Spese di lite compensate? Prima del 2009 solo se sussistono “giusti motivi”

L’art. 92, comma 2, c.p.c. nel suo riferirsi ai giusti motivi” antecedenti alla L. n. 69/2009, assume connotato di norma elastica tale da poter essere adeguata dal giudice di merito al contesto storico sociale o a situazioni non specificabili a priori, così da consentirgli di attenuare, nel compensare le spese di lite tra le parti, il rigore del principio della soccombenza.

Con l’ ordinanza n. 22675/14, depositata il 24 ottobre scorso, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi dei motivi che devono sottendere la compensazione delle spese di lite tra le parti ante riforma L. n. 69/2009 che ha introdotto il principio delle gravi ed eccezionali ragioni”. Tuttavia, in virtù dell'art. 13, d.l. n. 12.9.2014, n. 132, pubblicato in G.U. n. 212 del 12 settembre 2014, entrato in vigore il 13 settembre 2014, l'ipotesi della ricorrenza di gravi ed eccezionali ragioni” è stata sostituita da quella di novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza”. Tale modifica opera con riguardo ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Il caso. La vicenda processuale nella sua descrizione è semplice. Su ricorso di un avvocato, il Tribunale con provvedimento del 2008 liquidava a favore dell’istante e a carico del cliente la somma di euro 14.590,00 oltre rimborso spese, IVA e cap, dopo aver defalcato euro 7.500,00 per acconti già versati, a titolo di compenso per prestazioni professionali. Ricorreva per cassazione il cliente rimasto soccombente. La Cassazione accoglieva il motivo inerente alle modalità di calcolo degli acconti ricevuti. Il Tribunale, in sede di rinvio, riliquidava la somma dovuta all’avvocato compensando le spese dell’intero giudizio. Il giudice di prima grado motivava la compensazione delle spese di lite giacché 3 motivi di ricorso per cassazione su 4 erano stati ritenuti dagli Ermellini inammissibili. Avverso tale ordinanza l’avvocato proponeva ricorso per cassazione. Spese compensate per giusti motivi”. L’avvocato si duole essenzialmente per il fatto che il Tribunale nonostante abbia ritenuto preclusa la statuizione sulle spese, abbia comunque deciso ex novo sulle stesse per l’intero giudizio, compensandole integralmente rilevando dei giusti motivi”. I giusti motivi” rilevano sotto il profilo delle caratteristiche oggettive della controversia. La Cassazione ritiene infondato il ricorso. Sul punto i giudici di nomofofilachia richiamano quell’orientamento Cass., n. 8532/2000 secondo il quale il ridimensionamento delle pretese attoree non comporta una deroga all’art. 91 c.p.c., non potendo questa riduzione della somma richiesta con la domanda giudiziale costituire per l’attore il presupposto di una soccombenza. Semmai, nel regime anteriore alla riforma del 2009, dette circostanze possono condurre il giudice del merito a pronunciarsi per la compensazione integrale o parziale delle spese di lite. I giusti motivi, secondo questa prospettazione, più che essere intesi come espressione del principio di causalità, cioè come l'indagine sulla condotta delle parti e su chi abbia dato causa” alla lite, ovvero etiche, rilevano sotto il profilo delle caratteristiche oggettive della controversia. Concludendo. Stando così le cose, qualora concorrano giusti motivi”, il giudice, indipendentemente dalla soccombenza” può, in virtù del suo potere discrezionale, compensare le spese di lite. Con un unico limite le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, eccezion fatta per l’ipotesi in cui il magistrato abbia individuato in modo del tutto illogico o erroneo la sussistenza dei giusti motivi”. Ma nel caso di specie il processo formativo della volontà decisionale dell’organo giudicante è stato ineccepibile, giacché una soluzione diversa sarebbe stata iniqua ed eccessivamente penalizzante per il soccombente.