Abrogazione del termine per l’opposizione contro la liquidazione del compenso del custode: illegittimità costituzionale?

Va d’ufficio rimessa alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 34, comma 17, e 15, comma 2, d.lgs. n. 150/2011 per contrasto con l’art. 76 Cost. ed in relazione ai commi 1 e 4 dell’art. 54, legge n. 69/2009, nella parte in cui non è più previsto che il ricorso è proposto entro 20 giorni dall’avvenuta comunicazione.

Il caso. La vicenda riguarda l’opposizione presentata avverso un provvedimento di liquidazione del compenso disposto in favore di un custode nominato dal Tribunale di Como nel corso di una espropriazione immobiliare. Il compenso veniva liquidato ai sensi dell’art. 170, d.p.r. n. 115/2002, ma l’opposizione veniva respinta dal Tribunale in quanto tardiva. In realtà, la versione attuale dell’art. 170 non prevede più alcun termine per l’opposizione e pertanto il custode ricorreva in Cassazione. Sul punto viene sollevata d’ufficio dalla Cassazione ordinanza interlocutoria n. 6652/2015, depositata il 1° aprile la questione di legittimità costituzionale per eccesso di delega e per violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost Rimessione di ufficio Va d’ufficio rimessa alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 34, comma 17, e 15, comma 2, d.lgs. n. 150/2011 per contrasto con l’art. 76 Cost. ed in relazione ai commi 1 e 4 dell’art. 54, legge n. 69/2009, nella parte in cui - risultatone abrogato l’inciso, contenuto nell’originario primo comma dell’art. 170, d.p.r. n. 115/2002 entro 20 giorni dall’avvenuta comunicazione - non è più previsto che il ricorso è proposto entro 20 giorni dall’avvenuta comunicazione. Custode e ausiliario del giudice. Gli Ermellini, in primo luogo, osservano come il custode nominato ai sensi dell’art. 559 c.p.c. nel corso di un’espropriazione immobiliare rientri pacificamente nella nozione di ausiliario del giudice. Questi infatti si occupa della corretta gestione dell’immobile per realizzarlo sul mercato e assicurare il miglior soddisfacimento delle ragioni del creditore nel modo più economico possibile come prevede oggi l’art. 164 bis disp. Att. al c.p.c. introdotto con il d.l. n. 132/2014. Per tale motivo avverso i provvedimenti di liquidazione del compenso al custode che non sia il debitore nominato dal Tribunale nell’espropriazione immobiliare è applicabile l’impugnazione tipica prevista dall’art. 170, d.p.r. n. 115/2002. A questo punto si apre il problema relativo alla tempestività o meno dell’opposizione presentata. L’art. 170 nell’originaria formulazione prevedeva un termine perentorio di venti giorni dall’avvenuta comunicazione del decreto di pagamento e il rito applicabile era quello speciale previsto per gli onorari di avvocato. Procedimento sommario. A seguito della riforma operata con gli art. 34, comma 17 e 15, comma 2, d.lgs. n. 150/2011 emesso sulla base della legge delega 18.6.2009 il termine indicato è scomparso e il tipo di rito applicabile è divenuto oggi il procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c Di fatto è stato soppresso per essere stata abrogata, mediante integrale riscrittura, la norma che in precedenza lo prevedeva cioè l’art. 170 d.p.r. n. 115/2002 appunto . Tale indebita eliminazione” non può essere però priva di conseguenze secondo la Suprema Corte. In primo luogo si rileva che una simile disposizione ha oltrepassato i limiti della legge delega citata, violando così l’art. 76 Cost I principi e criteri direttivi della delega passati in rassegna dai giudici del Palazzaccio erano infatti ispirati alla semplificazione dei riti civili, mentre nulla hanno a che vedere con l’eliminazione del termine per l’impugnazione. Sotto altro profilo non sarebbe possibile colmare tale lacuna in via interpretativa poiché i termini decadenziali e perentori sono tali solo se ed in quanto previsti espressamente in tal senso dalla legge. Estendere in via ermeneutica termini mutuati da fattispecie diverse non è quindi ammissibile e comporterebbe l’introduzione nell’ordinamento di nuove contraddizioni e difficoltà operative contrarie, ancora una volta, alla semplificazione invocata dalla legge delega. Del pari radicalmente esclusa è la possibilità di applicare il cosiddetto termine lungo” di cui all’art. 327 c.p.c. o di fare ricorso all’ordinario termine di prescrizione. Si tratta infatti di tempi irragionevolmente eccessivi che contrasta con la necessità di dare certezza alle decisioni giudiziarie. Secondo la Cassazione, la soppressione del citato termine per l’opposizione si pone altresì in contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost Difesa dei diritti delle