Game Over per Cota: Piemonte al voto

Le Sezioni Unite, davanti a cui vengano impugnate le decisioni di un giudice speciale per motivi sulla giurisdizione, possono rilevare soltanto un eventuale superamento dei limiti esterni della giurisdizione medesima, mentre, al contrario, non possono valutare il modo in cui la giurisdizione sia stata esercitata. Di conseguenza, eventuali errori in iudicando o in procedendo rimangono estranei.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 8993, depositata il 17 aprile 2014. Il caso. Nel maggio 2010, dopo la vittoria di Roberto Cota alle elezioni regionali del Piemonte, la sfidante Mercedes Bresso chiese al Tar del Piemonte l’annullamento della proclamazione delle consultazioni elettorali, in quanto il risultato sarebbe stato influenzato dalla partecipazione della lista elettorale Pensionati per Cota”, in cui, a giudizio dell’attrice, molte delle firme di accettazione delle candidature erano state falsificate. Il Tar pronunciò una sentenza parziale, in cui escludeva la sua possibilità di accertare direttamente le accuse di falsificazione e assegnava un termine per proporre, eventualmente, una querela di falso o in sede penale. Essendo, poi, stati promossi sia il procedimento penale contro alcuni presentatori della lista sia quello civile per querela di falso, il Tar sospese il procedimento in sede amministrativa. La sentenza parziale venne impugnata davanti al Consiglio di Stato, che confermò la decisione del Tar di incapacità dell’accertamento, ferma restando la possibilità di far valere in quel giudizio l’esito in sede ordinaria, che, intanto, procedeva. Dopo l’accertamento definitivo, in sede penale, dell’effettiva falsificazione delle firme, venne riassunto il giudizio di fronte al Tar, che, nel gennaio 2014, accolse il ricorso, invalidando l’ammissione della lista e annullando la proclamazione degli eletti. Successivamente, anche il Consiglio di Stato confermò tale decisione, poiché ritenne che al giudizio di falsità, emesso in sede penale, dovesse riconoscersi efficacia erga omnes, in base a quanto disposto dall’art. 537 c.p.p. pronuncia sulla falsità di documenti . Il Presidente della Giunta Regionale Roberto Cota ricorreva in Cassazione, contestando al Consiglio di Stato di aver travalicato i poteri spettanti al giudice amministrativo, in quanto aveva affermato la falsità delle firme sulla base di un giudicato penale, quando ancora non era stato definito quello civile sulla querela di falso, invadendo così le attribuzioni giurisdizionali del giudice civile, secondo quanto stabilito dall’art. 221 c.p.c Inoltre, avrebbe errato ad equiparare gli effetti di un giudicato civile a quelli di un giudicato penale di falso, e attribuendo a quest’ultimo efficacia erga omnes .In questo modo, a giudizio del ricorrente, avrebbe invaso la sfera del legislatore, creando una norma inesistente. Limiti di valutazione. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che le Sezioni Unite, davanti a cui vengano impugnate le decisioni di un giudice speciale per motivi sulla giurisdizione, possono rilevare soltanto un eventuale superamento dei limiti esterni della giurisdizione medesima, mentre, al contrario, non possono valutare il modo in cui la giurisdizione sia stata esercitata. Di conseguenza, eventuali errori in iudicando o in procedendo rimangono estranei. Giurisdizione appropriata. Nel caso di specie, la giurisdizione si esplicava nell’annullamento di atti amministrativi, ambito pertinente del giudice speciale. Le Sezioni Unite sottolineavano che, effettivamente, i giudici amministrativi avevano tenuto conto dell’accertamento di falsità, eseguito in sede penale, ma proprio questo aspetto sottolineava la mancata violazione della loro giurisdizione. Invece, sarebbero incorsi in tale errore se avessero proceduto, direttamente e personalmente, a tale verifica. Fuori dal campo di decisione delle Sezioni Unite. I motivi di ricorso riguardavano, invece, la subordinazione della decisione del Tar e del Consiglio di Stato alla pronuncia penale, anziché attendere l’esito, in sede civile, della querela di falso. Ciò, a giudizio della Cassazione, non toccava i limiti esterni della giurisdizione speciale, ma, piuttosto, riguardava la scelta di