In quale sede l’avvocato deve proporre l’azione per danni da espressioni offensive in atti processuali?

Il difensore della parte è passivamente legittimato, a titolo personale, nell’azione per danni da espressioni offensive contenute negli atti del processo, proposta davanti ad un giudice diverso da quello che ha definito quest’ultimo, ove sia prospettata una specifica responsabilità del difensore stesso o non sia più possibile agire ai sensi dell’art. 89 c.p.c. per lo stadio processuale in cui la condotta offensiva ha avuto luogo.

Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 7638, depositata il 15 aprile 2015. Il fatto. Un avvocato ha proposto ricorso per cassazione contro un collega avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano con la quale veniva confermata la sentenza di primo grado resa inter partes dal Tribunale di Monza, che aveva accolto parzialmente la domanda del collega volta ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti da affermazioni offensive fatte dal ricorrente in una memoria istruttoria depositata in un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale i due legali postavano il loro patrocinio per le parti rispettivamente contrapposte. Con l’unico motivo di ricorso l’avvocato si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 89 c.p.c La domanda risarcitoria poteva essere svolta in sede di precisazione delle conclusioni. Il Collegio ritiene la censura fondata, in quanto il diritto risarcitorio esercitato dall’avvocato, pur esistente a suo favore, avrebbe dovuto essere esercitato ai sensi dell’art. 89 c.p.c. nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo. Infatti, le espressioni offensive erano contenute in una memoria istruttoria e, dunque, in un atto collocatesi in una fase temporale dello svolgimento del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che avrebbe consentito di proporre la domanda risarcitoria in sede di precisazione delle conclusioni. Ne consegue che non avendo utilizzato tale possibilità, a lui consentita, il diritto dell’avvocato si è consumato e, quindi, non avrebbe potuto essere svolto in separata sede. Diritto risarcitorio del difensore iure proprio ai sensi dell’art. 89 c.p.c. e sede in cui deve essere esercitato. Il Collegio deduce tutto ciò dalla giurisprudenza della Corte di legittimità ordinanza n. 19907/13 con la quale è stata risolta la questione della configurabilità di un diritto risarcitorio del difensore iure proprio ai sensi dell’art. 89 c.p.c. e della sede in cui esso deve essere esercitato. Viene, infatti, pronunciato il principio secondo il quale il difensore della parte è passivamente legittimato, a titolo personale, nell’azione per danni da espressioni offensive contenute negli atti del processo, proposta davanti ad un giudice diverso da quello che ha definito quest’ultimo, ove sia prospettata una specifica responsabilità del difensore stesso o non sia più possibile agire ai sensi dell’art. 89 c.p.c. per lo stadio processuale in cui la condotta offensiva ha avuto luogo . In applicazione di tale principio, la S.C. accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il motivo di appello e, in riforma della sentenza di primo grado, rigetta la domanda risarcitoria dell’avvocato. Data la natura della controversia e la novità della giurisprudenza in base alla quale si è giudicato, compensa le spese dell’intero giudizio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 14 gennaio – 15 aprile 2015, n. 7638 Presidente Finocchiaro – Relatore Frasca Fatto e diritto Ritenuto quanto segue p.1. L'Avvocato C.P.L. ha proposto ricorso per cassazione contro l'Avvocato V.L. avverso la sentenza del 18 giugno 2010, con la quale la Corte d'Appello di Milano ha, provvedendo in grado di appello e rigettando sia l'appello principale di esso ricorrente, sia quello incidentale del V. , confermato la sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Monza il 19 giugno 2006, che aveva accolto parzialmente la domanda del V. intesa ad ottenere il risarcimento dei danni sofferti in conseguenza di alcune affermazioni offensive fatte dal ricorrente in una memoria istruttoria depositata nell'ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dinanzi al Tribunale di Corno, nel quale i due legali postavano il loro patrocinio per le parti rispettivamente contrapposte. p.2. Al ricorso ha resistito con controricorso l'intimato. p.3. Prestandosi il ricorso ad essere deciso con il procedimento di cui all'art. 380-bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza della Corte. p.4. Il resistente ha depositato memoria ed il suo difensore è comparso nell'adunanza. Considerato quanto segue p.1. Nella relazione ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c. sono state svolte le seguenti considerazioni [ ] p.3. Il ricorso può essere deciso con il procedimento di cui all'art. 380-bis c.p.c., in quanto appare manifestamente fondato. Con l'unico motivo di ricorso ci si duole di violazione e falsa applicazione dell'art. 89 c.p.c Nullità ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. e, con riferimenti alla giurisprudenza della Corte, vi si fanno valere due distinte censure, correlate al quarto ed al quinto motivo di appello principale. p.3.1. Con la prima censura, relativa alla decisione della sentenza impugnata in riferimento al quarto motivo di appello, si prospetta in buona sostanza che, anche ad ammettere che l'azione potesse esercitarsi nei confronti dell'Avvocato C. e non dovesse, invece, esercitarsi necessariamente solo nei confronti del suo cliente ai sensi dell'art. 89 c.p.c. nel giudizio in cui era stata depositata la memoria istruttoria contenente espressioni offensive, comunque essa avrebbe dovuto esercitarsi parimenti nell'ambito di detto giudizio, di modo che non essendovi stata esercitata non avrebbe potuto esercitarsi in separato giudizio. In proposito, evocando Cass. n. 10916 del 2001, si fa rilevare che l'azione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sarebbe stata ben possibile in quanto le pretese offese erano contenute in