parti. In primo luogo viene ingiustificatamente trattata in modo diverso la fattispecie della liquidazione dell’ausiliario del giudice rispetto ad ogni altra ipotesi di provvedimento reso inaudita altera parte che segue sempre la successione decreto – opposizione – costituzione del contraddittorio violazione dell’art. 3 Cost. . A ciò si aggiunga che un provvedimento inaudita altera parte indefinitamente impugnabile impedisce un’efficace difesa dei diritti delle parti con una precarietà sine die del provvedimento in questione violazione dell’art. 24 Cost. . Infine una situazione così congegnata non è conforme ai principi del giusto processo che devono assicurare la stabilità delle statuizioni giurisdizionali violazione dell’art. 111 Cost. . Da ultimo gli Ermellini osservano che l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale di norme abrogatrici a seguito del riscontrato eccesso di delega comporterebbe la reviviscenza delle norme illegittimamente abrogate e quindi la restaurazione del solo originario termine perentorio di opposizione entro 20 giorni, colmando così la lacuna indebitamente creata a seguito delle modifiche legislative sopra ricordate. Sulla scorta di tali considerazioni, il giudizio viene sospeso con trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza interlocutoria 22 gennaio – 1 aprile 2015, n. 6652 Presidente Salmé – Relatore De Stefano In fatto e in diritto p.1.- La Monviso Finance s.r.l. ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione dell'ordinanza, resa il 19 luglio 2012, con cui il tribunale di Como ha definito l'impugnazione avverso il decreto del 1^ dicembre 2012 di liquidazione del compenso al custode - Dott.ssa F.R. - nominato nella procedura esecutiva immobiliare da essa intentata ai danni di P.G. ed iscritta al n. 612/10 r.g.e. di quel tribunale e dichiarata estinta con provvedimento del 31 gennaio 2012 . Nessuna delle intimate svolge attività difensiva in questa sede. p.2.- Il tribunale di Como ha dichiarato inammissibile l'opposizione al provvedimento di liquidazione del compenso al custode nominato nel corso di una espropriazione immobiliare, intrapresa dalla creditrice ai sensi dell'alt. 170 d.P.R. n. 115 del 2002. Al riguardo, la qui gravata ordinanza ipotizza dapprima che le previsioni del detto d.P.R. si applichino soltanto alle liquidazioni in favore del custode in caso di sequestro penale probatorio e preventivo e, in materia civile, di sequestro conservativo e giudiziario, sì da prospettare per la liquidazione del compenso al custode nominato nell'espropriazione immobiliare il solo rimedio dell'opposizione agli atti esecutivi. Peraltro, indipendentemente da ogni statuizione in ordine al mezzo di impugnazione astrattamente pertinente alla fattispecie , la stessa ordinanza definisce comunque tardiva l'opposizione, in rapporto alla data di conoscenza del provvedimento opposto individuata nell'8 febbraio 2012, data di proposizione dell'istanza di riduzione al g.e. rispetto alla data di proposizione del procedimento individuata nel di 1 marzo 2012 . p.3. - La ricorrente sviluppa tre motivi e - col primo rubricato ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 3 per violazione e falsa applicazione dell'art. 170 D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nega la tardività, invocando la carenza di termini perentori per la proposizione dell'opposizione, in conseguenza della sostituzione della disposizione ad opera dell'art. 34, comma 17, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, applicabile con decorrenza dal 6 ottobre 2011 - col secondo rubricato ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 3 per violazione o falsa applicazione degli artt. 168, 2 comma e 170, 1 comma, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 contesta l'individuata decorrenza del termine, ove ritenuto tuttora previsto, in tempo anteriore ad una formale comunicazione da parte della cancelleria, nella specie mai avutasi - col terzo rubricato ai sensi dell'art. 360 comma 1 n. 5 per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti , infine, si duole della mancata applicazione alla fattispecie del d.m. 15 maggio 2009, n. 80, emanato ai sensi dell'art. 21 della legge 24 febbraio 2006, n. 52, in base alla quale il compenso non avrebbe potuto essere liquidato in misura superiore ad Euro 4.746,94, disattendendo la diversa tabella applicata nel tribunale di Como dal 2003 per intero trasfusa nel ricorso , oltretutto malamente applicata in concreto né rilevando il rigetto dell'istanza di revisione riduttiva del compenso, o la transazione intercorsa con il custode nel frattempo. p.4. - Va preliminarmente rilevato che anche