Il giudice ha la facoltà di colmare officiosamente il deficit probatorio

In tema di riconoscimento dello status di apolide, l’onere della prova a carico del richiedente deve ritenersi attenuato nel senso che eventuali lacune o necessità di integrazione istruttoria possono essere colmate con l’esercizio di poteri/doveri istruttori officiosi da parte del giudice.

Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 4262, depositata il 3 marzo 2015. Il fatto. Una donna, richiedente il riconoscimento dello status di apolide, propone ricorso per cassazione contro la decisione della Corte d’appello di Roma che, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la sua domanda. Il Collegio, nell’affrontare la questione, riprende quanto contenuto nella pronuncia n. 28873/08 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la quale è stata affermata la giurisdizione del giudice ordinario in tema di riconoscimento dello status di apolide e qualificata la posizione giuridica dello straniero come di diritto civile o politico, è stata individuata la seguente nozione di apolidia è apolide colui che si trova in un paese di cui non è cittadino provenendo da altro paese del quale ha perso formalmente o sostanzialmente la cittadinanza . La condizione dell’apolide, precisa il Collegio, è equiparata nel nostro ordinamento a quella del cittadino straniero. Ne consegue, dunque, la titolarità nell’apolide dei diritti della persona umana, riconosciuti al cittadino straniero in quanto del tutto svincolati dal possesso della cittadinanza. Anche il diritto di accedere direttamente alla giurisdizione ordinaria in alternativa alla più complessa procedura amministrativa volta all’accertamento dello status di apolide, costituiscono un indice significativo del rilievo primario dei diritti fondamentali in esame ed un ulteriore elemento di comunanza con la protezione internazionale sottoposta alla giurisdizione del giudice ordinario anche in ordine alle misure residuali dei permessi umanitari. Onere della prova a carico del richiedente. Pertanto, afferma il Collegio, i molteplici indici di assimilazione alle misure di protezione internazionale evidenziati e la natura dei diritti da proteggere portano a condividere la prospettazione del ricorrente secondo la quale l’onere della prova a carico del richiedente lo status di apolide deve ritenersi attenuato nel senso che eventuali lacune o necessità di integrazione istruttoria possono essere colmate con l’esercizio di poteri/doveri istruttori officiosi da parte del giudice, realizzabili mediante la richiesta d’informazioni o di documentazione alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano e dello Stato di origine o dello stato verso il quale può ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente la condizione di apolide . Tale onere è desumibile da un’interpretazione costituzionalmente orientata del tessuto che conduce l’apolide alla titolarità e all’esercizio dei medesimi diritti del cittadino straniero che richieda un titolo di soggiorno per attuare il proprio diritto ad una vita libera e dignitosa. Nella sentenza sopra citata, peraltro, le Sezioni Unite hanno precisato che ai fini dell’accertamento delle condizioni per acquistare lo status di apolide occorre valutare complessivamente la situazione sostanziale e non fermarsi ad un esame formalistico dei riscontri documentali o più in generale probatori acquisiti . Nel caso di specie, osserva il Collegio, in primo grado il Ministero dell’Interno non ha mai contestato l’origine bosniaca dei genitori della ricorrente, mentre in secondo grado la parte appellante ha limitato la sua censura alla mancata prova di fatti produttivi della perdita o del mancato acquisto della cittadinanza bosniaca o italiana. Quindi, l’accertamento dell’origine bosniaca dei genitori della ricorrente, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., non poteva essere oggetto del sindacato del giudice di secondo grado, in quanto non contestata dalla parte costituita in primo grado ed esclusa dall’oggetto di impugnazione. Conclude il Collegio ritenendo che la Corte d’appello illegittimamente ha escluso la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dello status di apolide e non ha fatto buon governo del principio dell’onere della prova, nella specie attenuato, non essendo ricorso ai poteri/doveri istruttori officiosi mediante i quali poteva colmare dubbi ed incertezze di natura istruttoria. Per tali ragioni, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha dichiarato lo stato di apolide della donna richiedente.