Dipendenti ENEA cessati prima del 30 giugno 1998? C’è la giurisdizione del giudice amministrativo

Quando la prestazione di contenuto genericamente previdenziale è dovuta al lavoratore come prestazione del datore di lavoro nell’ambito di una forma di previdenza interna a carattere aziendale, la stretta inerenza sostanziale al rapporto di impiego incide sulla determinazione della giurisdizione, nel senso che le relative controversie sono devolute al giudice del rapporto.

Lo ha confermato la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 10186, depositata il 19 maggio 2015. Il caso. La pronuncia trae origine dal giudizio promosso da alcuni ex dipendenti dell’ENEA per la condanna di tale Ente al pagamento dell’integrazione del trattamento previdenziale liquidato all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. All’esito del giudizio di merito, la Corte territoriale ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla domanda svolta dai dipendenti cessati dal servizio in epoca antecedente al 30 giugno 1998 ed ha respinto nel merito la domanda svolta da quei dipendenti ancora in servizio a quella data. A fondamento della propria decisione, la Corte territoriale ha posto, con riferimento alla declaratoria di difetto di giurisdizione, il rilievo secondo il quale l’oggetto sostanziale della controversia era rappresentato dall’esecuzione del contratto assicurativo strettamente collegato al rapporto di lavoro ed al trattamento di fine rapporto concernente il periodo antecedente il 1° luglio 1998, per cui, nella fattispecie, trattandosi di prestazioni aventi natura retributiva e non previdenziale, trovava applicazione la norma di cui all’art. 69 d.lgs. n. 80/1998, che, nel dettare la disciplina transitoria per il passaggio delle controversie di lavoro di pubblico impiego, ha attribuito alla giurisdizione ordinaria le sole controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30 giugno 1998, lasciando alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo quella relativa a questioni, come quella oggetto di causa, attinenti al periodo antecedente. In relazione ai dipendenti non cessati dal servizio alla predetta data del 30 giugno 1998, la Corte territoriale, sull’assunto che il trattamento pensionistico per cui era causa era strutturalmente inerente al rapporto di impiego posto in essere con l’ente datore di lavoro ed originava un’obbligazione di natura retributiva, ribadiva il principio secondo il quale l’art. 52 del CCNL 31 dicembre 1982 per i dipendenti dell’ENEA, nel prevedere espressamente la conservazione del trattamento stesso nel valore maturato nell’ultimo mese di vigenza del precedente regime giuridico, confermava i diritti, di natura retributiva e non previdenziale, già acquisiti dai lavoratori, con esclusione di ogni reformatio in pejus ai loro danni. Previdenza interna a carattere aziendale la controversia spetta al giudice del rapporto. La pronuncia in commento ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, ai fini della giurisdizione, non è sufficiente la natura latamente previdenziale della prestazione richiesta, ma è necessario, altresì, che tale prestazione sia dovuta da un ente preposto alla previdenza obbligatoria nell’ambito di un rapporto previdenziale che trovi fonte esclusiva nella legge e abbia causa, soggetti e contenuto diversi rispetto al rapporto di lavoro, il quale a sua volta si ponga rispetto al rapporto previdenziale come mero presupposto di fatto e non come momento genetico del diritto alla prestazione. Ricorrendo siffatti requisiti, c’è la giurisdizione del giudice ordinario anche quando il lavoratore sia un pubblico impiegato, salvo il caso di giurisdizione della Corte dei Conti cfr., ex plurimis , Cass. SSUU n. 6599/2011 . Del tutto diverso è il caso, come quello di specie, in cui la prestazione di contenuto genericamente previdenziale sia dovuta al lavoratore come prestazione del datore di lavoro nell’ambito di una forma di previdenza interna a carattere aziendale, anche se il fondo all’uopo costituito sia alimentato dai contributi a carico anche dei lavoratori. Difatti, le somme in