No all’equa riparazione se la lunghezza del processo è dovuta a condotte processuali dilatorie della parte che invoca il risarcimento

L’equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, ai sensi della l. n. 89/2001, non può essere esclusa per il semplice fatto che il ritardo nella definizione del processo penale abbia prodotto l’estinzione, per prescrizione, del reato addebitato al ricorrente.

Occorre invece apprezzare, ai fini del diniego di accoglimento della relativa domanda, se l’effetto estintivo della prescrizione stessa sia intervenuto o meno a seguito dell’utilizzo, da parte dell’imputato, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa, ben potendo un effetto del genere prodursi, in tutto o almeno in parte, indipendentemente da simili tecniche e da tali strategie, ovvero dalla reale volontà dell’imputato ed a causa, piuttosto, del comportamento delle autorità procedenti, senza che, in quest’ultimo caso, la mancata rinuncia alla prescrizione ad opera dell’imputato medesimo possa ritenersi di per sé in grado di elidere il danno patrimoniale o non patrimoniale, conseguente alla durata irragionevole. Il caso. Un imputato dopo 10 anni di calvario” giudiziario ha visto estinto per intervenuta prescrizione il reato per cui era perseguito. A causa della lunghezza del processo, il soggetto agiva ai sensi della legge 89/2001 Legge Pinto per ottenere l’equa riparazione prevista dalla normativa per l’irragionevole durata del giudizio. La Corte d’Appello negava il risarcimento, ritenendo che l’imputato non avesse subito alcun danno. Prova era che addirittura aveva tratto giovamento dalla durata del procedimento con maturazione della prescrizione alla quale non aveva rinunciato e conseguente estinzione del reato. L’istante presentava allora ricorso in Cassazione contestando la decisione della Corte territoriale. La mancata costituzione in giudizio della parte non equivale al riconoscimento delle tesi avversarie. Due le questioni giuridiche affrontate dalla Suprema Corte e oggetto dei motivi di ricorso svolti dal ricorrente. In primo luogo l’istante ha censurato la sentenza della Corte d’Appello tacciandola di ultra petizione per avere i giudici rigettato la domanda di equa riparazione nonostante il Ministero non si fosse opposto poiché non costituito in giudizio. Su tale aspetto, secondo giurisprudenza pacifica, gli Ermellini hanno ricordato che la mancata costituzione in giudizio della parte non equivale al riconoscimento delle tesi avversarie. Infatti, al pari del silenzio negoziale, essa non equivale ad alcuna manifestazione di volontà favorevole alla pretesa della controparte. La mancata costituzione lascia del tutto inalterato il substrato di contrapposizione su cui si articola il contraddittorio e la parte istante deve dimostrare integralmente le proprie pretese senza poter dedurre alcuna ammissione” dalla contumacia del convenuto. Più interessante è l’esame del secondo motivo di ricorso. La Corte d’Appello ha respinto la domanda di equa compensazione per eccessiva durata del processo escludendo qualsiasi danno non patrimoniale, giacché, in realtà, la lunga durata del processo aveva giovato all’imputato che aveva potuto godere della prescrizione e ottenere nel giudizio penale la relativa sentenza di non luogo a procedere. Sul punto la Cassazione osserva che in tema di equa riparazione, ai sensi della legge 89/2001, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, sebbene non automatica, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo di cui all’art. 6 della CEDU. Pertanto il giudice, una volta accertata la violazione, deve accordare il risarcimento a meno che non ricorrano nel caso concreto circostanze particolari che consentano di escludere che il ricorrente abbia subito un danno Cass. n. 24696/2011 . Tutto sta dunque nel capire se l’assoluzione per prescrizione maturata proprio in virtù della lunghezza del processo consista in una circostanza particolare che esclude il danno non patrimoniale e di conseguenza l’equa riparazione. Sul punto gli Ermellini registrano differenti opinioni giurisprudenziali. Secondo un primo e più risalente indirizzo, l’equa riparazione non può essere esclusa per il semplice fatto che il ritardo nella definizione del processo penale abbia determinato l’estinzione per prescrizione del reato. Al contrario, secondo tale impostazione, bisogna verificare nel caso concreto se la parte ha posto in essere difese dilatorie e pretestuose sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa, ben potendo la prescrizione maturare anche per altri fatti quali l’inerzia delle autorità giudiziarie indipendenti dall’imputato stesso così Cassazione 15449 del 2002 e Cassazione 7808 del 2005 . Secondo un differente orientamento invece, se la lunghezza del processo ha comunque consentito un vantaggio alla parte come appunto nel caso dell’estinzione del reato per prescrizione occorre escludere un danno non patrimoniale tale da integrare l’ipotesi di equa riparazione prevista dalla legge Pinto Cass., n. 10124/2006 . Su questa scia, precisano gli Ermellini, anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Seconda Sezione II con la sentenza 6.3.2012 aveva escluso l’equa riparazione in favore dell’imputato che aveva