chi, tra il tribunale civile e quello penale, dovesse decidere sulla contestata falsificazione. Tuttavia, neppure la questione sull’attribuzione, tra corti civili e penali, della potestas iudicandi pone un problema di delimitazione tra giurisdizione ordinaria e speciale, ma comporta solo la suddivisione di competenze tra giudici, ugualmente esercitanti la giurisdizione ordinaria. Per cui, anche se le Sezioni Unite non escludevano la possibilità di errori in iudicando per il condizionamento del giudicato penale o in procedendo per non aver aspettato la conclusione del giudizio sulla querela di falso , questi non sarebbero, comunque un travalicamento dei limiti esterni del potere giurisdizionale attribuito al giudice, cui quegli errori siano eventualmente imputabili. Interpretazione, non invenzione. Anche l’accusa di aver creato una norma inesistente, nella postulazione dell’equivalenza del giudizio penale sul falso a quello civile per querela di falso, non sarebbe un vizio, neppure in astratto, adatto a configurare un eccesso di potere giurisdizionale. La Cassazione ricordava, infatti, delle sue precedenti sentenze nn. 2068/2011, 22784/2012, 11347/2013 e 20968/2013 , in cui era stato affermato che l’eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, bensì una creata da lui stesso, esercitando, quindi, un’attività legislativa che non gli compete. Tale ipotesi, però, non ricorre, qualora il giudice si sia limitato a ricercare la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se non desunta dal tenore letterale delle singole applicazioni, ma dalla ratio svelato dal loro coordinamento sistematico, e neanche in caso di interpretazione estensiva, poiché questi sono casi solo di errori in iudicando . Perciò, anche se, nel caso di specie, si fosse dovuto concludere nel senso dell’inopponibilità dell’accertamento della falsità a chi non sia stato parte del giudizio penale a chi non sia stato parte in quest’ultimo procedimento, ciò avrebbe implicato, semplicemente, un’errata interpretazione delle disposizioni normative. Trattandosi, quindi, di attività ermeneutica, non poteva essere considerata sostitutiva di compiti riservati al legislatore, più di quanto possa esserlo o apparire che lo sia qualsivoglia operazione interpretativa non pedissequamente ed immediatamente riproduttiva del mero dato letterale della disposizione di legge che il giudice è chiamato ad interpretare ed applicare nello specifico caso sottoposto al suo esame . Per questi motivi, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione dichiaravano inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 16 – 17 aprile 2014, n. 8993 Presidente Rovelli – Relatore Rordorf Esposizione del fatto Con ricorso depositato il 7 maggio 2010 nella cancelleria del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte le sigg.re B.M. e S.P.L. chiesero l'annullamento sia della proclamazione del risultato delle consultazioni elettorali per il rinnovo del consiglio regionale e del presidente della giunta regionale del Piemonte, tenutesi nei giorni 28 e 29 maggio 2010 e conclusesi con la designazione alla carica presidenziale del sig. Roberto Cota, sia del presupposto provvedimento di ammissione alla competizione elettorale della lista omissis , collegata alla candidatura presidenziale del medesimo sig. C. . Le ricorrenti sostennero che erano state falsamente autenticate molte delle firme di accettazione delle candidature incluse nella predetta lista, la cui conseguente invalidità si era riflessa in modo determinante sull'esito della votazione. Il 6 agosto 2010 il tribunale amministrativo pronunciò una sentenza parziale con cui, dopo aver escluso la possibilità di accertare direttamente la sussistenza delle falsità denunciate dalle ricorrenti, assegnò alle stesse un termine per l'eventuale proposizione di querela di falso in sede civile. Quindi, essendo stata presentata la querela di falso, con ordinanza del 19 novembre 2010 il medesimo tribunale amministrativo sospese il giudizio pendente dinanzi a sé. L'anzidetta sentenza parziale fu impugnata davanti al Consiglio di Stato, il quale, all'esito di un complesso iter procedurale, nel cui ambito si innestò anche un incidente di costituzionalità risolto con dichiarazione di