L'eccezione in senso lato è proponibile, senza preclusioni, anche per la prima volta, nel giudizio d'appello

L'eccezione in senso stretto e l'eccezione in senso lato corrispondono ad un interesse pubblicistico e non privatistico.

L'autorità conferita tanto al giudicato interno quanto al giudicato esterno, non è conferita nell'interesse di una parte privata ma nell'interesse pubblico corrispondente alla certezza del diritto. Quindi, il giudice che si veda prospettare per la prima volta in appello o in Cassazione un'eccezione di giudicato esterno formatosi prima della fine del giudizio di primo grado non la può dichiarare inammissibile, ma deve esaminarla e deciderla nel merito. È quanto emerge dalla sentenza n. 17069/14 della Corte di Cassazione, depositata il 28 luglio scorso. Il caso. Conduttore e locatore stipulavano un contratto di locazione la scrittura veniva registrata soltanto dopo alcuni anni. A fronte della prima stipula le parti si accordavano ed effettivamente aggiornavano il canone di locazione. Il conduttore interrompeva il versamento dei canoni ed il locatore otteneva tre separati decreti ingiuntivi i primi due divenivano esecutivi mentre il terzo veniva opposto. Nel giudizio di cognizione, il tribunale rigettava l'opposizione mentre la corte d'appello dichiarava la nullità dell'accordo con cui le parti avevano concordato l'aumento del canone con conseguente accoglimento dell'opposizione e condanna del locatore a restituire le somme già percepite e da liquidarsi in separato giudizio. Le parti hanno proposto ricorso per cassazione. Termine per proporre eccezione di giudicato esterno. La vicenda de quo è interessata da tre giudizi con medesimo oggetto, i primi due definiti con sentenza ed il terzo è quello culminato nella sentenza in commento. In appello, parte locatrice chiedeva che il giudice tenesse conto che con due sentenze passate in giudicato era stato riconosciuto il suo diritto a percepire il canone concordato in misura maggiore. La corte d'appello rigettava tale eccezione ritenendola tardiva perché formulata solo in appello e non in primo grado quando il giudicato si era già formato. Sul punto la cassazione ha chiarito che l'eccezione di giudicato esterno, nelle controversie disciplinate dal rito del lavoro, è soggetta alla preclusione dell'art. 416 c.p.c. per cui qualora non sollevata con la memoria difensiva tempestivamente depositata, non può essere proposta per la prima volta in appello, a meno che il giudicato sia intervenuto nel corso di tale giudizio di appello. Tuttavia, ricostruendo gli orientamenti giurisprudenziali, i giudici di legittimità hanno chiarito che il regime normale delle eccezioni è quello della rilevabilità d'ufficio, essendo la rilevabilità di parte possibile nelle sole ipotesi previste dalla legge. Tuttavia, rilevata l'eccezione, spetta alla parte interessata versare nel processo i fatti modificativi o estintivi che intende far valere. Eccezioni in senso stretto eccezioni in senso lato. Le eccezioni in senso stretto sono quelle che si identificano nel diritto soggettivo di parte che, a sua volta, potrà decidere se azionare o rinunciare al proprio diritto/eccezione. Conseguentemente l'eccezione in senso stretto è rilevabile ad istanza di parte quando corrisponde ad un diritto soggettivo o quando l'eccepibilità di parte è prescritta dalla legge. Giudicato esterno e giudicato interno. Nel 2001 le S.U. hanno equiparato la disciplina delle eccezioni in senso tecnico con quella delle eccezioni in senso lato ed hanno affermato che l'esistenza di un giudicato esterno non costituisce eccezione in senso tecnico ma è rilevabile in ogni stato e grado, anche d'ufficio, senza che in ciò sia riscontrabile alcuna violazione dei principi del giusto processo. Si richiama la pronuncia n. 24664/2007 S.U. - il giudicato è tamquam ius , quindi il giudicato sopravvenuto formatosi cioè successivamente alla conclusione del giudizio di merito corrisponde a ius superveniens ed agli effetti della sua deducibilità e rilevabilità ex officio nel giudizio di legittimità. Tanto comporta che, nel giudizio di legittimità, per un verso, l'esistenza del giudicato possa essere direttamente rilevata dalla Corte sulla base del materiale acquisito al processo e, per altro, che l'interpretazione del giudicato debba essere coerentemente operata alla stregua della interpretazione delle norme e non di quella degli atti e dei negozi giuridici. Dal che, a sua volta, discende, sempre su un piano di logica e giuridica consequenzialità che - costituendo, a sua volta, l'interpretazione del giudicato operata dal Giudice del merito non un apprezzamento di fatto come presupposto dalle sentenze dissenzienti ma, una quaestio iuris sindacabile, in sede di legittimità, non per il mero profilo del vizio di motivazione, ma nella più ampia ottica della violazione di legge. Per cui si ribadisce il principio il giudice di legittimità può direttamente accertare l'esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice di merito . Termine per proporre l'eccezione di giudicato esterno. L'autorità conferita tanto al giudicato interno quanto al giudicato esterno, non è conferita nell'interesse di una parte privata ma nell'interesse pubblico corrispondente alla certezza del diritto. Quindi, il giudice che si veda prospettare per la prima volta in appello il giudicato formatosi al termine ma comunque prima della fine del giudizio di primo grado non la può dichiarare inammissibile ma deve esaminarla e deciderla nel merito. In ragione di quanto sin qui osservato, la Cassazione ha prima riformato la decisione del giudice d'appello e poi deciso la vicenda rilevando che i fatti decisi dalla sentenza passata in giudicato corrispondono a quelli posti a fondamento della questione rilevata nel processo in commento, quindi, il giudicato interessa anche il presente giudizio. La S.C. ha così deciso nel merito, rigettando l'opposizione formulata dal conduttore contro il decreto ingiuntivo e confermato la condanna a pagare i canoni maggiorati.