il provvedimento di liquidazione del compenso al custode dell'espropriazione immobiliare è soggetto alla disciplina dell'art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. p.4.1. A tale conclusione si perviene in base agli argomenti già sviluppati da Cass. 29 gennaio 2007, n. 1887, per altro ausiliario del giudice e, pure in tal caso, del giudice dell'espropriazione immobiliare - prima del testo unico n. 115/02, le disposizioni dettate dalla L. 8 luglio 1980, n. 319, sono state interpretate da questa corte nel senso che contenessero una disciplina speciale, applicabile alle sole figure di ausiliari del giudice indicati nel suo art. 1 - periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori - e non in genere agli ausiliari del giudice, ai quali si applicava invece la disciplina generale di cui agli artt. 54 e 55 disp. att. cod. proc. civ. - il detto testo unico ha però abrogato la L n. 319/80 e l'art. 168, comma 1, dello stesso testo unico fa ora generale riferimento a tutti gli ausiliari del magistrato - la portata di tale definizione è poi esplicitata nell'art. 3 lett. n , secondo il quale essa comprende, oltre alle figure di ausiliari in precedenza indicate nella L. n. 319/80 al suo art. 1 , qualunque altro soggetto competente, in una determinata arte o professione o comunque idoneo al compimento di atti, che il magistrato o il funzionario addetto all'ufficio può nominare a norma di legge definizione, questa, che a sua volta ricalca il testo del primo comma dell'art. 68 cod. proc. civ. - un simile passaggio dalla precedente formulazione a quella attuale comporta l'attrazione di ogni figura di ausiliario del giudice nell'ambito di applicazione del modulo procedimentale in origine stabilito dall'art. 11 della L. n. 319/80 ed ora ripreso dal d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 168, e segg. ciò che risponde al criterio direttivo fissato dalla L. 8 marzo 1999, n. 50, art. 1, comma 2, lett. d - la medesima innovazione risponde poi al condivisibile criterio di raggiungere coerenza sistematica e di unificare sotto un'unica preesistente disciplina, intrinsecamente capace di atteggiarsi come generale, pluralità di discipline applicabili in distinti settori alla stessa materia. p.4.2. Sulla base di queste premesse, anche il custode nominato ai sensi dei commi secondo e seguenti dell'art. 559 cod. proc. civ. nel corso di un'espropriazione immobiliare rientra nell'indicata nozione di ausiliario del magistrato infatti, egli ne presenta il tratto di contribuire con la propria attività ad individuare il contenuto degli atti che debbono essere compiuti nei processo dall'ufficio giudiziario ed anzi ne agevola indiscutibilmente la progressione con attività materiali sue proprie, complementari ma al contempo indispensabili e non concretamente suscettibili di essere compiute dal giudice o dai cancelliere. In definitiva il custode, occupandosi della proficua gestione del bene staggito ai fine della migliore sua collocazione sul mercato, orienta utilmente la stessa prosecuzione del processo esecutivo verso il fine di ogni espropriazione, ormai codificato [dall'art. 164-bis disp. att. cod. proc. civ., introdotto dall'art. 19, co. 2, lett. b , del d.l. n. 132/14, conv. con mod. in l. 162/14 e di immediata applicazione, non applicandosi la disciplina transitoria di cui all'art. 19, co. 6-bis, del d.l. n. 132/14] nel perseguimento del soddisfacimento delle ragioni del creditore nel modo più economico possibile. p.4.3. Pertanto, avverso i provvedimenti di liquidazione del compenso al custode che non sia il debitore nominato nell'espropriazione immobiliare va proposta la tipica impugnazione prevista dall'art. 170 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 e succ. mod. e integr. . p.5. - La questione posta dal primo motivo - relativa alla sussistenza di un termine perentorio per la proposizione dell'azione, la cui soluzione in senso positivo ha determinato, nel caso all'esame di questa corte, la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione per tardività, qui gravata - assume allora carattere di decisiva rilevanza per la definizione della controversia. È evidente infatti il suo rango logicamente preliminare rispetto agli altri due motivi di doglianza, essendo il secondo relativo all'inoperatività del termine perentorio per difetto di valida comunicazione visto che ogni questione sull'utile decorrenza di un termine presuppone comunque l'esistenza di quest'ultimo ed il terzo avendo ad oggetto l'erroneità della mancata applicazione del d.m. in luogo della tabella locale motivo tecnicamente infondato, siccome riferito al merito dell'impugnazione, coerentemente non