Se gli edifici costruiti in aderenza hanno sagome diverse, la parte eccedente deve essere arretrata

In tema di distanze, la scelta del perveniente di costruire lungo la linea di confine è definitiva. Il vicino può dunque successivamente costruire in aderenza, seguendo la linea del fabbricato precedentemente costruito, ma se la larghezza del secondo edificio si estende oltre, lungo la linea di confine non edificata, questa parte del fabbricato deve essere arretrata alla distanza legale.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4155/15, depositata il 2 marzo. Il caso. Il Tribunale di Roma veniva adito dal proprietario di un terreno che chiedeva l’arretramento della costruzione realizzata sul confine dal vicino convenuto, in violazione delle distanze legali. I giudici di prime cure, applicando il criterio di prevenzione, riconoscevano la legittimità della scelta del convenuto di costruire sul confine, in aderenza alla preesistente costruzione realizzata dall’attore. La Corte d’appello, pronunciandosi sul gravame proposto dall’attore originario, disponeva l’arretramento ad una distanza di 5 metri dal confine per la parte di edificio che fuoriusciva dalla sagoma di quello realizzato in origine dal perveniente, estendendosi per una larghezza maggiore, lungo quella parte di confine priva di precedenti fabbricati. Demandava inoltre alla sede esecutiva eventuali questioni circa l’aspetto statico e le modalità con cui eseguire l’arretramento. La necessaria uguaglianza delle sagome degli edifici in aderenza. Il convenuto propone ricorso in Cassazione affermando l’erroneità della pronuncia impugnata, per aver trascurato il fatto che la parte del suo fabbricato di cui si disponeva l’arretramento, in quanto non corrispondente alla sagoma dell’immobile del vicino, coincideva in realtà alla distanza esistente tra i 2 edifici realizzati dalla controparte, di cui il primo lungo la linea di confine ed il secondo dopo uno spazio libero destinato a strada interna e posto a distanza di un paio di metri dal confine. Aggiunge poi che il perveniente aveva provveduto anche alla costruzione di un muro di fabbrica lungo tutto il confine, al quale la sua costruzione aderiva, e richiama il principio affermato dalla medesima Corte con la sentenza n. 1420/87, secondo la quale la scelta che spetta al perveniente di costruire sul confine è, per così dire, definitiva, nel senso che, una volta iniziata la costruzione, egli non può arretrare nei piani superiori, ovvero in corrispondenza di parti dell’edificio laterali rispetto a quella costruita sul confine . La S.C., analizzando il motivo di ricorso così articolato, evidenzia subito l’inconferenza della sentenza citata dal ricorrente, la quale era stata pronunciata in merito alla costruzione di un unico edificio in forma spezzata, orizzontalmente o verticalmente situazione ben diversa da quella del caso concreto, in cui si hanno 2 distinti edifici, costruiti in tempi imprecisati, distanziati tra loro da una strada interna. Non merita dunque accoglimento la pretesa del ricorrente di mantenere una costruzione realizzata lungo la linea di confine anche per quella larghezza occupata dalla strada interna del vicino, essendo inoltre irrilevante l’asserita presenza di un muro di cinta, costruito in precedenza dal perveniente, non qualificabile come autentica costruzione”. L’irrilevanza dei rischi statici derivanti dall’arretramento. Con ulteriore motivo, il ricorrente lamenta il fatto che i giudici d’appello abbiano trascurato gli eventuali pericoli statici che deriverebbero dall’esecuzione dell’ordine di arretramento dell’immobile, la cui cognizione è stata demandata al giudice dell’esecuzione. I Supremi Giudici, anche in questo caso, rilevano l’infondatezza della doglianza ribadendo che le eventuali costose conseguenze dell’arretramento, legittimamente impartito, non possono modificare la regola di diritto sulla cui base è stata risolta la controversia. In caso contrario si rileverebbe infatti un’ipotesi di ragion fatta”, in forza della quale, chi voglia evitare i rigori normativi in tema di distanze, potrebbe adottare a priori tecniche costruttive che rendano particolarmente costosa la demolizione, ottenendo in tal modo una sorta di effetto elusivo” delle normative sul tema. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna le parti alla rifusione delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 novembre 2014 – 2 marzo 2015, n. 4155 Presidente Bucciante – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo Nel 1999 M.G. , in seguito affiancato dalla moglie R.T. , chiamata in causa, chiedeva l'arretramento di una costruzione eseguita dal convenuto V.L. in omissis , su terreno limitrofo al proprio, perché realizzata sul confine in violazione delle distanze legali. Il tribunale di Roma rilevava che era prevista la possibilità di costruire in aderenza e che pertanto in applicazione del criterio della prevenzione il convenuto V. aveva legittimamente costruito in aderenza alla preesistente costruzione dell'attore. La corte di appello di Roma con sentenza 19 novembre 2008, notificata il 19 febbraio 2009, in parziale accoglimento dell'appello dei coniugi M. disponeva l'arretramento ad una distanza di 5 metri dal confine della costruzione del V. , nella parte di essa che fuoriesce dalla sagoma fabbricato di proprietà degli appellanti e si estende per la rimanente larghezza lungo la linea di confine non edificata . La Corte chiariva che il preveniente aveva costruito lungo il confine in modo discontinuo. Infine la Corte statuiva che eventuali questioni concernenti l'aspetto statico e le modalità attraverso cui provvedersi all'arretramento avrebbero dovuto essere esaminate in sede esecutiva. Vecchi ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 20 aprile 2009, articolato in 5 motivi. M. e R. hanno resistito con controricorso. Le parti hanno depositato memorie. Motivi della decisione 2 I primi due motivi di ricorso mirano a contestare l'ordine di arretramento dell'edificio V. nella parte in cui non è più in aderenza a quello M. , ma eccede la sagoma di quello edificato prima. Nel primo motivo parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 873, 875, 877 c.c. e del PRG Roma, nel secondo denuncia carenza di motivazione. Le censure muovono dal presupposto che la Corte di appello ha ignorato che M. aveva realizzato due costruzioni che la prima era stata posta sul confine che la seconda costruzione aveva inizio dopo uno spazio libero destinato a via interna ed era posta a circa, due metri dal confine tra le due proprietà tanto che il V. aveva inizialmente svolto domanda riconvenzionale per il rispetto della distanza di metri 5. Il ricorso aggiunge inoltre che lungo tutto il confine parte M. aveva costruito un muro di fabbrica al quale sarebbe poi stato reso aderente il capannone del V. . Deduce che secondo il criterio della prevenzione chi costruisce per primo detta legge”, ma invoca Cass. 1420/87 per desumerne che il preveniente non può costruire un corpo centrale sul confine e gli altri distanziati. Le doglianze sono infondate. 2.1 La sentenza citata dal ricorrente ha affermato che la scelta che spetta al preveniente di costruire sul confine è, per così dire, definitiva, nel senso che, una volta iniziata la costruzione sulla linea di confine, egli non può arretrare nei piani superiori, ovvero in corrispondenza di parti dell'edificio laterali rispetto a quella costruita sul confine, stante l’impossibilità logica di riconoscere ad esso preveniente la facoltà di adottare una scelta variabile tra le varie parti o piani dell'edificio, il che imporrebbe poi al prevenuto di elevare a sua volta un edificio con i muri perimetrali a linea spezzata, in orizzontale o in verticale”. Trattasi con evidenza di un caso diverso da quello di specie. Quand'anche infatti la situazione dei luoghi fosse quella descritta in ricorso, ugualmente sarebbe ineccepibile la decisione del giudice di appello. Ben diversa è la situazione considerata da Cass. 1420/87, relativa a unico edificio costruito in forma spezzata, orizzontalmente o verticalmente, da quella di costruzione, in tempi imprecisati, di due edifici diversi, distanziati tra loro da una strada interna. È infatti evidente che in questo secondo caso non sussistono ragioni di coerenza costruttiva che consentano al prevenuto di costruire sul confine, violando la regola generale che lo vieta, senza edificare in aderenza. Come già osservato la Corte di appello, gli art. 873, 875, 877 c.c. non vietano di costruire con sporgenze e rientranze rispetto alla linea di confine, potendo, in tal caso, il proprietario del fondo finitimo costruire in aderenza alla fabbrica preesistente sia per la parte posta sul confine, sia per quella corrispondente alle rientranze, pagando in quest'ultimo caso la metà del valore del muro del vicino, che