Comproprietaria chiede la demolizione di opere abusive realizzate dal vicino: al processo non partecipano solo loro

Se, oltre al semplice accertamento dell’esistenza o meno dell’altrui diritto, l’actio negatoria servitutis tende anche al mutamento di uno stato di fatto, mediante la demolizione di manufatti o costruzioni, che incida su di un rapporto inscindibilmente comune a più soggetti, l’azione deve essere esperita necessariamente nei confronti di tutti i proprietari.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 10205, depositata il 19 maggio 2015. Il caso. Una donna, comproprietaria per 3/6 di un immobile denominato Chiesa della M.A., lamentava che il vicino, in occasione di lavori di ristrutturazione del suo immobile, aveva realizzato una serie di opere in danno della comproprietà dell’istante, occupando ed accorpando il terrazzo di copertura della sagrestia alla sua proprietà e costruendo su di esso una copertura, in appoggio al muro della chiesa. La donna conveniva il vicino, chiedendo l’eliminazione delle opere abusive ed il risarcimento dei danni. La Corte d’appello di Napoli accoglieva la domanda attorea, rilevando che la chiesa e, quindi, il terrazzo di copertura dell’annessa sagrestia, erano in comproprietà tra l’attrice ed altri soggetti, mentre il convenuto non era comproprietario di tali veni, ma proprietario esclusivo di alcuni vani contigui. Ritenendo che la domanda fosse qualificabile come negatoria servitutis , essendo diretta a rivendicare la libertà del lastrico della sagrestia e del muro su cui era stata appoggiata la tettoia da qualsiasi ingerenza imposta dal vicino, i giudici territoriali osservavano che questa azione, sia se diretta alla sola dichiarazione di inesistenza di diritti reali altrui sulla cosa di proprietà dell’attore, sia se rivolta ad ottenere la cessazione dell’attività antigiuridica della controparte, può essere esercitata da ciascun comproprietario. Di conseguenza, veniva rigettata la deduzione del convenuto, che aveva lamentato la mancata integrità del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari della chiesa e del lastrico di copertura della sagrestia. Il convenuto ricorreva in Cassazione, sostenendo che l’azione proposta dalla controparte, qualificata come negatoria servitutis dalla Corte d’appello, non fosse volta solo a far dichiarare l’inesistenza dei diritti affermati sulla chiesa dal vicino, ma anche ad ottenere un mutamento dello stato dei luoghi, mediante la rimozione delle opere realizzate dal convenuto su un rapporto inscindibilmente comune a tutti i comproprietari del bene. Perciò, questa azione doveva essere esperita nei confronti di tutti i comproprietari dell’immobile. Esistenza del diritto La Corte di Cassazione ricorda che l’ actio confessoria o l’ actio negatoria servitutis , nell’ipotesi che il fondo dominante o quello servente o entrambi appartengano pro indiviso a più proprietari, quando sia diretta a far dichiarare soltanto l’esistenza della servitù o la cessazione delle molestie nei confronti di chi ne contesti o ne impedisca l’esercizio, non dà luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo né da quello passivo. o mutamento dello stato dei luoghi? Se, invece, oltre al semplice accertamento dell’esistenza o meno dell’altrui diritto, l’azione tende anche al mutamento di uno stato di fatto, mediante la demolizione di manufatti o costruzioni, che incida su di un rapporto inscindibilmente comune a più soggetti, l’azione deve essere esperita necessariamente nei confronti di tutti i proprietari in caso contrario, la sentenza, non avendo efficacia nei confronti di tutti, sarebbe ineseguibile, e, quindi, inutiliter data . Nel caso di specie, l’attrice non si era limitata a chiedere l’accertamento dell’inesistenza di servitù sul fondo di cui era comproprietaria, ma aveva chiesto anche un mutamento dello stato di fatto, mediante la demolizione delle opere realizzate dal convenuto sul preteso fondo servente opere che, in base al principio dell’accessione, devono ritenersi di proprietà comune dei comproprietari dell’immobile . Di conseguenza, era necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i comproprietari del bene immobile in relazione al quale doveva operare la richiesta condanna. Considerando che tale violazione delle norme sul litisconsorzio necessario non era stata rilevata né dal giudice di primo grado né da quello d’appello, la Corte di Cassazione dichiara la nullità della sentenza di primo grado e rimanda la decisione al Tribunale di Napoli.