esaminato dal giudice che di questa ha ritenuto l'inammissibilità per ragioni di rito o di forma . p.6. - Ora, la riforma dell'art. 170 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, operata con l'art. 15 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, ne ha comportato la totale riscrittura. Invero, il testo originario dell'art. 170 prevedeva, al suo primo comma, che Avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, del custode e delle imprese private cui è affidato l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione, entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione, ai presidente dell'ufficio giudiziario competente ” ed i commi successivi prevedevano l'applicazione del processo speciale previsto per gli onorari di avvocato, affidandolo all'ufficio giudiziario in composizione monocratica, cui conferivano il potere di sospendere l'esecuzione provvisoria del decreto con ordinanza non impugnabile e di acquisire atti, documenti ed informazioni necessari ai fini della decisione. Il termine previsto da tale norma doveva poi qualificarsi perentorio, come presupposto già nella giurisprudenza specificamente intervenuta sul punto - Cass. 6 ottobre 2011, n. 20485, ovvero Cass. 14 giugno 2012, n. 9792 - e conformemente a quanto già, invece espressamente, affermato per il termine imposto per la previgente opposizione ai sensi dell'art. 11, comma quinto, legge 8 luglio 1980, n. 319 fin da Cass. 21 aprile 1994, n. 3812 , siccome finalizzato alla proposizione di un'impugnazione. In virtù della legge di delega, di cui ai primi quattro commi dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, il d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, ha ricondotto il procedimento, già disciplinato dall'alt. 170 d.P.R. 115/02, allo schema del procedimento sommario, ma non ha riprodotto il termine di proposizione espressamente previsto nella disciplina originaria. Infatti, l'art. 34, comma diciassettesimo, del d.lgs. 150/11 ha sostituito il primo comma dell'art. 170 ed abrogato i commi successivi, sicché esso prevede ora solamente che avverso il decreto di pagamento emesso a favore dell'ausiliario del magistrato, dei custode e delle imprese private cui è affidato l'incarico di demolizione e riduzione in pristino, il beneficiario e le parti processuali, compreso il pubblico ministero, possono proporre opposizione” e che l'opposizione è disciplinata dall'articolo 15 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 ”. Contemporaneamente, l'art. 15 del medesimo d.lgs. prevede 1. Le controversie previste dall'articolo 170 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo. 2. Il ricorso è proposto ai capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato. Per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del giudice di pace e del pubblico ministero presso il tribunale è competente il presidente del tribunale. Per i provvedimenti emessi da magistrati dell'ufficio del pubblico ministero presso la corte di appello è competente il presidente della corte di appello. 3. Nel giudizio di merito le parti possono stare in giudizio personalmente. 4. L'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall'articolo 5. 5. Il presidente può chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione. 6. L'ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile” . È evidente che del termine, originariamente previsto, non vi è più traccia sicché, in base ad elementari criteri ermeneutici in tema di successione delle leggi, dal combinato disposto del diciassettesimo comma dell'art. 34 e dell'ari . 15 del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, risulta che esso è stato soppresso, per essere stata abrogata, mediante integrale riscrittura, la norma che, in precedenza, lo prevedeva. Ma la disposizione che ha comportato tale risultato - e la cui applicazione potrebbe essere dirimente nel caso in esame - non si sottrae a dubbi di non conformità alla Costituzione, da rilevarsi anche di ufficio. p.7. - In primo luogo, in modo non manifestamente infondato può sostenersi che una simile disposizione abbia oltrepassato i limiti della legge delega e quindi violato l'art. 76 della Costituzione. p.7.1. I principi ed i criteri direttivi della delega per la c.d. semplificazione dei riti civili sono stati posti dal comma quarto dell'art. 54 della richiamata legge 69/09 nei seguenti testuali termini a restano fermi i criteri di competenza, nonché i criteri di composizione dell'organo giudicante, previsti dalla legislazione vigente b i procedimenti civili di natura contenziosa autonomamente regolati dalla legislazione speciale sono ricondotti ad uno dei seguenti modelli