Maggiorazioni su sanzioni amministrative: la Cassazione nega la tutela collettiva inibitoria

Le associazioni dei consumatori e degli utenti non sono legittimate a richiedere, avvalendosi della tutela inibitoria ai sensi dell’art. 140 del codice del consumo, che sia ordinato ad un’amministrazione comunale di astenersi dall’applicare le maggiorazioni per il ritardo in sede di riscossione delle sanzioni amministrative conseguenti a verbali di accertamento di infrazioni del codice della strada. Infatti, per un verso, la potestà sanzionatoria in materia di circolazione stradale rappresenta la reazione autoritativa alla violazione di un precetto con finalità di prevenzione, speciale e generale, e non l’esercizio, da parte dell’autorità amministrativa, di un servizio pubblico, e, per l’altro verso, il destinatario della sanzione amministrativa non è l’utente preso in considerazione dagli artt. 3, comma 1, lettera a , e 101 del codice del consumo.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia n. 15825, depositata il 10 luglio 2014. Il caso. Il giudizio nasce dal ricorso proposto dal Codacons, ai sensi dell’art. 140 del codice del consumo, al fine di inibire al Comune di Milano di proseguire nell’applicazione, alle sanzioni relative a violazioni del codice della strada irrogate tramite verbale di contestazione non pagato nel termine di legge, delle maggiorazioni previste dall’art. 27 della l. n. 689/1981, sul rilievo che queste potrebbero essere imposte esclusivamente in caso di ordinanza-ingiunzione emessa dal prefetto. Il Giudice di primo grado dichiarava l’inammissibilità del ricorso poiché la questione oggetto dell’azione inibitoria esulava del tutto dall’ambito disciplinato dal codice del consumo, circoscritto ai rapporti giuridici in cui il soggetto assume la posizione di consumatore o di utilizzatore di beni o servizi. La Corte d’appello successivamente adita respingeva il reclamo proposto dall’Associazione sul rilievo che il Comune non poteva essere qualificato soggetto erogatore di servizi, trattandosi, invece, dell’autorità amministrativa deputata all’applicazione delle sanzioni amministrative sicché, i destinatari rappresentati dall’Associazione non potevano considerarsi consumatori o utenti, ma soggetti individuati come trasgressori delle norme del codice della strada. A questo punto, il Codacons si rivolge alla Corte di Cassazione. Non è ricorribile in Cassazione il provvedimento emesso in sede di reclamo. Preliminarmente la Suprema Corte rileva l’inammissibilità del ricorso in Cassazione proposto dal Codacons ai sensi dell’art. 111 Cost. Nella specie, l’azione inibitoria ex art. 140, comma 8, codice del consumo era stata promossa dal Codacons in via d’urgenza, ed i giudici del merito avevano esaminato la domanda secondo il rito dettato dagli artt. 669- bis e ss. c.p.c. L’ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità del ricorso era stata, poi, reclamata – per vero alla Corte d’appello, ex art. 140- bis codice del consumo, anziché al collegio del Tribunale ai sensi dell’art. 669- terdecies c.p.c. – ed i giudici, seguendo il procedimento di cui agli artt. 737 e 738 c.p.c., avevano pronunciato ordinanza di rigetto del reclamo. Ciò posto, i Giudici di legittimità osservano che il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., è proponibile avverso provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto solo quando essi siano definitivi ed abbiano carattere decisorio, cioè siano in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale. Non può, quindi, ritenersi ricorribile in Cassazione il provvedimento emesso in sede di reclamo avverso il diniego della tutela inibitoria richiesta, in via d’urgenza, ai sensi dell’art. 140, comma 8, codice del consumo, dall’associazione dei consumatori e degli utenti a tutela degli interessi collettivi di costoro, trattandosi di provvedimento reso all’esito di un procedimento cautelare che, pur coinvolgendo posizioni di diritto soggettivo, non statuisce su di esse con la forza dell’atto giurisdizionale idoneo ad assumere autorità di giudicato. Presupposti oggettivi e soggettivi della tutela collettiva inibitoria . Ciò nondimeno, poiché