L’errore del magistrato nel valutare la prova è inescusabile negligenza?

Non sussiste la responsabilità civile del magistrato ex art. 2 della l. n. 117/1988 per inescusabile negligenza, quando sia riscontrabile un mero errore di valutazione del materiale probatorio, inidoneo a portare all’assoluzione dell’imputato.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 22326, depositata il 22 ottobre 2014. Il caso. Un uomo proponeva reclamo avanti la Corte d’appello, avverso il provvedimento con il quale il Tribunale aveva dichiarato inammissibile la domanda risarcitoria dallo stesso proposta contro i magistrati. Secondo il ricorrente i Giudici si erano resi responsabili di colpa grave, negando con inescusabile negligenza un fatto la cui esistenza risultava invece incontrastabilmente dagli atti del procedimento, fatto ossia l’invio di un fax contenente l’indicazione dei titoli posseduti in riferimento alla produzione di medicinali che avrebbe impedito la prosecuzione dell’attività giudiziaria di carattere penale nei suoi riguardi. La Corte d’appello rigettava il gravame condividendo il giudizio di inammissibilità della domanda, attesa l’inidoneità dei comportamenti imputati ai magistrati ad integrare le ipotesi di responsabilità di cui alla l. n. 117/1988, che disciplina la responsabilità civile dei magistrati. Nessun inescusabile negligenza, ma un mero errore di valutazione del materiale probatorio. L’uomo ricorreva allora in Cassazione, denunciando la violazione dell’art. 112 c.p.c. e lamentando un vizio di omessa pronuncia in ordine alla asserita genericità della domanda risarcitoria. Il motivo è però infondato, poiché il ricorrente lamenta un’omissione di giudizio nella specie del tutto insussistente. Infatti, come spiegato dalla Corte Suprema, la Corte d’appello aveva esaustivamente argomentato in ordine alle ragioni per le quali le condotte imputate ai magistrati non rientravano tra le ipotesi di inescusabile negligenza ex l. n. 117/1988, non essendo, in particolare, predicabile la ipotesi normativa della inescusabile negligenza concretizzatasi nell’utilizzo di elementi del tutto avulsi dal contesto probatorio, bensì un mero errore di valutazione del materiale probatorio la comunicazione a mezzo fax ritenuta inidonea di per sè, dopo essere stata esaminata nel suo contenuto, a far venir meno l’imputazione ex art. 443 c.p. - commercio o somministrazione di medicinali guasti - e degli artt. 2 e 3 d. lgs. n. 178/1991 . In conclusione, trattandosi, nel caso di specie, di attività valutativa dei fatti e delle prove, la responsabilità ex art. 2 della l. n. 117/1988 è insussistente. Anche perché l’omessa valutazione di detto materiale probatorio non avrebbe escluso la responsabilità penale del soggetto agente. Sulla base di tali argomenti, gli Ermellini rigettano il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 30 aprile – 21 ottobre 2014, n. 22326 Presidente Salmè – Relatore Travaglino I fatti B.G. propose reclamo dinanzi alla Corte di appello di Catanzaro avverso il provvedimento con il quale il locale tribunale, nell'ottobre del 2009, aveva dichiarato inammissibile tra l'altro, per genericità ed indeterminatezza dell'istanza la domanda risarcitoria da lui proposta, ex lege 117/1988, nei confronti dei magistrati che, nelle diverse fasi del processo penale che lo aveva visto dapprima imputato e condannato in primo grado e poi definitivamente prosciolto, si erano resi responsabili di colpa grave, negando con inescusabile negligenza un fatto la cui esistenza risultava invece incontrastabilmente dagli atti del procedimento fatto costituito dall'invio, da parte sua, di una comunicazione contenente l'indicazione dei titoli posseduti e della perfetta leggibilità della data sul rapporto di trasmissione di un fax inviato al Ministero in relazione ad una vicenda di produzione di medicinali , fatto avente valenza impeditiva alla prosecuzione di qualsivoglia iniziativa giudiziaria di carattere penale nei suoi confronti. La Corte di appello adita, rilevato che il giudice di primo grado si era comunque pronunciato nel merito della domanda alla luce delle integrazioni operate dall'esponente nel corso del procedimento, rigettò il gravame