Notifica dell’ordinanza-ingiunzione: è preferibile eseguirla nel domicilio eletto dal trasgressore

Nel procedimento amministrativo che precede l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione ai sensi dell’art. 18, comma 1, l. n. 689/1981, l’elezione di domicilio da parte del trasgressore non può in alcun modo essere ricondotta all’ambito di disciplina di cui all’art. 170 c.p.c., ma va ricondotta all’ambito dell’art. 141 c.p.c. quindi, il domicilio eletto rappresenta solo un luogo possibile di notificazione dell’ordinanza-ingiunzione. Peraltro, l’elezione di domicilio nel procedimento che precede l’emanazione dell’ordinanza, una volta effettuata, costituisce certamente un dato che la P.A., quale titolare del trattamento di dati personali, deve tenere presente nella gestione della pratica amministrativa in relazione al contenuto della violazione contestata, al fine di scongiurare il rischio di lesioni della privacy .

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia n. 18812 del 5 settembre 2014. Il caso. Un’Amministrazione comunale notifica un’ordinanza-ingiunzione di pagamento ad un uomo, a conferma del verbale di contestazione elevato nei suoi confronti per la violazione di un’ordinanza sindacale, consistita nell’essersi fermato per far salire in auto una prostituta. L’ordinanza-ingiunzione era stata emessa ai sensi dell’art. 18 l. n. 689/1981, a seguito della memoria difensiva che il trasgressore aveva presentato a mezzo del proprio legale di fiducia, presso il cui studio aveva eletto domicilio. L’ordinanza, dopo l’esito negativo di un primo tentativo di notificazione a mezzo posta, era stata rimessa ai messi del Comune di residenza dell’attore, i quali avevano provveduto alla notifica in plico aperto e a mani della madre del ricorrente, la quale era quindi venuta a conoscenza della vicenda. A detta dell’attore, la diffusione della notizia nel suo paese di residenza aveva leso la propria privacy , andando altresì ad incidere sull’esito della causa di separazione che egli aveva in corso in particolare sul diritto di visita al figlio minore , sicché proponeva ricorso ex art. 152 del Codice della privacy per ottenere un risarcimento. La domanda veniva accolta in primo grado, con condanna del Comune al pagamento di una somma a titolo di ristoro del danno. Quest’ultimo si rivolge, quindi, alla Corte di Cassazione. L’elezione di domicilio nel procedimento amministrativo. In primo luogo, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, sulla premessa della natura contenziosa del procedimento di cui all’art. 18 l. n. 689/1981, ha ritenuto sussistente un comportamento illegittimo del Comune per non avere notificato l’ordinanza ingiunzione nel domicilio eletto presso il legale del trasgressore, sulla scorta di un’applicazione estensiva dell’art. 170 c.p.c., che individua le regole in tema di notificazione alla parte costituita tramite difensore nel processo. Nel condividere il motivo di censura, la Suprema Corte osserva che, in mancanza di una norma che attribuisca effetti alla domiciliazione effettuata dal responsabile nel procedimento amministrativo per il successivo procedimento contenzioso, non è possibile sostenere una simile estensione. Ed invero, la l. n. 689/1981 ha costruito il processo in tema di sanzioni amministrative come processo di impugnazione di un atto amministrativo qual è l’ordinanza-ingiunzione, mentre anteriormente vi è solo un procedimento di carattere amministrativo, sicché l’elezione di domicilio riconosce alla P.A. la facoltà di notificare quivi l’ordinanza-ingiunzione, ma non giustifica una sua obbligatorietà. Carattere residuale della notifica a mezzo dei messi comunali. Sotto altro profilo, il ricorrente imputa alla sentenza impugnata di avere erroneamente ritenuto che il Comune non potesse avvalersi della notifica a mezzo dei messi comunali per il sol fatto che il tentativo di una precedente notifica a mezzo posta non era andato a buon fine. In particolare, l’art. 10, comma 1, l. n. 265/1999 riconosce alle pubbliche amministrazioni la possibilità di avvalersi per le notifiche dei messi comunali qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle forme di notificazione previste dalla legge . A giudizio del ricorrente, posto che la norma prevede due ipotesi alternative fra loro come emerge dall’uso della disgiuntiva o , dopo che la notifica a mezzo posta non era andata a buon fine, il Comune avrebbe fatto legittimamente ricorso ai messi comunali. Anche in tal caso, i Giudici di legittimità condividono la censura, ritenendo sufficiente, affinché ci si possa avvalere dei messi comunali, o che sia tentata la notificazione a mezzo posta o che si siano tentate le altre forme di notificazione previste dalla legge, non essendo di contro necessario che si siano prima praticate entrambe le alternative. Pertanto, poiché nel caso di specie il Comune aveva tentato già la notifica a mezzo posta, era abilitato a far ricorso ai messi comunali senza prima tentare la pur possibile forma di notificazione prevista dall’art. 141 c.p.c L’illecito trattamento dei dati personali. Acclarato, quindi, il rispetto delle regole procedurali per la notifica dell’ordinanza-ingiunzione, la Suprema Corte esamina il profilo della tutela della privacy . Al riguardo, il Giudice di primo grado aveva osservato che il principio di correttezza stabilito dall’art. 4 del Codice della privacy ed il carattere di dato sensibile delle informazioni contenute nell’atto notificando imponevano al Comune di optare in prima battuta per la notifica nel domicilio eletto perché più rispondente alle esigenze del trasgressore. Il fatto che il Comune non si fosse avvalso della notificazione presso di esso, pur in ipotesi facoltativa, costituiva un illecito trattamento di dati personali, come tale riconducibile alla fattispecie risarcitoria di cui all’art. 15 d.lgs. n. 196/2003. Ebbene, rispetto a tale autonoma motivazione posta a base della pronuncia di