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 4 novembre 2014 – 3 marzo 2015, n. 4262 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Svolgimento del processo La Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda di riconoscimento dello status di apolide proposta da H.O. . A sostegno della decisione assunta la Corte ha affermato che la richiedente non ha fornito adeguata prova né che i genitori fossero originari della omissis , né che lei non fosse cittadina degli Stati con i quali aveva un collegamento più stretto. In particolare la documentazione relativa alla mancata iscrizione all'anagrafe di doveva ritenersi del tutto inidonea a provare che non fosse cittadina della . Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione H.O. affidato ai seguenti motivi nel primo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 115 cod. proc. civ. e dell'art. 1 Convenzione di New York del 28 settembre 1954 per non avere la Corte d'Appello osservato il principio secondo il quale, in tema di riconoscimento dello status di apolide, l'onere della prova a carico del richiedente è attenuato, ed il giudice può integrare officiosamente il deficit probatorio così come stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, trattandosi di diritti fondamentali della persona. Peraltro ha rilevato la parte ricorrente che nel primo grado del giudizio il Ministero dell'Interno non aveva contestato l'origine bosniaca dei genitori, avendo soltanto evidenziato il difetto di prova sulle ragioni per le quali essa non avrebbe potuto richiedere la cittadinanza bosniaca. Nel secondo motivo viene dedotto il vizio ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ., per non avere la Corte d'Appello considerato i seguenti fatti determinanti ai fini della decisione a secondo la legge bosniaca non poteva essere applicato il criterio della discendenza a fine di acquistare la cittadinanza di quella nazione perché tale previsione normativa trovava applicazione soltanto per i nati dopo l'entrata in vigore della nuova Costituzione 1995 mentre la ricorrente era nata dell'anno 1986 b la ricorrente non aveva mai fatto ingresso in omissis né prima né dopo la costituzione dello Stato indipendente. Essa, pertanto, non aveva alcuna possibilità di richiedere la cittadinanza di quel paese. La Corte territoriale aveva omesso di considerare tali circostanze limitandosi al rilievo sul mancato assolvimento dell'onere probatorio. Motivi della decisione 1 due motivi di ricorso possono essere affrontati congiuntamente in quanto logicamente conseguenti. La Convenzione di New York del 28/9/1954, ratificata in Italia con la L. n. 306 del 1962, stabilisce all'art. 1 che è apolide une personne qulaucun Etat ne considere corame son ressortissant par application de sa legislation . Le Sezioni Unite di questa Corte, nella pronuncia n. 28873 del 2008 con la quale hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario in tema di riconoscimento dello status di apolide e qualificato la posizione giuridica dello straniero come di diritto civile o politico, hanno individuato, sulla base della definizione convenzionale la seguente nozione di apolidia è apolide colui che si trova in un paese di cui non è cittadino provenendo da altro paese del quale ha perso formalmente o sostanzialmente la cittadinanza , sottolineando l'estensione dell'accertamento non soltanto alla mancanza delle condizioni formali per l'accertamento del possesso della cittadinanza nel paese di provenienza o quello con il quale il cittadino straniero ha avuto un legame giuridicamente rilevante , ma anche a quelle sostanziali. La condizione dell'apolide, nel nostro ordinamento, è equiparata a quella del cittadino straniero. Ciò si ricava, oltre che da altre fonti di diritto positivo, dall'art. 1 del d.lgs n. 286 del 1998 che reca la disciplina generale del trattamento giuridico degli stranieri nel nostro paese, dall'art. 2 del d.lgs. n. 251 del 2007 oltre che dall'art. 2 del d.lgs n. 25 del 2008 riguardanti il diritto alla protezione internazionale dei cittadini stranieri. Ne consegue, alla luce della giurisprudenza costituzionale del tutto consolidata in tema di diritto ad indennità d'invalidità od inabilità Corte Cost. 187/2010 40/2013 o all'accesso ad altre prestazioni connesse a diritti fondamentali costituzionalmente protetti, negate da regioni o Province Autonome, Corte Cost. 172 e 222 del 2013 la titolarità nell'apolide dei diritti della persona umana, riconosciuti al cittadino straniero in quanto del tutto svincolati dal possesso della cittadinanza. Coerentemente con le premesse sopra indicate deve rilevarsi che ogni apolide, alla luce della Convenzione di New York del 28/9/1954 ratificata dalla l. n. 306 del 1962 riceve un trattamento