ottenuto una significativa riduzione della pena in appello per il fatto che il protrarsi del processo aveva portato alla maturazione dei termini di prescrizione. Sulla scorta di tale precedente, la giurisprudenza italiana si è ancora una volta divisa. Secondo Cassazione 14729/2013, richiamando l’orientamento più risalente sopra ricordato, non si può escludere l’equa riparazione ex lege Pinto per il semplice fatto che il ritardo nella definizione del processo penale abbia prodotto l’estinzione per prescrizione del reato addebitato al ricorrente . Secondo invece Cassazione 21051//2012, in simili casi l’equa riparazione non può essere esclusa, ma l’entità del danno non patrimoniale risarcibile può essere sensibilmente ridotta. A questo punto gli Ermellini ritengono indispensabile un ripensamento delle più recenti decisioni, discostandosi dall’arresto della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo anche alla luce delle novità legislative intervenute nel frattempo. Il Legislatore infatti nel 2012 con il Decreto Legge 83 Decreto Sviluppo , in ossequio ai precedenti giurisprudenziali sopra citati, ha deciso di ampliare le tutele offerte dalla legge Pinto e ha espressamente previsto che è esclusa l’equa riparazione nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione solo se questa è connessa a condotte dilatorie della parte. Sebbene tale disposizione normativa si applichi solo alle domande proposte dopo la sua entrata in vigore, la Cassazione, ritenendo che l’intervento legislativo sia comunque ricognitivo di un orientamento giurisprudenziale precedente già diffuso, ha deciso di cassare la decisione della Corte d’Appello nella misura in cui aveva escluso automaticamente l’equa riparazione legata all’intervenuta prescrizione del reato e ha rinviato sempre alla Corte territoriale in diversa composizione al fine di verificare se nel caso concreto l’imputato abbia tenuto una condotta processuale meramente dilatoria nei termini sopra illustrati, poiché solo in questo caso sarà possibile escludere il risarcimento ex lege Pinto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 20 maggio – 29 agosto 2014, n. 18426 Presidente/Relatore Petitti Fatto e diritto Ritenuto che, con ricorso depositato in data 5 luglio 2012 presso la Corte d'appello di Catanzaro, F.R. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dei danni non patrimoniali derivanti dalla irragionevole durata del processo penale a suo carico, iniziato nel 2002 e definito nel 2012 con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione che la Corte territoriale escludeva la sussistenza del lamentato danno non patrimoniale, rilevando che l'imputato, proprio per effetto della lunga durata del processo aveva beneficiato della prescrizione, mentre avrebbe potuto esperire il rimedio della rinuncia alla stessa ai fini dell'accertamento in giudizio della propria innocenza che per la cassazione di questo decreto F.R. ha proposto ricorso affidato a due motivi che l'intimato Ministero ha resistito con controricorso. Considerato che con il primo motivo il ricorrente si duole di violazione o falsa applicazione - ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ. - dell'art. 112 cod. proc. civ., e dunque di error in procedendo, consistente in vizio di ultrapetizione, per avere la Corte di appello rigettato la domanda di equa riparazione nonostante l'intimato Ministero non si fosse opposto in quanto non costituito che con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione di norme di diritto - ex art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. - dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, vizio di motivazione, nonché violazione dell'art. 2697 cod. civ., dolendosi che la Corte d'Appello abbia escluso il danno non patrimoniale pur non avendo l'imputato adottato alcuna strategia difensiva dilatoria o sconfinante nell'abuso del diritto di difesa, e pur non essendo provata l'assenza di patema d'animo cagionato dalla lungaggine processuale che il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto la contumacia del convenuto, di per sé sola considerata, non può assumere alcun significato probatorio in favore della domanda dell'attore, perché, al pari del silenzio in campo negoziale, non equivale ad alcuna manifestazione di volontà favorevole alla pretesa della controparte, ma lascia del tutto inalterato il substrato di contrapposizione su cui si articola il contraddittorio Cass. Sez. 3, dell'11 luglio 2003 n. 10948 che, pertanto, alcun vizio di ultrapetizione può essere ravvisato nella circostanza che l'adita Corte d'Appello abbia rilevato la infondatezza della domanda a prescindere dalla mancata costituzione, e quindi dalla mancata opposizione, dell'intimato che il secondo motivo di ricorso è invece fondato che, in tema di equa riparazione ai sensi della legge n. 89 del 2001, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa - ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione -, il giudice, una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo secondo le norme della citata legge n. 89 del 2001, deve ritenere sussistente il danno non patrimoniale, a meno che non ricorrano, nel caso concreto, circostanze particolari le quali facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente Cass. n. 24696 del 2011 che la questione della incidenza della prescrizione del reato sulla sussistenza del diritto dell'imputato in un procedimento penale a richiedere l'equa riparazione per la irragionevole durata del processo conclusosi con la dichiarazione di prescrizione del reato contestato, ha formato oggetto di discordanti pronunce di questa Corte che, secondo un orientamento risalente della giurisprudenza di legittimità, l'equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, non può essere esclusa per il semplice fatto che il ritardo nella definizione del processo penale abbia prodotto l'estinzione, per prescrizione, del reato addebitato al ricorrente, occorrendo invece apprezzare, ai fini del diniego di accoglimento della relativa domanda, se l'effetto estintivo della prescrizione stessa sia intervenuto o meno a seguito dell'utilizzo, da parte dell'imputato, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell'abuso del diritto di difesa, ben potendo un effetto del genere prodursi, in tutto o almeno in parte e, in questa seconda ipotesi, con valenza preponderante , indipendentemente da simili tecniche e da tali strategie, ovvero dalla reale volontà dell'imputato ed a causa, piuttosto, del comportamento delle autorità procedenti, senza che, in quest'ultimo caso, la mancata rinuncia alla prescrizione ad opera dell'imputato medesimo possa ritenersi di per sé in grado di elidere il danno, patrimoniale o non patrimoniale, conseguente alla durata irragionevole” Cass. n. 15449 del 2002 Cass. n. 7808 del 2005 Cass. n. 17552 del 2006 Cass. n. 23339 del 2010 Cass. n. 24376 del 2011 che, in senso contrario, si è ravvisata una circostanza particolare , idonea a far positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente, nel caso in cui il protrarsi del giudizio risponde ad un interesse della parte, o è comunque destinato a produrre conseguenze che questa percepisce a sé favorevoli, e sia quindi utile per la parte stessa, come nell'ipotesi riscontrata nella specie che il procedimento penale a carico del ricorrente si sia concluso con una declaratoria di estinzione per prescrizione, la cui impugnazione da parte dello stesso ricorrente non assume rilievo, avendo il giudice del merito correttamente collegato il vantaggio derivante dal ritardo nella trattazione del processo alla mancata rinuncia alla prescrizione” Cass. n. 10124 del 2006 che in questa linea deve rilevarsi che la Corte Europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza della II Sezione 6 marzo 2012 resa nel caso Gagliano Giorgi c. Italia, divenuta definitiva il 24 settembre 2012, ha escluso la configurabi1ita di pregiudizi importanti derivanti dalla durata eccessiva del procedimento in considerazione della significativa riduzione della pena ottenuta in appello dall'imputato, in conseguenza, appunto, della maturazione dei termini di prescrizione per il reato, a cui l'imputato non aveva rinunciato che tale decisione ha dato a sua volta luogo ad applicazioni contrastanti, essendosi ritenuto che - l'equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, non può essere esclusa per il semplice fatto che il ritardo della definizione del processo penale abbia prodotto l'estinzione, per prescrizione, del reato addebitato al ricorrente” Cass. n. 14729 del 2013 - l'indennizzo del danno non patrimoniale conseguente all'accertata irragionevole durata del processo penale, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, può essere sensibilmente ridotto in conseguenza della dichiarazione di estinzione del reato in sede di appello per intervenuta prescrizione, trovando conforto tale soluzione interpretativa nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo sentenza resa nel caso Gagliano Giorgi c. Italia del 6 marzo 2012 , che ha, ancor più severamente, escluso la configurabilità di pregiudizi importanti derivanti dalla durata eccessiva del procedimento penale nel caso di riduzione della pena ottenuta in appello dall'imputato, per effetto della maturazione dei termini di prescrizione non rinunciata” Cass. n. 21051 del 2012 - la citata sentenza della II Sezione della Corte Europea dei diritti dell'uomo 6 marzo 2012, resa nel caso Gagliano Giorgi c. Italia, da fondamento al ragionamento dal giudice di merito che - dando del proprio convincimento una motivazione logicamente adeguata ed immune da vizi giuridici - ritenga che il soggetto imputato in un procedimento penale non subisce alcun danno dalla pendenza del procedimento penale, quando questa si risolva a suo vantaggio, in conseguenza della maturazione dei termini di prescrizione per il reato a lui addebitato, a cui lo stesso non abbia rinunciato Cass. n. 2452 del 2014 Cass. n. 10263 del 2014 che, in tale contesto, il Collegio ritiene necessario un ripensamento delle più recenti decisioni che, come ora rilevato, hanno interpretato la portata della sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo come legittimante l'esclusione del diritto all'indennizzo nei caso in cui l'imputato abbia beneficiato della prescrizione per l'effetto dell'irragionevole protrarsi del processo penale che ciò si rende necessario anche in quanto il legislatore nazionale, intervenuto con una nuova