in cui vi sia rimessione al giudice di primo grado, non può identificarsi con quella del grado iniziale del giudizio, costituendo il giudizio che prosegue una fase successiva di quello già pervenuto in sede di legittimità che, dunque, deve ritenersi erronea la valutazione della Corte d'appello in base alla quale la durata ragionevole avrebbe dovuto essere di quattro anni anche nel giudizio riassunto in primo grado a seguito della cassazione della sentenza di appello che, peraltro, poiché la Corte d'appello ha determinato la durata ragionevole del primo grado in quattro anni, del grado di appello in tre anni e di quello di cassazione in due anni, senza che sul punto i ricorrenti abbiano formulato specifiche censure, deve ritenersi che il successivo giudizio di primo grado avrebbe dovuto avere una durata ragionevole di due anni che il secondo motivo è infondato, atteso che la Corte d'appello ha liquidato l'indennizzo per la irragionevole durata accertata sulla base dei criteri ordinari di liquidazione ritenuti congrui dalla giurisprudenza di legittimità formatasi tenendo conto delle decisioni della Corte Europea dei diritti dell'uomo che il terzo motivo è infondato che è certamente vero che nel decreto impugnato manca una statuizione in ordine alla domanda di danno patrimoniale, e tuttavia il Collegio ritiene che a tale omessa pronuncia non debba fare seguito la cassazione del decreto impugnato, potendosi procedere all'esame della domanda in applicazione del principio per cui il ricorso per cassazione che denunzi il mancato esame, da parte del giudice di merito, di un motivo dell'opposizione può condurre alla cassazione della sentenza impugnata soltanto se, vertendo su questione di diritto, esso sia fondato, atteso che, nel caso di sua infondatezza, lo iato esistente tra la pronuncia di rigetto ed il mancato esame della censura deve essere colmato dalla Corte di Cassazione facendo uso del proprio potere di correzione della motivazione della sentenza, integrando la decisione di rigetto mediante l'enunciazione delle ragioni di diritto che sostengono il provvedimento opposto, senza necessità di rimettere la causa ad altro giudice affinché dichiari infondato il motivo non esaminato” Cass. n. 8561 del 2006 Cass. n. 28663 del 2013 che nella giurisprudenza di questa Corte è saldo il principio per cui in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, in forza del principio di causalità adeguata il danno economico può ritenersi ricollegato al ritardo nella definizione del processo solo se sia l'effetto immediato e diretto di tale eccessiva durata sulla base di una normale sequenza causale” Cass. n. 23756 del 2007 Cass. n. 16837 del 2010 che in proposito si è altresì precisato che la natura indennitaria dell'obbligazione esclude la necessità dell'accertamento dell'elemento soggettivo della violazione, ma non l'onere del ricorrente di provare la lesione della sua sfera patrimoniale quale conseguenza diretta e immediata della violazione, esulando il pregiudizio dalla fattispecie del danno evento. Pertanto, sono risarcibili non tutti i danni che si pretendono relazionati al ritardo nella definizione del processo, ma solo quelli per i quali si dimostra il nesso causale tra ritardo medesimo e pregiudizio sofferto” Cass. n. 18239 del 2013 che, nella specie, dunque, all'evidenza deve escludersi che la irragionevole durata del processo presupposto possa costituire essa stessa la causa del pregiudizio patrimoniale subito dai ricorrenti nella specie dedotto sotto il profilo dei canoni di locazione corrisposti per il mancato riconoscimento del loro diritto a vedere destinata a parcheggio un'area a tal fine vincolata , trattandosi di pregiudizio chiaramente riferibile alla condotta oggetto di accertamento nel giudizio presupposto che anche il quarto motivo è infondato che, invero, fermo il principio che anche il diritto al rimborso delle spese processuali asseritamente sostenute in eccesso rientra nell'ambito del danno patrimoniale ed è quindi assoggettato ai medesimi principi dianzi richiamati, alla omessa pronuncia sul punto da parte della Corte d'appello non consegue la cassazione del decreto impugnato, dovendosi rilevare la infondatezza della pretesa, sorretta da riferimenti generici, non essendo stata dimostrata la inutilità delle udienze del giudizio di merito, nelle quali i ricorrenti si sono avvalsi della prestazione del proprio difensore, sicché non può sfuggirsi al rilievo che le dette udienze si sarebbero del pari tenute anche ove il giudizio si fosse svolto in una durata complessivamente ragionevole che il quinto motivo è fondato, avendo la Corte d'appello disposto la integrale compensazione delle spese ritenendo sussistente una parziale soccombenza dei ricorrenti e valutando in termini negativi il fatto che il difensore dei ricorrenti abbia proposto plurimi ricorsi anziché procedere al deposito di un unico ricorso che il primo argomento contenuto nel decreto impugnato appare inidoneo a sostenere la statuizione di compensazione totale delle spese, consentendo piuttosto l'accoglimento parziale della domanda una compensazione solo parziale delle spese che anche il secondo argomento non pare in linea con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la condotta di più soggetti, che dopo aver agito unitariamente nel processo presupposto, in tal modo dimostrando la carenza di interesse alla diversificazione delle rispettive posizioni, propongano contemporaneamente distinti ricorsi per equa riparazione, con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l'oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, contrastando con l'inderogabile dovere di solidarietà, che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall'aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all'allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti. Tale abuso non è sanzionatile con l'inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato ma le modalità della sua utilizzazione, ma impone per quanto possibile l'eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano, e quindi la valutazione dell'onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico fin dall'origine” Cass. n. 10634 del 2010 che, invero, dall'applicazione di tali principi discende pianamente che la conseguenza della proposizione di una pluralità di domande di equa riparazione anziché di un giudizio unico, in presenza di un giudizio presupposto unico, se consente di qualificare come unitaria l'attività difensiva, comporta altresì che le spese del giudizio, ove la domanda venga accolta, seguano il principio della soccombenza che dunque, accolti il primo e il quinto motivo di ricorso, il decreto impugnato deve essere cassato in relazione alle censure accolte che, tuttavia, non apparendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, provvedendosi ad incrementare l'indennizzo già riconosciuto dalla Corte d'appello di 2.000,00 Euro per ciascun ricorrente e a riconoscere ai ricorrenti il favore delle spese del giudizio di merito che, dunque, il Ministero della giustizia deve essere condannato al pagamento, in favore di ciascuna delle parti ricorrenti come qualificate nel decreto impugnato della somma di Euro 18.250,00, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al soddisfo, nonché al pagamento delle spese del giudizio di merito, che, tenuto conto del numero delle parti, liquida in Euro 2.000,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, Euro 750,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge che, quanto alle spese del giudizio di cassazione, le stesse, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso, possono essere compensate per metà e poste, per la restante metà, a carico dell'amministrazione resistente. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il quinto motivo di ricorso, rigetta, gli altri cassa il decreto impugnato in relazione alle censure accolte e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministero della giustizia al pagamento, in favore delle parti ricorrenti della somma di Euro 18.250,00, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al soddisfo condanna inoltre il Ministero della giustizia al pagamento delle spese del giudizio di merito, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 1.200,00 per onorari, Euro 750,00 per diritti ed Euro 50,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge, e al pagamento di metà delle spese del giudizio di cassazione, liquidate per l'intero in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie e agli accessori di legge, dichiarando compensata la restante metà.