manifesta infondatezza Corte cost. n. 304 del 2011 , con sentenza del 1 agosto 2012 confermò che i falsi denunciati dalle ricorrenti non avrebbero potuto esser direttamente accertati dal tribunale amministrativo, ferma restando la possibilità di far valere in quel giudizio l'esito o della querela di falso proposta dinanzi al giudice civile ordinario o di un processo penale, che nel frattempo era stato instaurato con l'imputazione di falso per i medesimi fatti a carico dei sigg.ri G.M. e C. dinanzi al Tribunale di Torino. Il ricorso per cassazione proposto avverso tale pronuncia del Consiglio di Stato fu dichiarato inammissibile da questa corte con sentenza n. 6082 del 2012. Il Tribunale civile di Torino dichiarò estinto il procedimento per querela di falso, ma contro tale pronuncia fu proposto appello. Frattanto il giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale venne riassunto e si concluse con sentenza, pubblicata il 15 gennaio 2014, che accolse il ricorso originariamente proposto dalle sigg.re B. e S.P. facendo leva sull'accertamento intervenuto in sede penale - ormai definitivo - dell'effettiva falsificazione delle contestate firme di accettazione delle candidature indicate nella lista OMISSIS . Tale decisione fu impugnata dinanzi al Consiglio di Stato, il quale, con sentenza del 17 febbraio 2014, rigettò l'appello. Premesso che non era ravvisabile un giudicato interno implicante che solo la pronuncia sulla querela di falso proposta in sede civile potesse avere rilevanza nel giudizio amministrativo, anche il Consiglio di Stato ritenne che all'autonomo accertamento di falsità compiuto in sede penale dovesse riconoscersi efficacia erga omnes alla luce di quanto in proposito dispone l'art. 537 c.p.p Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso la Regione Piemonte, in persona del presidente della giunta sig. C.R. . Altro ricorso è stato proposto, in via incidentale, dai sigg.ri G.M. , F.S. , Bo.Fr.Ma. , M.M. , Gh.Ag. , e R.R. , che erano stati parte anch'essi del giudizio di merito. Le sigg.re B. e S.P. si sono difese con controricorso. L'udienza di discussione è stata fissata in tempi ristretti, con conseguente riduzione dei termini per il deposito di memorie, avendo la ricorrente principale rappresentato la necessità che la decisione sui proposti ricorsi intervenga con congruo anticipo rispetto alla scadenza fissata per i nuovi comizi elettorali, indetti a seguito dell'annullamento della proclamazione dei risultati delle precedenti elezioni regionali piemontesi da parte del giudice amministrativo, e quindi non oltre il 25 aprile 2014. Nell'imminenza dell'udienza tanto la ricorrente principale quanto i ricorrenti incidentali hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. Con l'impugnata sentenza il Consiglio di Stato, come s'è già detto, ha statuito sull'invalidità dell'ammissione della lista omissis alla competizione elettorale regionale piemontese tenutasi il 28 e 29 maggio 2010, ed ha conseguentemente annullato la proclamazione degli eletti, a cagione dell'irregolarità di alcune firme di presentazione delle candidature incluse in quella lista. L'irregolarità delle firme è dipesa da falsità nella loro autenticazione, accertata dalla sentenza, passata in giudicato, con cui si è concluso un processo penale per il reato di falso celebratosi a carico di uno dei presentatori della lista. 1.1. La regione Piemonte, nell'impugnare tale decisione dinanzi alle sezioni unite di questa corte, assume che il Consiglio di Stato avrebbe travalicato i limiti del potere giurisdizionale spettante al giudice amministrativo, sotto due profili a perché detto giudice, affermando la falsità dell'autenticazione delle firme di presentazione della lista sulla base del giudicato formatosi all'esito di un processo penale, quando ancora non era stato definito il giudizio civile instaurato a seguito di apposita querela di falso, avrebbe invaso la sfera della attribuzioni giurisdizionali che, in base agli artt. 270 c.c. e 221 c.p.c., competono unicamente al giudice civile b perché la suddetta decisione, postulando che nel giudizio amministrativo siano equivalenti gli effetti di un giudicato civile e quelli di un giudicato penale di falso ed attribuendo a quest'ultimo efficacia erga omnes , in contrasto con quanto stabilito dall'art. 654 c.p.p. e senza che nel dispositivo della sentenza penale sia stata neppure ordinata la cancellazione, ripristinazione, rinnovazione o riforma degli atti dichiarati falsi, a norma del secondo comma dell'art. 537 c.p.p. , avrebbe creato una norma inesistente e, perciò, avrebbe invaso la sfera delle attribuzioni proprie del legislatore. 