tal modo raccolte appartengono ai soggetti del rapporto di lavoro e costituiscono l’accantonamento di una parte della retribuzione a fini previdenziali ed hanno, pertanto, natura del tutto diversa da quella assunta dai contributi previdenziali obbligatori. La stretta inerenza sostanziale al rapporto di impiego, tale che la contribuzione non è altro che una parte della prestazione retributiva, incide sulla determinazione della giurisdizione, nel senso che le relative controversie sono devolute al giudice del rapporto, e di conseguenza al giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 69, comma 7, d.lgs. n. 165/2001, se si riferiscono a situazioni giuridiche soggettive maturate anteriormente alla data del 30 giugno 1998 cfr., per tutte, Cass. SSUU n. 10464/2008 . La quantificazione del trattamento integrativo prevista dal CCNL non è una reformatio in peius. Con riferimento ai dipendenti non cessati dal servizio alla predetta data del 30 giugno 1998, la pronuncia in commento ribadisce, poi, che, in base allart. 8, comma 1, l. n. 84/1982, il trattamento giuridico ed economico del personale dipendente dall’ENEA è regolato sulla base di un contratto collettivo di lavoro di durata triennale, da stipularsi con le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all’entrata in vigore del primo contratto collettivo, il rapporto di lavoro dei dipendenti è regolato dalla disciplina vigente sulla base della l. n. 70/1975. Pertanto, la previsione dell’art. 52 del CCNL del 1982, laddove stabilisce che i dipendenti che, alla data di entrata in vigore del presente contratto usufruiscono del trattamento integrativo di previdenza in forma assicurativa in essere presso l’ENEA, conservando il trattamento stesso nel valore maturato nell’ultimo mese di vigenza del precedente ordinamento in base alla relativa normativa , da un lato da esecuzione a quanto disposto dalla citata l. n. 84/1982 e, dall’altro, conferma i diritti di natura retributiva e non previdenziale già acquisiti dai lavoratori interessati. Conseguentemente la quantificazione del trattamento integrativo nei termini indicati dalla contrattazione collettiva non può essere considerata una illegittima reformatio in peius rispetto a quanto previsto dall’art. 14 l. n. 70/1975.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 28 aprile – 19 maggio 2015, numero 10186 Presidente Rovelli – Relatore Napoletano Svolgimento del processo La Corte d'Appello di Roma, per quanto in questa sede interessa, confermando la sentenza del Tribunale di Roma, dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in ordine alla domanda svolta dai ricorrenti in epigrafe, quali ex dipendenti dell’ENEA cessati dal servizio in epoca antecedente al 30 giugno 1998, per la condanna di tale Ente al pagamento in favore di ciascuno, delle somme indicate in ricorso, in ragione della mancata integrazione del trattamento previdenziale liquidato all'atto della cessazione del rapporto, respingeva, invece, nel merito la domanda con riferimento a quei dipendenti ancora in servizio alla predetta data del 30 giugno 1998. A fondamento del decisum la Corte territoriale poneva, per quanto atteneva alla declaratoria di difetto di giurisdizione, il fondante rilievo secondo il quale l'oggetto sostanziale della controversia era rappresentato dalla esecuzione del contratto assicurativo strettamente collegato al rapporto di lavoro ed al trattamento di fine rapporto concernente il periodo antecedente il 1 luglio 1998, per cui nella fattispecie, trattandosi di prestazioni aventi natura retributiva e non previdenziale, trovava applicazione la norma di cui al D.Lgs. numero 80 del 1998, art. 69, che, nel dettare la disciplina transitoria per il passaggio delle controversie di lavoro di pubblico impiego, attribuiva alla giurisdizione ordinaria le sole controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al 30.6.1998, lasciando alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo quella relativa a questioni, come quella oggetto di causa, attinenti al periodo antecedente. Relativamente ai dipendenti non cessati dal servizio alla predetta