La Maserati contraffatta (forse regolarizzabile) viene demolita? Magistrato non responsabile

La risarcibilità del danno cagionato dal magistrato per grave violazione di legge postula che tale violazione sia ascrivibile a negligenza inescusabile. Deve trattarsi di una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero di una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o dell'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o della manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora dello sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero.

La sez. VI Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 1395, depositata il 19 giugno 2014, si è occupata di un tema molto delicato quello della responsabilità civile dei magistrati. In questo caso è stata esclusa la responsabilità di un gip per aver disposto la demolizione di un’auto di valore, ritenuta parzialmente contraffatta, anche se forse regolarizzabile da un punto di vista amministrativo. Il caso. Un cittadino proponeva istanza ai sensi della l. n. 117/88 Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei Magistrati , con riferimento all’attività giudiziaria espletata da un gip, e segnatamente con riguardo ad un ordine impartito contestualmente alla declaratoria di estinzione del reato previsto e punito dall'art. 473 c.p. Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali , di confisca e distruzione di una autovettura Maserati risultata contraffatta. La domanda veniva dichiarata inammissibile così come il successivo reclamo. Il rigetto della domanda risarcitoria si basava sul presupposto che il provvedimento giurisdizionale in discussione fosse legittimo e convincente. Veniva quindi proposto ricorso per cassazione. La normativa fatta valere dal ricorrente. L’azione di risarcimento dei danni è stata proposta ai sensi della l. n. 117/88, cui si è fatto poco fa cenno. Appare opportuno richiamare quanto meno il tenore dell’art. 2 di questa normativa, che stabilisce Chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di quelli non patrimoniali che derivino da privazione della libertà personale . Inoltre, aggiunge comma 2, Nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove . Non si valuta l’interpretazione. Vengono riaffermati alcuni principi da considerarsi pacifici in questa materia. L'azione di responsabilità del magistrato per grave violazione di legge non può costituire strumento per riaprire il dibattito sulla correttezza o meno dell'interpretazione adottata nel provvedimento posto a base della domanda respinta dal magistrato della cui responsabilità si discorre. Inoltre, non può mai dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto, ovvero di valutazione del fatto e della prova la clausola di salvaguardia, riconducibile a quest'ultima esclusione, non tollera letture riduttive, perché è giustificata dal carattere fortemente valutativo dell'attività giudiziaria ed attua l'indipendenza del giudice e, con essa, del giudizio non costringendolo ad interpretazioni stereotipe e non minando così la soggezione della sua attività ermeneutica soltanto alla legge . Infine, la risarcibilità del danno cagionato dal magistrato per grave violazione di legge postula che tale violazione sia ascrivibile a negligenza inescusabile e, quindi, esige un quid pluris rispetto alla negligenza, richiedendo che essa si presenti come non spiegabile, senza agganci con le particolarità della vicenda atti a rendere comprensibile anche se non giustificato l'errore del giudice. Deve trattarsi, insomma, di una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero di una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o dell'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o della manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora dello sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero. La presunta possibile regolarizzazione amministrativa dell’auto parzialmente contraffatta. Applicando questi principi al caso concreto, l'attività che il ricorrente ha imputato al gip, il quale ha ordinato la confisca e la distruzione di una vettura parzialmente contraffatta e della cui regolarizzabilità amministrativa si discuteva e si è continuato a lungo a discutere, non integra affatto – secondo la Suprema Corte - un'applicazione del diritto del tutto avulsa dalla legge e dalla volontà del legislatore, ma costituisce piuttosto la legittima estrinsecazione di potestà giurisdizionale in ordine all'interpretazione della legge ed alla valutazione di fatti e di prove, quand'anche conclusasi con formulazione di tesi e conclusioni non condivise negli sviluppi successivi del procedimento. Peraltro, anche la valutazione di ostacolo alla regolarizzabilità per il carattere solo parziale delle contraffazioni pure pacificamente riscontrate sulla vettura confiscata e distrutta non è affatto abnorme o avulsa dallo spirito della normativa, attesi gli spazi interpretativi lasciati aperti dalla giurisprudenza richiamata, a vario titolo e a sostegno delle rispettive tesi, dalle parti contrapposte, con la conseguenza che si tratta, appunto, di opzioni ermeneutiche legittime, quand'anche opinabili.