processuali previsti dal codice di procedura civile 1 i procedimenti in cui sono prevalenti caratteri di concentrazione processuale, ovvero di officiosità dell'istruzione, sono ricondotti al rito disciplinato dal libro secondo, titolo IV, capo I, del codice di procedura civile 2 i procedimenti, anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri di semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, sono ricondotti al procedimento sommario di cognizione di cui ai libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile, come introdotto dall'articolo 51 della presente legge, restando tuttavia esclusa per tali procedimenti la possibilità di conversione nel rito ordinario 3 tutti gli altri procedimenti sono ricondotti al rito di cui al libro secondo, titoli I e III, ovvero titolo II, del codice di procedura civile c la riconduzione ad uno dei riti di cui ai numeri 1 , 2 e 3 della lettera b non comporta l'abrogazione delle disposizioni previste dalla legislazione speciale che attribuiscono al giudice poteri officiosi, ovvero di quelle finalizzate a produrre effetti che non possono conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile d restano in ogni caso ferme le disposizioni processuali in materia di procedure concorsuali, di famiglia e minori, nonché quelle contenute nel regio decreto 14 dicembre 1933, n. 1669, nel regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, nella legge 20 maggio 1970, n. 300, nel codice della proprietà industriale di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30, e nel codice del consumo di cui ai decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206” . p.7.2. I primi commentatori non hanno mancato di rilevare che la dimenticanza nell'indicazione del termine di decadenza per proporre opposizione, che in precedenza era di venti giorni, abbia comportato l'introduzione nel tessuto normativo di nuove contraddizioni e difficoltà operative lacuna che è subito apparsa insuscettibile di essere colmata in via interpretativa, poiché i termini decadenziali, come noto, devono risultare chiari nella legge e non si è mancato di rimarcare come, paradossalmente, resti invece in vigore il termine di venti giorni previsto per l'opposizione contro il diniego di ammissione al gratuito patrocinio nel solo processo penale, non essendo stato infatti abrogato l'art. 99 del richiamato t.u. 115 del 2002, sicché il termine da esso individuato dovrebbe continuare a vincolare l'opponente. Si è pertanto da alcuni rilevato che, non potendosi giungere all'estensione, in via ermeneutica, di termini previsti per fattispecie diverse, non si avrebbe altra scelta che sollevare la questione di legittimità costituzionale, se non altro sotto il profilo dell'eccesso di delega, quanto all'avvenuta soppressione del detto termine perentorio. Altri, al contrario ed al dichiarato fine di scongiurare un tale altrimenti evidente profilo di illegittimità costituzionale, hanno ritenuto, anche tra i giudici di merito, evincibile in via ermeneutica un termine perentorio di proposizione dell'opposizione. p.7.3. Eppure, deve in modo convinto escludersi la possibilità di ricavare in via interpretativa l'imposizione di un termine decadenziale, quale quello breve per proporre un'impugnazione il quale, significativamente, è previsto specificamente per ciascuna azione di impugnazione - ordinaria e straordinaria - in senso tecnico, a differenza di quello ordinario di cui all'art. 327 cod. proc. civ. , ovvero quello che, in generale, può essere previsto per lo speciale schema procedimentale della opposizione . Quest'ultimo consiste nell'introduzione di una fase a contraddittorio restaurato - o finalmente instaurato - ma eventuale e rimessa all'impulso della parte nei cui confronti il provvedimento, generalmente in presenza di particolari condizioni di favore per colui che lo consegue, è stato emesso solo tali peculiari condizioni e la garanzia della restaurazione, sia pur posticipata, del contraddittorio giustificano l'inversione della posizione processuale delle parti e l'alterazione dell'altrimenti doveroso iniziale equilibrio tra le parti e, così, la stessa costituzionalità del sistema . La deduzione in via interpretativa di un termine decadenziale non espressamente previsto, in un contesto dove anzi è stato esplicitamente soppresso, è in insanabile contrasto con principi generali di ermeneutica, primo fra tutti quello di specialità, applicato al diritto processuale in relazione alla tendenziale libertà di estrinsecazione delle facoltà in cui si sostanzia il diritto di difesa. E neppure potrebbe ricostruirsi un preteso sistema generale di opposizioni e di termini perentori