Il proprietario del fondo servente non può contestare l’estensione della servitù in sede esecutiva

Quando dal tenore letterale del titolo esecutivo giudiziale sia possibile trarre, in via immediata, un significato chiaro ed univoco, non residua alcuno spazio per il giudice chiamato ad eseguirlo o, in caso di opposizione del debitore, ad interpretarlo per ogni ulteriore verifica degli elementi istruttori o dei fatti già presi in considerazione del giudice del merito, verifica che resta riservata appunto alla fase di cognizione ed esclusa a quella esecutiva.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8480/15 depositata il 27 aprile. Il fatto. La pronuncia in commento origina da una controversia avente ad oggetto i limiti di una servitù di passaggio a piedi e carraio per destinazione del padre di famiglia. Il Tribunale di Pordenone, con pronuncia confermata dalla Corte d’appello di Trieste, accertava l’estensione della servitù a tutto il terreno del fondo servente, per la mancata indicazione del tragitto da compiere sul fondo e delle opere da rimuovere. La proprietaria del fondo dominante intimava l’esatto adempimento degli obblighi di fare, come accertati in giudizio, al proprietario del fondo servente il quale proponeva opposizione al precetto sostenendo di aver già del tutto e esattamente adempiuto. L’opposizione, dopo un iniziale accoglimento da parte del Tribunale, veniva respinta dalla Corte d’appello con sentenza avverso la quale l’opponente propone ricorso per cassazione. L’indeterminatezza del titolo esecutivo. Il ricorrente articola due motivi di ricorso con i quali invoca l’applicabilità alla controversia della sentenza delle S.U. della Cassazione n. 11066/12 sostenendo la genericità o indeterminatezza del titolo e la necessità di individuarne la portata concreta, negando che tale accertamento possa essere precluso in forza del giudicato, rientrando esso nella fase di interpretazione del titolo da parte del giudice dell’esecuzione. La Corte di Cassazione nega ogni fondamento alle doglianze così prospettate. Sottolineano i Giudici di legittimità come il ricorrente abbia frainteso la portata della sentenza citata, la quale può trovare applicazione solo ai casi in cui il titolo esecutivo risulti non idoneamente determinato o determinabile a causa di incertezza e lacune lasciate dalla sentenza in ordine all’esatta estensione dell’obbligo dichiarato, escludendo comunque la possibilità di sovvertire un significato della sentenza che sia chiaro e limpido alla luce del dispositivo e della motivazione. Quando il giudice dell’esecuzione può chiarire la portata del titolo esecutivo? La pronuncia richiamata viene difatti costantemente applicata in tali termini quando dal tenore letterale del titolo esecutivo giudiziale sia possibile trarre, in via immediata, un significato chiaro ed univoco, non residua alcuno spazio per il giudice chiamato ad eseguirlo o, in caso di opposizione del debitore, ad interpretarlo, per ogni ulteriore verifica degli elementi istruttori o dei fatti già presi in considerazione del giudice del merito, verifica che resta riservata appunto alla fase di cognizione ed esclusa a quella esecutiva. Ne consegue che il precedente non attiene al caso di specie, dove in giudice dell’opposizione all’esecuzione, chiamato ad interpretare il titolo esecutivo, è giunto alla conclusione che quest’ultimo è chiaramente ed univocamente nel senso di riferire la servitù a tutta l’estensione del fondo servente. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 22 gennaio – 27 aprile 2015, n. 8480 Presidente Salmè – Relatore De Stefano Svolgimento del processo § 1. - V.C., cui era stato intimato da G.M.F. l'esatto adempimento degli obblighi di fare, relativi ad una servitù di passaggio gravante sul fondo di lui e come a suo carico riconosciuti dalle sentenze nn. 1121/00 del tribunale di Pordenone e 453/03 della corte di appello di Trieste, si oppose al relativo precetto - notificatogli il 14.6.07 -- citando l'opposta dinanzi al tribunale di Pordenone con atto notificato il 19.7.07 e sostenendo di avere già del tutto ed esattamente adempiuto. Negata dall'intimante la correttezza dell'adempimento, fu espletata c.t.u., seguita dai chiarimenti resi necessari dalle osservazioni dei consulenti di parte ed il tribunale accolse l'opposizione, ritenendo corrispondenti le opere eseguite