data del 30 giugno 1998 la Corte di Appello, sull'assunto che il trattamento pensionistico per cui era causa era strutturalmente inerente al rapporto di impiego posto in essere con l'ente datore di lavoro ed originava un'obbligazione di natura retributiva, ribadiva il principio di cui a Cass. 24 marzo 2010 numero 7035 e 7038 secondo il quale correttamente l'art. 52 del c.c.numero l. 31 dicembre 1982 per i dipendenti dell'ENEA, nel prevedere espressamente - in attuazione dell'art. 8, primo comma, della legge numero 84 del 1982 - la conservazione del trattamento stesso nel valore maturato nell'ultimo mese di vigenza del precedente regime giuridico, regolato con la legge numero 70 del 1975, confermava i diritti, di natura retributiva e non previdenziale, già acquisiti dai lavoratori, con esclusione di ogni reformatio in pejus ai loro danni. Aggiungeva, inoltre la Corte territoriale, che, comunque, correttamente il Tribunale aveva dichiarato prescritta la pretesa di alcuni ex dipendenti cessati dal servizio in epoca successiva al 30 giugno 1998 non trovando applicazione la prescrizione decennale poiché non si verteva in materia di trattamento previdenziale. Avverso questa sentenza i ricorrenti in epigrafe ricorrono in cassazione sulla base di quattro censure. Parte intimata non svolge attività difensiva. Motivi della decisione Con la prima censura i ricorrenti, deducendo violazione dell'art. 442, comma 2, c.p.c. e vizio di motivazione, sostengono la giurisdizione del giudice ordinario in ragione della natura previdenziale dell'azione proposta in giudizio. Col secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione e falsa interpretazione del D.Lgs. numero 165 del 2001, art. 69, comma 7, in relazione agli artt. 3, 10, 111 e 117 Cost., agli artt. 20, 21 e 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea, e agli artt. 6, 13, 14, 17 e 18 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, assumono che nella interpretazione della citata norma del D.Lgs. numero 165 del 2001, art. 69, i giudici d'appello non avrebbero considerato il principio per il quale ognuno ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente da un giudice indipendente ed imparziale, né quello secondo il quale l'applicazione della norma interna non deve comportare ingiustificati ed irragionevoli trattamenti discriminatori fondati sull'età degli aventi diritto, in relazione a quanto previsto dal contratto assicurativo per la scadenza delle polizze individuali, in modo da non precludere a coloro che sono cessati dal servizio prima del 30.6.1998 la possibilità di agire giudizialmente innanzi all'autorità giudiziaria ordinaria, laddove anche per fatti imputabili a terzi, sia decorso il termine previsto per adire il giudice amministrativo. I due motivi, che in quanto strettamente connessi dal punto di vista logico-giuridico vanno trattati unitariamente, sono infondati. Ai fini della giurisdizione, infatti, come più volte affermato da queste Sezioni Unite in fattispecie del tutto sovrapponigli alla presente per tutte V. Cass. S.U.12 ottobre 2009 numero 21553, Cass. S.U.12 ottobre 2009 numero 21554, Cass. S.U. 14 aprile 2010 numero 8831 e Cass. S.U.23 marzo 2011 numero 6599 , e qui va ribadito, non è sufficiente la natura latamente previdenziale della prestazione richiesta, ma è necessario altresì che tale prestazione sia dovuta da un ente preposto alla previdenza obbligatoria nell'ambito di un rapporto previdenziale che trovi fonte esclusiva nella legge e abbia causa, soggetti e contenuto diversi rispetto al rapporto di lavoro, il quale a sua volta si ponga rispetto al rapporto previdenziale come mero presupposto di fatto e non come momento genetico del diritto alla prestazione. Ricorrendo siffatti requisiti, vi è la giurisdizione del giudice ordinario anche quando il lavoratore sia un pubblico impiegato, salvo il caso di giurisdizione della Corte dei Conti. Del tutto diverso è il caso, come quello di specie, in cui la prestazione di contenuto genericamente previdenziale sia dovuta al lavoratore come prestazione del datore di lavoro nell'ambito di una forma di previdenza