Costruzione abusiva del vicino: la soluzione è rivolgersi ad un giudice, non affumicarla

Dopo aver tollerato una sopraelevazione, anche abusiva, effettuata dal vicino sul proprio edificio, non si può chiederne in seguito l’illegittimità, di fronte alla richiesta da parte dello stesso vicino di rimuovere la canna fumaria ormai all’altezza delle nuove vedute.

Questo è quanto emerso dall’ordinanza interlocutoria n. 23419, depositata il 3 novembre 2014. Il caso. Un privato chiedeva, ai sensi dell’art. 844 c.c., la rimozione di una canna fumaria posta sulla sommità del fabbricato del convenuto, sottostante quella del proprio edificio, il quale era stato oggetto di un intervento di sopraelevazione abusivo, ma in seguito condonato. La Corte d’appello di Potenza rigettava la richiesta, ritenendo che la causa delle immissioni lamentate fosse esclusivamente dovuta all’illegittima edificazione posta in essere dall’attore a soli 80 cm di distanza dal preesistente fabbricato del convenuto e dal relativo comignolo le esalazioni, infatti, si erano propagate a causa dell’apertura di illegittime vedute. Gli eredi dell’attore, nel frattempo deceduto, ricorrevano in Cassazione, deducendo una motivazione insufficiente e contraddittoria. Si può comunque agire. La Corte di Cassazione ricorda che la tutela contro le immissioni eccedenti la normale tollerabilità compete ad ogni proprietario di beni immobili, segnatamente se adibiti ad uso abitativo, indipendentemente dalla legittimità o meno della relativa edificazione. Quest’ultima circostanza non può essere valutata né come concorso del fatto colposo del danneggiato, né come esimente, in quanto tale illegittimità potrà comportare soltanto delle sanzioni penali o amministrative. Il comportamento passivo non paga. Anche se l’illegittimità della costruzione si era tradotta nella violazione di norme civilistiche di vicinato, soprattutto in materia di distanze tra costruzioni, il convenuto avrebbe ben potuto ottenere gli adeguati provvedimenti restitutori e risarcitori del caso. La scelta di non avvalersi della tutela ai sensi degli artt. 873 distanze nelle costruzioni e 905 distanze per l’apertura di vedute c.c., tollerando così sia la sopraelevazione non a distanza, sia l’apertura delle vedute, impediva alla parte convenuta di ledere, a sua volta, anche se mediante un’attività in precedenza non lesiva data la diversità nella situazione dei luoghi , il diritto di godimento della proprietà del vicino nella sua nuova ed attuale versione. In questo modo, verrebbe violato l’art. 844 c.c., la cui ratio risiede nella tutela del diritto alla salute, a cui deve essere data preminenza nella valutazione comparativa delle opposte esigenze dei proprietari in conflitto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza interlocutoria 17 settembre – 3 novembre 2014, n. 23419 Presidente Bianchini – Relatore Correnti Fatto e diritto Con la sentenza di cui sopra la corte lucana, in riforma di quella n. 8/05 del Tribunale di Potenza che aveva accolto, per quanto di ritenuta ragione, nei confronti del convenuto S.G. assolvendo l'altra convenuta L.G. per difetto di legittimazione passiva la domanda di S.G. ex art. 844 c.c., diretta alla rimozione di una canna fumaria posta sulla sommità del fabbricato di parte convenuta, sottostante quella del vicino edificio attoreo, oggetto di un recente intervento di sopraelevazione, abusivo e poi condonato, ha rigettato la richiesta, ritenendo quale causa essenziale delle lamentate immissioni l'illegittima edificazione posta in essere dall'attore a soli cm. 80 di distanza dal preesistente già più alto ed oggi parzialmente sovrastato da quello degli attori fabbricato dei convenuti e del relativo comignolo, con particolare riferimento all'apertura di illegittime vedute, tramite le quali si sarebbero propagate le lamentate esalazioni ha inoltre osservato la suddetta corte che l'accertamento peritale circa l'intollerabilità delle immissioni era frutto di una valutazione molto empirica , non corredata da accertamenti tecnici e che le ulteriori assunte prove, che sarebbero state esibite al tribunale a sostegno della domanda, non erano state più prodotte in grado di appello. Ricorrono gli eredi dell'attore appellato, nelle more deceduto, con unico motivo, deducente omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione non resistono gli intimati. Il ricorso, ad avviso del relatore, si palesa fondato. Come è stato già stabilito da questa Corte, con una pronunzia risalente, ma non superata da successive di segno contrario sez. 2^, 18.1.1984, n. 420 , la tutela contro le immissioni eccedenti la normale tollerabilità compete a qualsiasi proprietario di beni immobili, segnatamente ove adibiti ad uso abitativo, indipendentemente dalla legittimità o meno della relativa edificazione, che non può essere valutata quale concorso del fatto colposo del preteso danneggiato né, aggiungasi a fortiori, addirittura quale esimente, come è stato ritenuto nel caso di specie dalla corte di merito , comportando tale illegittimità, derivante dalla violazione di norme di interesse generale, soltanto l'applicazione delle relative sanzioni, penali e/o amministrative. È pur vero che nella specie l'eccepita, e ritenuta dal giudice di appello, illegittimità della costruzione si è tradotta anche nella violazione di norme civilistiche di vicinato, in particolare sulle distanze tra costruzioni e nelle vedute, ma agevole è osservare che, a fronte di tali subite lesioni del proprio diritto dominicale, la parte convenuta ben avrebbe potuto ottenere gli adeguati provvedimenti restitutori e risarcitoli del caso. La scelta di non avvalersi della tutela ex artt. 873 e 905 c.c., tollerando sia la sopraelevazione non a distanza, sia l'apertura delle vendute, non poteva successivamente autorizzare la parte convenuta a ledere, a sua volta, sia pur continuando in una attività precedentemente non lesiva in relazione alla diversa situazione dei luoghi, il diritto di godimento della proprietà del vicino nella mutata ed attuale consistenza, in violazione di una norma, quella di cui all'art. 844 c.c., la cui ratio risiede essenzialmente nella tutela del diritto, costituzionalmente garantito, alla salute, al quale, per ormai costante insegnamento di questa Corte, nella valutazione comparativa delle opposte esigenze in conflitto dei proprietari interessati, va accordata preminenza nelle controversie del genere. Quanto alla seconda e subordinata ratio decidendi , secondo cui l'accertamento peritale esperito in primo grado sarebbe stato piuttosto empirico , la motivazione risulta palesemente criptica, non spiegandole non genericamente, le ragioni inducenti a disattendere quel parere, pur valorizzato dal giudice di primo grado che aveva solo parzialmente accolto la domanda, disponendo l'adozione di particolari accorgimenti tecnici atti ad evitare o ad attenuare la propagazione delle esalazioni di fumo . A tal riguardo, ove avesse avuto dei dubbi, il giudice di appello ben avrebbe potuto, a fronte della comunque accertata sussistenza delle emissioni, sentire a chiarimenti l'ausiliare oppure disporre accertamenti integrativi, al fine di stabilire con certezza se le stesse fossero o meno tollerabili. Si propone, conclusivamente, l’accoglimento del ricorso, con conseguente cassazione con rinvio della sentenza impugnata. La Corte, rilevato che è stata fissata l'adunanza in camera di consiglio a seguito della surriportata relazione che non sussistono le condizioni per la trattazione in questa sede. P.Q.M. Rimette la causa alla pubblica udienza.