giuridico identico a quello del cittadino italiano in materia di libertà di religione e di libertà di istruzione religiosa dei figli art. 4 , di proprietà intellettuale ed industriale art. 14 , di diritto di agire e difendersi davanti alla giustizia art. 16 , di istruzione obbligatoria art. 22, comma 1 , di assistenza e soccorso pubblico art. 23 , di trattamento dei lavoratori e di previdenza sociale art. 24 , obblighi fiscali art. 29 . È sottoposto a regime giuridico equivalente a quello previsto per gli stranieri in materia di acquisto o locazione o altri contratti concernenti la proprietà mobiliare e immobiliare art. 13 , diritto di associazione non politica e senza scopo di lucro e di associazione sindacale art. 15 , l'accesso ad ogni forma di lavoro subordinato art. 17 , di lavoro autonomo art. 18 e di libere professioni art. 19 , edilizia residenziale pubblica e aiuti pubblici in materia di case di abitazioni art. 21 , accesso all'istruzione superiore e ai corsi universitari, incluse le misure del diritto allo studio art. 22, comma 2 , libertà di circolazione e soggiorno nel territorio dello Stato art. 26 . All'apolide deve essere rilasciato un permesso di soggiorno , valido per lo svolgimento di attività lavorativa art. 17 Convenzione di New York del 1954 l'apolide potrà, inoltre, mantenere o ristabilire il suo diritto all'unità familiare con cittadini italiani, comunitari o extracomunitari anche chiedendo il ricongiungimento con i propri familiari, con applicazione delle medesime norme applicabili agli stranieri. Sotto molti profili, pertanto l'apolide è assimilato riceve un trattamento analogo a quello previsto per i cittadini stranieri cui sia stato riconosciuto uno status riconducibile alla protezione internazionale tanto che anche l'espulsione dell'apolide è regolata, da un regime giuridico più restrittivo di quello applicabile in via generale al cittadino straniero extraeuropeo, art. 31 Convenzione . L'art. 32 della Convenzione raccomanda agli Stati di facilitare e accelerare la naturalizzazione degli apolidi. La sintetica ed incompleta illustrazione della condizione giuridica dell'apolide evidenzia la sostanziale uniformità delle fonti costituzionali, convenzionali e di diritto interno in ordine al riconoscimento all'apolide di uno statuto di diritti umani e fondamentali non dissimili da quelli del titolare di una misura di protezione internazionale pur non essendo escluso il passaggio dal primo al secondo status sul rilievo della necessità di assicurare ad entrambe le categorie di cittadini stranieri il diritto, alle condizioni previste dalle legge, di condurre un'esistenza libera e dignitosa, perché garantita dal riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana, in uno Stato che per elezione o molto più frequentemente alla stregua di criteri normativi cogenti, sia quello destinato all'accertamento delle condizioni di riconoscimento dello status in questione. Anche il diritto di accedere direttamente alla giurisdizione ordinaria in alternativa alla più complessa procedura amministrativa S.U. 23338 del 2008 volta all'accertamento dello status di apolide costituiscono un indice significativo del rilievo primario dei diritti fondamentali in esame ed un ulteriore elemento di comunanza con la protezione internazionale sottoposta alla giurisdizione dei giudice ordinario anche in ordine alle misure residuali dei permessi umanitari, proprio in quanto la situazione giuridica soggettiva dello straniero ha natura di diritto soggettivo, che va annoverato tra i diritti umani fondamentali che godono della protezione apprestata dall'art. 2 della Costituzione e dall'art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo . S.U. ord. 19393 del 2009 . I molteplici indici di assimilazione alle misure di protezione internazionale evidenziati e la natura dei diritti da proteggere inducono a condividere la prospettazione del ricorrente secondo la quale l'onere della prova a carico del richiedente lo status di apolide deve ritenersi attenuato nel senso che eventuali lacune o necessità d'integrazione istruttoria possono essere colmate con l'esercizio di poteri/doveri istruttori officiosi da parte del giudice realizzabili mediante la richiesta d'informazioni o di documentazione alle Autorità pubbliche competenti dello Stato italiano o dello Stato di origine o dello Stato verso il quale può ravvisarsi un collegamento significativo con il richiedente la condizione di apolide. Pur non essendo codificato come nella normativa di derivazione Europea relativa alla protezione internazionale art. 3 d.lgs n. 251 del 2007 e 8 d.lgs. n. 25 del 2008 , tale onere deve ritenersi desumibile