La confessione è vincolante, ma non sempre decisiva

La necessità di intendere il vincolo gravante sul giudice, che discende dal valore di prova legale della confessione, come vincolo alla verità dei fatti che ne formano oggetto, non implica anche il dovere di considerarli sicuramente rilevanti e decisivi al fine di determinarne il convincimento, che può avvalersi dell’intero quadro probatorio formatosi nel corso del giudizio.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 8403 del 10 aprile 2014. Il fatto. Una società, deducendo l’inosservanza degli obblighi di diligenza richiesti in funzione della natura dell’attività professionale esercitata, ottiene in primo grado la condanna di un consulente del lavoro, incaricato dalla stessa, al risarcimento di tutti i danni patiti in conseguenza della tardiva allegazione della riserva di ripetizione alla domanda di condono previdenziale, che si giustificava in ragione di un’attività ispettiva condotta dall’INPS su alcuni collaboratori, i cui esiti erano stati contraddetti da un successivo accertamento giudiziale, che si era concluso nel senso dell’insussistenza del rapporto di lavoro subordinato. Interponeva gravame il soccombente, riuscendo ad ottenere il ribaltamento della decisione emanata dal giudice di prime cure. In appello responsabilità professionale insussistente. La Corte territoriale, in particolare, in accoglimento del proposto appello dichiarava insussistenti i profili di responsabilità professionale paventati dalla società e riscontrati dal Tribunale, nel primo grado di giudizio, sulla scorta della considerazione che la tardiva allegazione della clausola di riserva costituiva il frutto di una strategia preventivamente concordata con il cliente, o comunque l’effetto di una valutazione corretta alla luce dell’orientamento giurisprudenziale prevalente, che considerava priva di qualsivoglia efficacia tamquam non esset ” una tale riserva. Ad ulteriore supporto della decisione il giudice di appello affermava, altresì l’irrilevanza delle dichiarazioni confessorie rese dal consulente in sede di interrogatorio e relative alla dimenticanza di presentare la domanda di riserva. Avverso la suddetta sentenza la società proponeva ricorso per cassazione affidato ad una complessa ed articolata serie di censure. Nello specifico, la ricorrente indirizzava le sue doglianze contro una presunta valutazione di irrilevanza della confessione e sulla ritenuta insussistenza di una colpa professionale, che invece avrebbe dovuto rinvenirsi nella condotta del professionista, in quanto frutto di una valutazione del medesimo e non di una scelta operata di comune accordo con la cliente. La confessione deve essere valutata alla luce del quadro probatorio generale. Gli Ermellini osservano come la Corte di Appello fosse correttamente pervenuta alla conclusione di ritenere prive di rilievo le dichiarazioni confessorie rese dal professionista circa la dimenticanza del suo studio di presentare la domanda di riserva, giacché tali dichiarazioni debbono pur sempre essere inserite nel quadro probatorio che depone in senso contrario, essendo necessario dimostrare una colpa grave del professionista che non è riscontrabile nella fattispecie . Ancorché vincolante la confessione non è sempre decisiva . La Corte, in particolare, evidenzia come il giudice di appello non abbia affatto escluso che alle dichiarazioni rese dal consulente, in sede di interrogatorio formale, potesse essere attribuito valore confessorio, né abbia attribuito alle stesse un significato differente da quello che si evince dal loro tenore. Secondo la Cassazione, infatti, la motivazione della decisione impugnata si è incentrata unicamente sull’irrilevanza del contenuto di quelle dichiarazioni al fine di dimostrare la responsabilità professionale del consulente del lavoro, attribuendo rilievo ad un diverso ed ulteriore contesto probatorio , dal quale non risultava potersi evincere la responsabilità del professionista. In altri termini, nell’affermare che pur essendo il giudice vincolato processualmente alla verità dei fatti confessati, ciò non esclude che egli possa comunque giungere ad una valutazione d’irrilevanza di quegli stessi fatti in ragione di un diverso convincimento formatosi tramite elementi probatori ulteriori e ritenuti al riguardo decisivi , la Corte intende chiarire come la necessità di intendere il vincolo gravante sul giudice, che discende dal valore di prova legale attribuita alla confessione, come vincolo alla verità dei fatti che ne formano oggetto, non implichi anche il dovere di considerarli necessariamente rilevanti e decisivi al fine di determinarne il convincimento, che ben potrebbe fondarsi su valutazioni che, magari, depongono in senso contrario e che si avvalgono dell’intero quadro probatorio formatosi nel corso del giudizio. Un quadro probatorio nel quale, peraltro, emergono elementi idonei ad escludere la responsabilità professionale dedotta in giudizio, in quanto di per sé considerati esimenti al di là della confessata dimenticanza tra questi quello di aver agito in forza di una scelta adottata di comune accordo con il cliente ed, in ogni caso, in maniera conforme all’orientamento giurisprudenziale all’epoca ritenuto prevalente, che deponeva nel senso di considerare l’allegazione contestuale della riserva di ripetizione alla domanda di condono previdenziale tamquam non esset .