accoglimento della domanda attorea, il ricorrente si era limitato a evidenziare che il carattere facoltativo della notificazione presso il domicilio eletto avrebbe escluso la responsabilità del Comune perché non sarebbe stata violata alcuna norma. Tale censura è però ritenuta del tutto generica dai Giudici di legittimità, che perciò giudicano inammissibile il motivo di ricorso e confermano la pronuncia impugnata sulla scorta di tale autonoma motivazione. La prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Con riferimento al medesimo motivo di censura, la Suprema Corte ne evidenzia altresì l’infondatezza nel merito. Ed invero, l’art. 15 d.lgs. n. 196/2003 afferma la responsabilità per danni cagionati per effetto del trattamento dei dati personali ai sensi dell’art. 2050 c.c., cioè ai sensi della norma codicistica sulla responsabilità per l’esercizio di attività pericolose. Per la sussistenza di una responsabilità ex art. 2050 c.c., il danneggiato si deve limitare a provare l’evento di danno e il nesso di causalità tra l’attività ed esso, spettando invece all’esercente dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Pertanto, nella vicenda in questione, il Comune, per sottrarsi all’obbligo risarcitorio, doveva dimostrare che non si poteva ricorrere ad alcuna altra forma di notifica che, seppur non imposta, avrebbe consentito, più adeguatamente rispetto alla notifica a mezzo dei messi comunali, di evitare il danno ricollegabile alla propalazione del contenuto dell’oggetto della violazione sanzionata con l’ordinanza-ingiunzione. Quest’altra forma di notifica, nel caso di specie, c’era ed era rappresentata dalla pur facoltativa, ma pur sempre possibile e pienamente lecita, notifica al domicilio eletto dall’attore presso il proprio legale. Il fatto che il Comune abbia scelto di non praticarla esclude che il medesimo abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, sicché deve esserne dichiarata la responsabilità ai sensi dell’art. 2050 c.c La prova del danno. Accertata, dunque, la responsabilità del Comune, la Suprema Corte esamina l’ultimo motivo di censura, incentrato sulla presunta violazione dei principi fondamentali dell’onere della prova in ordine al previo accertamento dell’esistenza del nesso eziologico tra l’attività e l’evento dannoso ed ancor prima in ordine alla sussistenza vera e propria del danno, la cui dimostrazione incombe sempre e comunque sul danneggiato. Ebbene, il Tribunale ha ritenuto esistente un danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., la cui risarcibilità è espressamente prevista dall’art. 15, comma 2, del Codice della privacy. Tale danno, secondo la pronuncia delle Sezioni Unite n. 26972/2008, costituisce danno conseguenza, e perciò non può identificarsi nell’evento dannoso, cioè nell’illecito trattamento dei dati personali, ma deve concretarsi in un pregiudizio della sfera non patrimoniale di interessi del danneggiato. Nel caso di specie, il danno riconosciuto dal Tribunale è stato invece identificato proprio nell’illecito trattamento, e ciò giustifica la cassazione della decisione. Peraltro, la circostanza per cui l’attore non si sia preoccupato di dimostrare alcuna circostanza idonea ad evidenziare una sofferenza ricollegabile all’illecito trattamento esclude la necessità di un giudizio di rinvio, il quale, in mancanza di apporti istruttori valutabili ed esperibili, sarebbe del tutto inutile.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 22 maggio – 5 settembre 2014, n. 18812 Presidente Finocchiaro – Relatore Frasca Svolgimento del processo p.1. Con ricorso ex art. 152 D.lgs. n. 196 del 2003 M.E. chiedeva al Tribunale di Pistoia - Sezione distaccata di Monsummano Terme, la condanna del Comune di Montecatini Terme al risarcimento del danno sofferto in conseguenza di una pretesa violazione, addebitabile al Comune, delle norme sul trattamento dei dati personali. Esponeva, al riguardo, che il Comune convenuto gli aveva notificato una ordinanza-ingiunzione di pagamento, con cui aveva confermato il verbale di contestazione elevato nei suoi confronti in relazione alla violazione di un'ordinanza sindacale, consistita nell'essersi fermato per consentire la salita ad una persona che per comportamenti ed atteggiamenti era dedita all'attività di prostituzione. L'ordinanza-ingiunzione era stata emessa nei suoi confronti ai sensi dell'art. 18 legge n. 689 del 1981, a seguito dell'esame della memoria difensiva, che egli aveva presentato a mezzo del proprio legale di fiducia, presso il cui studio in essa aveva altresì eletto domicilio. p.1.1. L'ordinanza, dopo l'esito negativo di un primo tentativo di notificazione a mezzo posta, era stata rimessa dal Comune convenuto ai messi del Comune di Buonabitacolo, luogo in cui il M. risultava residente, affinché gli stessi provvedessero alla notifica ai sensi dell'articolo 10, comma 1, della legge n. 265 del 1999. I detti mesi avevano però provveduto alla notifica del plico, tuttavia non in busta chiusa, alla residenza del ricorrente a mani della madre del medesimo, la quale, per quanto lui sosteneva era così venuta a conoscenza della vicenda. p.2. Sulla base di tali deduzione il ricorrente, sulla premessa che era stata lesa la propria privacy, chiedeva il risarcimento dei danni adducendo, che, se la notifica fosse stata fatta al domicilio eletto, né la madre, né gli abitanti di Buonabitacolo, tra cui la notizia si era invece, a suo dire, diffusa, ne sarebbero venuti a conoscenza. Adduceva, inoltre, che nelle more egli aveva in corso una causa di separazione e la diffusione della notizia avrebbe potuto incidere sul diritto di visita al figlio minore. p.3. Il Comune convenuto si costituiva e chiedeva il rigetto del ricorso. Si costituiva altresì il Garante per la Protezione dei Dati Personali, per far tutelare asseriti aspetti di interesse pubblico generale della vicenda. p.4 Con la memoria ai sensi dell'art. 180 c.p.c., il M. affermava che, come risultava dalla relata di notifica nella seconda pagina del provvedimento, l'ordinanza ingiunzione era stata trasmessa in plico aperto dal Comune di Montecatini a quello di Buonabitacolo. Il Comune dichiarava di non accettare il contraddittorio su questo nuovo profilo, che sosteneva rappresentare la deduzione di una nuova causa petendi . p.5. Con sentenza del 18 febbraio 2010, il Tribunale, dopo avere dichiarato inammissibile la domanda quanto al profilo introdotto con la memoria ai sensi dell'art. 180 c.p.c., perché integrante nuova causa petendi , condannava il Comune convenuto, in accoglimento della domanda originaria, al pagamento - ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003 - della somma di Euro 5000,00 oltre accessori. p.6. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi il Comune di Montecatini Terme. Ha resistito con controricorso il Garante per la Protezione dei Dati Personali, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato. p.7. Parte ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione p.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce Violazione e falsa applicazione art. 141 c.p.c. - art. 170 c.p.c. - art. 360 n. 3. Omessa motivazione . Vi si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, sulla premessa della natura contenziosa del procedimento di cui all'art. 18 legge n. 689 del 1981, ha ritenuto sussistente un comportamento illegittimo del Comune per non avere notificato l'ordinanza ingiunzione, ai sensi dell'art. 170 c.p.c., nel domicilio eletto presso il suo legale nella memoria difensiva depositata nella fase contenziosa amministrativa ai sensi dell'art. 17 e 18 primo comma, della l. n. 689 del 1989. A parere del ricorrente questa statuizione, essendo errata l'assimilazione del procedimento nella fase amministrativa a quello giurisdizionale e, quindi, l'applicazione dell'art. 170 c.p.c., avrebbe violato oltre che tale norma, anche la norma dell'art. 141 c.p.c., rifluendo la vicenda sotto di essa e tenuto conto che essa considera la notificazione presso il domicilio eletto obbligatoria solo in caso di espressa previsione contrattuale, siccome emerge dal suo secondo comma, mentre in tutti gli altri casi l'elezione di domicilio sarebbe facoltativa. p.2. Con un secondo motivo si fa valere Violazione falsa applicazione art. 10 comma 1 L. 265 del 1999 in combinato disposto con l'art. 141 comma 1 c.p.c. , nonché motivazione contraddittoria . Il ricorrente, con una prima censura, imputa alla sentenza impugnata di avere erroneamente ritenuto che il Comune non potesse avvalersi della notifica a mezzo dei messi comunali per il sol fatto che il tentativo di una precedente notifica a mezzo posta non era andato a buon fine, a motivo che il principio di residualità dell'utilizzo dei messi comunali sancito dalla 10, comma 1, della l. n. 265 del 1999 imponeva comunque che il Comune, prima di trasmettere l'atto ai messi comunali, dovesse provvedere alla notifica presso lo studio del difensore domiciliatario. Il Comune contesta questo assunto perché, a suo avviso, il citato art. 10, comma 1 - ai sensi del quale le pubbliche amministrazioni possono avvalersi per le notifiche dei propri atti, dei messi comunali, qualora non sia possibile eseguire utilmente le notificazioni ricorrendo al servizio postale o alle forme di notificazione prevista dalla legge - prevedrebbe due ipotesi alternative fra loro, come emergerebbe dall'uso della disgiuntiva o . Per cui, posto che la notifica a mezzo posta non era andata a buon fine, il Comune avrebbe legittimamente fatto ricorso ai messi comunali. p.2.1. D'altro canto - e l'argomento integra una seconda censura parametrata ad una ulteriore motivazione del Tribunale - il carattere meramente facoltativo della notificazione presso il domicilio eletto, comportando che nel non effettuarla il Comune non avesse violato alcuna norma, escludeva - ad avviso dello stesso ricorrente - la violazione, pure ritenuta dal Tribunale, della disciplina del trattamento dei dati sensibili. p.3. I primi due motivi del ricorso possono esaminarsi congiuntamente, essendo strettamente connessi tra loro. Va considerato che il Tribunale ha giustificato l'assunto che la notificazione, per evitare di incorrere in responsabilità, doveva farsi al domicilio eletto nella fase amministrativa, con una motivazione alternativa, che correttamente viene censurata dai due motivi con riferimento ai suoi due termini. L'alternatività delle due motivazioni comporta che l'eventuale riconoscimento della fondatezza di una di esse, renderebbe irrilevante l'altra e, per tale ragione, precluderebbe comunque la cassazione della sentenza impugnata, ma semmai comporterebbe solo la correzione della motivazione sbagliata. Ciò, naturalmente, prescindendo dalla terza ulteriore motivazione, oggetto della seconda censura del secondo motivo. p.3.1. Tanto premesso, ritiene il Collegio che la prima motivazione esposta dalla sentenza impugnata a giustificazione dell'obbligatorietà della notificazione al domicilio eletto, cioè quella - criticata dal primo motivo - secondo cui l'elezione di domicilio nella fase amministrativa del procedimento sanzionatorio avrebbe comportato l'effetto di determinare una domiciliazione ai sensi dell'art. 170 c.p.c. nel successivo procedimento contenzioso di opposizione all'ordinanza-ingiunzione, non appare fondata. In tanto va osservato che, in mancanza di una norma che attribuisca alla domiciliazione, effettuata dal preteso responsabile nel procedimento amministrativo che prelude all'emanazione dell'ordinanza-ingiunzione ai sensi dell'art. 18 della l. n. 689 del 1981, effetti per il successivo procedimento contenzioso e, dunque nel silenzio della legge in proposito, non è in alcun modo possibile sostenere una simile estensione di effetti. Non è, dunque, possibile argomentare una valenza ai sensi dell'art. 170 della domiciliazione fatta nella fase amministrativa, in ragione di una previsione di una sua