da un'interpretazione costituzionalmente orientata del tessuto costituzionale, convenzionale e normativo che conduce l'apolide alla titolarità e all'esercizio dei medesimi diritti del cittadino straniero che richieda un titolo di soggiorno per attuare il proprio diritto ad una vita libera e dignitosa. Peraltro, le S.U. di questa Corte, con la citata sentenza n. 23338 del 2008 hanno precisato che ai fini dell'accertamento delle condizioni per acquistare Io status di apolide occorre valutare complessivamente la situazione sostanziale e non fermarsi ad un esame formalistico dei riscontri documentali o più in generale probatori acquisiti più di recente cfr. Cass. 25212 dei 2013 . Nella specie, occorre rilevare che nel primo grado di giudizio il Ministero dell'Interno non ha mai contestato l'origine bosniaca dei genitori della ricorrente mentre nel successivo grado di giudizio, come riportato nel ricorso pag. 2 , la parte appellante ha limitato la sua censura alla mancata prova dei fatti produttivi della perdita o del mancato acquisto della cittadinanza bosniaca od italiana, ritenendo insufficiente l'attestazione della mancata iscrizione nell'anagrafe di . Deve, pertanto, concludersi, alla luce del novellato art. 115 cod. proc. civ., e dell'oggetto specifico della censura formulata nell'atto d'appello che l'accertamento della circostanza relativa all'origine bosniaca dei genitori della ricorrente non potesse formare oggetto del sindacato del giudice di secondo grado, in quanto non contestata puntualmente dalla parte costituita in primo grado ed esclusa dall'oggetto dell'impugnazione. Ai riguardo si richiama la costante giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il giudice del gravame può conoscere della controversia dibattuta in primo grado solo attraverso l'esame delle specifiche censure mosse dall'appellante sia esso principale che, eventualmente, incidentale , attraverso la cui formulazione si consuma il diritto di impugnazione, e non può estendere l'indagine su punti della sentenza di primo grado che non siano stati investiti, neanche implicitamente, da alcuna doglianza, per cui deve ritenersi formato il giudicato interno - rilevabile anche d'ufficio - in ordine alle circostanze poste dal giudice di primo grado alla base della sua decisione in relazione alle quali non siano stati formulati specifici motivi di appello” . Cass. n. 1108 del 2006 sulla delimitazione dell'effetto devolutivo dettata dai motivi d'impugnazione Cass. 14755 del 2006 . La Corte territoriale non ha fatto buon governo dei principi sopraindicati ed ha arrestato la sua indagine al duplice difetto di prova senza verificare, alla stregua del principio iura novit curia se la legge bosniaca sulla cittadinanza, ratione temporis applicabile contenesse regole sulla base delle quali poter attribuire la cittadinanza bosniaca alla cittadina straniera. Peraltro in ordine ai requisiti relativi alla cittadinanza italiana, unico altro paese verso il quale poteva ravvisarsi, anche secondo la Corte territoriale, un collegamento significativo, l'assenza di qualsiasi indicazione al riguardo nella sentenza impugnata deve indurre a ritenere che sia stata svolta una valutazione negativa in ordine alla sussistenza dei requisiti per il suo acquisto, sulla base del nostro sistema di diritto positivo. La cittadina straniera, come correttamente evidenziato nel ricorso, non è in possesso dei requisiti di legge per poter richiedere la cittadinanza bosniaca, dal momento che l'art. 6 relativo all'acquisto della cittadinanza per origine la riconosce soltanto a chi sia nato all'estero da almeno uno dei genitori bosniaci, dopo l'entrata in vigore della Costituzione 1995 . Le altre ipotesi per nascita, per adozione, per naturalizzazione, per accordi internazionali sono da escludere radicalmente, dal momento che la medesima non risulta essersi mai spostata dall'Italia. In conclusione la Corte territoriale ha illegittimamente escluso la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento dello status di apolidia, verificabile alla stregua del diritto positivo italiano e bosniaco applicabile e non ha fatto buon governo del principio dell'onere della prova, nella specie attenuato, come illustrato nell'esame dei motivi, non essendo ricorso ai poteri doveri istruttori officiosi mediante i quali poteva colmare dubbi ed incertezze di natura istruttoria. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata. La causa può essere decisa nel merito non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto alla stregua delle norme applicabili. P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito dichiara lo stato di apolide di H.O. .