interna a carattere aziendale, anche se il fondo all'uopo costituito sia alimentato dai contributi a carico anche dei lavoratori. Difatti le somme in tal modo raccolte appartengono ai soggetti del rapporto di lavoro e costituiscono l'accantonamento di una parte della retribuzione a fini previdenziali in tal modo realizzandosi, ma per il tramite della retribuzione, la funzione previdenziale di cui all'art. 38 Cost. , ed hanno perciò natura del tutto diversa da quella assunta dai contributi previdenziali obbligatori. La stretta inerenza sostanziale al rapporto di impiego, tale che la contribuzione non è altro che una parte della prestazione retributiva, incide sulla determinazione della giurisdizione, nel senso che le relative controversie sono devolute al giudice del rapporto, e di conseguenza al giudice amministrativo, ai sensi del D.Lgs. numero 165 del 2001, art. 69, comma 7, se si riferiscono a situazioni giuridiche soggettive maturate anteriormente alla data del 30 giugno 1998 Cfr. per tutte Cass. S.U. 23 aprile 2008 numero 10464 del 2008 . Nel caso in esame risulta verificata quest'ultima ipotesi, essendosi accertato che il dipendente cessato dal servizio prima della predetta data ha chiesto, appunto, il risarcimento del danno in relazione ad una prestazione del datore di lavoro dovuta nell'ambito di una forma di previdenza interna a carattere aziendale. Né rileva, come sottolineato da Cass. S. U. 18 giugno 2013 numero 15210, che alcune clausole del contratto di assicurazione abbiano un contenuto che sarebbe qualificabile come strettamente previdenziale avendo ad oggetto previdenze per il caso di morte o invalidità del dipendente o la copertura di altri rischi speciali che possono verificarsi nel corso del rapporto di lavoro. Tale deduzione non incide sulle considerazioni che precedono e riguarda comunque un settore nettamente separato dell'assicurazione in parola, relativo ai dipendenti che hanno figli minori a carico e fino a che questi sono a carico mentre l'oggetto degli ulteriori rischi speciali è unicamente quello derivante dal volo in aeromobile, che per come è disciplinato, allude all'ipotesi non certo frequente di viaggi collettivi aziendali. La declaratoria di carenza di giurisdizione adottata dal giudice di appello è, quindi, corretta anche sotto il profilo raotivazionale. Del resto, e per quanto riguarda il secondo motivo, va qui ribadito Cfr., per tutte, Cass. S.U. 21 giugno 2005 numero 13290 o Cass. S.U. 8 maggio 2007 numero 10371 e da ultimo Cass. S.U. 18 giugno 2013 numero 15210 cit. che alla persistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nei limiti temporali suindicati, non è d'ostacolo la circostanza che l'esaminata norma di diritto transitorio ponga una sanzione di decadenza con riguardo alle controversie conservate a tale giurisdizione esclusiva, ma non introdotte prima della data del 15 settembre 2000 invero, per effetto di consolidata giurisprudenza delle Sezioni unite e diversamente da quanto ipotizzato dalla ricorrente, è diritto vivente quello che prevede essere stata fissata la data ora indicata, non quale limite alla persistenza relativamente alle questioni caratterizzate dagli esposti requisiti temporali della giurisdizione suddetta, ma quale termine di decadenza per la proponibilità della domanda giudiziale, con conseguente attinenza di ogni questione sul punto ai limiti interni della giurisdizione, senza che rilevi la diversa formula usata dal citato D.Lgs. numero 165 del 2001, art. 69, comma 7, qualora siano state proposte , rispetto a quella già presente nel D.Lgs. numero 80 del 1998, art. 45, comma 17, numero e debbono essere proposte , trattandosi di una differenza semantica giustificata non da una nuova ratio della disciplina sopravvenuta, bensì soltanto dall'essere stata superata, al momento dell'emanazione del provvedimento normativo più recente, la data presa in considerazione v., ex multis, Cass. S.U. 4 luglio 2002 numero 9690 id. 17 giugno 2002 numero 8700 id. 4 giugno 2002 numero 8089 . La norma in questione e prima ancora quella analoga stabilita al D.Lgs. numero 80 del 1998, art. 