estensione al successivo eventuale processo. Estensione che, al contrario, l'avvalorerebbe. Ne segue che la domiciliazione fatta nel procedimento in fase amministrativa ha valore solo come tale e, quindi, per esso. Ne consegue che come fattispecie di domiciliazione essa va ricondotta solo alla norma generale sull'elezione di domicilio, quella dell'art. 141 c.p.c p.3.1.1. Aggirare il dato della mancata previsione della detta estensione osservando lapidariamente che quello in esame [sarebbe] un procedimento contenzioso”, come ha fatto il Tribunale, è un'operazione assolutamente priva di base normativa per l'assorbente ragione che il processo in tema di sanzioni amministrative secondo la citata legge è costruito come processo di impugnazione di un atto amministrativo qual è l'ordinanza-ingiunzione, che è manifestazione di un caso di giurisdizione esclusiva anche su interessi legittimi dell'A.G.O. ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 113 Cost., e dunque come processo oppositivo. Come tale il processo nasce e la giurisdizione comincia con il ricorso in opposizione. Anteriormente vi è solo un procedimento di carattere amministrativo, sebbene a contenuto c.d. giustiziale, ma ad esso non possono applicarsi i principi in tema di notificazione alla parte costituita tramite difensore nel processo. Il Tribunale ha, dunque, errato nel postularlo. p.3.1.2. Né il suo avviso trova giustificazione in Cass. n. 16882 del 2006, che ha richiamato in modo del tutto anodino, ma concerne fattispecie in alcun modo apparentabile a quella di cui è processo, atteso che si trattava di ipotesi di notifica dell'ordinanza ingiunzione nulla non perché eseguita presso un domicilio eletto nel procedimento amministrativo, bensì perché eseguita in un luogo non costituente la residenza dell'ingiunto ma in cui l'atto era stato consegnato alla sua madre , in situazione nella quale alla P.A. la sua residenza risultava per averla egli indicata nel ricorso amministrativo nella specie la Corte ha ritenuto, peraltro, che la nullità fosse rimasta irrilevante in quanto l'ingiunto aveva proposto tempestiva opposizione. p.3.1.3. Ne segue che deve affermarsi che la fattispecie dell'elezione di domicilio in sede di memoria depositata ai sensi dell'articolo 18, primo comma, della l. n. 689 del 1981 non può in alcun modo essere ricondotta all'ambito di disciplina di cui all'articolo 170 c.p.c., ma deve essere ricondotta all'ambito dell'articolo 141 del codice di procedura civile e, quindi, il domicilio eletto rappresenta, conforme a tale norma, solo un luogo possibile di notificazione dell'ordinanza-ingiunzione. p.3.2. Peraltro, proprio tale riconduzione dell'elezione di domicilio nel procedimento giustiziale che precede l'emanazione dell'ordinanza all'art. 141 c.p.c. non può considerarsi nella specie irrilevante, come pretenderebbe il Comune. Essa costituisce certamente, una volta effettuata, un dato che la P.A. deve tenere presente nel procedere alla notificazione dell'ordinanza-ingiunzione, le cui forme sono determinate innanzitutto per relationem dal quarto comma dell'art. 18 della l. n. 689 del 1981, il quale rinvia all'art. 14 della legge, e, quindi, dal sesto comma, che prevede la possibilità di ricorrere alla notificazione a mezzo posta. Ora, il quarto comma dell'art. 14 che si occupa della notificazione della contestazione della violazione nell'ambito del procedimento amministrativo , nel suo secondo inciso, dopo che nel primo ha disposto l'applicazione delle disposizioni vigenti, prevede che la P.A. possa in ogni caso procedere alla notificazione, sebbene anche tramite un suo funzionario e, dunque senza ricorrere all'ufficiale giudiziario , nelle forme previste dal codice di procedura civile. Ebbene, qualora nell'ambito del procedimento amministrativo il preteso responsabile abbia eletto domicilio, come nella specie, tra le forme di notificazione previste dal codice di procedura civile per il tramite dell'art. 14 rientra certamente, quale forma di notificazione facoltativa possibile, per non essere esistente, secondo il testo dell'art. 141 c.p.c., un caso di domiciliazione vincolante ed obbligatoria all'effetto della notificazione, proprio quella al domicilio eletto. Essa anzi assume anche un certo tendenziale carattere preferenziale alla stregua di un agire della P.A. improntato a trasparenza, lealtà e imparzialità, dato che il responsabile ha certamente manifestato una preferenza per interloquire con la stessa P.A p.3.3. Tale connotazione, peraltro, non giustifica, però, una sua obbligatorietà, come s'è già detto. p.3.4. Il Comune, e si viene all'esame del secondo motivo quanto alla sua prima censura, non era, d'altro canto, obbligato - come invece ha ritenuto il Tribunale - dall'art. 10, comma 1, della l. n. 265 del 1999 ad esperire anche la notificazione presso il detto domicilio prima di ricorrere alla notificazione tramite i messi. Deve, infatti, ritenersi che la semplice lettura della norma evidenzia che, come prospetta il ricorrente, per poter ricorrere a quella particolare forma di notifica è sufficiente che anche una sola delle altre possibili forme di notifica non sia andata a buon fine, come fa manifesto la disgiuntiva o . È sufficiente, cioè, perché ci si possa avvalere dei messi a norma dell'art. 10, comma 1, L. n. 265 del 1999 o che sia tentata la notificazione a mezzo posta o che si siano tentate le altre forme di notificazione previste dalla legge, ma non è necessario che si siano prima praticate entrambe le alternative. Il Comune avrebbe, dunque, certamente potuto avvalersi dei messi anche soltanto dopo aver tentato la notificazione presso il domicilio eletto, quale forma di notificazione prevista dalla legge, ma, poiché nel caso di specie aveva tentato già la notifica a mezzo posta, era abilitato a far ricorso ai messi comunali senza prima tentare la pur possibile forma di notificazione prevista dalla legge, di ci all'art. 141 c.p.c Il secondo motivo, quanto