con ordinanza depositata il primo luglio 2011, condividendo il giudizio di inammissibilità della domanda espresso in prime cure, attesa la inidoneità dei comportamenti imputati ai magistrati ad integrare le ipotesi di responsabilità di cui alla legge 117 del 1988. La sentenza del giudice territoriale è stata impugnata da con ricorso per cassazione sorretto da 5 motivi di censura ed illustrato da memoria. Le ragioni della decisione Il ricorso è infondato. Con il primo motivo, si denuncia violazione dell'art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 - Violazione dell'art. 112 c.p.c Lamenta il ricorrente un vizio di omessa pronuncia, da parte della Corte di appello, in ordine alla questione della asserita genericità della domanda risarcitoria sì come rilevata e predicata dal tribunale di Catanzaro. Il motivo, al di là della patente inammissibilità in rito denunciandosi, con esso, un vizio rilevabile ai sensi dell'art. 360 primo comma n. 4 del codice di rito, e non dei nn. 3 e 5 del medesimo articolo , è privo di pregio nel merito, poiché lamenta una omissione di giudizio nella specie del tutto insussistente, avendo la Corte territoriale esaustivamente argomentato - con motivazione esente da vizi logico/giuridici, e come tale sottratta ipso facto al vaglio di questa Corte di legittimità -in ordine alle ragioni per le quali le condotte imputate ai magistrati non rientrassero tra le ipotesi di inescusabile negligenza previste dalla legge 117/88, non essendo, in particolare, predicabile la ipotesi normativa della inescusabile negligenza concretizzatasi nell'utilizzo di elementi del tutto avulsi dal contesto probatorio, bensì un mero errore di valutazione del materiale probatorio la comunicazione a mezzo fax, ritenuta inidonea di per se, dopo essere stata esaminata nel suo contenuto, a far venir meno l'imputazione ex art. 443 c.p., e degli artt. 2 e 3 D.lgs. 178/91 . Trattandosi, pertanto, di attività valutativa dei fatti e delle prove, la responsabilità ex art. 2 della citata legge 117 è stata condivisibilmente ritenuta insussistente dalla Corte territoriale, che non manca di aggiungere, ancora, come l'ulteriore circostanza dell'omessa valutazione della mancata produzione di lotti di farmaci nel periodo intercorrente tra il 9 luglio 1999 e il 27 settembre 1999 non risultasse mai dedotta nel corso del giudizio penale, mentre dagli atti del processo risultava addirittura acclarata l'opposta circostanza della produzione dei medicinali nel periodo in contestazione, alla luce degli elementi di prova a disposizione dell'autorità giudiziaria. Con il secondo motivo, si denuncia violazione ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. - violazione art. 113 c.p.c., artt. 2 comma 2 e 3 L. 117/88 - violazione artt. 2 comma 5 e 3 comma 2 lett. c Dlgs. 178/1991. Si censura, con esso, la valutazione compiuta dalla Corte di appello calabrese in punto di sovrapposizione di una astrattamente legittima attività interpretativa ad un concretamente illegittimo travisamento del contenuto della comunicazione a mezzo fax del luglio 1999, idonea ex se ad escludere ogni soluzione di continuità nella direzione tecnica della Iris. Non sul piano dell'interpretazione, bensì su quello della rilevazione degli elementi disponibili, l'errore ascrivibile ai giudici penali si sarebbe, pertanto, concretizzato, e come tale avrebbe potuto e dovuto dar luogo ad un giudizio di ammissibilità della domanda risarcitoria. Con il terzo motivo, si denuncia violazione art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c. - violazione art. 113 c.p.c. - violazione art. 2 comma 2 e 3 della legge 117/88. Lamenta il ricorrente, con riferimento alla omessa deduzione, nel corso del procedimento penale, della circostanza relativa alla mancata produzione dei farmaci nel periodo luglio/settembre 1999, che tale circostanza poteva essere esclusa già dalla lettura del verbale di sequestro, oltre ad essere attestata, tra l'altro, dalla nota dell'AIFA dell'ottobre 2006. Con il quarto motivo, si denuncia violazione art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c. - violazione art. 113 c.p.c. - violazione art. 2 comma 2 e 3 della legge 111/88 - violazione artt. 