La cessione volontaria del bene non consente al venditore di chiedere una rideterminazione del corrispettivo, quando…

In tema di espropriazione per pubblica utilità, la cessione volontaria di un bene, pattuita tra espropriante ed espropriato in epoca successiva alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dei criteri indennitari di cui alla l. n. 385/1980, e nella quale non risultino indicati illegittimi criteri di determinazione del prezzo, costituisce espressione di autonomia negoziale, a norma dell’art. 1322 c.c. e, pertanto, non consente al privato né la richiesta di un non configurabile conguaglio né la richiesta di una rideterminazione del prezzo, alla stregua del valore venale del bene, in applicazione del criterio di cui all’art. 39 della l. n. 2359/1865 e previa declaratoria di nullità del prezzo pattuito.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 10952 del 19 maggio 2014. Il caso. Nel corso di una procedura di espropriazione per pubblica utilità, i proprietari di un area di 1.545 mq cedevano volontariamente l’anzidetto immobile al Comune di Mazzarrone. Successivamente parte venditrice agiva in giudizio dinanzi al Tribunale di Caltagirone per ottenere la rideterminazione del prezzo di cessione ai sensi della normativa all’epoca vigente in tema di pubblici espropri. Il Tribunale accoglieva le richieste degli attori, ma la Corte d’Appello di Catania ribaltava la decisione specificando che il corrispettivo pattuito era frutto dell’autonomia negoziale delle parti e pertanto gli appellati non avevano diritto di chiederne la rideterminazione. Parte venditrice proponeva così ricorso in Cassazione avverso il quale resisteva il Comune di Mazzarrone. Le novità in tema di espropriazione per pubblica utilità. Il quadro normativo dell’espropriazione per pubblica utilità all’epoca dei fatti 11.4.1984 aveva subito delle importanti modifiche a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 2, l. n. 385/1980 e dell’art. 16, l. n. 865/1971 avvenuta con sentenza della Corte Costituzionale n. 223/1983. Tali disposizioni prescrivevano un sistema di determinazione dell’indennità di espropriazione con possibilità di maggiorazione della stessa in caso di cessione volontaria degli immobili. Sulla base di tali norme e in considerazione dell’art. 39, l. n. 2359/1865, i venditori chiedevano una rideterminazione del corrispettivo della cessione. Al riguardo i ricorrenti invocavano l’art. 1419, comma 2, c.c., sostenevano cioè la nullità del prezzo di cessione, ma salvaguardavano” la vendita modificando solo il corrispettivo da adeguare al valore venale del bene come indicato dall’art. 39, l. n. 2359/1865. Precedenti giurisprudenziali non invocabili. La Corte d’Appello, però, respingeva tali richieste spiegando che il contratto non prevedeva alcun diritto a un conguaglio ulteriore sul prezzo, né risultava, in realtà, che quest’ultimo fosse stato calcolato sulla base dei parametri di cui alla citata l. n. 865/1971. Conseguiva che nel caso di specie non fossero invocabili i precedenti giurisprudenziali – relativi a ipotesi in cui le parti facevano espresso riferimento agli anzidetti parametri legali di determinazione del prezzo dichiarati poi costituzionalmente illegittimi – che affermavano il carattere imperativo delle disposizioni della l. n. 865/1971 che consentivano l’aumento del prezzo di una percentuale ridotta rispetto all’indennità stabilita per legge. In simili ipotesi, eventuali determinazioni diverse erano da considerarsi illegittime secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità Cassazione 7.3.1997, n. 2091 Cassazione 21.7.2000, n. 9560 . Tuttavia nella fattispecie in esame il citato criterio legale di quantificazione dell’indennità era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo prima della cessione dell’immobile, pertanto la determinazione volontaria del prezzo di vendita non poteva essere giudicata non corretta o viziata da nullità nel senso sopra illustrato. Nessuna prescrizione imperativa e vincolante. In