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 23 maggio – 28 luglio 2014, numero 17069 Presidente Segreto – Relatore Rubino Svolgimento del processo S.V. , locatore, concluse nel 2002 un contratto di locazione privo di data registrato il 28.11.2002 con So.Al. , conduttore, al canone annuo indicato in contratto di Euro 1.800,00. Le parti sottoscrissero poi una distinta scrittura privata in cui si dava atto che il canone mensile sarebbe stato elevato ad Euro 516,00 dal dicembre 2003 la scrittura, datata 20.12.2002, venne registrata solo in data 21.6.2004. Il locatore a fronte dell'inadempimento del conduttore chiese ed ottenne nei suoi confronti un primo decreto ingiuntivo non opposto, poi un secondo decreto ingiuntivo relativo al mancato pagamento di canoni di locazione, alcuni dei quali successivi al dicembre 2003 e quindi integrati nella misura di Euro 516,00 al mese e di altre spese a carico del conduttore, decreto opposto per nullità della scrittura integrativa, la cui opposizione venne rigettata dal Tribunale di Agrigento con sentenza numero 328 del 2005, non impugnata e passata in giudicato in data 31.7.2005. Quindi il S. ottenne nei confronti del So. un terzo decreto ingiuntivo, relativo all'omesso pagamento dei canoni integrati di giugno, luglio e agosto 2004 anch'esso opposto deducendo la nullità sotto svariati profili della scrittura privata integrativa con la quale veniva aumentato il canone di locazione, opposizione rigettata in primo grado con la stessa motivazione della precedente. Il So. propose appello e la Corte d'Appello di Palermo, con la sentenza impugnata, riformava la sentenza di primo grado dichiarando la nullità della scrittura privata aggiuntiva conclusa tra le parti in data 20.12.2012 e conseguentemente dell'aumento del canone di locazione ivi previsto, per violazione dell'art. 13 della legge numero 431 del 1998, dichiarando anche il diritto del So. alla restituzione delle somme indebitamente corrisposte al S. , da liquidarsi in separata sede. La corte d'appello giungeva a tale conclusione rigettando preliminarmente l'eccezione di giudicato esterno formulata in quella sede dal S. ritenendola tardiva, essendo stata proposta solo in appello benché il giudicato si fosse formato nel corso del giudizio di primo grado, dopo la scadenza del termine per le memorie difensive ma prima del deposito delle note autorizzate conclusionali, depositate il 19.10.2005, e prima della discussione. L'avv. S.V. propone ricorso per la cassazione della sentenza numero 995 del 2007, depositata dalla Corte di Appello di Palermo in data 22.11.2007 nei confronti di So.Al. , articolato in cinque motivi. Il So. , regolarmente intimato, non ha svolto attività difensive. La parte ricorrente non ha depositato memorie. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso il S. lamenta che la corte d'appello abbia erroneamente ritenuto tardiva l'eccezione con la quale il locatore aveva dedotto per la prima volta in appello che identica questione relativa allo stesso rapporto contrattuale - ovvero la questione relativa alla validità o meno della scrittura privata integrativa che elevava la misura del canone pattuito nel contratto di locazione tra il S. e il So. ad Euro 516,00 al mese - fosse stata già decisa con la sentenza numero 328/2005 del Tribunale di Agrigento, passata in giudicato. Il ricorrente osserva che, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza e da autorevole dottrina, l'eccezione di giudicato esterno non sarebbe configurabile come eccezione in senso stretto ma in senso lato, rilevabile anche ex officio in ogni stato e grado. Rileva anche che il giudicato è stato segnalato in appello, quando si è venuti a conoscenza del passaggio in giudicato della sentenza precedente e si è stati in grado di produrre la sentenza ormai definitiva. Con il secondo motivo, sempre relativo alla questione pregiudiziale della proponibilità in appello della avvenuta formazione del giudicato esterno sulla stessa questione oggetto del giudizio, il ricorrente chiede alla Corte se essa possa rilevare d'ufficio il giudicato esterno sulla questione, non avendo la corte d'appello ritenuto di esaminare nel merito la questione. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 13 comma 1 della legge numero 431 del 1998, avendo la corte d'appello ritenuta nulla la controdichiarazione che elevava il canone di locazione originariamente pattuito, sostenendo che sia uso costante accompagnare i contratti con una controscrittura che eleva il canone, e che una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 13 della legge 431 del 1998 dovrebbe condurre ad affermare la validità della pattuizione con la quale si eleva l'importo del canone pattuito in origine, anche se registrata successivamente al contratto di locazione. Anche con il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 13 della legge numero 431 del 1998 evidenziando che la corte d'appello ha ritenuto nulla la scrittura privata integrativa sia perché tardivamente registrata, sia perché ha comportato durante il rapporto un aumento del canone, mentre la stessa legge ha abrogato i limiti preesistenti alla misura del canone. Infine, con il quinto motivo, il ricorrente lamenta l'omessa insufficiente ed erronea motivazione della sentenza impugnata laddove il giudice ha ritenuto di non ammettere le prove richieste dando per accertato un fatto in realtà controverso ovvero quando fu sottoscritta la scrittura integrativa, e se conduttore avesse soltanto firmato un foglio in bianco all'epoca della stipula del contratto, e in questo caso se il S. riempì il foglio contro o secondo i patti. I primi due motivi devono essere esaminati congiuntamente, in quanto relativi alla medesima questione, che può così sintetizzarsi è ammissibile o deve essere ritenuta tardiva come ha affermato, nella specie, la corte d'appello l'eccezione di giudicato esterno, maturatosi prima del termine del giudizio di primo grado, dedotta per la prima volta in appello contestualmente alla produzione della sentenza munita dell'attestazione del passaggio