alla prima censura, sarebbe, dunque, fondato. p.3.5. Va rilevato a questo punto che la fondatezza del primo motivo in ordine all'applicabilità dell'art. 170 c.p.c. e quella del secondo motivo quanto alla prima censura concernente le condizioni di notificazione tramite i messi comunali, non giustificano, tuttavia, la cassazione della sentenza, atteso che il Tribunale, oltre a spendere le due ragioni criticate dal primo motivo e dalla prima censura del secondo motivo, ne ha enunciato un'altra, che non solo è idonea a giustificare l'avere ravvisato nel comportamento del Comune una condotta di violazione del d.lgs. n. 196 del 2003 ai fini risarcitori, ma, a monte risulta criticata in modo del tutto privo di pertinenza con la motivazione e del tutto generico nell'argomentazione svolta nel secondo motivo. Ha osservato il Tribunale che altresì il principio di correttezza stabilito dall'art. 4 codice privacy ed il carattere di dato sensibile delle informazioni contenute nell'atto notificando imponevano al Comune di optare senz'altro in prima battuta per la notifica nel domicilio eletto, ossia quello scelto dal trasgressore perché più rispondente alle proprie esigenze tra l'altro nella specie il luogo del domicilio eletto era lo studio del difensore, massima garanzia di riservatezza. La scelta del Comune per un procedimento di notifica più defatigante e complesso non ha alcuna giustificazione, considerato che la comunicazione al difensore era pure quella che garantiva la massima probabilità di successo e che in precedenza il Comune aveva scelto proprio queste modalità per la comunicazione di un atto. La violazione invocata pertanto sussiste sotto il profilo della mancata notifica al domicilio eletto, e comporta la responsabilità del Comune ai sensi dell'art. 15 cod. privacy”. Ebbene con tale motivazione il Tribunale ha in realtà aggiunto alle altre due motivazioni criticate con il primo motivo e con la prima censura del secondo motivo, un'ulteriore motivazione del tutto autonoma, tendente a ravvisare nel comportamento del Comune, rappresentato dal non essersi avvalso della notificazione presso il domicilio eletto, pur in ipotesi facoltativa, una condotta riconducibile ad un illecito trattamento di dati personali, come tale riconducibile alla fattispecie risarcitoria di cui all'art. 15 citato. p.3.5.1. Ora, nella parte finale dell'illustrazione del secondo motivo tale terza autonoma motivazione viene criticata semplicemente assumendo che, una volta escluso il carattere obbligatorio della notificazione presso il domicilio eletto, la facoltatività della notificazione presso di esso escluderebbe la responsabilità del Comune perché non sarebbe stata violata alcuna norma”. La critica appare del tutto generica e tanto integra inammissibilità della censura, giusta il seguente principio di diritto. Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorché la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo art. 156, secondo comma, cod. proc. civ. . Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell'impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore essendo le memorie, di cui all'art. 378 cod. proc. civ., finalizzate solo all'argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente , comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorché la legge non esiga espressamente la sua specificità come invece per l'atto di appello , debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo”. Cass. n. 4741 del 2005, seguita da numerose conformi . p.3.5.2. In ogni caso, se la censura in esame si ritenesse ammissibile, la critica non coglierebbe nel segno ed essa sarebbe infondata. L'art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003 afferma la responsabilità per danni cagionati per effetto del trattamento dei dati personali ai sensi dell'articolo 2050 c.c., cioè ai sensi della norma del codice civile sulla responsabilità per l'esercizio di attività pericolose. Tale norma, com'è noto, consente di sottrarsi all'obbligo risarcitorio soltanto provando di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Sulla portata e sul significato del rinvio operato dall'art. 15 è sorto un dibattito tra gli interpreti, fra chi sostiene che così si sia qualificato il trattamento dei dati personali come una attività pericolosa e chi invece reputa che ci sia limitati a richiamare per tale forma di responsabilità la regola probatoria sancita dall'art. 2050. Si discute, poi, sulla natura della responsabilità ex art. 15 citato, ma per l'orientamento maggioritario si tratterebbe di una responsabilità extracontrattuale. In disparte tali problematiche, che non è necessario affrontare, interessa allora rilevare che, nella giurisprudenza di questa Corte ex multis, Cass. n. 8457 del 2004 , per la sussistenza di una responsabilità ai sensi dell'art. 2050 c.c., il danneggiato si deve limitare a provare l'evento di danno e il nesso di causalità tra l'attività ed esso, spettando invece all'esercente dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Applicando questi principi alla fattispecie che si giudica si devono svolgere i seguenti rilievi. p.3.5.3. Nella vicenda in questione il Comune di Montecatini Terme, per sottrarsi all'obbligo risarcitorio, avrebbe dovuto dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. A questo scopo non è sufficiente dimostrare, come pure il Comune ha fatto e deve ritenersi, che la notifica a mezzo dei messi comunali era consentita per essere stata tentata la notificazione a mezzo posta e che quella al domicilio eletto non era obbligatoria, ma sarebbe stato necessario altresì dimostrare che non si poteva ricorrere ad alcun altra forma di notifica, che, seppur non imposta dalle leggi in materia, avrebbe consentito, più adeguatamente rispetto alla notifica a mezzo dei messi comunali, di evitare il danno derivante dal trattamento dei dati sensibili, ricollegabile alla propalazione del contenuto dell'oggetto della violazione