diventa comune, nonché il valore del suolo occupato per effetto dell'avanzamento della costruzione da ultimo Cass. 15632/12 . Ciò vale a ribadire, oltre alla differenza tra la situazione di unica costruzione spezzata e due costruzioni vicine poste sullo stesso lato , che in ogni caso non potrebbe essere legittima la pretesa del V. di mantenere sul confine una costruzione posta asseritamente a due metri dalla preesistente fabbrica del vicino preveniente. Ovviamente tale condizione non muta in relazione alla dedotta preesistenza di un muro di cinta che sarebbe un'autentica costruzione . Tale deduzione è del tutto nuova in causa, non risultando dalla sentenza impugnata, senza che venga indicato in quale atto difensivo indispensabilmente almeno nella comparsa di risposta in appello sia stata dedotta. Trattasi di questione giuridica inammissibile, perché implica un accertamento di fatto che non è consentito in sede di legittimità, ancor più se connotato cfr pag. 14 da precisazioni relative a mutamenti del piano di campagna e dell'altezza di questo muro tre metri che avrebbero dovuto essere tempestivamente dedotte e valorizzate Cass. 23675/13 3664/06 20518/08 . 3 Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 873, 875, 879 c.c Il ricorso si duole del fatto che il giudice di appello abbia trascurato che l'esecuzione dell'ordine di arretramento del capannone potrebbe arrecare pericoli statici all'immobile e che abbia rimesso la soluzione di tali eventuali problemi al giudice dell'esecuzione. La censura è priva di fondamento. Le eventuali costose conseguenze dell'ordine di arretramento legittimamente impartito non possono infatti modificare la regola di diritto sulla base della quale la causa deve essere decisa. Si darebbe altrimenti rilievo a un'ipotesi di ragion fattasi , in forza della quale chi voglia evitare di incorrere nei rigori normativi in tema di distanze potrebbe ottenere tale scopo, adottando tecniche costruttive che rendano per sé costosa la demolizione, parziale o totale che sia. Non si rinviene nell'ordinamento, né viene indicata in ricorso, come invece sarebbe obbligo del ricorrente, una norma in tema di distanze che stabilisca siffatto precetto. Bene ha fatto pertanto la Corte di appello a precisare che eventuali problematiche esecutive, poiché di questo si tratta, possono trovare risposta in sede propria. 4 La quarta censura attiene a una pretesa omessa pronuncia in ordine alla domanda volta. al rispetto della distanza dei fabbricati M. - R. dal confine”. Anche questo motivo è infondato. È lo stesso ricorrente a dichiarare e il riscontro, consentito dalla natura processuale della doglianza, è possibile a pag. 17 della comparsa di risposta in appello che in secondo grado tale domanda non era stata proposta e che la richiesta era stata avanzata in via di eccezione e non di apposita domanda riconvenzionale”. Non vi può pertanto essere omissione di pronuncia su una domanda. L'eccezione può infatti valere a paralizzare una pretesa altrui, ma non può condurre a una pronuncia di condanna. Nel modificare inequivocabilmente le proprie conclusioni, parte oggi ricorrente avrebbe dovuto considerare la irrisolvibile contraddittorietà delle proprie conclusioni. Non può ora dolersi della inevitabile conseguenza di una rinuncia chiara e inequivocabile alla, domanda e farla rivivere. 5 Infondata e in parte assorbita è la quinta censura del ricorso, che espone carenza di motivazione in ordine alla istanza di rinnovazione della ctu soprattutto al fine dell'accertamento dello stato di precarietà strutturale del capannone e del pericolo di crollo. Si è già detto con riguardo al terzo motivo che tale situazione non ha valore al fine di paralizzare la domanda dei M. . Va aggiunto che anche al fine di eventuali accertamenti circa la consistenza dei fabbricati M. , già valutata anche secondo la condizione dei luoghi descritta nel primo motivo, non si comprende neppure, dal ricorso, quali circostanze decisive avrebbero dovuto emergere dalla ctu per ribaltare l'esito della decisione assunta dai giudici di appello, soprattutto in considerazione del venir meno della domanda di cui si è detto nel paragrafo precedente. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo, in relazione al valore della controversia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 4.000 per compenso, 200 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso delle spese generali.