dall'intimato al giudicato azionato. Il gravame della F. fu peraltro accolto dalla corte di appello di Trieste, con sentenza n. 295 del 6.6.12 per la cui cassazione ricorre oggi, affidandosi a due motivi, il Candotti, resistendovi con controricorso l'intimata e, per la pubblica udienza del 22.1.15, entrambe le parti depo sitano memorie ai sensi dell'art. 378 cod. proc. civ. Motivi della decisione § 2. - Questi i termini della controversia. § 2.1. La corte di appello di Trieste, identificati quali oggetto della controversia i limiti della servitù di passaggio a piedi e carraio per destinazione del padre di famiglia in favore della F. e a carico del fondo Candotti, ricostruisce avere la sentenza n. 1121/00 del tribunale di Pordenone inteso riferire la servitù a tutto il terreno del fondo servente , sia per la carenza, tanto in dispositivo che in motivazione, di una individuazione/delimitazione dei tragitto , sia per l'identità delle opere da rimuovere eliminazione della rete di recinzione, dello zoccolo, ecc. . Inoltre, essa esclude qualunque incertezza o imprecisione e, soprattutto, l'utilizzabilità della c.t.u. Z., siccome espletata solo in vista della subordinata interclusione , rimasta assorbita dall'accoglimbnto della principale. E conclude che, pacifica la mancata rimozione di tutto il cordolo e di tutta la recinzione, il comando contenuto nel titolo esecutivo - sul punto confermato in appello senza che una migliore demarcazione del tragitto fosse stata richiesta - non è stato pienamente adempiuto, sì da rigettare l'opposizione dell'intimato, fondata sull'opposta tesi. § 2.2. Il ricorrente Candotti articola due motivi e - col primo, si duole di violazione e falsa applicazione di norma diritto art. 360 nr. 3 in relazione all'art. 474 c.p.c. al riguardo invocando Cass. Sez. Un., 2 luglio 2012, n. 11066 per sostenere la genericità o indeterminatezza dei titolo e la necessità di individuarne la portata alla stregua della relazione di c.t.u. redatta nel giudizio di merito c.t.u. Z., riprodotta nel ricorso dopo la pag. 13, per almeno 46 facciate - col secondo, si duole di violazione e/o falsa applicazione dell'art. 474 c.p.c., dell'art. 2909 c.c. e dell'art. 1065 c.c. nega essere precluso, in forza del giudicato, l'esame di ogni altra questione relativa all'esatta individuazione delle modalità di esercizio della servitù di transito, tanto rientrando invece nell'interpretazione del titolo, soprattutto quando, come nella specie, siano rimasti dubbi sull'ampiezza e sulle concrete modalità di esercizio ed alla stregua della relazione di c.t.u. del geom. Z § 2.3. La controricorrente F., dal canto suo, ribatte avere la corte di appello espressamente escluso l'utilizzabilità della relazione del c.t.u. Z., perché riferita ad una domanda non presa in considerazione, siccome subordinata, atteso l'accoglimento della principale nega la rilevanza nella specie di Cass. Sez. Un. 11066/12, per avere la corte di appello escluso proprio ogni incertezza sull'estensione della servitù, quale risultante dal titolo esecutivo ripercorre l'andamento del giudizio di merito in grado di appello riproducendo, dopo pag. 11 dei controricorso, per almeno diciannove facciate, i verbali di causa contenenti anche la prova testimoniale ivi espletata , per escludere che andasse operata alcuna integrazione del pensiero del giudice di primo grado ad opera della corte di appello ancora, condivide la tesi della corte di appello in punto di preclusione da giudicato su ogni questione relativa alla delimitazione dell'esercizio della servitù, non potendo applicarsi l'art. 1065 cod. civ. dinanzi alla chiarezza del relativo titolo esecutivo. § 3. - I motivi di ricorso, congiuntamente esaminati, sono infondati. Non è attinta da alcuna censura la dirimente considerazione del giudice di merito sull'inutilizzabilità della relazione del c.t.u. Z., siccome riferita a domanda subordinata e quindi diversa da quella principale, sola accolta già solo questo rende impossibile, nella presente sede, anche solo in astratto ipotizzare di considerare quell'elemento. § 3.1. D'altra parte, la portata di Cass. Sez. Un. 11066/12 è evidentemente dei tutto fraintesa dal Candotti essa, come applicata anche dalla successiva giurisprudenza delle sezioni semplici di questa Corte, si riferisce pur sempre ai casi in cui il titolo esecutivo appaia non idoneamente