sanzionata con l'ordinanza-ingiunzione. Quest'altra possibile forma di notifica nel caso di specie c'era ed era rappresentata dalla pur facoltativa, ma pur sempre possibile e pienamente lecita, notifica al domicilio eletto dal M. presso il proprio legale. Infatti, sebbene tale forma di notifica non fosse obbligatoria, giacché non trovava applicazione, al caso di specie, come s'è già detto, l'articolo 170 c.p.c., e l'art. 10, comma 1, l. n. 265 del 1999 non la rendeva necessaria prima dell'avvalimento dei messi comunali di Buonabitacolo, era però una forma di notificazione possibile ai sensi dell'articolo 141, comma primo c.p.c L'avere il Comune scelto di non praticarla lo pone in una condizione per cui deve escludersi ed anzi è conclamato che il suo comportamento non si è affatto concretato nell'aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno” ai sensi dell'art. 2050 c.c. Ciò, per l'assorbente ragione che la cautela da osservarsi dal Comune, quale titolare del trattamento di dati personali, nella gestione della pratica amministrativa in relazione al contenuto della violazione contestata, gli imponeva, alla stregua direttamente dell'art. 2050 c.c., di esperire anche, prima di ricorrere ai messi, la notificazione al domicilio eletto. È appena il caso di considerare che nel caso di specie non può trovare applicazione il principio affermato di recente dalle Sezioni Unite, secondo cui in tema di protezione dei dati personali non costituisce violazione della relativa disciplina il loro utilizzo mediante lo svolgimento di attività processuale, giacché detta disciplina non trova applicazione in via generale, ai sensi degli articoli 7, 24, 46 e 47 del d.lgs. n. 196 del 2003, allorquando i dati stessi vengano raccolti e gestiti nell'ambito di un processo così Cass. sez. un. n. 3034 del 2011 . Infatti nel caso di specie viene in considerazione un'ipotesi di trattamento dei dati personali che è avvenuta nell'ambito di un non di un processo bensì all'esito e nell'ambito di un procedimento amministrativo, che come si è detto non può assimilarsi ad un processo in senso proprio. p.4. Conclusivamente, poiché la seconda censura proposta dal secondo motivo è gradatamele inammissibile e infondata, là dove critica la motivazione della sentenza circa l'attribuzione di rilevanza alla mancata notificazione presso il domicilio eletto del carattere di comportamento rilevante ai fini della configurazione della fattispecie di trattamento illecito fonte di danno, la natura di motivazione autonoma dell'avviso del Tribunale oggetto della censura stessa, rispetto alle altre due motivazioni criticate con il primo motivo e con la prima censura del secondo, rende irrilevante la fondatezza di questi ultimi, sì che è solo giustificata la corrispondente correzione delle altre due motivazioni nei sensi sopra indicati, ma la sentenza impugnata non può cassarsi art. 384, ultimo comma, c.p.c. . p.5. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione art. 2043 cod. civ. Inesistenza del nesso eziologico tra mancata esecuzione della notifica al domicilio eletto e evento dannoso notifica ordinanza alla madre del M. non in busta chiusa. , nonché Insufficiente e contraddittoria motivazione . Vi si censura la sentenza impugnata per non avere considerato la assoluta mancanza di nesso eziologico tra la mancata esecuzione della notifica al domicilio eletto e la notifica effettuata dai messi di altro Comune a mani della madre del ricorrente. Questo perché, come detto dallo stesso Tribunale, la notifica dell'atto non in busta chiusa a persona diversa al destinatario è avvenuta per il mancato rispetto da parte del messo comunale delle forme che il novellato articolo 138 c.p.c. pone a carico dell'organo notificante e non del richiedente la notifica alla cui organizzazione il messo di altro Comune è estraneo . Erroneamente il Tribunale, pur dando atto di ciò avendo ritenuto domanda nuova la prospettazione che già il Comune qui ricorrente avesse trasmesso l'incarto aperto , avrebbe affermato la responsabilità del Comune di Montecatini Terme, reputando che il vizio di forma di una notifica non è evento assolutamente imprevedibile ma rientra nel novero di eventi con una certa probabilità di verificazione . In tal modo il Tribunale avrebbe attribuito al Comune la responsabilità di un comportamento altrui e quindi, avrebbe affermato la responsabilità senza ricorrenza di nesso causale. p.5.1. Ebbene, la motivazione enunciata dal Tribunale palesa che quel giudice in buona sostanza non ha considerato il fatto dei messi comunali di Buonabitacolo erroneamente ricondotto all'art. 138 c.p.c., senza rilievo dell'errore da parte del ricorrente in realtà la norma cui il Tribunale intende fa riferimento e che sarebbe stata violata dai messi è chiaramente quella del quarto comma dell'art. 137 c.p.c., inserito dall'art. 174 de d.lgs. n. 196 del 2003 come un concausa efficiente sopravvenuta, avente i requisiti del caso fortuito, cioè quelli della eccezionalità ed imprevedibilità, ed idonea, dunque, da sola a causare l'evento recidendo il nesso eziologico tra quest'ultimo e l'attività pericolosa, cioè il trattamento dei dati personali concretatosi nell'avere il Comune omesso di far ricorso alla notificazione presso il domicilio eletto nello svolgimento dell'attività procedimentale amministrativa diretta a sanzionare il M. . Il Tribunale ha, cioè, ritenuto che il principio causa causae est causa causati , cioè l'inserirsi nella serie causale originata dall'attività procedimentale sanzionatorio del Comune di Montecatini Terme della mancata notificazione, pur possibile e cautelativamente imposta dall'art. 2050 c.c., non fosse stato nel caso di specie eliso dal verificarsi di un comportamento certamente inosservante della norma dell'articolo 138 c.p.c. da parte dei messi notificatori del Comune di Buonabitacolo. p.5.2. Ora, della motivazione in tal senso enunciata dal Tribunale, il ricorrente non si fa carico e