in giudicato?. Essi vanno accolti, in quanto è errata l'affermazione della corte d'appello secondo la quale l'eccezione di giudicato esterno formulata solo in appello non sarebbe esaminabile essendo tardiva. In particolare, la corte territoriale nella sentenza impugnata afferma che l'eccezione di giudicato esterno, nelle controversie soggette al rito del lavoro, è soggetta alla preclusione di cui all'art. 416 c.p.comma per cui qualora non sollevata con la memoria difensiva tempestivamente depositata, non può essere proposta per la prima volta in appello, a meno che il giudicato sia intervenuto nel corso di tale giudizio di appello. Nel caso che ci occupa, la sentenza era divenuta irrevocabile il 31.7,2005, ossia nel corso del giudizio di primo grado, conclusosi con la sentenza oggetto del presente gravame, emessa il 19.10.2005, ma l'eccezione di giudicato non era stata sollevata neppure con le note autorizzate depositate il 19.10.2005. Ne consegue che detta eccezione non può essere sollevata per la prima volta in questo grado del giudizio e va dichiarata inammissibile ”. Per la risoluzione della controversia in esame occorre avere contezza del fatto che essa involge problematiche sicuramente connesse, ma soltanto in parte coincidenti. In particolare, essa coinvolge 1. - la problematica della distinzione, sotto il profilo della rilevabilità anche d'ufficio, delle eccezioni in senso stretto e in senso lato 2. - la problematica della riconducibilità o meno della eccezione di giudicato esterno all'interno della categoria delle eccezioni in senso lato 3. - l'evoluzione giurisprudenziale in merito al rapporto tra il regime delle preclusioni, delle allegazioni e delle prove e le eccezioni in senso lato e i suoi attuali confini nonché le sue prospettive future 4. - le peculiarità della eccezione di giudicato all'interno della categoria delle eccezioni in senso lato, all'interno della quale essa si pone incontestatamente dal 2001 in poi a seguito della pronuncia a sezioni unite numero 226 del 2001, della quale si dirà tra breve 5. - le conseguenze che, ai fini della applicabilità o meno delle regole sulla prova al giudicato, discendono da tali peculiarità. Fin dalla sentenza a sezioni unite numero 1099 del 1998 questa Corte ha affermato, recependo quanto affermato da una autorevole dottrina, che il regime normale delle eccezioni è quello della rilevabilità d'ufficio, ed ha confinato l'ambito della rilevabilità ad istanza di parte ai casi previsti dalla legge e alle ipotesi in cui l'eccezione si coordina con un'azione costitutiva es. azione di annullamento . Da allora si sono avuto alcuni significativi arresti giurisprudenziali che hanno ricondotto alla categorie delle eccezioni in senso lato svariate ipotesi controverse per ricordare solo gli interventi a sezioni unite, prima tra tutte la sentenza S.U. numero 226 del 2001 sulla eccezione di giudicato, poi la sentenza S.U. numero 15661 del 2005 sulla eccezione di interruzione della prescrizione - questione non del tutto sopita nonostante l'intervento a sezioni unite - e da ultimo l'ordinanza interlocutoria delle Sezioni Unite numero 10531 del 2013 sulla eccezione di accettazione con beneficio di inventario . Tuttavia, la sentenza numero 1099 del 1998 affermava che la rilevabilità d'ufficio delle eccezioni fosse pur sempre soggetta al regime della tempestiva allegazione e prova del fatto estintivo, modificativo o impeditivo a cura della parte interessata, mantenendo distinti il potere di allegazione dei fatti, che compete solo alla parte, dal potere di rilevazione del giudice. Nel 2001, le Sezioni Unite, chiamate a risolvere il contrasto di giurisprudenza relativo alla riconducibilità della eccezione di giudicato esterno alla categoria delle eccezioni in senso lato, lo hanno in primo luogo risolto in senso affermativo, superando l'orientamento fino ad allora assolutamente maggioritario nella giurisprudenza di legittimità, che tendeva a distinguere tra giudicato interno e giudicato esterno, e a ricondurre il solo giudicato interno tra le eccezioni in senso lato. Tale mutamento ha evidentemente tenuto in considerazione le opinioni manifestate dalla dottrina che in assoluta maggioranza e con una sola significativa eccezione affermava che il giudicato esterno, come quello interno, potesse essere rilevato anche d'ufficio, in ogni stato e grado del procedimento autorevoli voci avevano affermato recisamente, prima dell'arresto delle Sezioni Unite, che la distinzione tra giudicato interno e giudicato esterno non aveva alcun fondamento, in quanto il nostro diritto conosce solo una specie di giudicato, quella disposta dagli artt. 324 c.p.comma e 2909 c.c., e gli effetti che gli sono propri si manifestano in modo uniforme dentro e fuori del processo in cui si è formato . Dopo questa sentenza, della natura di eccezione in senso lato della eccezione di giudicato esterno non si è ulteriormente dubitato trattasi ormai di principio consolidato, riportato come tale nell'archivio CERTALEX Sez. 6 - 1 , Ordinanza numero 12159 del 06/06/2011 L'esistenza di un giudicato, anche esterno, non costituisce oggetto di eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile in ogni stato e grado anche d'ufficio, senza che in ciò sia riscontrabile alcuna molazione dei principi del giusto processo. Principio affermato ai sensi dell'art. 360-bis, primo comma, cod.proc.civ. . Nel far ciò, la Corte dava seguito al principio già affermato da Cass. numero 1099 del 1998 secondo il quale nel nostro ordinamento vige il principio della rilevabilità di ufficio delle eccezioni, derivando invece la necessità dell'istanza di parte solo dall'esistenza di una eventuale specifica previsione normativa, e ne traeva la conseguenza che l'esistenza di un giudicato esterno, fosse, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio. Essa tuttavia superava la posizione precedente in punto di onere di allegazione affermando che il rilievo dell'esistenza di un giudicato esterno non è subordinato ad una tempestiva allegazione dei fatti costitutivi