Il processo inizia nella “Preistoria”, ma l’equo indennizzo è roba da soli penalisti

Ai fini dell’assimilazione della sanzione tributaria alla sanzione penale, che ascrive il giudizio tributario alla materia penale ed attiva la tutela prevista dalla legge Pinto, non è sufficiente il carattere afflittivo della sanzione, ma occorre, invece, un preciso riferimento normativo.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 18885, depositata l’8 settembre 2014. Il caso. Un contribuente proponeva ricorso per revocazione contro una sentenza della Cassazione che aveva riformato una sentenza della Corte d’appello di Lecce, la quale aveva riconosciuto un equo indennizzo di 20.000 euro per la durata irragionevole di un giudizio tributario, iniziato nel 1985 e concluso nel 2009. La Cassazione, nella fase rescindente del giudizio, accoglie i motivi di ricorso per revocazione, che contestavano degli errori di fatto alla base della sentenza impugnata. Passando alla fase rescissoria, gli Ermellini rilevano che il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva impugnato la decisione della Corte d’appello di Lecce, contestando l’esattezza e la congruità dell’accertamento compiuto dai giudici di merito circa la natura del giudizio tributario presupposto, assimilato ad un giudizio penale in quanto riguardante, fra l’altro, l’applicazione di sanzioni tributarie ai sensi dell’art. 39- bis d.P.R. n. 636/1972. Natura della sanzione. Per la Cassazione, ai fini dell’assimilazione della sanzione tributaria alla sanzione penale, che ascrive il giudizio tributario alla materia penale ed attiva la tutela prevista dalla legge Pinto, non è sufficiente il carattere afflittivo della sanzione, ma occorre, invece, un preciso riferimento normativo. Una semplice sanzione amministrativa tributaria, cioè, non è tutelata dall’equa riparazione per irragionevole durata del processo, al contrario di quella penale. Quando qualificare una sanzione come penale. Il processo tributario può, quindi, essere considerato sostanzialmente penale, precludendo così un eventuale procedimento penale sugli stessi fatti, solo se i provvedimenti già adottati ai sensi di una decisione divenuta definitiva siano di natura penale. Tre criteri sono necessari per la valutazione della natura penale di una sanzione tributaria la qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, la natura dell’illecito e la natura, oltre che la severità, della sanzione in cui l’interessato rischia di incorrere. Nel caso di specie, invece, i giudici di merito avevano riconosciuto l’indennizzo soltanto in base alla natura afflittiva della sanzione amministrativa, non valutando, invece, la presenza di un preciso riferimento normativo. Per questi motivi, la Corte di Cassazione revoca la sentenza impugnata, accoglie il ricorso e cassa il decreto con rinvio alla Corte d’appello di Lecce.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 4 giugno – 8 settembre 2014, n. 18885 Presidente Piccialli – Relatore Manna Svolgimento del processo Con sentenza n. 20348/12 questa Corte Suprema, accogliendo il ricorso proposto dal Ministero dell'Economia e delle Finanze, cassava senza rinvio il decreto n. 754/11 della Corte d'appello di Lecce. Adita ai sensi della legge n. 89/01, quest'ultima aveva riconosciuto in favore del ricorrente, M.A. , l'equo indennizzo di Euro 20.000,00 per la durata irragionevole di un giudizio tributario iniziato nel 1985 e conclusosi innanzi alla Commissione tributaria centrale nel 2009. A base della pronuncia di questa Corte, la circostanza che la prima notifica del ricorso era stata effettuata al Ministero della Giustizia, invece che al Ministero dell'Economia e delle Finanze, giusto legittimato passivo. Pertanto, richiamato l'orientamento per cui non è applicabile la sanatoria di cui all'art. 4 legge n. 260/58 allorché sia evocato in giudizio un soggetto non legittimato a contraddire, con conseguente inammissibilità della domanda, questa Corte rilevava che i giudici d'appello avevano erroneamente concesso un termine ex art. 291 c.p.c. per rinnovare la notificazione del ricorso all’amministrazione effettivamente dotata di legittimazione passiva. Contro