una memoria istruttoria e, dunque, in una fase processuale che, precedendo la precisazione delle conclusioni, avrebbe consentito di introdurre la domanda in quel giudizio. p.3.2. Con una seconda censura, parametrata invece alla decisione della sentenza impugnata sul quinto motivo di appello, si prospetta che erroneamente la Corte territoriale come il primo giudice avrebbe considerato ammissibile l'azione risarcitoria esercitata dal V. con azione separata rispetto al giudizio nel quale le espressioni offensive erano state usate, anziché ritenere che l'azione fosse esercitabile solo nei confronti della parte patrocinata dall'Avvocato C. , quale unica legittimata passiva. p.4. La prima censura - che è scrutinarle in quanto nell'esposizione del fatto si precisa che le espressioni offensive erano state contenute in una memoria che nell'esposizione di detta censura si dice istruttoria a prova contraria , il che, unitamente alle altre enunciazioni somministra una percezione sufficiente del fatto sostanziale e processuale ai sensi dell'art. 366 n. 3 c.p.c. - appare fondata e la constatazione della sua fondatezza evidenzia una situazione nella quale la sentenza impugnata dovrebbe essere cassata e sulla controversia si dovrebbe decidere nel merito con il rigetto della domanda anche per la parte in cui venne accolta, perché il diritto risarcitorio esercitato dall'Avvocato V. , pur esistente a suo favore, avrebbe dovuto necessariamente esercitarsi ai sensi dell'art. 89 c.p.c. nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto poteva esserlo in relazione al momento in cui la memoria recante le espressioni offensive era stata depositata. In proposito si rileva che questa Corte con ord. n. 19907 del 2013, resa su ricorso di poco successivo al presente ed avente ad oggetto motivo analogo al contenuto di cui alla prospettazione della seconda censura del presente ricorso, ha ampiamente ripercorso le emergenze della giurisprudenza della Corte sia sulla questione della configurabilità di un diritto risarcitorio del difensore iure proprio ai sensi dell'art. 89 c.p.c., sia della sede in cui esso dev'essere esercitato ed ha statuito che Il difensore della parte è passivamente legittimato, a titolo personale, nell'azione per danni da espressioni offensive contenute negli atti di un processo, proposta davanti ad un giudice diverso da quello che ha definito quest'ultimo, ove sia prospettata una specifica responsabilità del difensore stesso o non sia più possibile agire ai sensi dell'art. 89 cod. proc. civ. per lo stadio processuale in cui la condotta offensiva ha avuto luogo”. L'applicazione di questo principio di diritto allo scrutinio delle due censure, evidenzia in primo luogo l'infondatezza della seconda, il cui esame è logicamente preliminare, in quanto pone un problema di spettanza del diritto fatto valere sul piano soggettivo. In secondo luogo evidenzia la fondatezza della prima censura, atteso che le espressioni offensive ritenute dai giudici di merito riconducibili all'ambito dell'art. 89 c.p.c. sul piano oggettivo, con accertamento ormai coperto da giudicato interno per difetto di impugnazione furono contenute in una memoria istruttoria e, dunque, in un atto collocantesi in una fase temporale dello svolgimento del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo che avrebbe consentito di proporre la domanda risarcitoria in sede di precisazione delle conclusioni. Ne segue che non essendosi utilizzata quella possibilità pur consentita il diritto dell'Avvocato V. si è consumato e non avrebbe potuto essere svolto in separata sede. Non essendo necessari accertamenti di fatto per l'applicazione alla controversia di tali principi sembrano ricorrere le condizioni per la decisione nel merito nei termini su indicati, di modo che a il ricorso dovrebbe essere accolto per quanto di ragione cioè limitatamente alla prima censura, previo rigetto della seconda, logicamente preliminare e la sentenza impugnata cassata b quindi, la Corte dovrebbe, pronunciando nel merito, accogliere l'appello quanto al quarto motivo e rigettare la domanda in riforma della sentenza di primo grado anche per la parte in cui il Tribunale l'aveva accolta”. p.2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali la memoria del resistente muove rilievi che non sono idonei a superarle, giacché si astengono dal prendere posizione sul tessuto argomentativo che la relazione ha svolto sulla base di Cass. ord. n. 19907 del 2013 infatti, esso non viene in alcun modo commentato, preferendosi genericamente dire che la relazione ha richiamato a sostegno quella pronuncia. Le uniche parti della relazione che vengono evocate mediante mera riproduzione sono la prima proposizione del paragrafo 4. e la penultima, mentre di quelle che si collocano fra di esse e che il Collegio condivide e ritiene siano in piena consonanza con il citato precedente non ci si preoccupa in alcun modo. Nemmeno si svolgono considerazioni specifiche, cioè correlate al suo effettivo iter motivazionale, sull'ampio argomentare del detto precedente. p.3. Conseguentemente il ricorso dev'essere accolto per quanto di ragione, cioè limitatamente alla prima censura, previo rigetto della seconda, pur logicamente preliminare. La sentenza impugnata è cassata. Ricorrendo, come opinato dalla relazione, le condizioni per la decisione nel merito, si deve accogliere l'appello quanto al quarto motivo e si deve, quindi, in riforma della sentenza di primo grado, rigettare la domanda anche per la parte in cui il Tribunale l'aveva accolta. Le spese vanno regolate quanto all'intero giudizio e, data la natura della controversia e la novità della giurisprudenza sulla base della quale si è giudicato il presente ricorso, possono integralmente compensarsi. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione e cassa la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato il quarto motivo di appello. Pronunciando nel merito su di esso lo accoglie e, in riforma della sentenza di primo grado, rigetta la domanda dell'Avvocato V Compensa le spese dell'intero giudizio.