il ricorso solleva una questione di particolare importanza, la Suprema Corte ritiene sussistenti i presupposti per enunciare, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., il principio di diritto nell’interesse della legge. In particolare, gli Ermellini ritengono di fornire risposta negativa al quesito se l’azione di cui all’art. 140 codice del consumo possa essere promossa da un’associazione di consumatori ed utenti al fine di ottenere una pronuncia inibitoria che imponga ad un Comune di astenersi dall’applicare le maggiorazioni, ai sensi dell’art. 27 della l. n. 689/1981, per il ritardo in sede di riscossione delle sanzioni amministrative conseguenti a verbali di accertamento e di contestazione di infrazioni del codice della strada. All’uopo, osservano che l’accertamento delle violazioni in materia di circolazione stradale, con l’applicazione delle relative sanzioni, rappresenta la reazione autoritativa alla violazione di un precetto con finalità di prevenzione, speciale e generale. Non si tratta, quindi, dell’esercizio, da parte dell’autorità amministrativa, di un servizio pubblico, ossia di un’attività di produzione di beni o di prestazione di utilità, indirizzata a vantaggio di una collettività di utenti, e sottoposta, per ragioni di interesse generale, ad una disciplina settoriale. Del pari, il destinatario della contestazione e della relativa sanzione non è l’utente preso in considerazione dal codice del consumo, ossia la persona fisica che usufruisce di un servizio pubblico agendo per scopi estranei all’attività professionale o imprenditoriale eventualmente esercitata. Egli è, piuttosto, il civis che, nell’utilizzazione della rete stradale, si rende autore della condotta vietata e che, in ragione di ciò, soggiace all’applicazione della sanzione per essa prevista dal codice della strada. È quindi preclusa, nella situazione anzidetta, la possibilità di esperire l’azione collettiva inibitoria.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 maggio – 10 luglio 2014, n. 15825 Presidente Bucciante – Relatore Giusti Ritenuto in fatto 1. - Con ricorso depositato in cancelleria in data 22 novembre 2011, il CODACONS - Coordinamento delle Associazioni per la difesa dell'ambiente e degli utenti e dei consumatori ha chiesto al Tribunale di Milano, ai sensi dell'art. 140 del codice del consumo, approvato con il decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e delle disposizioni di cui alla legge 30 luglio 1998, n. 281 Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti , di inibire al Comune di Milano, in via principale con decreto inaudita, altera parte, la prosecuzione del comportamento illecito, lesivo dei diritti costituzionalmente garantiti dei cittadini, consistente nell'applicazione, alle sanzioni relative a violazioni del codice della strada irrogate tramite verbale di contestazione non pagato nel termine di legge, le maggiorazioni previste dall'art. 27 della legge 24 novembre 1981, n. 689, sul rilievo che queste potrebbero essere imposte esclusivamente in caso di ordinanza-ingiunzione emessa dal prefetto. Il CODACONS ha chiesto al Tribunale adito di ordinare al Comune di Milano di annullare le maggiorazioni pari al 10% semestrale applicate ai verbali notificati ai sensi degli artt. 200 e 201 del codice della strada il cui pagamento è stato richiesto attraverso la notifica di cartella esattoriale, e di intervenire con l'emanazione di un provvedimento che preveda l'introduzione di un termine perentorio entro cui l'ente comunale proceda con la formazione ed iscrizione a ruolo da trasmettere per le formalità di notifica all'ente esattore nonché di disporre la pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio. Instauratosi il contraddittorio, il Comune di Milano si è costituito in giudizio, resistendo. Il Tribunale, con ordinanza in data 13 giugno 2012, ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso. La questione oggetto dell'azione inibitoria - ha rilevato il primo giudice - esula del tutto dall'ambito disciplinato dal codice del consumo, che è circoscritto ai rapporti giuridici in cui il soggetto assume la posizione di consumatore o di utilizzatore di beni o servizi ciò che viene in considerazione non sono i servizi in ipotesi offerti dal Comune alla cittadinanza, bensì l’irrogazione di sanzioni amministrative che nulla hanno a che fare con un rapporto di consumo ovvero con la fruizione di un servizio. 