tale sentenza M.A. propone ricorso per revocazione ai sensi degli artt. 391 bis e 395, n. 4 c.p.c Resiste il Ministero dell'Economia e delle Finanze. Attivato il procedimento camerale ai sensi degli artt. 391 bis e 380 bis c.p.c., il ricorso è stato ritenuto ammissibile dalla sesta sezione di questa Corte e rimesso in pubblica udienza innanzi a questa seconda sezione. Il Ministero ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo di revocazione parte ricorrente deduce che la sentenza impugnata ha erroneamente identificato tre, invece di due, motivi di ricorso, per poi attribuire al primo la censura, in realtà inesistente, di violazione e falsa applicazione dell'art. 291 c.p.c 2. Col secondo motivo il ricorrente deduce che la sentenza impugnata abbia, inoltre, erroneamente ritenuto che il ricorso ex lege n. 89/01 fosse stato proposto nei confronti del Ministero della Giustizia, invece che verso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, quale giusto soggetto legittimato. In realtà, prosegue il ricorrente, il ricorso ai sensi della legge cd. Pinto era stato espressamente e chiaramente proposto nei confronti proprio di quest'ultimo Ministero. 3. Entrambi i motivi di ricorso sono fondati. Nella fase rescindente del giudizio di revocazione, il giudice, verificato l'errore di fatto sostanziale o processuale esposto ai sensi del n. 4 dell'art. 395 c.p.c., deve valutarne la decisività alla stregua del solo contenuto della sentenza impugnata, operando un ragionamento di tipo controfattuale che, sostituita mentalmente l'affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa ove tale accertamento dia esito negativo, nel senso che la sentenza impugnata risulti, in tal modo, priva della sua base logico-giuridica, il giudice deve procedere alla fase rescissoria attraverso un rinnovato esame del merito della controversia, che tenga conto dell'effettuato emendamento Cass. n. 6881/14 . 3.1. Nella specie, i motivi di ricorso espongono caratteristici errori percettivi, costituenti causa efficiente della decisione impugnata. 3.1.1. Il primo, riscontrato in atti e peraltro pacifico, essendo ammesso anche dalla parte odierna controricorrente, consiste nell'aver la sentenza impugnata ritenuto che il Ministero allora ricorrente avesse dedotto quale motivo d'impugnazione del decreto emesso dalla Corte salentina anche la violazione e falsa applicazione dell'art. 291 c.p.c. , relativamente ad una notificazione inesistente perché indirizzata ad un soggetto diverso da quello che avrebbe dovuto essere evocato in giudizio. Errore da cui è derivato il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte circa l'inapplicabilità dell'art. 4 della legge n. 260/58 all'ipotesi in cui la vocatio in ius sia stata rivolta verso un soggetto diverso da quello legittimato passivamente. 3.1.1.1. Non confuta il giudizio di decisività dell'errore l'osservazione, contenuta nella memoria del Ministero controricorrente, secondo cui sarebbe irrilevante l'erronea percezione di tale motivo, in realtà non dedotto, posto che la non concedibilità nella specie del termine ex art. 291 c.p.c. per rinnovare la notifica sarebbe stata rilevabile d'ufficio nel giudizio di legittimità. In disparte che le cause di nullità propria o riflessa del provvedimento decisorio si convertono in motivi d'impugnazione, ai sensi dell'art. 161, 1 comma c.p.c., il che esclude l'asserita rilevabilità d'ufficio dei vizi del procedimento, deve non di meno rimarcarsi che detta argomentazione sostituisce al giudizio controfattuale, basato su dati entrambi certi l'errore e la base logica della decisione così come ricavabile dalla motivazione , un periodo ipotetico del terzo tipo, e dunque la supposizione nel passato di una situazione di fatto una decisione avente uguale dispositivo ma diversa motivazione per l'effetto di un rilievo ex officio non verificatasi. 