Viola la privacy chi pubblica nel processo foto a seno nudo della controparte se irrilevanti per la decisione della causa

Costituisce violazione della normativa sulla riservatezza artt. 7 e 26, d.lgs. n. 193/2003 la comunicazione a terzi nell’ambito di un processo di fotografie, il cui trattamento è stato autorizzato dall’interessato a soli fini di divulgazione scientifica, quando risulti del tutto irrilevante per l’esercizio del diritto di difesa e gli esiti del giudizio

Con la sentenza n. 19172 dell’11 settembre 2014, la Corte di Cassazione ha ritenuto ingiusta la condotta di un medico chirurgo estetico e del suo difensore per aver prodotto in giudizio delle fotografie ritraenti parte attrice a seno nudo il cui consenso alla loro pubblicazione era stato prestato solo per finalità scientifica . Tale condotta viola il diritto alla riservatezza in ambito processuale. Il fatto. Una donna si sottoponeva a due interventi di chirurgia estetica. Il primo, eseguito nel 2005, la vedeva sottoporsi ad una mastoplastica additiva il secondo, risalente al 2006, riguardava invece una addominoplastica. Insoddisfatta solo per quest’ultimo intervento, a causa di antiestetici residui cicatriziali, conveniva in giudizio il medico che aveva eseguito entrambi gli interventi. La causa si concludeva con la condanna al risarcimento dei danni da parte del professionista che, però, nel corso del processo si difendeva producendo, nel proprio fascicolo di parte, delle fotografie che ritraevano l’attrice a seno nudo. Immagini, però, la cui pubblicazione era stata autorizzata dall’interessata a soli fini scientifici. Sentitasi lesa, parte attrice chiedeva ed otteneva dal magistrato adito lo stralcio di queste foto per irrilevanza. A seguito di quella produzione processuale, la donna conveniva in separato giudizio sia il medico chirurgo che il suo difensore, adducendo un danno non patrimoniale ex art. 2050 c.c. per lesione del suo diritto alla riservatezza, trattandosi di pubblicazione non autorizzata. La causa, svoltasi in un unico grado di giudizio, si concludeva con la condanna in via equitativa ed in solido al risarcimento dei danni a carico dei due convenuti. Medico e difensore, propongono così ricorso per cassazione, affidandosi a diversi motivi di doglianza. Per quel che qui interessa, il medico sostiene che non vi sia stata violazione della normativa sulla riservatezza ex D.lgs. n. 196/2003, giacché la pubblicazione delle fotografie a seno nudo della paziente erano avvenute nel ristretto ambito processuale, e che il diritto costituzionale di agire e di difendersi deroghi alla riservatezza dei dati processuali artt. 7 e 26, D.lgs. n. 196/2003 . Peraltro, detta produzione, era avvenuta allo scopo di illustrare quanto contenuto nella cartella clinica, allo specifico fine di consentire al giudice una visione completa di tutti gli elementi idonei sulle circostanze di causa. Si duole altresì per essere stato condannato ad un risarcimento sproporzionato, rispetto alla gravità del fatto, all’intensità ed alla durata degli effetti del danno ritenuto ingiusto. L’avvocato, invece, da parte sua sostiene che il giudice di prime cure sarebbe incorso in errore ritenendo le foto non pertinenti, quando tali immagini erano finalizzate a dimostrare la capacità cicatrizzatrice della paziente rispetto ad un primo intervento caratterizzato da una normale terapia post-operatoria. Evidenzia, altresì, come nel caso di specie, non si tratti di una diffusione di dati sensibili, bensì di una comunicazione siccome rivolta a dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall’interessato” art. 4, lett. l , D.lgs. n. 196/2003 . Ingiusta la condotta del chirurgo estetico e del suo difensore per aver prodotto in giudizio foto ritraenti parte attrice a seno nudo. Gli ermellini ritengono in parte inammissibili ed in parte infondati i motivi di ricorso. Spiegano, innanzi tutto, come la Suprema Corte sia giudice di nomofilachia e che pertanto gli è impedito di entrare nel merito della vicenda processuale, atteso che nella fattispecie esaminata il magistrato di prime cure non è incorso in alcun vizio o incongruenza logica nel motivare la sentenza. V’è da dire, infatti, che pur trattandosi di comunicazione e non di diffusione di dati, si è pur sempre alla presenza di una condotta illecita perché la pubblicazione delle immagini a seno nudo, a dunque il loro trattamento, era stato autorizzato dalla paziente solo per finalità scientifiche. Questa circostanza diviene dirimente, giacché le immagini di cui trattasi sono state utilizzate in sede processuale per scopi difensivi e dunque per fini estranei al trattamento , ma ritenute irrilevanti al fine del decidere. Concludendo. Dal caso esaminato può trarsi la conclusione che la disciplina generale in tema di trattamento dei dati personali subisce deroghe ed eccezioni quando si