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 marzo – 19 maggio 2015, n. 10205 Presidente Piccialli – Relatore Matera Svolgimento del processo Con atto di citazione del 10-11-1999 D.D.G. , premesso di essere comproprietaria per 3/6 dell'immobile denominato omissis , lamentava che il vicino V.A. , in occasione di lavori di ristrutturazione del suo immobile, aveva realizzato una serie di opere in danno della comproprietà dell'istante, in particolare occupando ed accorpando il terrazzo di copertura della sagrestia alla sua proprietà e costruendo su di esso una copertura, in appoggio al muro della chiesa. Tanto premesso, l'attrice conveniva il V. dinanzi al Tribunale di Napoli, per sentirlo condannare alla eliminazione delle opere abusive ed al risarcimento dei danni. Nel costituirsi, il convenuto chiedeva preliminarmente disporsi l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari dell'immobile, di cui a sua volta si dichiarava comproprietario. Nel merito, il V. contestava gli addebiti mossigli. Con sentenza non definitiva n. 3440/2004 il Tribunale dichiarava illegittima l'occupazione del terrazzo di copertura della sagrestia della chiesa dichiarava illegittima la costruzione di una copertura del predetto terrazzo della sagrestia, realizzata con elementi portanti in ferro e copertura costituita in plastica ondulata al predetto terrazzo, costruita in appoggio al muro della chiesa, ordinandone l'immediata rimozione rigettava la domanda concernente l'appropriazione di una parte del ripostiglio rigettava la domanda concernente l'assunta violazione delle distanze legali rimetteva la causa sul ruolo come da separata ordinanza per il prosieguo istruttorie. Avverso la predetta decisione proponeva appello il V. . Con sentenza in data 7-5-2009 la Corte di Appello di Napoli rigettava il gravame. La Corte territoriale premetteva che dai titoli prodotti e dalla consulenza tecnica espletata in primo grado si evinceva che la chiesa e, quindi, il terrazzo di copertura dell'annessa sagrestia, erano in comproprietà tra l'attrice ed altri soggetti, mentre il V. non era comproprietario di tali beni, ma proprietario esclusivo di alcuni vani contigui e, in particolare, della copertura del vano contiguo al lastrico di copertura della sagrestia. Ciò posto, il giudice del gravame, nel rilevare che la domanda attrice si atteggiava come negatoria servitutis , in quanto diretta a rivendicare la libertà del lastrico della sagrestia e del muro su cui era stata appoggiata la tettoia da qualsiasi ingerenza o peso imposto dal vicino che aveva attratto nella sua orbita esclusiva i predetti beni, osservava che tale azione, sia se diretta alla sola dichiarazione di inesistenza di diritti reali altrui sulla cosa di proprietà dell'attore, sia se rivolta ad ottenere la cessazione dell'attività antigiuridica della controparte, ben può essere esercitata da ciascun comproprietario. Sulla base di tali considerazioni, la Corte di Appello riteneva infondato il primo motivo di gravame, con cui si deduceva la mancata integrità del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari della chiesa e del lastrico di copertura della sagrestia. Il giudice del gravame riteneva infondato anche il secondo motivo di impugnazione, rilevando, in particolare, che dalla prova testimoniale espletata era emerso che l'appellante, dopo l'acquisto, aveva proceduto a lavori di ristrutturazione del suo immobile, accorpando al suo lastrico di copertura quello della sagrestia e costruendo su quest'ultimo la struttura di copertura. In tal modo, secondo la Corte napoletana, il V. aveva realizzato un unicum tra il ballatoio d'ingresso ai suoi vani e la copertura della sagrestia che non gli apparteneva, attraendo quest'ultima nella sua sfera di godimento esclusivo e ciò anche contro i limiti posti dall'art. 1102 c.c., qualora si volesse ritenere che il predetto fosse comproprietario della sagrestia, come affermato e non dimostrato nella comparsa di costituzione. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso V.A. , sulla base di quattro motivi. D.D.G. non ha svolto attività difensive. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 102 c.p.c Sostiene che l'azione proposta dalla controparte, qualificata dalla Corte di Appello come negatoria servitutis , non era volta semplicemente a far dichiarare l'inesistenza dei diritti affermati sulla chiesa dal V. , ma anche ad ottenere un mutamento dello stato dei luoghi, mediante la rimozione delle opere realizzate dal convenuto sul terrazzo della sagrestia, tale da incidere su un rapporto inscindibilmente comune a tutti i comproprietari del bene. Tale azione, pertanto, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, doveva essere esperita nei confronti di tutti i comproprietari dell'immobile. L'illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al ricorso in esame Dica la Corte se vi sia litisconsorzio necessario, con conseguente necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i comproprietari a pena di nullità del procedimento e della sentenza, laddove l' actio negatoria servitutis proposta da uno solo di essi nei confronti dell'autore della turbativa tenda non solo all'accertamento dell'inesistenza dei diritti affermati da costui sulla cosa, ma anche alla rimozione delle opere realizzate sul bene comune e, quindi, alla modificazione irreversibile dello stato dei luoghi . In subordine, il ricorrente sostiene che, anche a voler qualificare la fattispecie in esame alla stregua di un'occupazione ex art. 936 c.c., si rendeva comunque necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i comproprietari, e pone il seguente quesito Dica la Corte se vi sia litisconsorzio necessario, con conseguente necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i comproprietari a pena di nullità del procedimento e della sentenza, ove sia proposta una domanda di rimozione delle opere fatte da un terzo con materiali propri su di un bene immobile in comproprietà ai sensi dell'art. 936 c.c., non diversamente da quanto stabilito nei casi in cui si chieda, invece, in via alternativa, la declaratoria di accessione al suolo delle medesime opere, trattandosi, nell'uno come nell'altro caso, dell'esercizio di un diritto potestativo di scelta di cui sono titolari tutti i comproprietari del bene . 2 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 936 c.c Deduce che, ove si volesse ritenere, come ha fatto il Tribunale, che l'attrice abbia proposto un'azione ex art. 936 c.c., sarebbe evidente l'errore commesso dai giudici di merito. L'art. 936 c.c., infatti, postula, per la sua applicabilità, che l'autore delle opere realizzate sul suolo altrui sia un terzo laddove, nel caso di specie, il V. è comproprietario insieme ai fratelli della quota di un sesto della sagrestia de qua e, quindi, del sovrastante terrazzo. Il comportamento del convenuto nel coprire il terrazzo della sagrestia di cui è comproprietario, pertanto, non può essere qualificato come occupazione illegittima, ma può essere sindacato, semmai, a norma dell'art. 1102 c.c., che stabilisce i limiti cui è sottoposto l'uso della cosa comune da parte di ciascun comunista. 3 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, sotto altro profilo, la violazione dell'art. 936 c.c Sostiene che, nella non creduta ipotesi che la fattispecie in oggetto possa essere ricondotta nell'ipotesi di cui all'art. 936 c.c., la domanda di rimozione, proposta con citazione notificata il 10-11-1999, a fronte di opere realizzate nel corso degli anni '80, sarebbe da considerare tardiva, disponendo la citata norma di legge che tale domanda non può essere proposta trascorsi sei mesi dal giorno in cui il proprietario ha avuto notizia dell'incorporazione . 