altre parole, eliminati i riferimenti normativi per la determinazione dell’indennità con la sentenza della Corte costituzionale del 1983, parte venditrice all’epoca della cessione dell’immobile non aveva più una prescrizione di legge imperativa e vincolante. La determinazione del prezzo di cessione è stata, dunque, frutto di un libero accordo tra le parti nell’ambito dell’autonomia contrattuale riconosciuta dall’ordinamento ex art. 1322 c.c. e al cedente non poteva essere riconosciuta alcuna maggiorazione del prezzo di vendita. Infatti, secondo la giurisprudenza sopra citata sarebbe stata illegittima la pattuizione di un prezzo in base ad una determinazione dell’indennità diversa dallo schema legale, ma non può essere giudicato altrettanto illegittimo l’accordo in base ad un’erronea o insufficiente determinazione dell’indennità quando il parametro legale non è neppure indicato oppure sia esplicitato e sia quello vigente. Del resto è possibile che l’indennità risulti inferiore a quella astrattamente dovuta per legge poiché, nell’ambito di una cessione volontaria, il cedente ben può accettare un importo più basso. Il prezzo è nullo se determinato in base a parametri diversi da quelli legali. Conclude, quindi, la Suprema Corte che il prezzo della cessione volontaria può essere giudicato nullo e quindi contestabile dal cedente, soltanto se è stato determinato in base a criteri diversi da quelli di legge e non anche quando sia stato fissato sulla base di un criterio di legge, ma in modo errato. Nel caso di specie, invece, tutto era frutto di una intesa raggiunta sulla consentita libera autonomia delle parti e quindi non più contestabile o modificabile.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 5 marzo – 19 maggio 2014, n. 10952 Presidente Salvago – Relatore Di Amato Svolgimento del processo Con sentenza del 3 ottobre 2007 la Corte di appello di Catania, in riforma della sentenza in data 13 giugno 2001 del Tribunale di Caltagirone, rigettava le domande proposte da C.B. e L. e proseguite dai loro eredi, dirette ad ottenere la rideterminazione del prezzo di un'area di mq 1.545 da essi ceduta volontariamente al Comune di Mazzarrone, all'esito di una procedura espropriativa. In particolare, la Corte di appello osservava che 1 l'eccezione di nullità dell'atto di appello, sollevata dagli eredi di C.B. , era infondata non sussisteva, infatti, alcuna incertezza sulla persona fisica che con firma illeggibile aveva conferito la procura ad litem , dato che la firma corrispondeva perfettamente con quella che B.N. , sindaco del Comune di omissis , aveva apposto nella determinazione sindacale, allegata al fascicolo dell'appellante, con la quale l'avv. Paolo Li Rosi era stato incaricato per la rappresentanza nel giudizio di appello 2 il contratto di cessione non prevedeva il diritto al conguaglio del corrispettivo di L. 679.806 e non risultava che quest'ultimo fosse stato determinato secondo i parametri legali previsti dall'art. 16 della legge n. 865/1971, già dichiarati in parte costituzionalmente illegittimi da Corte cost. n. 5/1980, al momento 11 aprile 1984 della stipula della cessione ne conseguiva che il previsto corrispettivo era il frutto dell'autonomia negoziale delle parti e che gli appellati non avevano il diritto di chiederne la rideterminazione. C.A. , M. ed O. nonché R.R. , tutte eredi di C.B. , propongono ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi. Il Comune di Mazzarrone resiste con controricorso. Ca.Sa. , Ma.Gr. , Gi. e Vi. , tutti eredi di C.L. , non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione Con il primo motivo le ricorrenti deducono la violazione degli artt. 75, 83, 112 e 157 c.p.c. nonché dell'art. 2697 c.c., lamentando che, a seguito della loro eccezione di nullità della procura, il Comune non aveva assolto l'onere d'integrare con la prima replica la lacunosità dell'appello, mediante chiara e non più rettificabile notizia del nome dell'autore della firma illeggibile a tale integrazione aveva, invece, inammissibilmente