disciplina dei giudizi di equa riparazione con decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012, convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 2012, n. 134, e quindi in un momento in cui la sentenza Gagliano Giorgi, di cui si è detto, non era ancora divenuta definitiva, ha sostanzialmente recepito l'orientamento maggioritario espresso sino al 2012 da questa Corte e - in un'ottica di ampliamento della tutela che può leggersi alla luce dell'art. 53 CEDU v. anche Corte cost. n. 317 del 2009 - ha previsto, per le domande di equa riparazione proposte successivamente alla sua entrata in vigore, che non è riconosciuto alcun indennizzo d nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione connessa a condotte dilatorie della parte” che, dunque, per effetto del congiunto operare della giurisprudenza di questa Corte e del legislatore nazionale, deve affermarsi che, in tema di equa riparazione del pregiudizio derivante dalla irragionevole durata del processo, al soggetto che sia stato assoggettato ad un procedimento penale, poi conclusosi con la dichiarazione di prescrizione del reato contestato, l'ordinamento interno offre una tutela più ampia di quella derivante dalla applicazione del principio affermato dalla Corte EDU nella citata sentenza Gagliano Giorgi del 2012 tutela che verrebbe, quindi, posta In discussione e che nelle applicazioni fattene nelle richiamate pronunce di legittimità ed In altre coeve, è In concreto stata esclusa ove la questione del diritto della parte all'equa riparazione venisse esaminata facendo applicazione di quel principio che, quindi, il Collegio, pur se le disposizioni del citato decreto-legge n. 83 del 2012 non sono direttamente applicabili al presente giudizio ratione temporis, ritiene tuttavia che le stesse siano espressive di un orientamento che si era consolidato nella giurisprudenza di questa corte sino al momento della definitività della sentenza Gagliano Giorgi, e che non può essere disapplicato per effetto di una decisione della Corte di Strasburgo che potrebbe condurre alla affermazione di un regime di minor tutela del diritto fondamentale alla ragionevole durata del processo che non potrebbe neanche obiettarsi che la fonte del diritto all'indennizzo per la irragionevole durata del processo è rappresentata dall'art. 6, par. 1, della CEDU, atteso che l'opzione del legislatore italiano, manifestatasi nella richiamata disposizione introdotta dal decreto-legge n. 83 del 2012 - la quale connota in termini prescrittivi per il giudice nazionale la necessità di ancorare l'indennizzo, in caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ad un'indagine sui comportamenti della parte - non vale solo per il futuro, ma attribuisce anche una rinnovata efficacia al precedente orientamento maggioritario della giurisprudenza di questa Corte, tale da imporsi nella definizione dei giudizi che siano sottratti, ratione tenporis, alla diretta applicazione della nuova disciplina che, in conclusione, deve riaffermarsi il principio per cui l'equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole del processo, ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, non può essere esclusa per il semplice fatto che il ritardo nella definizione del processo penale abbia prodotto l'estinzione, per prescrizione, del reato addebitato al ricorrente, occorrendo invece apprezzare, ai fini del diniego di accoglimento della relativa domanda, se l'effetto estintivo della prescrizione stessa sia intervenuto o meno a seguito dell'utilizzo, da parte dell'imputato, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell'abuso del diritto di difesa, ben potendo un effetto del genere prodursi, in tutto o almeno in parte e, in questa seconda ipotesi, con valenza preponderante , indipendentemente da simili tecniche e da tali strategie, ovvero dalla reale volontà dell'imputato ed a causa, piuttosto, del comportamento delle autorità procedenti, senza che, in quest'ultimo caso, la mancata rinuncia alla prescrizione ad opera dell'imputato medesimo possa ritenersi di per sé in grado di elidere il danno, patrimoniale o non patrimoniale, conseguente alla durata irragionevole” che, venendo al caso di specie, risulta evidente che la Corte d'appello di Catanzaro si è discostata dall'indicato principio, atteso che si è limitata a rilevare che l'imputato, per effetto della irragionevole durata del processo penale presupposto, ha beneficiato della prescrizione, mentre avrebbe potuto esperire il rimedio della rinuncia alla stessa ai fini dell'accertamento in giudizio della propria innocenza, omettendo del tutto di verificare se la maturazione della prescrizione del reato sia stata conseguenza di una sua condotta processuale improntata a finalità dilatorie, solo in tal caso potendo trovare giustificazione la conclusione cui è pervenuta la Corte d'appello che, pertanto, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, il decreto impugnato deve essere cassato, con rinvio, per nuovo esame della domanda di equa riparazione, alla Corte d'appello di Catanzaro, in diversa composizione, che si atterrà all'indicato principio di diritto, e che provvederà altresì alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Catanzaro, in diversa composizione.