1.2. Di tenore sostanzialmente analogo sono le doglianze prospettate, con quattro motivi, nel ricorso incidentale depositato dai sigg.ri G. , F. , Bo. , M. , Gh. , e R. . Doglianze nelle quali si sottolinea altresì, in modo particolare, che il Consiglio di Stato, nel dare al giudicato penale di falso un rilievo equivalente a quello che solo il giudicato civile di falso può avere, si sarebbe posto in contrasto con i principi affermati in relazione a questa stessa vicenda dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 304 del 2011 e dalle sezioni unite di questa corte con la sentenza n. 6082 del 2013. La Corte costituzionale, infatti, ha espressamente ribadito la riserva al giudice civile della risoluzione degli incidenti di falso in tema di atti muniti di fede privilegiata e le sezioni unite di questa corte, nel dichiarare inammissibile per difetto di attuale interesse l'impugnazione proposta contro la precedente sentenza con cui già il Consiglio di Stato aveva ipotizzato l'equivalenza di un allora futuro giudicato penale a quello civile di falso, avrebbe per ciò stesso implicitamente riconosciuto la configurabilità del denunciato vizio di eccesso di potere giurisdizionale in presenza di un'analoga statuizione del giudice amministrativo riferita ad un giudicato non più solo futuro ed eventuale ma effettivamente intervenuto. 2. Le controricorrenti sigg.re B. e S.P. hanno pregiudizialmente eccepito l'inammissibilità dei ricorsi, negando che le doglianze in essi veicolate siano riconducibili entro i limiti dell'impugnazione per cassazione delle sentenze del giudice amministrativo, che il primo comma dell'art. 362 c.p.c. circoscrive ai soli motivi attinenti alla giurisdizione. È appena il caso di aggiungere che l'ammissibilità dei ricorsi, alla stregua della disposizione del codice di rito appena citata, dovrebbe essere comunque vagliata anche d'ufficio. 2.1. Al riguardo s'impone una premessa, ancorché ovvia quella per cui le sezioni unite della Corte di cassazione, dinanzi alle quali siano impugnate decisioni di un giudice speciale per motivi attinenti alla giurisdizione, possono rilevare unicamente l'eventuale superamento dei limiti esterni della giurisdizione medesima, non essendo loro consentito di estendere il proprio sindacato anche al modo in cui la giurisdizione è stata esercitata, in rapporto a quanto denunciato dalle parti sicché rientrano nei limiti interni della giurisdizione e restano perciò estranei al sindacato di questa corte eventuali errori in iudicando o in procedendo che il ricorrente imputi al giudice amministrativo o al giudice contabile cfr. di recente, ex multis, Sez. un. n. 9687 del 2013, n. 24149 del 2013 e n. 1518 del 2014 . 2.2. Le censure che nel caso in esame i ricorrenti formulano nei confronti dell'impugnata sentenza del Consiglio di Stato indipendentemente da ogni valutazione in ordine alla fondatezza o infondatezza delle argomentazioni su cui riposano - non attengono in realtà al superamento dei limiti esterni della giurisdizione di detto giudice. Quella giurisdizione si è esplicata nella pronuncia di annullamento di atti amministrativi - l'ammissione alla competizione elettorale di una lista considerata priva dei requisiti necessari e la proclamazione di un risultato elettorale al cui esito hanno concorso i voti raccolti da tale lista - in ordine alla legittimità dei quali il sindacato giurisdizionale incontestabilmente competeva al giudice amministrativo, che lo ha in concreto esercitato. È vero che, per emettere la pronuncia richiestagli, il giudice amministrativo ha dovuto tener conto, incidentalmente, dell'accertamento di falsità documentali compiuto da altro giudice, giacché il legislatore ha sottratto un siffatto accertamento alla sua potestas iudicandi ma, proprio per questo, di una violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa si sarebbe potuto parlare solo se il giudice amministrativo si fosse invece arrogato il potere di accertare egli stesso quelle falsità ciò che sicuramente non è avvenuto. Infatti il Consiglio di Stato - come già in precedenza il Tribunale amministrativo regionale, che aveva sospeso il giudizio dinanzi a sé in attesa della definizione della querela di falso proposta in sede civile - ha ben chiarito l'impossibilità per il giudice amministrativo di procedere egli stesso direttamente ad un simile accertamento, che si è perciò svolto in altra sede giurisdizionale dinanzi ad un giudice ordinario. La questione che i ricorrenti pongono, pertanto, non investe l'esercizio da parte del Consiglio di Stato ed in primo grado già da parte del Tribunale amministrativo di un potere giurisdizionale di accertamento non spettante. Essi si dolgono del fatto che il giudice amministrativo, dovendo necessariamente subordinare la propria decisione alla pronuncia definitiva di un altro giudice in ordine alle falsità documentale di cui si stava discutendo, abbia individuato tale pronuncia definitiva, con effetto di giudicato, nella sentenza penale con cui sono stati condannati gli autori delle falsificazioni, anziché attendere la pronuncia del giudice civile che avrebbe dovuto chiudere il procedimento instaurato a seguito di querela di falso. Ma questo non tocca in alcun modo i limiti esterni della giurisdizione del giudice amministrativo semmai mette in discussione la scelta di chi, tra il giudice penale e quello civile, avesse il compito di sciogliere in questa vicenda il nodo della contestata falsificazione dell'autenticazione delle firme di presentazione della lista elettorale intorno alla quale si controverteva. Ed è ben noto che neppure la questione relativa all'attribuzione al giudice ordinario penale o civile della potestas iudicandi su di una determinata controversia pone un problema di riparto di giurisdizione, cioè di delimitazione della giurisdizione ordinaria nei confronti di quella amministrativa o speciale, ma investe la suddivisione delle competenze tra diversi giudici ugualmente esercitanti la giurisdizione ordinaria si vedano Sez. un. n. 14696 del 2005 e n. 18189 del 2013 . Quindi, anche se si volesse consentire con le critiche che i ricorrenti muovono su questo punto alla decisione impugnata, si potrebbe al più giungere alla conclusione che il giudice amministrativo ha commesso un error in iudicando , nel ritenersi condizionato da un giudicato penale che quel vincolo non era viceversa in grado di produrre, sia per i suoi limiti soggettivi sia per il fatto stesso di provenire da un giudice penale anziché dal giudice civile che era stato investito mediante la querela di falso o si potrebbe imputare al medesimo giudice amministrativo di essere incorso in un error in procedendo , perché, dopo aver sospeso il processo pendente dinanzi a sé in attesa della definizione del giudizio civile introdotto mediante la querela di falso, ha poi ritenuto che lo stesso processo potesse riprendere il suo corso e pervenire alla decisione sul merito a prescindere dalla definizione del predetto giudizio civile e facendo invece riferimento alla intervenuta conclusione del giudizio penale di falso. Ma si tratterebbe sempre - occorre ripeterlo - di errori inerenti al modo di esercizio in concreto della giurisdizione spettante al giudice amministrativo, come in qualsiasi altro caso in cui si rimproveri ad un giudice di aver ravvisato l'esistenza di un giudicato senza che ve ne siano gli estremi oggettivi oppure soggettivi, o di aver misconosciuto un giudicato che invece si era effettivamente formato, o di aver sospeso un procedimento che non avrebbe dovuto esserlo o viceversa, oppure di aver consentito la riassunzione di un processo non correttamente riassunto dopo una sospensione, e così via. Tutte situazioni che non implicano assolutamente un travalicamento dei limiti esterni del potere giurisdizionale attribuito al giudice cui quegli errori siano eventualmente imputabili. Né il richiamo ai principi che si vorrebbero desumere dalle precedenti già citate pronunce della Corte costituzionale e delle stesse sezioni unite di questa corte modifica in alcun modo il quadro appena tracciato perché, quand'anche il richiamo a quei principi fosse pertinente, nulla se ne potrebbe desumere se non che il Consiglio di Stato si è discostato, nel presente caso, dalle indicazioni desumibili dalle anzidette pronunce ed è perciò incorso negli errori dianzi ipotizzati. Ma resta pur sempre escluso che tali errori possano configurare un eccesso di potere giurisdizionale. 