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 7 maggio – 19 giugno 2014, n. 13985 Presidente Finocchiaro – Relatore De Stefano Svolgimento del processo 1. E stata depositata in cancelleria relazione, redatta ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ. e datata 12.7.13, regolarmente comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti, relativa al ricorso avverso il decreto della corte di appello di Ancona 7.6.13, n. 6/13 V.G., del seguente letterale tenore 1. - M.R. ricorre, affidandosi a tre motivi, avverso il provvedimento in epigrafe indicato, con cui è stato dichiarato inammissibile il suo reclamo avverso il decreto dichiarativo della inammissibilità della sua domanda ex L. 117/88, dispiegata in relazione ad attività giudiziaria espletata dal G.I.P. del Tribunale di Ferrara e, segnatamente, ad un ordine, impartito contestualmente alla declaratoria di estinzione del reato p. e p. dall'art. 473 cod. pen., di confisca e distruzione di una autovettura Maserati risultata contraffatta . Non svolge attività difensiva in questa sede l'intimata Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma il giudice del cui operato - G.M.S. - si discute, intervenuto in causa, notifica un suo controricorso. 2. - Di tale ricorso deve proporsi la trattazione in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375, 376 e 380-bis cod. proc. civ., essendo soggetto alla disciplina dell'art. 360-bis cod. proc. civ., in vista della possibilità di definirlo con ordinanza di rigetto, alla stregua di quanto appresso indicato. 3. - Il ricorrente sviluppa tre motivi - un primo rubricato violazione e falsa applicazione dell'art. 739 c.p.c. e dell'art. 5 L. n. 117/88 sulla ritenuta omissione di specifiche censure alla decisione del Tribunale di Ancona , con cui rimarca di avere sviluppato analitiche doglianze avverso il decreto di primo grado, contestandone, tra l'altro, la parte in cui aveva affermato che il provvedimento giurisdizionale per cui era causa fosse legittimo e convincente, ma soprattutto l'interpretazione posta a suo fondamento, esaltando al contrario l'assenza di orientamenti ermeneutici discordanti l'inidoneità del richiamo agli accertamenti obiettivi del c.t. del p.m. e delle argomentazioni addotte dal giudice solo successivamente alla distruzione del bene la mancata considerazione della solerzia nell'emanazione del provvedimento per cui era causa, in rapporto alla mole degli atti processuali ed al valore dei beni di cui ordinava confisca e distruzione - un secondo rubricato falsa ed erronea applicazione dell'art. 2, comma 2, della Legge n. 117/88 sulla ritenuta attività di interpretazione dei fatti e di valutazione delle prove da parte del giudice , con cui contesta analiticamente le ragioni addotte dai giudici di primo e di secondo grado a sostegno della riconduzione dell'attività del giudice a quella di interpretazione delle norme e di valutazione di fatto e prove in particolare contesta che nella relazione del c.t.p.m. - oltretutto, da equipararsi ad un atto di parte e proveniente da soggetto le cui competenze si erano contestate - fosse stata negata la possibilità di regolarizzazione amministrativa della vettura confuta, sulla base di amplissime argomentazioni, l'interpretazione che quest'ultima escludeva censura, pure stavolta all'esito di articolati argomenti, anche il richiamo ai precedenti della giurisprudenza di legittimità penale sulla confisca obbligatoria di oggetti contraffatti ma regolarizzabili soggiunge l'immediatezza della valutazione di non confiscabilità del bene, quale risultante dal contenuto degli atti e dall'andamento del procedimento penale, diffusamente richiamati rimarca l'illegittimità della distruzione dell'intera vettura e, quindi, anche delle parti riconosciute originali nega la rilevanza del provvedimento di archiviazione in sede disciplinare da parte del P.G. presso la Cassazione, basato comunque su presupposti di fatto inesatti - un terzo rubricato violazione dell'art. 92, comma 2, c.p.c sulla condanna alla refusione delle spese e sulla sussistenza dei presupposti per la compensazione , con cui si duole della condanna alle spese, nonostante potessero configurarsi nella specie gravi ed eccezionali ragioni per compensarle, tra cui la novità della materia o la particolare complessità. 