tratti di far valere in giudizio il diritto di difesa, le cui modalità di attuazione risultano disciplinate dal codice di rito. Quando però questo trattamento si connoti come del tutto indifferente rispetto agli esiti del giudizio ed alle strategie difensive , allora prevarrà il diritto alla riservatezza della persona. Il contemperamento tra il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa è rimesso al prudente apprezzamento del singolo giudice nel caso concreto. Un’ultima annotazione operativa che preme sottolineare allo scrivente il danno previsto dal Codice della privacy non può identificarsi nell'evento dannoso, ovvero nell'illecito trattamento dei dati personali, essendo necessario che si concreti in un pregiudizio della sfera non patrimoniale di interessi del danneggiato. Tale danno, quale danno-conseguenza, deve essere allegato dal danneggiato e, dunque, da lui provato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 15 luglio - 11 settembre 2014, n. 19172 Presidente Berruti – Relatore Spirito Svolgimento del processo La vicenda processuale in esame ha il seguente antefatto. La G. nel si sottopose ad intervento di mastoplastica additiva eseguito dal dr. C. . La stessa, nel , si sottopose, ad opera dello stesso medico, ad intervento di addominoplastica, poi agì contro il C. per risarcimento del danno da responsabilità medica con riferimento al secondo intervento. In giudizio il C. , attraverso il suo difensore avv. A. , produsse fotografie a seno nudo della G. riguardanti il primo intervento e delle quali la G. aveva autorizzato la pubblicazione ai soli fini scientifici. Il giudice ritenne irrilevanti queste foto e ne ordinò lo stralcio. Per quella produzione processuale la G. chiamò, allora, in giudizio in unico grado risarcitorio il C. ed il suo avvocato A. . Il giudice li condannò in solido al pagamento di una somma di danaro in favore della G. , ritenendo trattarsi di pubblicazione non autorizzata. Propongono distinti ricorsi per cassazione il dr. C. tre motivi e l'avv. A. cinque motivi . La G. risponde con distinti controricorsi avverso ciascuno dei ricorsi e deposita memorie per l'udienza. Motivi della decisione Il ricorso del dr. C. . Il primo motivo, invocando la disposizione dell'art. 8, comma 2, lett. E del D.lgs. n. 196 del 2003, sostiene che la produzione in atti processuali delle fotografie in questione non può essere considerata una pubblicazione, siccome avvenuta nel ristretto ambito processuale, rispetto al quale il diritto costituzionale di agire e difendersi in giudizio derogherebbe alla tutela della riservatezza dei dati personali. Il secondo motivo violazione ed erronea interpretazione di norma di legge sostiene che la produzione in atti delle immagini fotografiche avvenne allo scopo di illustrare quanto riportato nella cartella clinica, al fine di consentire al magistrato una visione completa di tutti gli elementi idonei alla conoscenza reale delle circostanze di causa. I motivi, che possono essere congiuntamente trattati, sono inammissibili. La disposizione normativa invocata dal ricorrente stabilisce che i diritti dell'interessato di cui al precedente art. 7 di ottenere l'indicazione dell'origine e delle finalità dei dati, di ottenere l'aggiornamento o la cancellazione degli stessi, di opporsi in tutto o in parte al relativo trattamento, ecc. non possono essere esercitati se il trattamento dei dati è effettuato, tra l'atro, ai sensi dell'articolo 24, comma 1, lettera f , limitatamente al periodo durante il quale potrebbe derivarne un pregiudizio effettivo e concreto per l’esercizio del diritto in sede giudiziaria . A sua volta, la richiamata disposizione dell'art. 24, comma 1, lettera f , autorizza il trattamento dei dati personali senza consenso dell'interessato nell'ipotesi in cui, tra l'altro, esso sia necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento . L'art. 26 Garanzie per i dati sensibili stabilisce al comma 4 che i dati sensibili possono essere oggetto di trattamento quando, tra l'altro, esso è necessario per far valere o difendere in sede giudiziaria un diritto, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento . L'applicazione del combinato disposto legislativo presuppone, dunque, l'accertamento di merito concernente la necessità del trattamento, ai suddetti fini difensivi, in sede giudiziaria e la circostanza che esso avvenga esclusivamente per tali finalità e per il periodo necessario. Accertamento in concreto svolto dal Tribunale, il quale spiega, in proposito, che la divulgazione in sede processuale dell'immagine della G. relativa al precedente intervento di mastoplastica è avvenuta in un contesto ove era del tutto inutile e non finalizzata alla strategia difensiva del medico, citato in giudizio per un'asserita responsabilità professionale per il diverso intervento di addominoplastica aggiungendo, altresì, a conferma dell'asserto, che il giudice della causa risarcitoria aveva disposto lo stralcio dell'immagine, ritenendola non pertinente alla fattispecie in contestazione. Si tratta di un accertamento che, nella specie, il giudice ha svolto e motivato in maniera congrue e logica, sì da sottrarsi alla censura in sede di legittimità. Il terzo motivo illogicità di motivazione e violazione della norma di legge sostiene che il giudice avrebbe reso la sentenza di condanna senza che fosse stata provata l'esistenza di danni risarcibili. In particolare, il danno sarebbe stato valutato e liquidato senza contemperare, in maniera equilibrata, la gravità del fatto illecito e l'intensità e la durata degli effetti del danno ingiusto. Il motivo è infondato. L'art. 15 del citato decreto stabilisce, al primo comma, che chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell'articolo 2050 del codice civile , aggiungendo, poi, al secondo comma, che il danno non patrimoniale è risarcibile anche in caso di violazione dell'art. 11 . L'art. 11 disciplina, a sua volta, la modalità del trattamento ed i requisiti dei dati. Nella specie, il giudice ha proceduto alla liquidazione del danno non patrimoniale, esercitando il proprio potere equitativo, con riferimento ad una serie di fattori cfr. il paragrafo tra la penultima e l'ultima pagina della sentenza che sottraggono il punto della sentenza alla censura di legittimità. Il ricorso dell'avv. A. . Il primo motivo censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 24, comma 1, lett. F del D.lgs. 196/03 e dell'art. 26, comma 4, lett. C dello stesso decreto e sostiene che con il deposito delle fotografie in questione il C. esercitava il diritto di difesa per la tutela dei propri diritti ed interessi. Il secondo motivo violazione delle disposizioni di cui al precedente motivo e vizio della motivazione lamenta che il giudice abbia confuso i concetti di utilità della prova e di liceità della produzione stessa e non abbia tenuto conto che questa era finalizzata a dimostrare che l'analisi sulla capacità cicatrizzatrice della paziente era stata effettuata correttamente e che, se si fosse seguita un'adeguata terapia postoperatoria, il soggetto avrebbe potuto portare a termine una cicatrizzazione favorevole. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili per le ragioni già espresse in relazione ai primi due motivi del ricorso del C. , dovendosi anche in questo caso rilevare che il ricorrente chiede alla Corte di legittimità una serie di accertamenti di fatto rientranti nel potere discrezionale del giudice di merito. Il terzo motivo violazione e falsa applicazione delle norme di cui ai precedenti motivi, nonché vizio della motivazione sostiene che nella specie non s'è trattato di diffusione di dati di cui all'art. 4 lett. M , bensì di diffusione di cui all'art. 4 lett. L , che la visione delle fotografie era limitata a soggetti tenuti al segreto d'ufficio, che il consenso era stato prestato a fini scientifici e di documentazione. Il motivo è infondato. È pur vero che quella in questione deve essere definita, ai fini normativi, come una comunicazione, e non come una diffusione, siccome rivolta a dare conoscenza dei dati personali a uno o più soggetti determinati diversi dall'interessato cfr. art. 4 lett. L . Tuttavia, ai sensi dell'art. 4, lett. A , si intende per trattamento qualunque operazione concernente, tra l'altro, la comunicazione, la diffusione dei dati. Trattamento che, ai sensi dell'art. 23, è ammesso solo con il consenso espresso dell'interessato, validamente prestato solo se espresso liberamente e specificamente in riferimento ad un trattamento chiaramente individuato, se è documentato per iscritto e se sono state rese all'interessato le informazioni di cui all'art. 13. Nella specie, è indiscusso che il consenso era stato fornito dall'interessata per fin i scientifici e, dunque, del tutto estranei al trattamento poi effettivamente realizzato. Il quarto motivo vizio della motivazione è inammissibile, siccome introduce questioni di fatto concernenti la circostanza che già l'interessata aveva rivelato i propri dati sensibili attraverso il deposito della cartella clinica relativa alla mastoplastica e che la stessa non era, peraltro riconoscibile nella fotografia depositata. Il quinto motivo violazione di legge e vizio della motivazione che concerne la liquidazione del danno non patrimoniale, deve essere respinto per le stesse ragioni già espresse in relazione al terzo motivo del C. . In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere respinti, con condanna dei ricorrenti a rivalere la controparte delle spese sopportate nel giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida, a carico di ciascuno di essi, in complessivi Euro 3200,00, di cui Euro 3000,00 per compensi, oltre spese generali ed accessori di legge.