Per ottenere i propri compensi, l’avvocato deve adire il giudice del domicilio sostanziale del cliente

Il rapporto tra avvocato e assistito è inquadrabile quale contratto tra professionista e consumatore, con la conseguenza che, ai fini dell’individuazione del giudice competente per le controversie insorte tra le parti, la nozione di residenza di cui all’art. 33, comma 2, lett. u del codice del consumo deve essere intesa non in senso formale, cioè in corrispondenza dei registri anagrafici, bensì in senso sostanziale, quale luogo di dimora abituale ex art. 43 c.c

È quanto afferma la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 6333/15 depositata il 30 marzo. Il fatto. Il Tribunale di Arezzo, su richiesta di un avvocato, emetteva decreto di ingiunzione per il pagamento delle somme corrispondenti alle prestazioni professionali da lui svolte a favore di una cliente. Quest’ultima proponeva opposizione avverso il provvedimento ingiuntivo sostenendo preliminarmente l’incompetenza del giudice adito. Accogliendo l’opposizione, il Tribunale di Arezzo revocava il decreto ingiuntivo opposto e dichiarava la propria incompetenza, dichiarando competente il Tribunale di Milano, luogo di effettiva dimora dell’opponente. L’avvocato propone regolamento di competenza dinanzi alla Corte di Cassazione. La residenza del consumatore. La giurisprudenza di legittimità ha costantemente affermato che, in tema di controversie tra avvocati e assistiti, rientranti nella fattispecie del contratto tra professionista e consumatore, l’art. 33, comma 2, lett. u del codice del consumo va interpretato nel senso che la residenza del consumatore è quella risultante al momento della proposizione della domanda e non quella esistente al momento della stipulazione del contratto. La non coincidenza tra residenza anagrafica ed effettiva. Essendo tale concetto determinante ai fini dell’individuazione del foro esclusivo, il giudice di merito deve procedere all’accertamento di un eventuale carattere fittizio dello spostamento della residenza del consumatore, al fine di sottrarsi al radicamento della controversia. Altra circostanza che deve essere apprezzata in sede di cognizione di merito, è l’eventuale non coincidenza tra residenza anagrafica – che instaura una mera presunzione – e residenza effettiva – quale abituale dimora, sede della vita lavorativa e familiare -, come avvenuto nel caso di specie. In effetti il giudice di merito, sulla base di elementi obiettivi, quali la risalente conoscenza tra le parti, la numerosa corrispondenza intercorsa, il luogo di lavoro della consumatrice, ha accertato la non coincidenza della residenza effettiva con quella anagrafica, risultando inconferente la circostanza che la stessa sia proprietaria di due immobili nel comune in cui risulta formalmente residente e ivi abbia il domicilio fiscale, nonché rapporti di c/c. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 14 gennaio – 30 marzo 2015, n. 6333 Presidente bianchini – Relatore Manna In fatto D.F.M.E. proponeva opposizione al decreto emesso dal Tribunale di Arezzo, sezione distaccata di Montevarchi, col quale su ricorso dell'avv. M.G. le era stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 44.146,60, a titolo di corrispettivo per prestazioni professionali svolte in relazione a varie controversie. A sostegno dell'opposizione, la preliminare eccezione d'incompetenza del giudice che aveva emesso il decreto ingiuntivo, competente essendo il Tribunale di Milano, luogo quest'ultimo di effettiva sua dimora, nonché la continenza della causa con altra, previamente instaurata dalla D. innanzi a quest'ultimo foro, per l'accertamento di profili di responsabilità professionale dell'avv. M. . Questi resisteva e contestava la dedotta incompetenza. Con ordinanza del 18.2.2014 il Tribunale dichiarava la propria incompetenza per territorio, competente essendo il Tribunale di Milano, e revocava il decreto ingiuntivo opposto, assorbita la questione di continenza. Osservava il giudice aretino che, soggiacendo il rapporto contrattuale dedotto a base della domanda al D.Lgs. n. 206/05 codice del consumo , la nozione di residenza doveva essere intesa in senso non formale, cioè corrispondente alle risultanze dei registri anagrafici, bensì sostanziale, quale luogo di dimora abituale, in base all'art. 43 c.c Nella specie, proseguiva, era pacifico che la D. , sebbene anagraficamente residente in omissis , dimorava abitualmente e da anni a , ove ella aveva anche la sua sede di lavoro presso la Sopraintendenza ai Beni Culturali. Osservava, inoltre, che a la D. aveva ricevuto la corrispondenza inoltratale dall'avv. M. , corrispondenza che, invece, precedentemente inviata al luogo di residenza anagrafica non era stata ritirata. Proposto regolamento di competenza da parte dell'avv. M. e attivato il relativo procedimento camerale, il Procuratore Generale nel rassegnare le proprie conclusioni scritte ai sensi dell'art. 380-ter c.p.c. ha chiesto il rigetto del ricorso. Il ricorrente, cui sono state comunicate le conclusioni del Procuratore Generale, ha depositato memoria e prodotto documenti. D.F.M.E. non ha svolto attività difensiva. In diritto 1. - Il Procuratore Generale osserva che l'ordinanza impugnata è conforme al principio affermato da questa Corte Suprema, secondo cui in tema di controversie tra consumatore e professionista, l'art. 33, comma 2, lett. u , del d.lgs. 6 settembre 2005 n. 206, c.d. Codice del consumo va interpretato nel senso che la residenza del consumatore, cui la norma ha riguardo, è quella che lo stesso ha al momento della domanda e non quella che egli aveva al momento della conclusione del contratto, ma sull'individuazione del corrispondente foro esclusivo ivi previsto incide l'accertamento, devoluto al solo giudice del merito, del carattere fittizio dello spostamento di residenza del consumatore, compiuto per sottrarsi al radicamento della controversia o anche, come nella specie, dell'eventuale non coincidenza della residenza anagrafica che instaura una mera presunzione con quella effettiva principio affermato dalla S.C. per il caso di accertata abituale dimora, cioè della vita lavorativa e familiare degli attori, in un luogo non ricompreso nel circondario del tribunale corrispondente a quello della loro residenza anagrafica Cass. n. 23979/10 . Ritiene, quindi, che il giudice di merito abbia rilevato sulla base di elementi obiettivi, quali la risalente conoscenza dello stesso avv. M. dell'abituale dimora della D. in , la numerosa corrispondenza reciprocamente inviata e ricevuta dalle parti, nonché il luogo di lavoro della stessa D. sito in , che la residenza anagrafica non coincideva con quella effettiva, cioè con la dimora abituale, e che di conseguenza resta superata la presunzione semplice derivante dai dati anagrafici. 2. - Tali conclusioni devono ritenersi condivisibili, non essendo, invece, fondate, le ragioni di segno opposto svolte dalla parte ricorrente. Infatti, la circostanza che in omissis la D. sia proprietaria di due immobili, stipuli i relativi contratti di locazione, intrattenga un rapporto di c/c ed abbia il suo domicilio fiscale, non vale a dimostrare che ella mantenga ivi anche la sua residenza abituale. Si tratta, invero, di elementi di fatto che dimostrano come in omissis si localizzi il centro degli interessi economici della D. , vale a dire il domicilio di lei ma ciò non dimostra che tale luogo coincida anche con quello di residenza, ossia di dimora abituale. Né vale in senso opposto il fatto che la notificazione a mezzo posta del regolamento di competenza sia avvenuta con successo in omissis e che, per contro, non sia andata a buon fine quella tentata in via omissis . Si tratta di fatti successivi alla proposizione della domanda giudiziale, che nulla se non le mere asserzioni di parte ricorrente accreditano come espressivi di una situazione esistente già a detta epoca. 3. - Il ricorso va dunque respinto. 4. - Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva. 5. - Ricorrono le condizioni previste dall'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12, per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, inserito dall'art. 1, comma 17 legge n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.