4. - Dal canto suo, la controricorrente G. dichiara di non accettare il contraddittorio su nuove circostanze in fatto eccepisce l'inammissibilità del ricorso per mancata specificità dei motivi e violazione degli artt. 360 bis e 365, co. 1, n. 4, cod. proc. civ. contesta ampiamente, nel merito, la fondatezza delle prime due censure, rimarcando non avere controparte sviluppato nel reclamo critiche al provvedimento di primo grado rivendica l'insindacabilità, anche ai fini della legge 117 del 1988, delle attività di interpretazione di norme e di valutazione dei fatti e delle prove nella qualificazione della vettura come cosa la cui fabbricazione costituiva reato ed imponeva la confisca anche in assenza di condanna argomenta comunque per la correttezza di tale ricostruzione nega la rilevanza delle fattispecie di cui alle lett. b e c dell'art. 2, co. 3, della legge 117/88, riprospettate in ricorso dopo il loro abbandono in sede di reclamo nega la sussistenza dei presupposti per la compensazione nel secondo grado di giudizio invoca la condanna alle spese anche del giudizio di legittimità. 5. - Premessa indispensabile è la riaffermazione di alcuni principi in materia - l'azione di responsabilità del magistrato per grave violazione di legge, ai sensi dell'art. 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117, non può costituire strumento per riaprire il dibattito sulla correttezza o meno dell'interpretazione adottata nel provvedimento posto a base della domanda respinta dal magistrato della cui responsabilità si discorre Cass. 5 febbraio 2013, n. 2637 - inoltre da ultimo Cass., sez. 27 dicembre 2012, n. 23979 Cass. 22 febbraio 2012, n. 2560, che vi ammette deroga solo con riferimento alle violazioni manifeste del diritto dell'Unione Europea imputabili ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado , non può mai dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto, ovvero di valutazione del fatto e della prova la clausola di salvaguardia, riconducibile a quest'ultima esclusione, non tollera letture riduttive, perché è giustificata dal carattere fortemente valutativo dell'attività giudiziaria ed attua l'indipendenza del giudice e, con essa, del giudizio non costringendolo ad interpretazioni stereotipe e non minando così la soggezione della sua attività ermeneutica soltanto alla legge - infine, la risarcibilità del danno cagionato dal magistrato per grave violazione di legge, ai sensi dell'art. 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117 postula che tale violazione sia ascrivibile a negligenza inescusabile e, quindi, esige un quid pluris rispetto alla negligenza, richiedendo che essa si presenti come non spiegabile, senza agganci con le particolarità della vicenda atti a rendere comprensibile anche se non giustificato l'errore del giudice Cass. 14 febbraio 2012, n. 2107 - deve trattarsi, insomma, di una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero di una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o dell'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o della manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora dello sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero tra le altre Cass. 18 marzo 2008, n. 7272 Cass. 26 maggio 2011, n. 11593 . 6. - Su queste premesse e così esaminando congiuntamente i primi due motivi per la loro intima connessione, l'attività che il ricorrente insiste nell'imputare al G.I.P. del tribunale di Ferrara, il quale ha ordinato la confisca e la distruzione di una vettura parzialmente contraffatta - e della cui regolarizzabilità amministrativa si discuteva e si è continuato a lungo a discutere -, non integra affatto un'applicazione del diritto del tutto avulsa dalla legge e dalla volontà del legislatore, ma costituisce piuttosto la legittima estrinsecazione di potestà giurisdizionale in ordine all'interpretazione della legge ed alla valutazione di fatti e di prove, quand'anche conclusasi con formulazione di tesi e conclusioni non condivise negli sviluppi successivi del procedimento. Non interessa affatto, in questa sede, valutare se il provvedimento del G.I.P. del tribunale di Ferrara fosse o meno legittimo o convincente va soltanto verificato se, da parte di quel magistrato, vi sia stata una grave violazione di legge non essendo possibile ricostruire, per vizio di formulazione del ricorso per cassazione, se, escluse dal tribunale le altre ipotesi di responsabilità civile per attività giudiziaria, queste siano state correttamente riproposte in sede di reclamo del resto, impingendo in una valutazione e non in una errata percezione di fatti la qualificazione come