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 17 giugno – 24 ottobre 2014, n. 22675 Presidente Bianchini – Relatore Proto Osserva in fatto e in diritto 1. Su ricorso proposto dall'avv. P. , ai sensi della L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, il Tribunale di Lanciano con provvedimento del 18 marzo 2008 liquidava in favore dell'istante e a carico di Pa.An. il compenso per prestazioni professionali di Euro 14.590 oltre rimborso spese, iva e cap, dopo aver operato la detrazione di Euro 7.500 in relazione ad acconti già versati. P. proponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Il P. rimaneva intimato. Con il primo, secondo e quarto motivo di ricorso il ricorrente lamentava, rispettivamente a la violazione e falsa applicazione dell'art. 2233 c.c. - del D.M. n. 127 del 2004, art. 2, tab. B, - della L. n. 1051 del 1957, art. 1 e il vizio di motivazione b vizi di motivazione e la violazione delle norme già indicate sub a c la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e vizi di motivazione. Tali censure erano dichiarate inammissibili per violazione del disposto dell'art. 366 bis c.p.c., vigente ratione temporis . Quanto alla parte di esse che denunciavano il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5, questa Corte con sentenza 16/1/2012 n. 485 ne rilevava l'inammissibilità per la mancata indicazione del fatto controverso su cui cadrebbe il vizio di motivazione questa Corte accoglieva invece il terzo motivo di ricorso, relativo alle modalità di calcolo per la detrazione degli acconti ricevuti e, in relazione al motivo accolto, cassava l'ordinanza del Tribunale di Lanciano rimettendo la cognizione va cassata e la cognizione rimessa allo stesso Tribunale in diversa composizione, per nuova valutazione delle risultanze di fatto indicate e la liquidazione delle spese. Il Tribunale di Lanciano con ordinanza in data 1/8/2012 riliquidava l'importo dovuto all'avvocato secondo i criteri indicati da questa Corte e compensava tra le parti le spese dell'intero giudizio. Il Tribunale motivava l'integrale compensazione, sia per il fatto che il ricorso per cassazione sulla statuizione di compensazione era stato dichiarato inammissibile, sia e in ogni caso, perché la domanda attorea era stata accolta in misura inferiore a quanto domandato, sia perché tre motivi di ricorso per cassazione su quattro erano stati dichiarati inammissibili. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l'avv. P.G.O. in proprio. 2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 385 e 336 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. e l'illogicità della motivazione. Il ricorrente sostiene che il Tribunale, decidendo quale giudice di rinvio, non poteva ritenere preclusa la statuizione sulla censura relativa alla compensazione delle spese del primo grado di giudizio aggiunge che per effetto dell'art. 336 c.p.c. la riforma anche parziale della sentenza di primo grado ha effetto anche sulla statuizione in punto spese, che viene caducata. 2.1. Nel motivo si affermano principi di diritto corretti, ma non rilevanti nel caso concreto, in quanto il giudice di rinvio, pur ritenendo preclusa una statuizione sulle spese che fosse fondata sulle ragioni già dedotte con il motivo di ricorso dichiarato inammissibile, ha comunque deciso ex novo sulle spese dell'intero giudizio, compensandole interamente per giusti motivi ravvisati nella riduzione dell'iniziale pretesa e nel rigetto per inammissibilità di tre motivi di ricorso per cassazione sui quattro proposti. Il motivo deve pertanto essere rigettato per inammissibilità in quanto il ricorrente è carente di interesse, avendo comunque ottenuto una decisione sulle spese dell'intero giudizio e il motivo non attinge la decisiva ratio decidendi della sentenza, come sopra esposta. 3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione ed erronea applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e il vizio di insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione e sostiene che la controparte era soccombente e aveva dato causa alla lite non pagando il dovuto il ricorrente assume che non poteva ritenersi sufficiente la mera, non rilevante riduzione della domanda per giustificare la compensazione, né la mancata difesa della controparte e richiama la novella del 2005 per la quale le ragioni della compensazione dovevano essere chiaramente desumibili dalla motivazione della sentenza. 