4 Con il quarto motivo il ricorrente si duole dell'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Deduce, in particolare, che la Corte di Appello, nell'affermare che il V. non è comproprietario della chiesa, non ha tenuto conto dei documenti n. 1 e 2 allegati alla comparsa di costituzione di primo grado, concernenti rispettivamente la divisione tra i fratelli F. e la dichiarazione di successione ereditaria di F.G. atto, quest'ultimo, in forza del quale anche V.A. , insieme con gli altri fratelli, è divenuto proprietario pro-quota di tale immobile. Sostiene che, ove tali documenti fossero stati correttamente valutati, la Corte di Appello non avrebbe potuto qualificare l'azione di controparte come una negatoria servitutis , né come una occupazione illegittima da parte di un terzo ex art. 936 c.c 5 Il primo motivo è fondato. Premesso che la Corte di Appello ha qualificato la domanda proposta dall'attrice nei confronti del V. come negatoria servitutis , si osserva che, secondo un principio affermato da questa Corte, l' actio confessoria o l' actio negatoria servitutis , nell'ipotesi che il fondo dominante o quello servente o entrambi appartengano pro indiviso a più proprietari, quando sia diretta a fare dichiarare soltanto l'esistenza della servitù o la cessazione delle molestie nei confronti di chi ne contesti o ne impedisca l'esercizio, non da lungo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo né dal lato passivo. Solo nel caso in cui, oltre che al semplice accertamento dell'esistenza o dell'inesistenza dell'altrui diritto, tenda anche al mutamento di uno stato di fatto, mediante la demolizione di manufatti o di costruzioni, che incida su di un rapporto inscindibilmente comune a più soggetti, l'azione deve essere esperita necessariamente nei confronti di tutti i proprietari, giacché, solo allora, la sentenza, non avendo efficacia nei confronti di tutti, sarebbe ineseguibile e, quindi, inutiliter data Cass. 28-9-1996 n. 8565 Cass. 7-6-2002 n. 8261 v. anche Cass. 30-1-2013 n. 2170 . Nel caso in esame, l'attrice non si è limitata a chiedere l'accertamento dell'inesistenza di servitù sul fondo di cui è comproprietaria, ma ha chiesto anche un mutamento dello stato di fatto, mediante la demolizione delle opere realizzate dal convenuto sul preteso fondo servente opere che, in base al principio dell'accessione, devono ritenersi di proprietà comune dei comproprietari di tale immobile. Poiché, pertanto, l'invocata pronuncia di eliminazione di manufatti viene ad incidere, in concreto, su una situazione inscindibilmente comune a più soggetti, si rende necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i comproprietari del bene immobile in relazione al quale deve operare la chiesta condanna, specificamente indicati dal convenuto sin dalla comparsa di costituzione di primo grado v. pag. 3 ricorso e pag. 3 della sentenza impugnata . Ciò posto, si rileva che, allorquando, come nel caso di specie, si sia verificata violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal giudice di primo grado, che non ha disposto la integrazione del contraddittorio, né da quello di appello, che non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell'art. 354, primo comma, c.p.c., resta viziato l'intero procedimento e si impone, in sede di giudizio per cassazione, l'annullamento, anche di ufficio, delle pronunce emesse e il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure a norma dell'art. 383, ultimo comma, c.p.c. tra le tante v. Cass. 25-5-2004 n. 10034 Cass. 13-4-2007 n. 8825 Cass. S.U. 16-2-2009 n. 3678 Cass. 26-7-2013 n. 18127 . In accoglimento del motivo in esame, di conseguenza, la sentenza impugnata va cassata e va dichiarata la nullità della sentenza di primo grado, con rinvio al Tribunale di Napoli in diversa composizione, il quale si uniformerà al suindicato principio di diritto, disponendo l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari dell'immobile denominato omissis , e provvederà anche sulle spese dei pregressi gradi di giudizio e di quello di cassazione. Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso dichiara assorbiti gli altri cassa la sentenza impugnata, dichiara la nullità della sentenza di primo grado e rinvia anche per le spese al Tribunale di Napoli in diversa composizione.