proceduto d'ufficio la stessa Corte di appello. Il motivo è infondato. Dall'intestazione dell'atto di appello risultava, infatti, che il Comune di Mazzarrone agiva in giudizio in persona del sindaco. Si deve, pertanto, escludere che nella specie ricorresse una ipotesi di nullità relativa della procura con conseguente onere di integrazione dei relativi elementi a carico del Comune di Mazzarrone v. e plurimis Cass. s.u. 7 novembre 2013, n. 25036 Cass. 16 marzo 2012, n. 4199 . Con il secondo motivo le ricorrenti deducono la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c., lamentando che, malgrado l'appellante avesse dedotto soltanto l'inapplicabilità dell'art. 1419 c.c. e non avesse affatto contestato la determinazione del prezzo della cessione sulla base di criteri dichiarati costituzionalmente illegittimi, la Corte di appello, trascurando il giudicato formatosi sulla nullità assoluta della cessione, aveva affermato che il corrispettivo previsto era il frutto dell'autonomia negoziale delle parti. Il motivo è infondato. L'interpretazione dell'atto di appello è compito istituzionalmente demandato al giudice del merito e plurimis Cass. 6 ottobre 2005, n. 19513 e nella specie tale interpretazione non è stata oggetto di alcuna censura, da parte del ricorrente, sotto il profilo della motivazione. Ne consegue che il motivo di ricorso in esame deve essere valutato in relazione al quarto motivo di appello, come interpretato dalla Corte territoriale. Al riguardo, la sentenza impugnata ha ritenuto che con il quarto motivo di gravame l'appellante ha contestato la nullità parziale del contratto di cessione come ritenuto in sentenza a norma dell'art. 1419 c.c. adducendo che nell'atto di cessione volontaria il corrispettivo pattuito non risulta determinato secondo i parametri previsti dalla legge n. 865/71, dichiarati costituzionalmente illegittimi che vertendosi in tema di cessione definitiva per atto pubblico e non provvisoria il prezzo è stato convenuto a titolo definitivo e pertanto non è consentito alcun conguaglio”. Ne consegue che si deve escludere la formazione di un giudicato interno sulla illegittimità della pattuizione del prezzo e si deve anche escludere che la Corte di appello abbia pronunziato sul punto in assenza di uno specifico motivo di appello. Con il terzo motivo le ricorrenti deducono la violazione dell'art. 12 della legge n. 865/1971 e dell'art. 39 della legge n. 2359/1865, lamentando che la Corte di appello aveva supposto un fatto, e cioè la trattativa tra le parti per la determinazione del prezzo, che non aveva avuto luogo, che non era stato dedotto dal Comune e che si poneva in contrasto con l'art. 12 cit., che consente la determinazione del prezzo soltanto sulla base della normativa vigente. Il motivo è infondato. L'art. 12 della legge n. 865/1971 stabilisce che il proprietario espropriando ha diritto di convenire con l'espropriante la cessione volontaria degli immobili per un prezzo non superiore del 50% dell'indennità provvisoria” pertanto, detta disposizione pone un tetto entro il quale può essere stabilita la maggiorazione del prezzo rispetto all'indennità provvisoria, lasciando comunque l'espropriando libero di accettare quale prezzo, con o senza una maggiorazione, l'indennità che gli viene offerta. Inoltre, nella fattispecie in esame, la cessione volontaria venne pattuita dopo la dichiarazione di incostituzionalità degli artt. 1, commi 1 e 2, e 2 della legge n. 385/1980 Corte Cost. 19 luglio 1983, n. 223 che, a seguito della declaratoria di incostituzionalità dei criteri di determinazione dell'indennità di espropriazione stabiliti dall'art. 16 della legge n. 865/1971, avevano previsto il meccanismo del conguaglio rinviato all'esito dell'emanazione di una nuova normativa. Coerentemente con tale quadro normativo, la cessione volontaria de qua, secondo l'interpretazione data dalla sentenza impugnata e non specificamente censurata, non faceva alcun riferimento, quanto al prezzo, ad un eventuale conguaglio la cessione, inoltre, secondo