3.1 Il motivo è manifestamente infondato in quanto nell'ordinanza impugnata, in conformità a quanto disposto dall'art. 92 comma secondo c.p.c., nel testo vigente ratione temporis anteriore alla riforma del 2009 sono espressi in modo assolutamente esplicito i giusti motivi per i quali il Tribunale ha ritenuto che dovessero essere compensate le spese dell'intero giudizio questi motivi sono stati ravvisati nella proposizione di un ricorso per cassazione nel quale tre motivi su quattro erano inammissibili e nella circostanza che era stato richiesto, con l'atto introduttivo del procedimento, un onorario maggiore rispetto a quello dovuto. È pur vero che il ridimensionamento delle pretese dell'attore od anche una parziale adesione della controparte, dopo una iniziale contestazione delle pretese stesse, non comporta deroga al principio dell'art. 91, cod. proc. civ. non potendo la riduzione sia pure sensibile della somma richiesta con la domanda giudiziale integrare per l'attore il presupposto della soccombenza, ma, nel regime anteriore alla riforma del 2009, questa Corte ha ritenuto che delle circostanze suddette invece il giudice del merito potesse tenere conto per l'eventuale compensazione totale o parziale delle spese stesse Cass. 4012/1987 Cass. 8532/2000 . Infatti, laddove concorrano giusti motivi, sussiste esclusivamente un potere, discrezionale, di compensare le spese indipendentemente dalla soccombenza, mentre il sindacato di legittimità è limitato alla violazione del principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa Cass. 8528/2004 , salvo che la decisione del giudice di merito sulla sussistenza dei giusti motivi ai sensi del citato art. 92 cod. proc. civ. sia accompagnata dall'indicazione di ragioni palesemente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o la evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto, ma ciò non si è verificato nella fattispecie in esame. Ove la statuizione sulla compensazione sia accompagnata dall'indicazione dei motivi, ritenuti giusti, della compensazione, sussiste il presupposto della disamina da parte della Cassazione, anche se non sotto il profilo della insufficienza della motivazione, bensì sotto quello dell'illogicità o contraddittorietà di motivazione e sotto tale profilo, tuttavia, il sindacato di legittimità non è ammissibile nella stessa ampiezza in cui tale difetto si atteggia per ogni altro capo della sentenza impugnata, bensì solo nei limiti in cui non sia dato comprendere la ragione della statuizione per rapportarla alla volontà della legge e accertare se questa sia stata o no violata, ma come detto la complessiva motivazione non risulta né meramente apparente, né illogica, né incomprensibile. La motivazione e la conseguente decisione risultano semplicemente derogatrici del principio per il quale le spese del giudizio devono essere sopportate da chi vi ha dato causa, ma questa deroga non era estranea ai principi all'epoca vigenti, ma, nel sistema precedente alla riforma del 2009, era espressamente prevista e consentita. L'art. 92 comma 2, nel suo riferirsi ai giusti motivi solo dopo la L. n. 69/2009 la compensazione è stata limitata alle gravi ed eccezionali ragioni assumeva infatti il connotato di norma elastica, tale da potere essere adeguata al contesto storico-sociale o a situazioni non specificabili a priori e che doveva essere interpretata dal giudice in sostanza la norma si giustificava, anche sul piano dei principi costituzionali, perché consentiva di adottare una soluzione che attenua il rigore del principio della soccombenza laddove l'applicazione rigorosa di tale principio, alla luce di specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa veniva avvertita come soluzione iniqua ed eccessivamente penalizzante per il soccombente. 4. In conclusione il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 380 bis e 375 c.p.c. per essere dichiarato manifestamente infondato. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 introdotto dall'art. 1 comma 17 della legge n. 228 del 2012 . Il collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del relatore ne discende il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza. Non v'è luogo a provvedere sulle spese di questo giudizio di cassazione in quanto la parte non soccombente non ha svolto attività difensive. Il ricorso è stato notificato dopo 31/1/2013 e pertanto sussistono i presupposti per il versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1 comma 17 della l. n. 228 del 2012 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell'art. 1 bis dello stesso articolo 13.