dello stesso, i quali non subiscono i limiti di utilizzabilità rappresentati dalle eventualmente intervenute decadenze istruttorie, e la stessa loro allegazione può essere effettuata in ogni stato e fase del giudizio di merito e che il giudice è tenuto a pronunciare sulla stessa qualora essa emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Nel successivo intervento di Cass. numero 15661 del 2005 sul tema della eccezione di interruzione della prescrizione, la Corte ribadiva che nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell'eccezione corrisponde all'esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l'efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale ne faceva discendere che l'eccezione di interruzione della prescrizione integra un'eccezione in senso lato e non in senso stretto e, pertanto, può essere rilevata d'ufficio dal giudice sulla base di elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti, escludendo nel caso specifico che la rilevabilità ad istanza di parte potesse giustificarsi in ragione della normale rilevabilità soltanto ad istanza di parte dell'eccezione di prescrizione, non avendo fondamento di diritto positivo assimilare al regime di rilevazione di una eccezione in senso stretto quello di una controeccezione, qual è l'interruzione della prescrizione. In continuità con le affermazioni contenute in S.U. numero 226 del 2001 si pone anche il successivo intervento a Sezioni Unite, con cui la Corte, con sentenza numero 13196 del 2006, ha confermato il su enunciato principio della rilevabilità anche d'ufficio del giudicato esterno in ogni stato e grado del giudizio estendendone l'applicabilità al giudizio di cassazione, superando il limite della non deducibilità in cassazione di questioni nuove ed estendendo di conseguenza anche al giudizio di cassazione la possibilità di produrre la sentenza da cui risulta il giudicato, ritenendo in questo caso superabile la preclusione di cui all'art. 372 cod. procomma civ., che vieta nel giudizio di legittimità il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l'ammissibilità del ricorso e del controricorso la massima di Cass. S.U. numero 13916 del 16/06/2006, richiamata da S.U. n 24664 del 28/11/2007 e da S.U. numero 11501 del 09/05/2008 così recita Nel giudico di cassazione, l'esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell'ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, e ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola dei caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem, corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all'attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall'art. 372 cod. procomma civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudico di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato questi ultimi d'altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula iuris alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l'ammissibilità del ricorso. In produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l'impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all'udienza di discussione prima dell'inizio della relazione qualora la produzione abbia luogo oltre il termine stabilito dall'art. 378 cod. procomma civ. per il deposito delle memorie, dovendo essere assicurata la garanzia del contraddittorio, la Corte, avvalendosi dei poteri riconosciutile dall'art. 384, terzo comma, cod. procomma civ., nel testo modificato dal d.lgs. 2006, numero 40, deve assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito in cancelleria di eventuali osservazioni . Emerge dalla ricostruzione fin qui operata che uno dei profili più delicati in generale in relazione al tema delle eccezioni rilevabili d'ufficio, ed in merito al quale la dottrina non ha ritenuto pienamente chiarificatore l'intervento del 2001, concerne i rapporti tra eccezione, allegazione e prova, in riferimento in particolare all'ipotesi oggi in esame del giudicato maturatosi prima nel nostro caso, al termine del giudizio di primo grado ed allegato dopo dalla parte, a preclusioni già maturate nel nostro caso, dedotto per la prima volta in appello ed, in particolare, quali conseguenze discendessero dalla affermazione che la rilevabilità d'ufficio del giudicato o delle altre eccezioni in senso lato consentisse di non tener conto delle preclusioni eventualmente maturate sotto il profilo della prova del fatto giudicato e come si dovesse intendere l'affermazione giurisprudenziale secondo la quale il giudice può comunque pronunciarsi sul giudicato qualora l'esistenza di esso emerga da atti comunque prodotti nel corso del giudizio di merito. Il quadro complessivo è stato arricchito e reso maggiormente problematico dalle due pronunce a sezioni unite con le quali nel 2005 questa Corte, con le sentenze numero 8202, per il rito del lavoro, e 8203, per il rito ordinario, ha in linea di principio vietato la possibilità di produrre documenti in appello, equiparando prove costituende e prove costituite i documenti sotto il profilo delle preclusioni. Questo arresto giurisprudenziale è stato recepito e fatto proprio dalla evoluzione normativa. Dapprima la legge 18 giugno 2009, numero 69, in vigore dal 4 luglio 2009 ha lasciata intatta la rilevabilità per la prima volta in appello di nuove eccezioni, purché rilevabili d'ufficio art. 345, secondo comma, c.p.c. , ma ha normato il divieto, di creazione giurisprudenziale, di produrre nuovi documenti in appello art. 345, terzo comma, c.p.c. successivamente il d.l. 22 giugno 2012 numero 83, convertito in legge 7 agosto 2012 numero 134 ha soppresso il riferimento alla possibilità di ammettere in appello le prove ritenute indispensabili, di modo che sono ammessi ora solo nuovi mezzi di prova e documenti che la parte dimostri di non aver potuto produrre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Le due sentenze da ultimo citate hanno portato inoltre, in materia di diritto del lavoro, ad alcune pronunce in cui si è affermato che a fronte di una eccezione in senso lato nella