2. - La Corte d'appello di Milano, con ordinanza in data 11 febbraio 2013, ha respinto il reclamo proposto dall'Associazione ai sensi dell'art. 140-bis del codice del consumo. Quanto all'ammissibilità dell'impugnazione, ha osservato la Corte territoriale che il reclamo investe il problema della legittimazione dell'Associazione a promuovere la tutela inibitoria che risponde invece a una ratio in parte analoga, ma ha presupposti diversi, l'azione collettiva risarcitoria di cui all'art. 140-bis introdotta con la legge finanziaria 2008 legge 24 dicembre 2007, n. 244 , che impropriamente l'Associazione reclamante richiama nella stessa titolazione del proprio reclamo che tuttavia tale rilievo non comport a l'inammissibilità del proposto reclamo, avendo il giudice il potere-dovere di qualificare il rapporto e non essendo tenuto, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, a uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti, dovendo, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere . Tanto premesso, la Corte territoriale ha rilevato che la posizione tutelata nell'azione collettiva del codice del consumo è di natura contrattuale o in taluni casi extracontrattuale, ma pur sempre inerisce a un rapporto qualificato in termini di fruizione di beni o servizi, a rapporti giuridici nei quali il soggetto tutelato assume la posizione di consumatore o utilizzatore di beni o servizi, con conseguente esclusione della possibilità di agire ex art. 140 del d.lgs. n. 206 del 2005 in ipotesi che esulino da tale ambito. Nel caso in esame - ha proseguito la Corte d'appello - il Comune non è soggetto erogatore di servizi, ma l'autorità amministrativa deputata all'applicazione delle sanzioni amministrative correlativamente, i destinatari rappresentati dall'Associazione, per i quali è invocata la tutela inibitoria, non sono consumatori o utenti, ma soggetti individuati come trasgressori delle norme del codice della strada che in ragione di ciò soggiacciono all'irrogazione della sanzione. Di qui la conclusione che l'azione è stata promossa al di fuori dell'ambito soggettivo e oggettivo della normativa di riferimento. 3. Per la cassazione dell'ordinanza della Corte d'appello il CODACONS ha proposto ricorso, con atto notificato il 22 aprile 2013, sulla base di due motivi. L'intimato Comune ha resistito con controricorso, illustrato con memoria. Considerato in diritto 1. - Con il primo mezzo violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. 206 del 2005 e conseguente erronea esclusione dell'applicabilità dell'art. 140 dello stesso decreto legislativo omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione si sostiene che - diversamente da quanto ritenuto dal giudice del merito - il cittadino trasgressore viene in rilievo quale utente, posto che la sanzione amministrativa per la violazione delle norme del codice della strada trova la sua fonte nel rapporto di utenza dei cittadini con la rete stradale. L'ordinanza della Corte d'appello avrebbe preso le mosse da un'interpretazione restrittiva della nozione di consumatore e da una prospettazione settoriale e dogmatica del concetto di interesse connesso ad un rapporto di utenza che lega il cittadino alla rete stradale. Ad avviso del ricorrente, sussisterebbe la legittimazione del CODACONS, stante l'attribuzione alle associazioni dei consumatori e degli utenti rappresentative a livello nazionale di un ampio diritto di azione posto a difesa di tutti i diritti dei consumatori e degli utenti tale diritto di azione non potrebbe ritenersi precluso con riguardo alla violazione di un diritto di tutti i cittadini, quali utenti della rete stradale comunale, a non subire sanzioni sproporzionate ed inique, essendo illegittima l'applicazione delle maggiorazioni ex art. 27 della legge n. 689 del 1981. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 2, comma 461, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2008 , sotto il profilo della violazione del diritto del cittadino, quale utente della rete stradale comunale, alla qualità, universalità ed economicità del rapporto di servizio pubblico, con conseguente legittimazione delle associazioni dei consumatori ad intervenire con gli strumenti di tutela previsti dal codice del consumo. 2. - Il ricorso è inammissibile, non essendo l'ordinanza della Corte d'appello impugnabile con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost Va premesso che l'azione inibitoria a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti può essere promossa tanto in via ordinaria quanto in via d'urgenza. La duplicità dei percorsi procedi mentali risulta chiaramente dal comma 8 dell'art. 140 del codice del consumo, il quale prevede che n ei casi in cui ricorrano giusti motivi di urgenza, l'azione inibitoria si svolge a norma degli articoli da 669-bis a 669-quaterdecies del codice di procedura civile”. Nella specie l'azione inibitoria è stata promossa dal CODACONS secondo le movenze del procedimento cautelare, ed i giudici del merito esaminato la domanda secondo il rito dettato dagli artt. 669-bis e seguenti cod. proc. civ Infatti, la domanda è stata proposta al Tribunale con ricorso, con cui l'Associazione ha chiesto l'inibitoria, in via principale, con decreto inaudita altera parte. Il giudice designato - ritenuta l'insussistenza dei motivi di urgenza tali da giustificare una pronuncia inaudita altera parte - ha fissato, con decreto, l'udienza di comparizione delle parti, dando termine al ricorrente per la notifica del ricorso e del decreto al Comune di Milano. Costituitosi il Comune, il giudice, alla prima udienza, sentite le parti, ha provveduto con ordinanza a dichiarare inammissibile il ricorso. L'ordinanza è stata reclamata - pervero alla Corte d'appello, ex art. 140-bis del codice del consumo, anziché al collegio del Tribunale ai sensi dell'art. 669-terdecies cod. proc. civ. - ed i giudici, seguendo il procedimento di cui agli artt. 737 e 738 cod. proc. civ., fissata l'udienza camerale, hanno, al termine di essa, pronunciato ordinanza di rigetto del reclamo. Ora, il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell'art. 111 Cost., è proponibile avverso provvedimenti giurisdizionali emessi in forma di ordinanza o di decreto solo quando essi siano definitivi ed abbiano carattere decisorio, cioè siano in grado di incidere con efficacia di giudicato su situazioni soggettive di natura sostanziale. Non è pertanto ricorribile il provvedimento emesso in sede di reclamo avverso il diniego della tutela inibitoria richiesta, in via d'urgenza, ai sensi dell'art. 140, comma 8, del codice del consumo, dall'associazione dei consumatori e degli utenti a tutela degli interessi collettivi di costoro, trattandosi di provvedimento reso all'esito di un procedimento cautelare che, pur coinvolgendo posizioni di diritto soggettivo, non statuisce su di esse con la forza dell'atto giurisdizionale idoneo ad assumere autorità di giudicato cfr. Cass., Sez. I, 27 giugno 2011, n. 14140 Cass., Sez. I, 14 maggio 2012, n. 7429 Cass., Sez. I, 14 giugno 2013, n. 14992 Cass., Sez. VI-1, 18 giugno 2013, n. 15263 . 3. - Poiché, tuttavia, il ricorso solleva una questione di particolare importanza, il Collegio ritiene che sussistano le condizioni per enunciare, ai sensi dell'art. 363 cod. proc. civ., il principio di diritto nell'interesse della legge. La questione è se l'azione di cui all'art. 140 del codice del consumo possa essere promossa da un'associazione di consumatori ed utenti al fine di ottenere una pronuncia inibitoria che imponga ad un Comune di astenersi dall'applicare le maggiorazioni per il ritardo, ai sensi dell'art. 27 della legge 24 novembre 1981, n. 689, in sede di riscossione delle sanzioni amministrative conseguenti a verbali di accertamento e di contestazione di infrazioni del codice della strada. Al quesito deve darsi risposta negativa. L'accertamento, da parte della polizia municipale o degli altri corpi preposti, delle violazioni in materia di circolazione stradale, con l'applicazione delle relative sanzioni, rappresenta la reazione autoritativa alla violazione di un precetto