determinato o determinabile. Secondo il suo stesso tenore testuale, tale pronunzia - perfino nella parte trascritta nel ricorso - ribadisce punto 5 come evidente premessa della sua disamina che essa si riferisce ai casi in cui occorra superare incertezze lasciate da alcuni aspetti del documento-sentenza, in ordine all'esatta estensione dell'obbligo dichiarato con quest'ultima e negli altri tipi di provvedimenti cui la legge ricollega efficacia esecutiva , sempre escludendosi la possibilità di sovvertire un significato della sentenza chiaro alla luce del dispositivo e della relativa motivazione. Infatti, rimane principio cardine dell'ordinamento processuale sul quale v., per tutte, Cass. 17 febbraio 2011, n. 3850, ove altri riferimenti la netta ed insuperabile separazione tra cognizione ed esecuzione, tanto che alla prima è riservata la disamina di ogni fatto, principale o secondario, costitutivo o meno, del diritto poi consacrato nel titolo esecutivo giudiziale, che sia anteriore al momento in cui il relativo processo - di cognizione - si è esaurito. Pertanto, così correttamente applicata Cass. Sez. Un., 2 luglio 2012, n. 11066, ogni qual volta un significato chiaro ed univoco possa trarsi dal titolo esecutivo giudiziale in via immediata dal suo tenore testuale benché riferito all'appropriata combinazione tra dispositivo e motivazione , non vi è spazio, per il giudice chiamato ad eseguirlo o - in caso di opposizione del debitore -- ad interpretarlo, per alcuna altra verifica degli elementi istruttori o dei fatti già presi in considerazione dal giudice del merito, essa essendo a quegli istituzionalmente esclusa, in quanto riservata alla cognizione e precisamente al giudice del processo in cui il titolo giudiziale si è formato o è divenuto - o avrebbe potuto divenire - definitivo. § 3.2. Ma allora essa non ha alcuna attinenza con la fattispecie, riguardo alla quale il giudice dell'opposizione ad esecuzione, chiamato ad interpretare il titolo stesso, giunge alla conclusione che quest'ultimo è chiaramente ed univocamente nel senso del riferimento della servitù di passaggio, a piedi e carraio, a tutta l'estensione dei fondo servente. E, così, un conto è l'assenza di limitazioni ritenuta dal giudice chia mato ad interpretare il titolo ed altro conto è la soggettiva aspirazione del debitore a intendere in senso più limitato il contenuto del titolo stesso sicché i due piani vanno mantenuti rigorosamente distinti e circoscrivere una originaria assenza di limiti in un titolo ampio, ma indeterminato e non già indeterminabile, rimane nell'onere esclusivo del destinatario dei comando da esso recato, ma pur sempre nel giudizio di cognizione, in cui il titolo si è formato e può divenire definitivo. Pertanto, non contestata l'affermazione di inutilizzabilità dell'unico elemento in contrario addotto dall'odierno ricorrente e costituito dalla c.t.u. Z., la valutazione della corte di appello nella gravata sentenza di agevole possibilità della ricostruzione dell'estensione della servitù come riferita all'intero terreno del fondo servente risulta non ulteriormente discutibile con la duplice conseguenza - da un lato - della correttezza della rilevata preclusione, in sede di opposizione ad esecuzione, di ogni questione al riguardo e - dall'altro - dell'infondatezza del primo motivo di ricorso e del corrispondente profilo del secondo motivo di ricorso. § 3.3. Per concludere quanto a quest'ultimo, poi, la conclusione della qui gravata sentenza rende evidente pure che alcuna legittima incertezza sull'andamento o sull'estensione della servitù più può sussistere dopo la pronunzia di quel titolo esecutivo l'art. 1065 cod. civ. si riferisce a tutte le ipotesi in cui sia ancora legittimamente controvertibile la relativa questione, cosa qui esclusa dalla riconosciuta precisione e certezza dei comando contenuto nel titolo esecutivo, quale riferito al fondo servente per tutta la sua estensione, con conseguente preclusione di ogni ulteriore contestazione al riguardo ad opera delle parti del giudizio di merito. § 4. - Al rigetto dei ricorso segue la condanna dei ricorrente alle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna V.C. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore di G.M.F., liquidate in € 8.200,00, di cui € 200,00 per esborsi ed oltre maggiorazione per spese generali ed accessori nella misura di legge.