45, comma 17, seconda parte sono state ripetutamente ritenute costituzionalmente legittime dalla Corte Cost. Cfr. le ordinanze, nnumero 214/2004, 213/2005, 382/2005, 197/2006 la quale, in particolare, ha ritenuto che la disparità di trattamento tra dipendenti privati e dipendenti pubblici - i soli soggetti ad un termine di decadenza relativamente ai diritti sorti anteriormente alla data indicata - è ragionevolmente giustificata dall'esigenza di contenere gli effetti, temuti dal legislatore come pregiudizievole per il regolare svolgimento dell'attività giurisdizionale, prodotti dal trasferimento della competenza giurisdizionale al giudice ordinario e dal contemporaneo mantenimento di tale competenza in capo ai TAR , ai quali venivano altresì attribuite nuove competenze giurisdizionali in materie correlate ai servizi pubblici e al governo del territorio. Quanto poi alla denunciata violazione degli artt. 24 e 113 Cost. e l'osservazione può essere riferita anche alla pretesa violazione dell'art. Ili Cost. la Corte costituzionale l'ha esclusa dal momento che, da un lato, non è certamente ingiustificata la previsione di un termine di decadenza e, dall'altro lato, tale termine di oltre ventisei mesi non è certamente tale da rendere oltremodo difficoltosa la tutela giurisdizionale . Analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo alle censure di violazione del principio di un processo equo e giusto, così come enunciato dalle norme sovranazionali indicate, con la precisazione che appare del tutto fuori luogo il riferimento fatto dalla difesa dei ricorrenti a censure che hanno ad oggetto normative nazionali disciplinanti retroattivamente la sorte di situazioni giuridiche preesistenti vantate nei confronti dello Stato. La disposizione di cui al D.Lgs. numero 80 del 1998, art. 45, comma 17 correttamente riprodotta nel D.Lgs. numero 165 del 2001, art. 69, comma 7 stabilisce, infatti, a partire dalla sua entrata in vigore un termine di decadenza per l'esercizio dei diritti in questione, della cui ragionevolezza e congruità non è più possibile dubitare. D'altro canto, come affermato da queste Sezioni Unite, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, nel regime transitorio di devoluzione del contenzioso alla giurisdizione ordinaria, spetta al giudice fornito di giurisdizione, come tale riconosciuto, accertare gli effetti delle domande proposte oltre il termine del 15 settembre 2000, sancito a pena di decadenza dall'art. 69, comma 7, del D.lgs. numero 165 del 2001 per le controversie relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro anteriore al 30 giugno 1998 Cass. S.U. 29 maggio 2012 numero 8520 , sicché è davanti al giudice fornito di giurisdizione, e non in questa sede in cui le Sezioni Unite sono chiamate a giudicare esclusivamente della giurisdizione, che può rilevare un eventuale incompatibilità del predetto art. 69, comma 7, del citato D.Lgs. numero 165 del 2001 con le norme sopranazionali. I motivi in esame che riguardano gli ex dipendenti cessati dal servizio in data antecedente al 30 giugno 1998, in base alle esposte considerazioni vanno conseguentemente rigettati essendo corretta la declaratoria di carenza di giurisdizione adottata dal giudice d'appello. Con la terza censura, relativa ad alcuni dipendenti cessati dal servizio in epoca successiva al 30 giugno 1998 in ordine ai quali la Corte di Appello ha, altresì, confermato la sentenza del Tribunale in punto di ritenuto decorso della prescrizione, denunciandosi, ex art. 360 numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 cc, si critica l'affermata applicazione della prescrizione quinquennale sul rilievo che trattandosi di crediti di natura previdenziale era operante la prescrizione decennale. Con la quarta censura, proposta, anche questa, in relazione alla posizione di alcuni lavoratori cessati dal servizio in epoca successiva alla predetta data del 30 giugno 1998, deducendosi, ex art. 360 numero 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 1411 e 1920, ultimo comma c.c., si sostiene la natura autonoma del diritto di credito azionato e la relativa