specie, l'eccezione di interruzione della prescrizione sollevata per la prima volta in appello, è preclusa alla parte avente interesse la facoltà di produrre per la prima volta in appello il documento attestante l'avvenuta interruzione, ove una qualche prova in merito non sia stata acquisita né il fatto interruttivo sia stato allegato in primo grado per il principio di tempestività di allegazione della sopravvenienza così tra le altre Cass. numero 2035 del 2006, Cass. numero 13783 del 2007. Il più recente intervento a sezioni unite sul tema delle eccezioni in senso lato Cass. S.U. numero 10531 del 2013 ha affrontato un problema parzialmente diverso da quello affrontato in questa sede ovvero il problema della rilevabilità d'ufficio dell'eccezione in senso lato che si fondi su risultanze, pur non prodotte dalla parte interessata ma comunque disponibili negli atti di causa in quanto provenienti da produzioni dello stesso attore o di altri convenuti o da esiti di consulenza tecnica o da dichiarazioni spontanee di testimoni , ed ha ribadito, dando continuità all'orientamento insito nelle citate sentenze del 2001 e del 2005, la correttezza della tesi che ammette la possibilità di rilevare d'ufficio le eccezioni in senso lato anche in appello purché risultino documentate ex actis , indipendentemente da una specifica allegazione della parte. Le S.U. sottolineano che questa e solo questa era la circoscritta materia loro sottoposta, e che in particolare non era stato chiesto loro anche di pronunciarsi sulla possibilità di articolare nuovi mezzi di prova e produrre documenti allorquando la parte faccia valere oltre il limite delle preclusioni istruttorie, o in appello, eccezioni rilevabili d'ufficio o il giudice rilevi tardivamente tali questioni. E tuttavia esse spendono significative ulteriori considerazioni sul tema, recependo le suggestioni di una autorevole dottrina, e segnalando il percorso interpretativo auspicabile, con i passaggi che possono essere di seguito sintetizzati - la rilevabilità d'ufficio delle eccezioni in senso lato, con la loro ampia nozione, è posta in funzione di una concezione pubblicistica del processo che fa leva sul valore di giustizia della decisione - le preclusioni operano su un piano distinto, essendo essenzialmente delle regole per disciplinare l'attività delle parti all'interno del processo qualora si ritenesse che le eccezioni in senso lato siano soggette alle regole di allegazione e prova, la distinzione tra eccezioni in senso stretto ed in senso lato diverrebbe di modesto rilievo. Per cui ribadiscono che deve essere ammessa in appello la rilevabilità delle eccezioni in senso lato, che ha senso preminente quando è basata su allegazioni nuove, valutabili quantomeno se già documentate ex actis . Concludono sul punto affermando che il regime delle eccezioni è in funzione del valore primario del processo costituito dalla giustizia della decisione e non deve essere dato spazio a un effetto contrario, che si verificherebbe se ogni questione, anche per sua natura rilevabile d'ufficio, fosse sottoposta ai limiti preclusivi di allegazione e prova a cura di parte, che sono esposti dalla tesi che si intende definitivamente superata . All'inizio della motivazione di accoglimento del primo e secondo motivo di ricorso, si era premesso che la risoluzione della controversia passava attraverso l'esame di cinque questioni, connesse ma solo in parte coincidenti. Ricostruito il quadro relativo ai primi tre profili, residuano da affrontare gli ultimi due, che sono quelli più direttamente legati alla questione da risolvere con la controversia in esame, che può così sintetizzarsi qualora una eccezione di giudicato esterno, maturatosi prima del termine del giudizio di primo grado, venga dedotta per la prima volta in appello contestualmente alla produzione della sentenza munita dell'attestazione del passaggio in giudicato, tale eccezione è ammissibile o può essere ritenuta tardiva? Tanto ha affermato nella specie, la corte d'appello come sopra riportato, il locatore aveva infatti dedotto solo all'inizio del giudizio di appello che era passata in giudicato, poco prima della conclusione del primo grado, una sentenza che aveva definito rigettandola altra controversia destinata ad influire come giudicato esterno su quella in esame, il tutto senza dedurre di non aver potuto produrre il documento in precedenza per causa non imputabile e senza chiedere di essere rimesso in termini. Si trattava di altra opposizione a decreto ingiuntivo, tra le stesse parti, per lo stesso rapporto di locazione, in cui il conduttore aveva dedotto come nella controversia in esame la nullità della scrittura integrativa con la quale le parti avevano pattuito un significativo aumento del canone di locazione rispetto a quanto previsto nel contratto originario. Gli aspetti motivazionali ancora da affrontare sono relativi alle peculiarità della eccezione di giudicato all'interno della categoria delle eccezioni in senso lato, all'interno della quale essa si pone incontestatamente dal 2001 in poi, e le conseguenze che, ai fini della applicabilità o meno delle regole sulla prova al giudicato, discendono da tali peculiarità. È bene puntualizzare preliminarmente che, ferma la rilevabilità d'ufficio del giudicato esterno, i problemi interpretativi più cospicui si pongono non per le ipotesi di giudicato formatosi successivamente al maturare delle preclusioni o nel corso del secondo grado di giudizio in questo caso infatti ad una parte che voglia far valere un giudicato formatosi successivamente non può validamente opporsi alcuna preclusione processuale maturata in una fase anteriore alla formazione di esso. Il problema si pone, piuttosto, per il giudicato formatosi prima e dedotto dopo, come nel nostro caso. Sia in primo grado, che in appello, che in cassazione, le preclusioni non possono valere che per fatti preesistenti, non possono darsi rispetto a fatti sopravvenuti Cass. numero 13916 del 2006 ha ritenuto che non sì applichino in caso di giudicato sopravvenuto i limiti strettissimi