la stessa interpretazione, non faceva alcun riferimento ai parametri legali dichiarati incostituzionali. Ne consegue che non sono invocabili nella fattispecie i precedenti nei quali questa Corte - in ipotesi nelle quali le parti avevano fatto espresso riferimento a specifici parametri legali già dichiarati costituzionalmente illegittimi - ha affermato il carattere imperativo dell'art. 12 della legge n. 865/1971, laddove individua, quale criterio per la determinazione del prezzo della cessione volontaria, la misura dell'indennità di esproprio secondo la normativa vigente al momento della procedura Cass. 7 marzo 1997, n. 2091 Cass. 21 luglio 2000, n. 9560 Cass. 17 novembre 2000, n. 14901 Cass. 9 ottobre 2001, n. 12351 . Invero, alla stregua di detta giurisprudenza è illegittima la pattuizione del prezzo sulla base di un esplicitato criterio di determinazione dell'indennità provvisoria diverso da quello legale, ma non può considerarsi illegittima anche la pattuizione del prezzo sulla base di una erronea o insufficiente determinazione dell'indennità provvisoria, quando il parametro legale non sia indicato ovvero sia indicato e sia quello vigente. Invero, è connaturato al sistema di determinazione dell'indennità di espropriazione, e quindi al sistema del prezzo della cessione volontaria che ad essa fa riferimento, il fatto che l'indennità provvisoria concretamente determinata possa essere inferiore a quella astrattamente dovuta per legge e possa, ciò nonostante, essere accettata dal privato. In conclusione, il prezzo della cessione volontaria è nullo, e trova applicazione l'art. 1419, secondo comma, c.c., soltanto quando sia stato determinato sulla base di criteri diversi da quello legale e non anche quando sia stato fissato sulla base del criterio legale, ma in modo erroneo. Nella specie, pertanto, al cedente non è consentito chiedere un conguaglio del prezzo, non previsto dal contratto e neppure configurabile per le cessioni stipulate dopo la citata sentenza n. 223/1983 della Corte costituzionale al cedente, inoltre, nella specie non è neppure consentito chiedere una rideterminazione del prezzo, stabilito in misura pari all'indennità provvisoria, senza però che quest'ultima sia risultata determinata in applicazione di criteri dichiarati costituzionalmente illegittimi. Esattamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto che la cessione volontaria de qua costituisce espressione di autonomia negoziale, a norma dell'art. 1322 c.c. e, pertanto, non consente al privato di invocare, successivamente alla cessione, quale criterio integrativo del pattuito corrispettivo, quello del valore venale del bene di cui al disposto dell'art. 39 della legge n. 2359/1865 v. per fattispecie analoghe Cass. 7 novembre 2011, n. 10945 Cass. 25 giugno 2002, n. 9242 . In conclusione, in tema di espropriazione per pubblica utilità, la cessione volontaria del bene, pattuita tra espropriante ed espropriato in epoca successiva alla dichiarazione di illegittimità costituzionale dei criteri indennitari di cui alla legge n. 385 del 1980, e nella quale non risultino indicati illegittimi criteri di determinazione del prezzo, costituisce espressione di autonomia negoziale, a norma dell'art. 1322 cod. civ. e, pertanto, non consente al privato né la richiesta di un non configurabile conguaglio né la richiesta di una rideterminazione del prezzo, alla stregua del valore venale del bene, in applicazione del criterio di cui all'art. 39 della legge n. 2359/1865 e previa declaratoria di nullità del prezzo pattuito. Con il quarto motivo si deduce la violazione dell'art. 91 c.p.c., lamentando che la sentenza impugnata non aveva condannato il Comune al rimborso delle spese del giudizio di appello. Il motivo è infondato, atteso che l'onere delle spese ha seguito il criterio della soccombenza. P.Q.M. rigetta il ricorso condanna i ricorrenti al rimborso, in favore del Comune di Mazzarrano, delle spese di lite liquidate in Euro 3.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre IVA e CP.