con finalità di prevenzione, speciale e generale non già l'esercizio, da parte dell'autorità amministrativa, di un servizio pubblico, vale a dire di un'attività di produzione di beni o di prestazione di utilità, indirizzata istituzionalmente ed in via immediata a vantaggio di una collettività più o meno ampia di utenti, e sottoposta, per ragioni di interesse generale, ad una disciplina settoriale volta ad assicurare costantemente il conseguimento dei fini sociali. Corrispondentemente, il destinatario della contestazione e della relativa sanzione non è l'utente preso in considerazione dagli artt. 3, comma 1, lettera a , e 101 del codice del consumo, ossia la persona fisica che usufruisce di un servizio pubblico agendo per scopi estranei all'attività professionale o imprenditoriale eventualmente esercitata alla quale il legislatore, nell'ambito di un rapporto paritario con il soggetto erogatore del servizio - e con il pubblico potere chiamato a svolgere comunque un ruolo imparziale di regolazione e garanzia -, riconosce il diritto al corretto adempimento degli standard di qualità e la pretesa alla corretta ed efficiente erogazione della prestazione egli è, piuttosto, il civis che, nell'utilizzazione della rete stradale, si rende autore della condotta vietata e che, in ragione di ciò, soggiace all'applicazione della sanzione per essa prevista dal codice della strada. Nell'utilizzo della rete stradale è possibile rinvenire soltanto l'occasionale contesto di verificazione dell'illecito amministrativo posto in essere dal contravventore, senza che sia in alcun modo configurabile un rapporto di utenza destinato a conformare, in applicazione dei principi e dei criteri previsti in materia di servizi pubblici, le modalità di riscossione delle sanzioni per le violazioni contestate dagli agenti accertatori. 4. - Il ricorso è dichiarato inammissibile. È enunciato, ai sensi dell'art. 363 cod. proc. civ., il seguente principio di diritto Le associazioni dei consumatori e degli utenti non sono legittimate a richiedere, avvalendosi della tutela inibitoria ai sensi dell'art. 140 del codice del consumo, che sia ordinato ad un'amministrazione comunale di astenersi dall'applicare le maggiorazioni per il ritardo in sede di riscossione delle sanzioni amministrative conseguenti a verbali di accertamento di infrazioni del codice della strada, giacché, per un verso, la potestà sanzionatoria in materia di circolazione stradale rappresenta la reazione autoritativa alla violazione di un precetto con finalità di prevenzione, speciale e generale, e non l'esercizio, da parte dell'autorità amministrativa, di un servizio pubblico, e, per l'altro verso, il destinatario della sanzione amministrativa non è l'utente preso in considerazione dagli artt. 3, comma 1, lettera a , e 101 del codice del consumo”. 5. - Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. Risultando dagli atti che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1-qua ter dell'art. 13 del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 . P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il CODACONS ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Comune controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. La Corte enuncia, ai sensi dell'art. 363 cod. proc. civ., il seguente principio di diritto Le associazioni dei consumatori e degli utenti non sono legittimate a richiedere, avvalendosi della tutela inibitoria ai sensi dell'art. 140 del codice del consumo, che sia ordinato ad un'amministrazione comunale di astenersi dall'applicare le maggiorazioni per il ritardo in sede di riscossione delle sanzioni amministrative conseguenti a verbali di accertamento di infrazioni del codice della strada, giacché, per un verso, la potestà sanzionatoria in materia di circolazione stradale rappresenta la reazione autoritativa alla violazione di un precetto con finalità di prevenzione, speciale e generale, e non l'esercizio, da parte dell'autorità amministrativa, di un servizio pubblico, e, per l'altro verso, il destinatario della sanzione amministrativa non è l'utente preso in considerazione dagli artt. 3, comma 1, lettera a , e 101 del codice del consumo”.