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 11 febbraio – 11 aprile 2014, n. 8403 Presidente Berruti – Relatore Vincenti Ritenuto in fatto 1. - La Corte d'Appello di Bologna, con sentenza resa pubblica in data 17 agosto 2010, in riforma della sentenza del Tribunale di Ferrara del 26 maggio 2004, ha accolto il gravame proposto da C.G. , in qualità di consulente del lavoro della società Sira s.r.l., condannato in primo grado al risarcimento, nei confronti di questa, per i danni provocati dalla tardiva allegazione della riserva di ripetizione alla domanda di condono previdenziale, che si giustificava in ragione di un'attività ispettiva condotta dall'INPS su alcuni collaboratori, i cui esiti erano stati contraddetti dal successivo accertamento giudiziale, che si era concluso nel senso dell'insussistenza del rapporto di lavoro subordinato. 1.1. - La Corte territoriale ha riformato, quindi, la sentenza di primo grado sul punto relativo all'accertamento della responsabilità professionale del C. , del quale non ha ritenuto integrati gli estremi per essere, la tardiva allegazione della clausola di riserva, frutto di una strategia concordata con il cliente o comunque di una valutazione, quand'anche non consensuale, corretta rebus sic stantibus, in ragione, cioè dell'indirizzo giurisprudenziale corrente che assumeva la riserva tamquam non esset , e non potendo assumere rilievo alcuno le dichiarazioni confessorie rese dal C. in sede di interrogatorio e relative alla dimenticanza di presentare la domanda di riserva. 1.2. — Il giudice di appello ha, quindi, ritenuto conseguenzialmente assorbito il motivo subordinato di gravame proposto dal C. al fine di rendere operativa la polizza assicurativa aperta presso la Zurigo Assicurazioni S.p.A. 2. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre la Sira S.p.A. sulla base di undici motivi. Resistono con separato controricorso C.G. e la Zurich Insurance Pubblio Limited Company già Zurigo Assicurazioni S.A. . Hanno depositato memoria la Sira S.p.A. che assume esser stata dichiarata fallita nel corso del presente giudizio di legittimità e la compagnia di assicurazioni. Considerato in diritto 1. - Il fallimento della società ricorrente - che, nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ., si deduce esser sopravvenuto a seguito di sentenza dichiarativa dell'aprile 2013 - non spiega, nel presente giudizio di legittimità, dominato dall'impulso d'ufficio, alcun effetto, come in genere tutti gli eventi di cui agli artt. 299 e segg. cod. proc. civ., riferendosi tali norme al solo giudizio di merito tra le tante, Cass., 13 ottobre 2010, n. 21153, che ha riguardo anche all'intervenuta modifica dell'art. 43 della legge fall., per effetto dell'art. 41 del d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 . 2. - Con il primo motivo è denunciata, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., omessa motivazione sulla non ammissione dei mezzi di prova in ordine a fatti decisivi e controversi, con riferimento in particolare alla decisione assunta da Sira in merito alla presentazione di domanda di condono con riserva di ripetizione ed all'oggetto dell'incarico conferito da Sira al dott. C. . La Corte territoriale avrebbe errato nel non ammettere la prova testimoniale sui fatti concernenti la decisione assunta da Sira e l'oggetto dell'incarico conferito al C. , che, se confermati, avrebbero determinato un diverso convincimento del giudice e supportato la pronuncia di responsabilità del professionista per non aver agito con la diligenza richiestagli dalla natura e in ragione dell'attività esercitata. In particolare, la prova orale richiesta avrebbe consentito al giudice di accertare che la decisione di non presentare contestuale riserva di ripetizione unitamente alla domanda di condono non costituiva circostanza concordata ma, piuttosto, concretava un problema di scarsa diligenza del consulente del lavoro connesso alle modalità attuative del suo incarico. Sul punto la omissione di motivazione sarebbe totale e costituirebbe vizio di per sé idoneo ad inficiare la validità e la legittimità della sentenza. 2.1. - Il motivo è infondato. È principio consolidato tra le altre, Cass., 17 maggio 2007, n. 11457 Cass., 23 febbraio 2009, n. 4369 Cass., 7 marzo 2011, n. 5377 quello per cui il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale può essere denunciato in sede di legittimità solo nel caso in cui essa abbia determinato l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, solo ove la prova non ammessa ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Di qui, per l'appunto, la necessità di indicare nel ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell’impugnata sentenza. Invero, la ricorrente neppure adduce che tra le specifiche circostanze oggetto della prova non ammessa vi fosse quella, puntuale e concludente, concernente il fatto che la scelta di non presentare contestuale riserva di ripetizione unitamente alla domanda di condono non fosse concordata tra la stessa Sira ed il C. . Il che trova conferma nel tenore stesso dei capitoli della prova testimoniale dedotta, che sono stati trascritti in ricorso. Difatti, dalle argomentazioni a sostegno del motivo, in linea con il contenuto complessivamente esibito da detta capitolazione, si evince, segnatamente, che fu la Sira, dopo approfondita disamina , ad adottare la scelta operativa ed imprenditoriale di presentare domanda di condono e fare quanto necessario per salvaguardare la possibilità di ripetere la somma pagata per il condono , cosi affidando al C. , suo abituale consulente in materia contributiva e di lavoro, l'incarico di dare concreta attuazione a tale scelta e, dunque, di adottare ogni iniziativa opportuna al fine di raggiungere lo scopo prefissato . Su tale impianto di fondo si innestano poi le ulteriori circostanze oggetto dei capitoli di prova testimoniale, concernenti le modalità attuative della condotta del C. , in ordine ai tempi di deposito delle domande di regolarizzazione e di riserva di ripetizione. Sicché, dagli esiti della prova dedotta, ove fosse stata espletata, non si sarebbe potuto assumere con certezza il fatto contrario alla consensualità dell'anzidetta scelta di non presentare contestualmente domanda di condono e riserva di ripetizione, ma semmai inferirlo, sia pure in termini di probabilità, alla stregua di una determinata inclinazione dell'apprezzamento del giudice del merito, involgente l'intero complesso delle risultanze probatorie acquisite inclinazione che, nella specie, si è invece mossa in una direzione differente rispetto a quella auspicata dalla parte interessata, giungendo ad un convincimento anch'esso plausibile, frutto dell'esercizio legittimo del potere di valutazione probatoria riservato unicamente allo stesso giudice del merito. 3. - Sono, poi, sviluppati in stretta connessione tra loro i motivi dal secondo al quinto, i quali si incentrano sull'affermazione resa dalla Corte territoriale in ordine al fatto che nessun rilievo hanno le dichiarazioni confessorie rese in sede di interrogatorio dal C. circa la dimenticanza del suo studio di presentare la domanda di riserva, in quanto tali dichiarazioni debbono pur sempre essere inserite nel quadro probatorio sopra descritto, che depone in senso contrario, essendo necessario dimostrare una colpa grave del professionista, che non è riscontrabile nella fattispecie . 3.1. - Con il secondo motivo è dedotta, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli art. 2730 e 2733 c.c. e comunque delle norme e dei principi in materia di confessione giudiziale . La sentenza impugnata violerebbe le norme riguardanti il valore da attribuire alla confessione, in forza delle quali la confessione giudiziale forma piena prova contro colui che l'ha resa, cosi da rappresentare un vincolo nei confronti del giudice. Il principio di diritto sotteso alla decisione sembrerebbe, invece, essere quello relativo alla libera valutazione della confessione. 3.2. - Con il terzo motivo è prospettata, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell'art. 116 cod. proc. civ., con riferimento alla valutazione delle risultanze istruttorie ed in particolare degli esiti dell'interrogatorio formale quale prova legale . I principi giuridici evidenziati, sia pure sotto altro profilo, nel connesso motivo precedente, avrebbero determinato la violazione della norma, di cui all'art. 116 cod. proc. civ., che detta i criteri di valutazione delle prove. Atteso il valore di prova legale della confessione, il giudice avrebbe dovuto esimersi dal valutarla secondo il suo prudente apprezzamento. 3.3. - Con il quarto motivo è denunciata, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione in ordine al fatto essenziale e controverso concernente le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dal C. ed i fatti su cui le stesse vertono, nonché la valutazione e gli effetti di tali dichiarazioni . Il giudice di merito non avrebbe sufficientemente motivato in ordine a due profili, rispettivamente concernenti la prevalenza di un quadro probatorio che depone in senso contrario alle dichiarazioni confessorie e la mancata dimostrazione di colpa grave del professionista che, invece, emergerebbe in maniera sufficiente, oltre che vincolante, dalle stesse dichiarazioni . Il giudizio di rilevanza di quella confessione avrebbe permesso al giudice di soprassedere alle risultanze probatorie derivanti da deduzioni e mere illazioni determinandone un diverso convincimento e di desumere dalle dichiarazioni, che ne costituiscono oggetto, l'esistenza di una colpa grave, per quanto possa occorrere, del professionista consistente nel non aver dato attuazione a quanto concordato e, comunque, nel non aver portato a compimento tutte quelle attività idonee al raggiungimento del fine perseguito dal cliente . 3.4. - Con il quinto motivo è dedotta, in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, 1218 e 2236 c.c. e comunque delle norme e dei principi in materia di corretto adempimento contrattuale, di responsabilità per inadempimento e di responsabilità del professionista nell'esecuzione dell'incarico ricevuto . La Corte felsinea, nell'escludere la responsabilità del consulente del lavoro in ragione della ritenuta irrilevanza di quelle dichiarazione aventi valore confessorio, avrebbe violato le norme in materia di responsabilità per inadempimento del professionista nell'esecuzione dell'incarico ricevuto, per non essersi questi attenuto all'incarico concordato con il cliente. 4. - Con il sesto motivo è poi prospettata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione in ordine a fatti decisivi e controversi, con riferimento alla decisione assunta da Sira in merito alla presentazione di domanda di condono con riserva di ripetizione, all'oggetto dell'incarico conferito da Sira al proprio consulente del lavoro dott. C. , alla non consensualità della scelta di presentare la domanda di condono senza contestuale e contemporaneo deposito della riserva di ripetizione, alla situazione che nel maggio 2007 si presentava in merito al condono previdenziale ed alla connessa riserva di ripetizione e comunque agli effetti del condono previdenziale sul contenzioso in corso e alla possibilità di ripetizione delle somme versate ad esito del condono . La Corte territoriale avrebbe insufficientemente motivato in ordine all'esistenza di un quadro probatorio che farebbe ritenere, a suo dire, la contestualità tra la presentazione in sede contenziosa della domanda di ripetizione ed in sede amministrativa della riserva di ripetizione, sintomatica di una scelta concordata tra cliente e professionista. La suddetta contestualità, al contrario, deporrebbe in favore delle conclusione del ricorrente per il quale la modifica delle conclusioni del suo avvocato avente ad oggetto, nella causa di accertamento della non debenza delle sonane, la condanna dell'Inps alla restituzione delle somme versate, avrebbe reso edotto il C. della dimenticanza, cosi determinandolo al deposito della riserva di ripetizione. Il giudice di appello si sarebbe pronunciato con motivazione insufficiente anche sul punto rappresentato dall'individuazione di quel quadro probatorio che infirma le dichiarazioni confessorie del C. , in quanto una sola pronuncia, peraltro risalente, del Tribunale di Ferrara, avrebbe considerato la riserva di ripetizione apposta alla domanda di condono vitiatur et vitiat, mentre l'orientamento costante del giudice di legittimità era per la validità della riserva o, comunque, per la invalidità della riserva ma senza alcuna efficacia nei confronti del condono. 5. - Possono essere scrutinati congiuntamente tra loro, da un lato, il secondo, terzo e quinto motivo, e, dall'altro, il quarto ed il sesto motivo. Nessuno degli anzidetti motivi può trovare accoglimento. 5.1. — Quanto al secondo, terzo e quinto motivo, la Corte territoriale non ha affatto escluso che le dichiarazioni rese dal C. in sede di interrogatorio formale potessero avere valore confessorio, né ha attribuito ad esse un significato diverso da quello che emerge dal loro stesso contenuto, né, infine, ha diversamente accertato il fatto confessato. La motivazione della decisione impugnata si è, infatti, incentrata unicamente sull'irrilevanza del contenuto di quelle dichiarazioni al fine di dimostrare la responsabilità professionale del consulente del lavoro, attribuendo rilievo ad un diverso ed ulteriore contesto probatorio. Ciò consente, anzitutto, di ritenere prive di pregio le doglianze di violazione degli artt. 2730 e 2733 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., giacché, pur essendo il giudice vincolato processualmente alla verità dei fatti confessati, ciò non esclude che egli possa comunque giungere ad una valutazione d'irrilevanza di quegli stessi fatti in ragione di un diverso convincimento formatosi tramite elementi probatori ulteriori e ritenuti al riguardo decisivi. In altri termini, la necessità di intendere il vincolo gravante sul giudice, che discende dal valore di prova legale della confessione, come vincolo alla verità dei fatti che ne formano oggetto, non implica anche il dovere di considerarli sicuramente rilevanti e decisivi ai fine di determinarne il convincimento, che può avvalersi dell'intero quadro probatorio formatosi nel corso del giudizio. Anche la dedotta violazione degli artt. 1176, 1218 e 2236 cod. civ. muove dall'argomentazione relativa alla mancata attribuzione del valore di prova legale alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale dal consulente del lavoro, di cui si è già evidenziata l'infondatezza. Deve, altresì, ribadirsi, comunque, che la sentenza impugnata si snoda tramite percorsi argomentativi autonomi, ciascuno dei quali logicamente e giuridicamente idoneo a sorreggere la decisione da una parte, l'esclusione di qualsivoglia responsabilità nessuna responsabilità poteva essere ascritta al professionista , si legge a p. 6 della sentenza impugnata del professionista che, pertanto, supera ed elide anche l'ulteriore considerazione che lo stesso giudice di merito opera in ordine al grado della colpa all'uopo rilevante per aver agito in forza di una scelta consensuale adottata con il cliente dall'altra, il giudizio relativo all’irrilevanza delle dichiarazioni confessorie rese dal C. — circa la dimenticanza nella presentazione della domanda di riserva - per aver, esso professionista, comunque agito fosse anche su propria iniziativa conformemente all'orientamento della giurisprudenza all'epoca prevalente, che deponeva nel senso di considerare l'allegazione contestuale della riserva di ripetizione alla domanda di condono previdenziale tamquam non esset . Nello specifico dei motivi in esame, la ricorrente ha indirizzato le proprie doglianze contro la valutazione del giudice di merito d'irrilevanza della confessione, mancando però di considerare la complessiva ratio decidendi , che, come visto, si sofferma - per escludere ogni addebito di responsabilità in capo al consulente del lavoro - sia sulla consensualità della scelta operativa, ma anche, in ogni caso, sulla piena conformità della condotta del professionista rispetto al ritenuto orientamento giurisprudenziale prevalente, di per sé ritenuta esimente al di là della dimenticanza confessata. 5.2. — Quanto al quarto e sesto motivo, anzitutto giova rammentare - sulla scorta del diritto vivente formatosi sulla formulazione applicabile ratione temporis dell'art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., antecedente alla novella recata dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazione, dalla legge n. 134 del 2012 tra le tante, Cass., 2 febbraio 2007, n. 2272 - che il difetto di motivazione, nel senso di una sua insufficienza, è configurabile soltanto quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l'obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in quest'ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame al fine di confutarle o condividerle tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi come accaduto nella specie le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse . Nel caso in esame, la Corte territoriale ha escluso la rilevanza delle dichiarazioni confessorie del C. in ordine alla dimenticanza della presentazione della domanda di riserva in forza della presenza di un quadro probatorio che depone nel senso contrario rispetto ad una affermazione di responsabilità del professionista, che - come già accennato - lo stesso giudice del merito ha ritenuto del tutto insussistente nessuna responsabilità poteva essere ascritta al professionista per lo sfasamento temporale tra il condono e la riserva, in base alle seguenti considerazioni , sebbene abbia poi fatto riferimento anche alla colpa grave del professionista, che non è riscontrabile nella fattispecie ciò, tuttavia, là dove ha chiosato sul giudizio di irrilevanza delle dichiarazioni confessorie del C. , mentre il convincimento sulla natura e gli effetti della condotta tenuta del medesimo professionista si era già espresso pienamente in precedenza. Tanto precisato, il quadro probatorio accertato dal giudice del merito è quello relativo sia al fatto che la scelta di non provvedere alla contestuale allegazione della riserva di ripetizione alla domanda di condono previdenziale era stata concordata tra cliente e professionista, sia alla conformità della condotta tenuta da quest'ultimo rispetto all'orientamento prevalente della giurisprudenza, che considerava la riserva di ripetizione tamquam non esset . In particolare, quanto al primo profilo, la Corte territoriale ha apprezzato il coordinamento temporale ritenuto non essere una mera coincidenza tra la presentazione, in sede contenziosa, della domanda di ripetizione e la presentazione, in sede amministrativa, della riserva di ripetizione. Quanto al secondo profilo, il giudice del merito ha segnatamente valorizzato, come espressione di un orientamento prevalente, la pronuncia di questa Corte n. 2684 del 26 marzo 1997, evidenziando altresì che trattavasi di orientamento poi confermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 4918 del 15 maggio 1998, là dove, inoltre, il riferimento alla giurisprudenza di merito più restrittiva, ma isolata, è stato assunto soltanto come ulteriore elemento di valutazione, volto unicamente a rafforzare lo scopo di evitare in ogni caso la malaugurata conseguenza della nullità della domanda di condono ritenuta da qualche isolata pronuncia . A fronte di siffatto articolato percorso argomentativo, che si snoda su due direttrice alternative tra loro, tutt'altro che insufficientemente motivato e che, di per sé, nell'esibire le ragioni del convincimento raggiunto dalla Corte territoriale, non risulta affetto da palesi aporie logiche e da implausibilità, la ricorrente indugia in una ricostruzione ad essa favorevole dei medesimi fatti e valutazioni, prospettando la possibilità, nonché l'opportunità, di diverse soluzioni alle quali il giudice del merito sarebbe potuto pervenire, in tal modo, però, ingerendosi inammissibilmente nell'ambito dei poteri di apprezzamento ad esso riservati. 6. - Con il settimo ed ottavo motivo la ricorrente società incentra le proprie doglianze sulla ritenuta insussistenza della colpa del professionista, in riferimento, segnatamente, alle affermazioni della Corte territoriale sulla condotta del professionista quale frutto di una valutazione del medesimo e non della cliente . 6.1. - Con il settimo motivo è denunciata, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1176, 1218, 2236 c.c. e comunque delle norme e dei principi che regolano l'adempimento delle obbligazioni e la responsabilità per il relativo inadempimento, in generale e con specifico riferimento all'attività del professionista intellettuale . La Corte territoriale, nel ritenere insussistente la colpa del professionista in ragione dell'esistenza di una giurisprudenza prevalente alla quale egli avrebbe conformato il suo comportamento, avrebbe violato le norme relative alla responsabilità per inadempimento delle prestazioni connesse all'attività del professionista. L'oggetto dell'incarico sarebbe consistito, infatti, nel fare quanto necessario ed opportuno al fine di ripetere le somme ad esito della causa nei confronti dell'Inps in caso di vittoria dei giudizi previdenziali e, quindi, di presentare la domanda di condono con riserva di ripetizione. Anche nell'ipotesi denegata in cui non si ritenga cosi individuato il contenuto dell'incarico, la diligenza esigibile dal professionista, ai sensi del comma secondo dell'art. 1176 cod. civ., avrebbe dovuto rendere doverosa la contestuale presentazione della riserva di ripetizione. 6.2. - Con l'ottavo motivo è dedotta, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione in ordine al fatto controverso e decisivo, con particolare riferimento al contenuto dell'incarico conferito al professionista in seguito alla decisione assunta da Sira in merito alla presentazione della domanda di condono con riserva di ripetizione ed alla situazione che all'epoca — maggio 1997 — si presentava . Il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare che la circostanza dell'ininfluenza della riserva di ripetizione non eliminava la necessità, perché l'incarico del professionista potesse dirsi correttamente adempiuto, della sua presentazione come fatto idoneo al raggiungimento dello scopo perseguito dal cliente. 7. - Con il nono, decimo ed undicesimo motivo la ricorrente censura, segnatamente, l'affermazione della Corte di appello per cui una colpa grave del professionista non è riscontrabile nella fattispecie . 7.1. - Con il nono e decimo motivo è prospettata, ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., rispettivamente, e in alternativa, omessa ovvero insufficiente motivazione in ordine al fatto controverso e decisivo concernente la sussistenza dei caratteri di speciale difficoltà nella prestazione richiesta al professionista . La Corte di appello avrebbe omesso di pronunciarsi, o lo avrebbe fatto con motivazione insufficiente, in ordine all'asserita necessità di dimostrare, nel caso di specie, in luogo della colpa lieve, la colpa grave del professionista ex art. 2236 cod. civ., in forza del quale la responsabilità per danni è limitata all'ipotesi di colpa grave qualora la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà. Tale non sarebbe, comunque, lo stato dell'arte in materia di rapporto tra condono e ripetizione”, ben potendo la situazione giurisprudenziale permettere-esigere, facendo uso della doverosa diligenza, la contemporanea presentazione di riserva di ripetizione, che tutt'al più sarebbe stata considerata tamquam non esset . 7.2. - Con l'undicesimo motivo è dedotta, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 2236 cod. civ La Corte territoriale avrebbe errato nel non considerare colpa grave quella di chi non esegua esattamente la prestazione dovuta e nel far luogo all'applicazione dell'art. 2236 cod. civ., posto che l'incarico era specifico e ben determinato e cioè presentare domanda di condono con riserva di ripetizione . Tanto essa ricorrente aveva chiesto di provare primo motivo di ricorso ma era anche stato provato e risultava agli atti da secondo a quinto motivo di ricorso , risultando peraltro le diverse valutazioni operate dalla Corte bolognese per giungere a diversa conclusione ed in particolare per affermare che la decisione di presentare domanda di condono senza riserva di ripetizione era stata concordata, sprovviste di sufficiente, congrua e logica motivazione sesto motivo di ricorso e risultando quindi, in ottica di corretta applicazione ed interpretazione delle norme e dei principi di legge in proposito, la colpa del professionista settimo ed ottavo motivo di ricorso . Dunque, nella specie, il professionista avrebbe agito in esecuzione di una decisione già presa e che quindi aveva alla radice risolto i problemi tecnici . Peraltro, la limitazione di responsabilità, per lo più, riguarderebbe la competenza tecnica e, quindi, l'imperizia, non già invece il difetto di diligenza, come rileverebbe nella fattispecie. In ogni caso, come messo in rilievo con i motivi dal sesto all'ottavo e decimo, pur volendo prescindere dall'ipotesi di precisa individuazione dell'incarico, la situazione era, comunque, tale da esigere-consigliare la contemporanea presentazione della riserva, considerata la complessiva situazione e lo stato dell'arte in materia di domanda di condono e di riserva di ripetizione” sicché, la colpa grave era comunque sussistente, al di là del fatto che non vi fosse la necessità di applicare alla presente fattispecie l'art. 2236 cod. civ 8. - I motivi da settimo all'undicesimo sono inammissibili. Essi, pur censurando profili diversi, sono tutti convergenti nel tentativo di infirmare la ratio decidendi della impugnata sentenza che attiene alla condotta tenuta dal C. come frutto di una propria valutazione e non già della scelta concordata con la Sira S.p.A. di presentare disgiuntamente domanda di regolarizzazione e istanza di riserva di ripetizione delle somme a tal riguardo versate all'istituto di previdenza in via esemplificativa, si veda in tal senso la ricognizione, sopra riportata, che la stessa ricorrente fa, in seno all'undicesimo motivo, del tenore delle doglianze . Sicché, il mancato accoglimento dei motivi di censura, in precedenza scrutinati, che investono la ratio decidendi relativa alla ritenuta assenza di responsabilità del professionista per essersi questi attenuto, nel depositare solo successivamente l'istanza di riserva di ripetizione, ad una scelta concordata con la cliente Sira S.p.A., rende ultroneo, per sopravvenuto difetto di interesse, lo scrutino dei restanti motivi di ricorso che mirano a demolire soltanto l'altra ratio decidendi su cui si snoda il percorso argomentativo del giudice e cioè quella relativa, per l’appunto, al comportamento tenuto ex se dal consulente del lavoro, in conseguenza dell'incarico affidatogli, siccome non segnato, però, dalla scelta consensuale di cui si è detto. Pertanto, trova applicazione nella specie il principio, consolidato tra le tante, Cass., 14 febbraio 2012, n. 2108 , per cui, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa . 9. - Il ricorso va, dunque, rigettato e la società ricorrente, in quanto soccombente, condannata al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascuna parte controricorrente, in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre accessori di legge.