per la produzione documentale in cassazione fissati dall'art. 372 cod. procomma civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato in questi casi si porrà soltanto un problema di corretta informazione delle parti, ovvero di contraddittorio. Il problema come si diceva si pone principalmente riguardo al giudicato formatosi in data anteriore al maturare della preclusione processuale e fatto valere successivamente, come si è verificato nel caso in esame. La questione va risolta positivamente, nel senso che il giudice che si veda prospettare per la prima volta in appello una questione di giudicato esterno formatosi al termine ma comunque prima della fine del giudizio di primo grado non la può dichiarare inammissibile, ma al contrario ne deve esaminare nel merito la fondatezza. Ciò perché, richiamando le affermazioni cui è pervenuta già Cass. numero 226 del 2001, in primo luogo l'esistenza di un giudicato esterno non costituisce materia di eccezione in senso stretto ma è questione rilevabile anche d'ufficio dal giudice, in ogni stato e grado del processo, che non è soggetta al regime delle preclusioni e di conseguenza non è soggetta all'onere di tempestiva allegazione del fatto - giudicato. A ciò deve aggiungersi che il giudicato, all'interno dell'ormai vasto e variegato panorama delle eccezioni in senso lato, che sono ormai come si è detto, per consolidata interpretazione giurisprudenziale, la regola, presenta alcune indubbie caratteristiche sue proprie. Non fa parte dell'oggetto della controversia verificare se queste caratteristiche, e le conseguenze che ne discendono, siano predicabili all'intera eterogenea categoria delle eccezioni in senso lato. L'autorità del giudicato sia interno che esterno è riconosciuta non nell'interesse del singolo soggetto che lo ha provocato, ma nell'interesse pubblico, essendo essa destinata a esprimersi - nei limiti in cui ciò sia concretamente possibile - nei confronti dell'intera comunità. L'accertamento della esistenza di un giudicato esterno sulla stessa questione o su una delle questioni dedotte in giudizio dalle parti è questione superiore all'interesse delle parti stesse e che da esso può anche prescindere e pertanto non può sottostare alle ordinarie regole sulla tempestività delle allegazioni, perché corrisponde al superiore interesse pubblico di evitare incertezze e prevenire la formazione di giudicati contrastanti. Ciò è frutto della evoluzione storica del fondamento dell'istituto si può ricordare che per lungo tempo si è identificato il fondamento dell'istituto del giudicato nella sottomissione delle parti alla pronuncia del giudice, e si considerava che il giudicato fosse correlato all'interesse delle parti alla sicurezza dei loro diritti l'impedimento al nuovo giudizio era perciò subordinato alla eccezione del convenuto exceptio rei indicatae vel in iudicium deductaè mentre nel diritto moderno si è affermato il superiore interesse generale alla certezza del comando giuridico e di conseguenza si è sottratta la materia del giudicato alla disponibilità delle parti, per farne tema di rilievo pubblicistico. Come afferma autorevole dottrina, nella stessa misura in cui la giurisdizione è considerata una delle funzioni fondamentali dello Stato, si afferma anche l'esigenza che essa comporti risultati stabili e duraturi e possa conseguire così i suoi fini di utilità sociale. Il valore della cosa giudicata si concreta nell'inserire tra le norme di diritto e la fattispecie il precetto che d'ora innanzi vincolerà parti, aventi causa ed eredi delle medesime, per modo che costoro applicheranno non più delle norme di diritto, ma il precetto che il giudice, a definizione del processo, ha dettato. Da tutto ciò emerge chiaramente che il fatto giudicato non è un qualsiasi fatto storico che sottosta al principio di allegazione e di prova della pretesa della parte ma è assimilabile ad un fatto normativo ed il documento che lo incorpora di conseguenza non sottosta alle preclusioni dettate per i documenti che costituiscono prova del fatto a fondamento della pretesa del privato. Come più volte affermato sia da questa Corte che dalla migliore dottrina, si tratta di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem , corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione in questo senso Cass. S.U. numero 13916 del 2006 . Come diceva già negli anni trenta del secolo scorso una autorevole dottrina che approfondì ai massimi livelli lo studio del giudicato, Il giudicato ha cessato da tempo di far parte delle prove . Questa Corte ha già avuto modo di affermare che l'esistenza di un giudicato, anche esterno, non costituisce oggetto di eccezione in senso tecnico, ma è rilevabile in ogni stato e grado anche d'ufficio, senza che in ciò sia riscontrabile alcuna violazione dei principi del giusto processo Cass. numero 12159 del 2011,il cui principio è inserito nell'archivio CERTALEX come principio consolidato . Da tutto ciò inevitabilmente consegue che la questione della prova del fatto storico del giudicato, ovvero della tempestività o meno della produzione del documento attestante la formazione del giudicato, ovvero della copia della sentenza recante l'attestazione dell'avvenuto passaggio in giudicato è sottratta alla materia delle prove e al controverso problema dei limiti della prova documentale in appello. Pertanto alla questione in esame non si riferiscono gli arresti a sezioni unite numero 8202 ed 8203 del 2005 né i recenti interventi legislativi di cui sopra. Impregiudicata la soluzione al complesso problema della soggezione o meno alle preclusioni in tema di prova delle questioni che siano materia di eccezioni in senso lato, in relazione al quale la recente pronuncia a S.U. numero 10531 del 2013, il cui contenuto è stato sopra più diffusamente illustrato, ha inserito significative considerazioni, non si vuole peraltro assolutamente affermare che all'affermazione dell'esistenza del giudicato possa arrivarsi attingendo alla scienza privata del giudice, ovvero facendo uso di un documento che non è nel processo