che le assistano, quand'anche una certa omogeneità sia riscontrabile in tal senso nel medesimo contesto normativo il d.lgs. 150/11 qui in esame di riconduzione a specifici riti preesistenti di altri, in origine anche tra loro sensibilmente differenziati infatti, il sistema è un composito quadro di procedimenti ciascuno con le sue specialità, salvo solo il generale richiamo ad un contesto complessivo di riferimento, significativamente privo - nelle sue previsioni generali ovvero originarie - di previsioni decadenziali, strutturati ciascuno ed in concreto su norme processuali di stretta interpretazione, sé non francamente eccezionali. Al contempo, il termine decadenziale in parola è coessenziale alla certezza del diritto e quindi alla funzione stessa del processo e delle scansioni temporali in cui esso deve articolarsi, onde giungere ad un vaglio della pretesa azionata, il quale possa conseguire il risultato della stabilità quale significativo valore aggiunto rispetto alla situazione conflittuale di partenza. p.7.4. Ma sopprimere un termine decadenziale eccede certamente dall'ambito della delega, circoscritta com'è stata questa - nella specie - alla mera riconduzione di un rito preesistente ad altro ciò che implica, anche da un punto di vista semantico, una modesta attività di risussunzione o, a tutto concedere e nei limiti imposti, di un coordinamento sistematico sì, ma pur sempre lessicale e formale, tale da consentire al nuovo articolato la conformità al modello di riferimento ed una più organica ed ordinata articolazione enunciativa. Ed i relativi poteri in concreto conferiti al legislatore delegato, già intrinsecamente circoscritti siccome finalizzati esclusivamente a tale esito di assimilazione o comprensione, sono stati viepiù limitati dall'imposizione della necessità di tenere fermi i poteri ufficiosi preesistenti e tutti gli effetti processuali speciali che non possono cioè conseguirsi con le norme contenute nel codice di procedura civile e quindi in via diretta ed immediata in dipendenza del sistema processuale generale della normativa originaria il tutto a rimarcare la funzione di mero coordinamento sistematico, estrinseco e formale dei riti preesistenti in cui il legislatore delegante ha inteso risolvere o ridurre il programma di semplificazione. p.7.5. In conclusione, il termine originario di venti giorni - non poteva essere soppresso dal legislatore delegato - non può recuperarsi - se non a prezzo di aperte e non consentite violazioni di consolidati principi generali - in via ermeneutica dal contesto del codice di procedura civile o da altre norme processuali speciali od eccezionali, tali dovendo qualificarsi quelle che impongono termini di decadenza o preclusione per l'esercizio di attività processuali altrimenti libere - non può essere surrogato dall'ordinario termine - altrimenti detto lungo - previsto dall'art. 327 cod. proc. civ., siccome previsto per tutte le impugnazioni in senso tecnico quale, a stretto rigore, l'opposizione in parola non è e comunque in quanto integrante una barriera preclusiva ulteriore rispetto a quella del termine c.d. breve, proprio e speciale per ciascuna di quelle - non può essere surrogato dall'ordinario termine di prescrizione, siccome irragionevolmente eccessivo. Ora, l'eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale di norme abrogatrici a seguito di riscontrato eccesso di delega comporterebbe la reviviscenza delle norme illegittimamente abrogate Corte cost. 27 giugno 2012, n. 162 e, quindi, semplicemente la restaurazione del solo originario termine perentorio di proposizione di venti giorni, che sarebbe adietta al corpus normativo compiutamente riscritto, senza porsi in alcun modo in contrasto, né esigere alcun ulteriore coordinamento, neppure solo formale. Di conseguenza, va di ufficio rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 34, comma diciassettesimo, e 15, comma secondo, del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, per contrasto con l'art. 76 Cost. ed in relazione ai commi primo e quarto dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, nella parte in cui - risultatone abrogato l'inciso, contenuto nell'originario primo comma dell'art. 170 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, eXntro venti giorni dall'avvenuta comunicazione - più non è previsto che il ricorso è proposto entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione. p.8. - Senza rinunziare al carattere logicamente prioritario - se non assorbente - dell'impostazione della appena illustrata questione di legittimità costituzionale in dipendenza del vizio genetico di formazione della norma denunziata, non può peraltro