3.1.2. Il secondo errore consiste nell'aver ritenuto che il ricorso ex lege n. 89/01 fosse stato proposto contro il Ministero della Giustizia, quando, in realtà, la domanda era stata chiaramente ed esplicitamente indirizzata verso il Ministero dell'Economia e delle Finanze, come risulta sia dall'epigrafe sia dal contenuto del ricorso stesso. La successiva prima notificazione di esso al Ministero della Giustizia, invece che al Ministero dell'Economia e delle Finanze, non muta l'identificazione della parte. Tale identificazione, essendo una componente dell' editio actionis , si perfeziona con l'atto propositivo della domanda, che nei procedimenti che si introducono con ricorso si attua con il deposito di quest'ultimo, la successiva notificazione avendo rilievo ai soli fini della vocatio in ius . 4. Accolti i motivi di revocazione, e procedendo alla fase rescissoria del procedimento di revocazione, si rileva che il Ministero dell'Economia e delle Finanze aveva impugnato il decreto della Corte d'appello di Lecce proponendo, quali mezzi d'annullamento, la violazione e falsa applicazione dell'art. 3 legge n. 80/01 e dell'art. 6, paragrafo 1, CEDU, e il vizio di motivazione. In entrambi i casi era stata contestata l'esattezza e la congruità dell'accertamento compiuto dalla Corte salentina circa la natura del giudizio tributario presupposto, assimilato ad un giudizio penale in quanto riguardante, fra l'altro, l'applicazione di sanzioni tributarie ai sensi dell'art. 39 bis D.P.R. n. 636/72. 4.1. Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente per la loro complementarietà, sono fondati. In tema di equa riparazione per durata irragionevole del processo, ai fini dell'assimilazione della sanzione tributaria alla sanzione penale, che ascrive il giudizio tributario alla materia penale ed attiva la tutela ex art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è sufficiente il carattere afflittivo della sanzione, occorrendo un preciso riferimento normativo, alla luce di quanto affermato dalla Corte di giustizia dell'Unione Europea nella decisione 26 febbraio 2013, Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson , in armonia col principio costituzionale di stretta legalità delle sanzioni penali Cass. n. 510/14 . Si legge nella motivazione della sentenza di questa Corte, al cui decisum occorre dare continuità, che in sostanza il processo tributario può ritenersi sostanzialmente penale e, dunque, precludere un eventuale successivo procedimento penale sui medesimi fatti, solo quando i provvedimenti già adottati nei confronti dell'imputato ai sensi di una decisione divenuta definitiva siano di natura penale . Ai fini della valutazione della natura penale delle sanzioni tributarie, sono rilevanti tre criteri. Il primo consiste nella qualificazione giuridica dell'illecito nel diritto nazionale, il secondo nella natura dell'illecito e il terzo nella natura nonché nel grado di severità della sanzione in cui l'interessato rischia di incorrere parr. 34 35, 37 . Orbene, la pronunzia in esame amplia il novero degli elementi alla stregua dei quali il giudice nazionale è chiamato a decidere se le sanzioni tributarie assumano o no natura penale, introducendo dei riferimenti alla qualificazione giuridica dell'illecito e alla natura dello stesso, che sono immediatamente applicabili nell'ordinamento italiano. Invero, posto che il nostro sistema costituzionale è retto dal principio di stretta legalità nell'individuazione degli illeciti e delle sanzioni penali art. 25 Cost , recepito anche in sede di legislazione ordinaria, all'art. 1 c.p., e che è quindi demandato solo ed esclusivamente al legislatore l'individuazione del tipo penale, pare assai più conferente ancorare l'assimilabilità di una sanzione amministrativa o tributaria ad una sanzione penale solo in presenza di un riferimento normativo e non esclusivamente in base al requisito che presenta indubbi caratteri di relatività della afflittività della sanzione”. Tali accertamenti di fatto sono mancati nel decreto impugnato, basato essenzialmente sul solo carattere sanzionatorio delle misure applicate dall'amministrazione finanziaria. 5. Il decreto impugnato va, pertanto, cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Lecce, che provvederà anche sulle spese del presente procedimento di cassazione. P.Q.M. La Corte revoca la sentenza impugnata, accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Lecce, che provvederà anche sulle spese di cassazione.