o che non è stato in esso ritualmente prodotto. Al contrario, si vuole ribadire l'esattezza, e la predicabilità anche al caso di specie della ripetuta affermazione per cui possono essere esaminate anche d'ufficio eccezioni in senso lato che risultino documentate ex actis con la precisazione che in riferimento alla eccezione di giudicato esterno, per le peculiarità del giudicato che si è cercato di illustrare, tale affermazione deve intendersi nel senso che il documento attestante l'esistenza del giudicato non deve necessariamente sottostare, per poter essere preso in considerazione, al rispetto delle scadenze fissati dalle preclusioni per le produzioni documentali, ma deve pur sempre essere stato prodotto ritualmente, ovvero prodotto da una delle parti in uno dei modi consentiti dalla legge e sottoposto in tal modo al contraddittorio. Il giudicato infatti, per quanto sia assimilabile agli elementi normativi, non è un comando giuridico astratto, non è ius ma tamquam ius rispetto ad esso il giudice non ha un obbligo di conoscenza come nei confronti della norma giuridica né un potere di acquisizione sottratto alle regole del processo è necessario quindi che, anche in questo particolare caso, venga rispettata la pienezza del contraddittorio, e che quindi la decisione del giudice sulla questione del giudicato esterno sia adottata senza prescindere dalla rituale produzione della sentenza, che deve invece in ogni caso sussistere, negli stretti termini in cui essa è necessaria per garantire il principio del contraddittorio su tale documento. Infatti, non essendo ammessa nel processo la scienza privata del giudice, e dovendo essere in ogni caso da questi sollecitata l'attenzione e la discussione delle parti sulle questioni decisive per il giudizio, non sarebbe rituale prendere in considerazione, neppure ai fini della valutazione d'ufficio di un eventuale giudicato esterno, una sentenza materialmente presente all'interno di uno dei fascicoli di parte ma non menzionata dalle parti o comunque una sentenza sulla quale non sia stato, in ogni caso, sollecitato il contraddittorio da parte del giudice in relazione ad una ipotesi di formazione del giudicato esterno dopo la precisazione delle conclusioni in appello la Corte ha ritenuto, con sentenza numero 27906 del 2011, che essa debba essere esaminata, e che a questo scopo il giudice debba rimettere la causa in istruttoria per consentire alla parte che l'ha sollevata la produzione del documento, ed all'altra parte di interloquire . Nella fattispecie in esame, la produzione eseguita nel corso del giudizio di appello risulta rituale e risulta patimenti rispettato il requisito di ammissibilità indicato dall'art. 366 comma 1, numero 6 c.p.comma ai fini del giudizio di cassazione. Infatti nel ricorso si indica che il documento era stato prodotto in appello come docomma 13, e inoltre si produce il verbale della udienza di appello nel corso del quale la sentenza era stata prodotta, e di seguito la sentenza stessa. Alle precedenti considerazioni consegue che i primi due motivi di ricorso vanno accolti, in quanto è errata l'affermazione della corte d'appello secondo la quale l'eccezione di giudicato esterno formulata solo in appello e documentata con un documento ivi prodotto per la prima volta non sarebbe stata esaminabile in quanto tardiva. La sentenza impugnata va quindi cassata, e, poiché deve ritenersi che il giudicato attenga agli elementi normativi del giudizio, questa Corte può procedere direttamente a verificare l'avvenuta formazione di un precedente giudicato esterno con poteri di cognizione piena, mediante la diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali. Questa Corte quindi può e deve procedere direttamente a valutare se con la sentenza numero 328 del 2005 del Tribunale di Agrigento, passata in giudicato il 31.7.2005, prodotta solo in appello, si sia formato effettivamente un giudicato esterno vincolante ai fini del presente giudizio, ovvero se la questione dedotta e decisa in quel giudizio fosse la stessa questione sottoposta alla decisione del giudice in questo giudizio a proposito dei poteri della Corte di legittimità a fronte di una eccezione di giudicato esterno, v. Cass. S.U. numero 24644 del 2007, secondo la quale Posto che il giudicato va assimilato agli elementi normativi, cosicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell'esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi, ne consegue che il giudice di legittimità può direttamente accertare l'esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice di merito . Risolta la questione preliminare sulla ammissibilità occorre cioè individuare, ai fini della decisione nel merito, se effettivamente esista un giudicato esterno che preclude di compiere un nuovo esame nel merito della fondatezza o meno della questione controversa, ovvero se nell'altra causa l'oggetto della decisione sulla quale si è formato il giudicato fosse la stessa questione che è oggetto della decisione in questa causa, non essendo sufficiente allo scopo che in riferimento ad un contratto di durata come il contratto di locazione, una precedente opposizione a decreto ingiuntivo emesso per alcuni canoni di locazione non pagati sia stata rigettata in ipotesi per motivi differenti da quello qui in contestazione. Tale lavoro interpretativo deve essere compiuto facendo applicazione, in via analogica, dei canoni ermeneutici prescritti dagli artt. 12 e seguenti disp. prel. cod. civ., in ragione dell'assimilabilità del giudicato interno ed esterno per natura ed effetti agli atti normativi, secondo l'esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici , al pari della sentenza rescindente, in quanto dotati di vis imperativa e indisponibilità per le parti ne consegue che la predetta interpretazione si risolve nella ricerca del significato oggettivo della regola o del comando di cui il provvedimento e portatore in questo senso v. Cass. S.U. numero 11501 del 2008 . Bisogna quindi verificare — sulla base dei documenti prodotti e delle allegazioni del