intangibilità ed indifferenza rispetto alle modifiche previste dall'art. 52, comma 4 CCL Enea, quale diritto quesito discendente direttamente ed immediatamente dalla polizza assicurativa. La quarta censura è infondata. È sufficiente richiamare e ribadire quanto in proposito osservato da questa Corte in fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente V. per tutte Cass. 24 marzo 2010 numero 7035 e 7038 cit. nonché Cass. 18 marzo 2010 numero 6573 In particolare va rimarcato, ferma restando, come rilevato in precedenza, la natura non previdenziale del credito di cui trattasi che la L. numero 70 del 1975, art. 14, comma 2, ha stabilito che i fondi integrativi di previdenza previsti dai regolamenti di taluni enti sono conservati limitatamente al personale in servizio o già cessato dal servizio alla data di entrata in vigore della presente legge . La L. numero 84 del 1982, art. 8, comma 1, ha disposto però che il trattamento giuridico ed economico del personale dipendente dall'ENEA è regolato sulla base di un contratto collettivo di lavoro di durata triennale, da stipularsi con le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all'entrata in vigore del primo contratto collettivo, il rapporto di lavoro dei dipendenti è regolato dalla disciplina vigente sulla base della L. 20 marzo 1975, numero 70 . Pertanto la previsione dell'art. 52 del CCNL del 1982, laddove stabilisce che i dipendenti che, alla data di entrata in vigore del presente contratto usufruiscono del trattamento integrativo di previdenza in forma assicurativa in essere presso l'Enea, conservando il trattamento stesso nel valore maturato nell'ultimo mese di vigenza del precedente ordinamento in base alla relativa normativa , da un lato da esecuzione a quanto disposto dalla citata L. numero 84 del 1982, art. 8, comma 1, e, dall'altro, conferma i diritti di natura retributiva e non previdenziale già acquisiti dai lavoratori interessati. Conseguentemente la quantificazione del trattamento integrativo nei termini indicati dalla contrattazione collettiva non può essere considerata una illegittima reformatio in peius rispetto a quanto previsto dall'art. 14 della legge numero 70 del 1975. A tanto va aggiunto che la rilevata stretta inerenza sostanziale dei diritti azionati al rapporto di impiego, tale che la contribuzione non è altro che una parte della prestazione retributiva, sulla quale non incide, come detto, la presenza di alcune clausole del contratto di assicurazione che avrebbero un contenuto qualificabile come strettamente previdenziale, esclude l'applicabilità, nella specie, della disciplina di cui al denunciato art. 1920 c.c. che attiene alla diversa ipotesi dell'assicurazione sulla vita a favore di un terzo. Né va sottaciuto che, comunque, secondo giurisprudenza, qui da ribadire, di questa Corte, nel contratto assicurativo con designazione del beneficiario, il diritto all'indennizzo nasce direttamente nel patrimonio del beneficiario come autonomo credito nei confronti dell'assicuratore per tutte Cfr. Cass. S.U. 2 aprile 2007 numero 8095 , mentre nel caso in esame il diritto è fatto valere nei confronti dell'assicurato. Non sono, quindi, configurabili diritti quesiti nei termini dedotti con il presente motivo. Il motivo all'esame va, quindi, rigettato. L'esame della terza censura rimane assorbito poiché la domanda dei dipendenti, di cui è stata dichiarata prescritta la pretesa è, altresì, rigettata dalla Corte del merito sulla base dell'autonoma ratio dell'infondatezza nel merito di detta pretesa, sicché la impugnata sentenza va mantenuta ferma in virtù di tale ultima autonoma ragione la cui censura è risultata infondata. È, infatti giurisprudenza di questa corte, qui ribadita, che qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa Cfr. per tutte Cass. 14 febbraio 2012 numero 2108 e Cass. S.U. 29 marzo 2013 numero 7931 . In conclusione il primo il secondo ed il quarto motivo vanno rigettati ed il terzo dichiarato assorbito. Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio non avendo parte intimata svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di legittimità.