2.3. V'è ancora da dire della doglianza secondo cui l'impugnata decisione del giudice amministrativo, nel postulare l'equivalenza, ai fini che qui interessano, del giudicato penale sul falso al giudicato civile intervenuto all'esito di un procedimento per querela di falso, avrebbe invaso la sfera delle attribuzioni del legislatore creando una norma inesistente. Nemmeno sotto questo profilo è dato però riscontrare un vizio idoneo, anche solo in astratto, a configurare il denunciato eccesso di potere giurisdizionale. In ripetute occasioni questa corte ha affermato che l'eccesso di potere giurisdizionale per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore è configurabile solo qualora il giudice speciale abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete e l'ipotesi non ricorre quando il giudice si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che il loro coordinamento sistematico disvela, né quando abbia interpretato estensivamente una disposizione di legge, giacché tali operazioni ermeneutiche possono dare luogo, tutt'al più, ad errores in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale cfr. Sez. un. n. 2068 del 2011, n. 22784 del 2012, n. 11347 del 2013 e n. 20968 del 2013 . Nel caso in esame è di immediata evidenza che la conclusione cui il Consiglio di Stato è pervenuto in ordine agli effetti erga omnes del giudicato penale di falso contenuto in una sentenza pronunciata soltanto a norma del primo comma dell'art. 537 c.p.p. e non quindi corredata dall'enunciazione in dispositivo dell'ordine di cancellare, ripristinare, rinnovare o riformare gli atti dichiarati falsi a norma del secondo comma del medesimo articolo può eventualmente integrare un'ipotesi di errata o falsa applicazione di detta disposizione di legge, o del modo in cui la si dovrebbe coordinare con quanto stabilisce il successivo art. 654 dello stesso codice. Si può discutere se la prescrizione per cui dev'essere sempre dichiarata nel dispositivo la falsità di un atto o di un documento accertata dalla sentenza penale comporti la valenza erga omnes di tale accertamento, o se un simile effetto possa prodursi solo a condizione che nel medesimo dispositivo siano contenute le ulteriori prescrizioni ci cui al citato secondo comma dell'art. 537. Ma se pure si dovesse concludere - come prospettano i ricorrenti - nel senso dell'inopponibilità dell'accertamento della falsità a chi non sia stato parte del giudizio penale in cui quell'accertamento è avvenuto, ciò implicherebbe solo che l'avere invece attribuito ad esso efficacia erga omnes ha comportato un'errata interpretazione delle disposizioni normative sopra menzionate o eventualmente una loro falsa applicazione. Si tratta pur sempre, cioè, del risultato - corretto o meno che sia - di un'attività ermeneutica ed applicativa svolta dal giudicante all'interno del campo operativo segnato da quelle norme. Attività che non può dunque in alcun modo esser considerata come sostitutiva di compiti riservati al legislatore, più di quanto possa esserlo o apparire che lo sia qualsivoglia operazione interpretativa non pedissequamente ed immediatamente riproduttiva del mero dato letterale della disposizione di legge che il giudice è chiamato ad interpretare ed applicare nello specifico caso sottoposto al suo esame. 3. Entrambi i ricorsi, alla stregua di tali assorbenti considerazioni, debbono pertanto esser dichiarati inammissibili. 4. L'esito del giudizio comporta la condanna della regione Piemonte e dei ricorrenti incidentali al pagamento delle spese processuali in favore delle controricorrenti, liquidate come in dispositivo. P.Q.M. La corte dichiara inammissibili sia il ricorso principale sia quello incidentale e condanna tutti i ricorrenti in solido, in favore delle controricorrenti, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 di cui 7.000,00 per compenso , oltre agli accessori di legge.