Dai criteri per valutare la credibilità al potere-dovere di integrazione del Giudice

In tema di richiesta di rifugio politico e protezione sussidiaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del cittadino straniero deve avvenire sulla base dei criteri indicati dall’art. 3 del d. lgs. n. 251 del 2007. Inoltre, il collegamento tra la prospettazione individuale del rischio e la situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato nel paese di ritorno può non essere diretto e specifico. In particolare, quando la parte richiedente abbia rappresentato e parzialmente documentato la condizione generale del proprio paese, e quindi, in caso di incertezza e dubbio della documentazione allegata, il giudice deve intervenire, essendo titolare di un potere-dovere istruttorio officioso in base all’art. 8 d. lgs. n. 25/2008.

E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 22111, depositata il 17 ottobre 2014. Il caso. All’esito del rigetto della domanda di protezione internazionale da parte della Commissione territoriale, un cittadino nigeriano proponeva ricorso davanti al Tribunale chiedendo il riconoscimento della status di rifugiato, in subordine della protezione sussidiaria e dell’asilo e della protezione umanitaria. Il Giudice di primo grado accoglieva la domanda di protezione sussidiaria. La Corte d’appello, adita dal Ministero dell’interno, in accoglimento dell’impugnazione, rigettava la domanda di protezione internazionale, ritenendo non credibili le dichiarazioni del cittadino straniero, perché generiche, ripetitive e non suffragate da prove. Aveva ritenuto del pari infondate le domande di asilo e la protezione umanitaria per carenza totale di ragioni e mancanza di allegazioni. La valutazione dei giudici di merito aveva seguito i parametri normativi corretti? Avverso tale pronuncia proponeva ricorso per cassazione il cittadino straniero. Il ricorrente denunciava l’impugnata sentenza deducendo violazione del d. lgs. n. 251/2007 attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchè norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta e dell’art. 8 del d. lgs. n. 25/2008 attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato , per aver i Giudici territoriali fondato la propria valutazione negativa sulla credibilità della narrazione del ricorrente attraverso parametri diversi da quelli normativi, in particolare, sulla ripetitività del racconto, senza tener conto ed approfondire officiosamente la situazione prospettata dal ricorrente. Inoltre, i Giudici di merito non avevano tenuto conto dell’orientamento della Corte di Giustizia, secondo cui maggiore è il grado di violenza diffuso ed indiscriminato, minore è la necessità di provare la personalizzazione specifica del rischio, con conseguente obbligatorietà di conoscere ed accertare le condizioni generali del paese dal quale il cittadino straniero è fuggito. No, poiché avevano dato rilevanza al criterio della ripetitività”, non contemplato tra quelli normativi. Il motivo di ricorso è fondato. Infatti, come affermato dalla sentenza n. 16202/2012, della Corte di Cassazione, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del cittadino straniero deve avvenire sulla base dei criteri indicati dall’art. 3 del d. lgs. n. 251 del 2007. Tali criteri sono la verifica dell’effettuazione di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda la deduzione di un’idonea motivazione sull’assenza di riscontri oggettivi la non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione del paese la presentazione tempestiva della domanda l‘attendibilità intrinseca . Nel caso di specie, i Giudici avevano fondato la valutazione negativa sull’affidabilità delle dichiarazioni rese dal cittadino straniero sul criterio della ripetitività, non previsto, però, dalla norma. Il ricorrente aveva fornito, sin dal primo grado, la documentazione sulla condizione di violenza indiscriminata e non controllata dalle autorità di pubblica sicurezza del luogo di origine del cittadino straniero. In realtà, quindi, era stato integrato il tentativo di offrire un supporto probatorio sulla gravità della situazione descritta, anche se non direttamente centrato sulla peculiare tipologia di pericolo descritta dal ricorrente. Alla narrazione dei fatti, il ricorrente aveva in aggiunta allegato e prodotto una documentazione adeguata sulla violenza indiscriminata e sell’assenza di controllo da parte delle autorità pubbliche. La Cassazione, inoltre, ricorda anche l’orientamento della Corte di Giustizia, affermatosi con la sentenza n. 172/2009, secondo cui rifugio politico e protezione sussidiaria si distinguono proprio per il differente grado di personalizzazione del rischio che deve essere accertato. I poteri doveri del giudice di integrazione istruttoria. In conclusione, alla luce anche dei principi esposti dalla Corte di Giustizia, è pacifico che il collegamento tra la prospettazione individuale del rischio e la situazione di violenza indiscriminata o di conflitto armato nel paese di ritorno può non essere diretto e specifico, soprattutto quando - come nel caso in esame - la parte richiedente abbia comunque rappresentato e parzialmente documentato la condizione generale del proprio paese . Sicché, nel caso di incertezza e dubbio della documentazione allegata, il Giudice deve intervenire, essendo titolare di un potere dovere istruttorio officioso in base all’art. 8 d. lgs. n. 25/2008 e non utilizzato per rigettare la domanda per difetto di prova, stante la forte attenuazione dell’onere di personalizzazione del rischio desumibile dai principi esposti. La Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa con rinvio la sentenza.