ricorrente v. Cass. numero 28247 del 2013 - quale fosse l'oggetto della opposizione a decreto ingiuntivo passata in giudicato, — se solo la tardiva registrazione, se l'abuso di biancosegno o se in generale la validità della scrittura privata integrativa del contratto di locazione, con la quale veniva pattuito un canone ben maggiore rispetto a quello originario, in violazione dell’art. 13 della legge numero 431 del 1998, perché solo l'avvenuta formazione del giudicato su quest'ultima questione sarebbe decisivo ai fini di questa causa. Il ricorrente riproduce, allo scopo di consentire alla Corte una piena valutazione in ordine alla fondatezza o meno della eccezione di giudicato esterno, non soltanto la sentenza passata in giudicato, ma anche Tatto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo che ha introdotto il giudizio definito con la sentenza numero 328 del 2005. Dalla lettura dell'atto di citazione si individua che con esso il So. , conduttore, chiedeva si revocasse il decreto che gli ingiungeva di pagare, per alcuni mesi, la differenza tra la somma originariamente pattuita e l'importo più elevato pattuito con la scrittura integrativa sia per l'indeterminatezza della somma richiesta, sia per la nullità della controdichiarazione, per contrarietà della stessa all'art. 13 della legge numero 431 del 1998 che prevede la nullità, perché contraria alla legge, dei patti con i quali le parti attribuiscono al locatore un canone maggiore di quello risultante nel contratto scritto e registrato, sia perché inizialmente l'accordo prevedente la maggiorazione del canone era stato raggiunto oralmente, in quanto solo successivamente il locatore provvedeva a riempire comunque in conformità ai patti il foglio firmato in bianco dall'opponente, che costituiva quindi controdichiarazione unilaterale rispetto al contratto di locazione del 28.11.2002 e a registrare la scrittura privata. La sentenza di opposizione a decreto ingiuntivo passata in giudicato rigetta integralmente l'opposizione sotto ogni profilo, anche se focalizza l'attenzione, in motivazione, soprattutto sul fatto che la scrittura integrativa fosse priva di registrazione, affermando che l'art. 13 non associa alcuna sanzione di nullità alla mancata registrazione di un accordo ulteriore intercorso tra le parti rispetto all'originario contratto di locazione. Deve ritenersi che, poiché la sentenza numero 328 del 2005 ha integralmente rigettato l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta come si è detto in relazione a molteplici profili di nullità della pattuizione integrativa del contratto di locazione tra S. e So. , si sia ormai formato il giudicato in ordine alla validità della scrittura privata integrativa con la quale si conveniva un canone di locazione superiore rispetto a quello originario, essendole stati sottoposti dal conduttore opponente, a vagliati dal giudice di merito che ha rigettato l'opposizione, tutti i possibili profili di invalidità. Si può allo scopo aggiungere che il giudicato si forma non soltanto su ciò che la sentenza espressamente afferma o nega ma anche sulle questioni e gli accertamenti che rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico-giuridico ineludibile della pronuncia, che si ricollegano cioè in modo indissolubile alla decisione formandone l'indispensabile presupposto, necessariamente esaminati dal giudice per giungere ad una determinata conclusione anche se poi non ne abbia dato conto diffusamente nei passaggi motivazionali v. Cass. numero 16824 del 2013 . Dall'esame degli atti consentito, ed anzi in questo caso eccezionalmente dovuto, in quanto, come ha puntualizzato Cass. S.U. numero 24644 del 2007 in questo caso il giudice di legittimità può direttamente accertare l'esistenza e la portata del giudicato esterno con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali risulta peraltro che anche la seconda opposizione a decreto ingiuntivo, quella la cui decisione di appello viene oggi sottoposta all'esame della Corte, si è svolta nello stesso modo l'opponente ha introdotto una opposizione nella quale si denunciava la nullità della scrittura integrativa sotto vari possibili profili, e primariamente per la contrarietà rispetto all'art. 13 della legge numero 431 del 1998, il giudice di primo grado l'ha integralmente rigettata con una motivazione incentrata sempre principalmente sul fatto che non vi sia sanzione di nullità del contratto per chi non rispetti l'obbligo di registrazione, mentre la corte d'appello, con la sentenza oggi impugnata, dopo aver dichiarato inammissibile l'eccezione di giudicato esterno, ha accolto l'appello spostando il focus dell'esame sul punto essenziale della dedotta nullità, ovvero sulla nullità del patto aggiunto al contratto di locazione che aumenti il canone originariamente pattuito, in contrasto a quanto previsto dall'art. 13 della legge numero 431 del 1998. Questo motivo di nullità, rigettato in primo grado e solo in questa causa oggetto di impugnazione da parte del So. è però ormai coperto dal giudicato. L'appello proposto dal So. va pertanto rigettato. L'accoglimento dei primi due motivi di ricorso e la decisione della causa nel merito esimono dall'esame degli ultimi tre motivi di ricorso, che risultano assorbiti. Il ricorso è accolto, la sentenza impugnata va pertanto cassata e la Corte, decidendo nel merito, rigetta l'appello proposto da So.Al. avverso la sentenza numero 985/2005 del Tribunale di Agrigento per intervenuta formazione del giudicato esterno. Le spese del giudizio di appello e del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'appello proposto da So.Al. avverso la sentenza della Corte d'Appello di Palermo numero 995 del 2007. Pone a carico del So. le spese del giudizio di appello e del giudizio di cassazione sostenute dal ricorrente, e le liquida in complessivi Euro 1.650,00 per l'appello, di cui Euro 150,00 per spese, ed Euro 1.800,00 per il giudizio di cassazione, di cui 200,00 per spese, oltre accessori e contributo spese generali come per legge per entrambi i gradi di giudizio.