tanto varrebbe ad evidenziare l'inammissibilità del motivo, che avrebbe dovuto articolarsi, ponendo una quaestio iuris nella necessaria attività argomentativa di come il ragionamento seguito dal Tribunale stesso contenesse un error iuris sui principi regolatori del nesso causale in relazione alla fattispecie dell'art. 2050 c.c. norma riguardo alla quale la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell'affermare il seguente principio di diritto In tema di illecito aquiliano, perché rilevi il nesso di causalità tra un antecedente e l'evento lesivo deve ricorrere la duplice condizione che si tratti di un antecedente necessario dell'evento, nel senso che questo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie del fatto , e che l'antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano eziologico, dalla sopravvenienza di un fatto di per sé idoneo a determinare l'evento. Ne consegue che, anche nell'ipotesi in cui l'esercente dell'attività pericolosa non abbia adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, realizzando quindi una situazione astrattamente idonea a fondare una sua responsabilità ex art. 2050 c.c., la causa efficiente sopravvenuta che abbia i requisiti del caso fortuito eccezionalità ed oggettiva imprevedibilità e sia idonea, da sola, a causare l'evento, recide il nesso eziologico tra quest'ultimo e l'attività pericolosa, producendo effetti liberatori anche quando sia attribuibile al fatto del danneggiato stesso o di un terzo” così Cass. n. 8457 del 2004 . In disparte il rilievo di inammissibilità che così sarebbe giustificato alla stregua di Cass. n. 359 del 2005, perché non si critica nella sostanza la motivazione della sentenza impugnata , il Collegio osserva comunque che la valutazione della Tribunale appare anche corretta in quanto il nesso causale, allorquando taluno si avvalga, nel caso di specie sulla base di una previsione di legge, di altri per il compimento di un'attività non risulta interrotto dalla tenuta da parte dell'ausiliario di un comportamento semplicemente inosservante delle norme che doveva osservare nel compimento dell'attività commessagli, occorrendo all'uopo, per spezzare il nesso causale, che egli si sia posto, con un'attività di natura illecita, su un piano di antigiuridicità. Tale principio trova applicazione anche in un caso come quello di specie in cui a giovarsi dell'attività dell'ausiliare è stata una struttura amministrativa, nell'esercizio di un potere amministrativo, sebbene controllabile dalla giurisdizione ordinaria, quale quello di sanzione della violazione delle norme amministrative. Poiché nell'attività dei messi modificatori del Comune di Buonabitacolo non si configura dunque e comunque non è stato nemmeno allegato che si configuri alcuna attività illecita, tanto giustifica la conclusione che nella specie il nesso causale bene è stato ritenuto esistente dal Tribunale. D'altro canto, se si volesse configurare invece nel comportamento dei messi de quibus , quali titolari, per effetto dell'incarico del Comune ricorrente, di un trattamento, un illecito ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003, si dovrebbe comunque ritenere che il non avere il Comune provato, come era suo onere ai sensi dell'art. 2050 c.c., di avere raccomandato ai messi di osservare l'art. 137, quarto comma, c.p.c. raccomandazione che, nel momento in cui il Comune correva il rischio del mancato utilizzo della notifica al domicilio eletto, tanto più presso un legale, il che evidenziava la particolare importanza della vicenda per il M. , non sottrarrebbe il Comune comunque, in forza di tale duplice condotta omissiva a diretta responsabilità, sebben concorrente con quella dei messi, verso il M. . p.5.3. Il motivo è pertanto inammissibile e gradatamente infondato. p.6. Con un quarto motivo si fa valere violazione e falsa applicazione art. 15 del d.lgs. n. 196 del 2003, art. 2050 cod. civ., artt. 113, 115, 116 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., mancata prova del danno, errato ricorso ai criteri di qualificazione equitativa del danno , nonché Insufficiente contraddittoria motivazione . Il ricorrente censura la sentenza gravata per avere violato i principi fondamentali dell'onere della prova - a carico dell'attore - in ordine al previo accertamento dell'esistenza del nesso eziologico tra l'attività e l'evento dannoso ed ancor prima in ordine alla sussistenza vera e propria del danno, la cui dimostrazione incombe sempre e comunque sul danneggiato. In realtà, tuttavia, la doglianza imputa alla sentenza impugnata di avere riconosciuto un danno senza che ne fosse stata dimostrazione ed è questa la censura che si mostra adeguata alla motivazione della stessa. p.6.1. Il motivo è fondato sotto tale profilo. La motivazione della sentenza impugnata, che viene ripresa dal ricorrente, ha avuto il seguente tenore Venendo alla quantificazione del danno, deve rilevarsi che i profili di pregiudizio concreto all'immagine ed alla reputazione del ricorrente sono stati per lo più mero flatus vocis, non corroborato da alcun riscontro. Il ricorrente ha sostenuto che la madre non fosse al corrente dell'infrazione contestata al M. , che l'intero municipio di Buonabitacolo e poi forse l'intera cittadina fossero venuti a conoscenza del fatto. Nulla risulta al riguardo dal'istruttoria. Certamente al momento della notifica la madre non era a conoscenza dell'esito infausto del procedimento non lo era neppure il figlio , certamente i messi comunali di Buonabitacolo hanno preso conoscenza del fatto. Questi ultimi peraltro sono soggetti tenuti al segreto d'ufficio e quindi sino a prova contraria non vi è stata propagazione della notizia all'esterno del loro ufficio. Il limitato pregiudizio accertato i concreto per il ricorrente a fronte di un'indubbia seria violazione alla tutela dei dati sensibili da parte di soggetto della qualità di Ente Pubblico, induce a stimare congrua ed equa riparazione la somma di Euro 