112 e 113 c.p.c Si censura nuovamente, sotto altro profilo e con riferimento alla condotta tenuta dal GIP, la circostanza relativa alla mancata produzione del provvedimento idoneo a verificare la configurabilità dei fatti contestati sub specie della ritenuta omissione di allegazione e prova del fatto gravemente colposo ascritto al magistrato, contestandosi alla Corte territoriale la illegittimità dell'esame compiuto con riferimento non soltanto ai profili di ammissibilità del ricorso, ma anche e soprattutto a quelli attinenti alla fondatezza nel merito della domanda risarcitoria. Le censure che precedono possono essere tutte congiuntamente esaminate, attesane la intrinseca connessione. Esse sono infondate. La Corte di appello, difatti, con motivazione scevra dai vizi oggi contestati, ha fornito, come sì è già avuto modo di rilevare nel corso dell'esame del motivo che precede, ampia ed esaustiva spiegazione delle ragioni per cui, sotto il duplice profilo dell'esame del fax e della circostanza della produzione di medicinali nel periodo in contestazione, la condotta tenuta dai magistrati A. e R. non integrasse alcuna delle ipotesi di cui all'art. 2 della legge 117/1988, trattandosi di attività stricto sensu interpretativa e di valutazione di elementi probatori a favore l'imputato, alcuni dei quali nemmeno dedotti in sede di giudizio. La impredicabilità, nel caso di specie, di una inescusabile negligenza così come delineata, nei suoi elementi costitutivi, dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice Cass. 7272/2008 15227/2007 13339/2000 ex multis risulta, a giudizio del co911egio, sufficientemente e coerentemente argomentata, e fa sì che tutti i motivi di censura così come dianzi riportati siano destinati ad infrangersi su quel corretto impianto motivazionale, dacché essi, nel loro complesso, pur formalmente abbigliati in veste di denuncia di una peraltro del tutto generica violazione di legge e di un non meglio argomentato difetto di motivazione, si risolvono, nella sostanza, in una ormai del tutto inammissibile richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all'art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all'impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili, da un canto, per la mancata trascrizione, in parte qua, degli atti di causa la cui interpretazione egli assume errata con conseguente violazione del noto principio di autosufficienza del ricorso per cassazione , dall'altro, perché la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle - fra esse - ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili , non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. È principio di diritto ormai consolidato quello per cui l'art. 360 del codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo - sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto - delle valutazioni compiute dal giudice d'appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l'individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove e la relativa significazione , controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione salvo i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile . Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto ormai cristallizzate quoad effectum sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l'attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello - non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità. Con il quinto motivo, si denuncia violazione art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c. - violazione art. 113 c.p.c. - violazione art. 2 comma 2 e 3 della legge 117/88 - violazione art. 4 comma 5 Dlgs. 178/1991 violazione direttive CE 65/65, 319/75, 570/83, 21/87. La censura è inammissibile, ponendo a questa Corte una questione del tutto nuova rispetto a quelle sollevate in sede di merito, senza che il ricorrente indichi in quale fase del giudizio la questione stessa sia stata tempestivamente sollevata ed illegittimamente pretermessa o disattesa. Il ricorso è pertanto rigettato. La disciplina delle spese - che possono essere in questa sede compensate per motivi equitativi - segue come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.