contraffatta dell'intera vettura, pur in presenza di parti autentiche . Deve ritenersi che la valutazione di ostacolo alla regolarizzabilità per il carattere solo parziale delle contraffazioni pure pacificamente riscontrate sulla vettura confiscata e distrutta non sia affatto abnorme o avulsa dallo spirito della normativa, attesi gli spazi interpretativi lasciati aperti dalla giurisprudenza richiamata, a vario titolo e a sostegno delle rispettive tesi, dalle parti contrapposte e nel qui gravato decreto con la conseguenza che si tratta, appunto, di opzioni ermeneutiche legittime, quand'anche opinabili. Né cessa di integrare una libera attività di valutazione di prove e di fatti quella avente ad oggetto le risultanze di un elaborato del c.t. del p.m. il quale, benché redatto da chi possa qualificarsi parte, è comunque un atto del processo e non degrada certo, per tale sua provenienza, ad un mero fatto estraneo al materiale comunque valutabile ed anzi consente di escludere che il riscontro degli elementi di fatto, come appunto documentali o prospettati da quell'ausiliario ed assunti senza alcuna evidente o macroscopica violazione di legge o compressione dei diritti - quand'anche estrinsecabili solo in tempo successivi - di difesa dell'indagato, sia stato arbitrario o inescusabilmente negligente. 7. - Quanto al motivo relativo alle spese di lite, esso è infondato neppure il testo attualmente vigente dell'art. 92 cod. proc. civ. fonda - come, per giurisprudenza a dir poco consolidata, prima dell'ultima riforma della norma in esame - un diritto della parte soccombente alla compensazione, solo dovendosi evitare la condanna di colui che risulti totalmente vittorioso. 8. - Pare, pertanto, indispensabile proporsi al Collegio di rigettare il ricorso in esame”. Motivi della decisione II. Non sono state presentate conclusioni scritte, ma il ricorrente ha depositato memoria ed il difensore della controricorrente è comparso in camera di consiglio per essere ascoltato. III. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, ritiene il Collegio di condividere i motivi in fatto e in diritto esposti nella su trascritta relazione e di doverne fare proprie le conclusioni, non comportandone il superamento gli argomenti sviluppati nella memoria depositata dal ricorrente. Invero, questi si diffonde a contestare il controricorso, ma avverso gli argomenti della relazione si limita a prospettare il carattere eccessivamente restrittivo dell'interpretazione di questa corte di legittimità, che realizzerebbe di fatto una violazione di non meglio precisati diritti garantiti dalla Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti umani, nonché a negare la sussistenza di un rigido automatismo tra soccombenza e condanna alle spese. In tal modo, peraltro, a parte il fatto che non si indicano neppure quali fondamentali diritti sarebbero irrimediabilmente ed ingiustificatamente violati senza tener cioè conto del noto contemperamento con il superiore interesse dell'ordinamento all'indipendenza ed all'autonomia della magistratura e che invece - se non altro dopo le novelle del 2006 e del 2009 - sussiste proprio una rigorosa corrispondenza tra soccombenza e condanna alle spese, tanto da configurarsi ormai come francamente eccezionale la compensazione e comunque giammai oggetto di un diritto del soccombente, non si offre alcuna argomentazione contraria alla giurisprudenza specificamente ricordata nella relazione sicché le conclusioni di questa, su quella basate, vanno integralmente condivise e fatte proprie dal Collegio. IV. Non risulta poi formalizzato un ricorso incidentale, strutturato sulla compiuta ed analitica indicazione di motivi e di norme violate e dell'analitica adduzione dei parametri specificamente violati, ad opera della controricorrente in punto di liquidazione delle spese di lite dei gradi di merito le cui censure sono quindi inammissibili. V. Pertanto, ai sensi degli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ., il ricorso va rigettato ed il soccombente ricorrente condannato alle spese del giudi2io di legittimità in favore della controparte. Va infine precisato che, risultando esente il processo dal contributo unificato, non si applica l'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come introdotto dall'art. 1, comma 17, della L. 24 dicembre 2012, n. 228. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna M.R. al pagamento, in favore di G.M.S. , delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.250,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali ed accessori come per legge rilevato che dagli atti il processo risulta esente, da atto che non si applica l'art. 13, comma 1 quater d.P.R. n. 115 del 2002.