5.000,00 oltre interessi e rivalutazione dalla domanda al saldo”. p.6.2. Ebbene, anche se il Tribunale non l'ha detto espressamente deve ritenersi che il danno che ha ritenuto esistente sia un danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., cioè un danno determinato la lesione di interessi inerenti la persona non connotate da rilevanza economica Cass. Sez. Un. n. 26972 del 2008 , dato che l'art. 15, secondo comma, del d.lgs. prevede espressamente la risarcibilità del danno di cui a detta norma con specifico riferimento all'ipotesi dell'art. 11 del d.lgs. e in aggiunta alla risarcibilità normale dei danni scaturente dalla qualificazione della responsabilità alla stregua dell'art. 2050 c.c Ora, secondo la citata decisione delle Sezioni Unite anche il danno non patrimoniale dev'essere dimostrato, dato che costituisce danno conseguenza. Esso, dunque, dev'essere allegato dal danneggiato e, quindi, da lui provato. Il danno di cui all'art. 15 non si può, dunque, identificare nell'evento dannoso, cioè nell'illecito trattamento dei dati personali, ma occorre che si concreti in un pregiudizio della sfera non patrimoniale di interessi del danneggiato. Il danno riconosciuto dal Tribunale, come fa manifesto il riferimento ad una indubbia seria violazione dei dati sensibili, risulta, invece, essere stato identificato proprio nell'illecito trattamento. Tanto è sufficiente a giustificare la cassazione della decisione impugnata. Il Tribunale avrebbe dovuto individuare il danno non patrimoniale sofferto dal M. come conseguenza dell'illecito trattamento, mentre non lo ha fatto ed anzi ha mostrato di non ritenerlo necessario. Emerge anzi dalla motivazione che il Tribunale ha ravvisato e dato per esistente una situazione delle allegazioni del M. che palesava l'assoluta mancanza di elementi idonei ad evidenziare la verificazione del danno non patrimoniale, tanto che non si palesa la necessità di un rinvio. Invero, una volta considerato che la previsione della risarcibilità del danno non patrimoniale supposta dal legislatore in relazione ad un trattamento illecito di dati si correla ad un danno che deve essere risentito dalla persona come tale e che è identificabile in danni comunque correlati ad aspetti del modo di essere della persona ricollegati in primo luogo alla lesione di diritti fondamentali, come il diritto all'immagine, alla reputazione e all'onore per le implicazioni no patrimoniali della loro lesione , che pure possono essere lesi dall'illecito trattamento, nonché all'attitudine del fatto dannoso costituito dal trattamento illecito a comportare anche un patema, una sofferenza psichica al danneggiato, si deve prendere atto di quanto che il Tribunale ha detto sostanzialmente inesistenti e non dimostrati i danni all'immagine ed all'onore ed alla reputazione. Si deve, dunque, reputare che abbia riconosciuto il danno non patrimoniale alla stregua dell'art. 2059 c.c., che ha provveduto a liquidare equitativamente, soltanto identificandolo nella sofferenza da percezione dell'illecito trattamento come idoneo a propalare i dati sensibili. Ne segue che sarebbe stato essenziale dimostrare in che termini la percezione della propalazione od anche del pericolo di essa da parte del M. si era verificata. Poiché dal silenzio della sentenza impugnata emerge che il M. non si è preoccupato di dimostrare alcunché al riguardo, cioè circostanze idonee ad evidenziare una sofferenza ricollegabile all'illecito trattamento, come conseguenza della percezione della vicenda risultante dall'atto notificato da parte della madre o di altri parenti e del paventare la possibile incidenza sul diritto di visita del figlio nel procedimento di separazione che il M. aveva detto pendente come emerge dalla sentenza nell'esposizione del fatto , si deve ravvisare che un rinvio sarebbe del tutto inutile, in mancanza di apporti istruttori valutabili ed esperibili, dato il carattere chiuso del giudizio di rinvio. D'altro canto, è vero che l'unico elemento certo risultante dall'istruzione, cioè che i messi sicuramente avevano preso conoscenza del contenuto dell'atto notificato, è stato considerato dal Tribunale privo di influenza, con una motivazione - quella dell'essere i medesimi vincolati al segreto d'ufficio - di più che dubbia validità, se non altro perché anche il rischio di una violazione di tale segreto era pur sempre esistente, ma non v'è traccia di un'attività dimostrativa del M. idonea a dimostrare, anche per presunzioni, che la percezione di tale possibilità sarebbe stata fonte di patema. A tacer d'altro, il M. avrebbe potuto, per esempio, dedurre prova per testi in ordine all'esistenza di un suo stato di disagio, di patema, di sofferenza a causa della vicenda. L'assenza totale di attività probatoria, lo si ribadisce, induce a ravvisare i presupposti per decidere nel merito, non occorrendo accertamenti di fatto per evidenziarsi il mancato assolvimento dell'onere della prova circa il danno conseguenza. p.6.3. In tale situazione il Collegio ritiene, dunque, inutile cassare con rinvio e deve prendere atto, pronunciando nel merito, che il M. , pur essendo sussistito un illecito trattamento di dati personali da parte del Comune ricorrente, non risulta aver adempiuto all'onere di provare il danno conseguenza ai sensi dell'art. 2059 c.c. sotto l'unico aspetto cui il Tribunale l'ha - per quanto s'è detto - correlato e liquidato equitativamente, quello del patema e della sofferenza derivanti dai rischi della possibile propalazione dei dati. La domanda dev'essere, pertanto, rigettata. p.7. L'oggettiva novità e delicatezza delle questioni esaminate integra gravi ed eccezionali ragioni per la compensazione delle spese per tutti i due gradi di giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso per quanto di ragione. Rigetta i primi tre motivi. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, pronunciando nel merito, rigetta la domanda di M.E. . Compensa le spese dell'intero giudizio.