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, sentenza 11 luglio – 17 ottobre 2014, n. 22111 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Fatto e diritto Rilevato che in data 16 maggio 2014 è stata depositata relazione ex art. 380 bis c.p.c. che qui si riporta 1. Con ricorso 20 ottobre 2009 N.M.L. ha chiesto al Tribunale di Vallo della Lucania la dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto con S.A. il 30 giugno 1984. L'udienza, fissata al 9 febbraio 2010, - per la comparizione personale dei coniugi davanti al Presidente è stata differita al 23 febbraio 2010 su richiesta dell'avv. D.A. che, comparso nell'interesse del S. , nonostante la mancata costituzione di quest'ultimo, ha chiesto un rinvio adducendo il suo impedimento a comparire per ragioni di salute. All'udienza del 23 febbraio 2010 è ricomparso l'avv. D. che ha reiterato la richiesta di rinvio. Il giudice delegato dal Presidente all'audizione dei coniugi ha respinto la richiesta e ha successivamente emesso i provvedimenti temporanei e urgenti di carattere patrimoniale. Si è costituito quindi il S. che non si è opposto alla dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio ma ha contestato le richieste di carattere patrimoniale avanzate dalla ricorrente. 2. Il Tribunale di Vallo della Lucania con sentenza non definitiva del 3/10 giugno 2011 ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio. 3. Contro la decisione del Tribunale ha proposto appello S.A. assumendo la nullità assoluta e insanabile della sentenza perché emanata senza l'esperimento preventivo del tentativo di conciliazione e la nullità del verbale di comparizione dei coniugi perché sottoscritto da giudice diverso da quello che aveva tenuto l'udienza. Ha lamentato l'adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti nonostante la ricorrente non avesse avanzato alcuna richiesta di carattere patrimoniale prima della udienza di comparizione e ha asserito la violazione del proprio diritto di difesa derivante dal rigetto dell'istanza di differimento per motivi di salute dell'udienza del 23 febbraio 2010. 4. La Corte di appello di Catanzaro ha respinto l'appello. 5. Ricorre per cassazione S.A. deducendo a violazione dell'art. 159 e segg. c.p.c. - nullità del procedimento e della sentenza art. 360 primo comma n. 4 c.p.c. b violazione e falsa applicazione della legge n. 898/1970 e dell'art. 709 c.p.c. art. 360 primo comma nn. 3 e 5 c.p.c. c violazione e falsa applicazione dell'art. 24 della Costituzione. 6. Si difende con controricorso N.M.L. . Ritenuto che 7. Il ricorso non risulta depositato. 8. Il ricorso è palesemente infondato per le ragioni già ampiamente illustrate dalla Corte di appello. In particolare è inammissibile l'eccezione di nullità del verbale di udienza del 23 febbraio 2010 perché priva di qualsiasi riferimento normativo alla causa della pretesa nullità. Quanto alla sottoscrizione del verbale la Corte di appello ha chiarito che non vi è nessuna ragione per sostenere che l'udienza non sia stata tenuta dal giudice che ha sottoscritto il verbale e che è stato legittimamente delegato dal Presidente all'incombente. Le doglianze del ricorrente relative ai provvedimenti temporanei e urgenti a contenuto patrimoniali sono inammissibili in sede di appello avverso la sentenza che ha pronunciato esclusivamente sulla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio. In tema di divorzio, una volta instaurato regolarmente il contraddittorio tra le parti, in caso di mancata comparizione di uno dei coniugi all'udienza presidenziale, spetta all'insindacabile discrezionalità del presidente valutare l'opportunità di provvedere alla fissazione di una nuova udienza per il tentativo di conciliazione, e tenendo conto delle ragioni della mancata presentazione del ricorrente. L'esercizio di tale potere non è sindacabile in sede di legittimità Cass. civ. sez. I n. 8386 del 31 marzo 2008 . 9. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l'impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per la dichiarazione di improcedibilità o di inammissibilità del ricorso. La Corte condivide tale relazione e pertanto ritiene che il ricorso debba essere dichiarato improcedibile con condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 3.100 Euro di cui 100 per spese, oltre spese forfetario e accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell'art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell'art. 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13.