farsi a meno di prospettare, in via chiaramente subordinata - ma non meno convinta - rispetto a quella, un ulteriore profilo di non conformità delle disposizioni in esame ai principi costituzionali, in riferimento al contenuto sostanziale ed agli indiscutibili effetti delle medesime. A tanto si perviene, in particolare, non già ipotizzando un legame irrisolto di alternatività tra le due questioni, ma un collegamento di subordinazione logica di quella che si va ora ad affrontare rispetto a quella appena argomentata, invocando la deliberazione sulla seconda solo per il caso di rigetto di quella che precede per tutte, Corte cost., 23 maggio 1995, n. 188 e, quindi, in via consecutiva tra le due Corte cost., 17 gennaio 1993, n. 7 . p.8.1. Infatti, la soppressione della previsione di un termine perentorio per la proposizione dell'opposizione avverso il decreto di liquidazione del compenso all'ausiliario del giudice involge un'ulteriore e subordinata, anch'essa non manifestamente infondata e comunque rilevante per quanto argomentato sopra suo p.5, questione di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 co. 7 della Costituzione - sotto il primo profilo, poiché viene ad essere ingiustificatamente trattata in modo diverso la fattispecie della liquidazione dell'ausiliario del giudice da ogni altra ipotesi di provvedimento reso inaudita altera parte dal giudice civile con la scansione procedimentale decreto-opposizione-restaurazione del contraddittorio archetipo delle quali è il procedimento monitorio ai sensi degli artt. 633 ss. cod. proc. civ. , nella quale il transito all'ultima di tali fasi, relegata ad un ruolo di eventualità e posticipazione delle ordinarie facoltà processuali, è sempre ancorato a termini decadenziali ed assistito da idonee preclusioni, sovente assimilate al giudicato - sotto il secondo profilo, perché il provvedimento inaudita altera parte indefinitamente impugnabile impedisce in radice un'efficace difesa dei diritti delle parti, mentre - ben al contrario - dall'esigenza di garantire quest'ultima discendono da un lato, una certa immanente suscettibilità di revisione od impugnazione del provvedimento, almeno fino a quando non sia restaurata la pienezza del contraddittorio e solo successivamente con limitazioni e scansioni dall'altro lato, la sottoposizione della relativa facoltà a termini chiari e preclusivi, idonei a dar luogo ad un'affidabile - quanto meno relativa - immutabilità, tale da escludere una precarietà sine die o permanente dell'accertamento e dell'eventuale condanna in sede giurisdizionale ed apparendo, se soli residui, gli ordinari termini di prescrizione manifestamente connotati da irragionevole eccessività - sotto il terzo profilo, perché impedisce il raggiungimento dell'obiettivo, da ritenersi proprio di ogni giusto processo, di una stabilità - almeno tendenziale - della pronunzia giurisdizionale poiché dai principi in materia discende Corte cost., ord. 6 maggio 2010, n. 163 Corte cost., ord. 4 luglio 2013, n. 174 il diritto ad un equo vaglio giurisdizionale, che sia governato però, per primarie esigenze al contempo di certezza e ragionevole durata, da scansioni temporali, il cui mancato rispetto deve essere assoggettato alla sanzione della decadenza dal compimento di determinate attività. p.9. - In conclusione, in relazione ad entrambi i profili, principale e subordinato, va disposta - ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 23 - la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con sospensione del presente giudizio ed assolvimento degli adempimenti prescritti dal citato art. 23, comma 4. P.Q.M. La Corte, letto l'art. 23 L. 11 marzo 1953, n. 87 - dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 34, comma diciassettesimo, e 15, comma secondo, del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, per contrasto con l'art. 76 Cost. ed in relazione ai commi primo e quarto dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69, ovvero per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 co. 7 Cost., nella parte in cui ne discende non essere più previsto che il ricorso disciplinato dall'art. 170 d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, è proposto entro venti giorni dall'avvenuta comunicazione - sospende il presente giudizio - ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Procuratore Generale presso questa Corte, nonché al Presidente del Consiglio dei ministri - ordina, altresì, che l'ordinanza venga comunicata dal Cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento - dispone trasmettersi gli atti, comprensivi della documentazione sul perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale.