“All’armi siam secessionisti”, lui rifiuta e scappa in Italia: sì allo status di rifugiato

Rimesso in discussione il niet opposto dai giudici, nei primi due gradi, alla richiesta di protezione avanzata da un giovane senegalese. Quest’ultimo è scappato dal Paese di origine per evitare l’arruolamento forzato nel ‘movimento’ che lotta per l’indipendenza della regione di appartenenza.

Secessione a tutti i costi. Ma non quella paventata, in Italia, dal Veneto, bensì quella più seria minacciata da un movimento di lotta in Senegal. A dare forza alla battaglia – finalizzata ad ottenere l’indipendenza della regione del Casamance – anche la durezza e la intransigenza mostrata dai leader del movimento, pronti ad arruolare, volenti o nolenti, i giovani della regione. Davvero difficile rifiutarsi ecco perché le conseguenze per il ‘no’ opposto da un giovane, poi scappato in Italia, sono da valutare come persecuzione politica in piena regola. Cass., sent. n. 8399/14, Sesta Sezione Civile, depositata oggi Lotta per l’indipendenza. Solo permesso di soggiorno per motivi umanitari , niente riconoscimento, invece, dello status di rifugiato . ‘Vittoria’ parziale, quindi, per il giovane senegalese, scappato in Italia a causa delle ‘pressioni’ subite da un movimento per l’indipendenza della sua regione di appartenenza. Secondo i giudici, difatti, i fatti che ne avevano determinato l’espatrio , in sostanza, erano remoti, risalendo al 2008 genericamente ascritti a ‘ribelli’, e senza riferimenti precisi di ordine politico, etnico e religioso limitati a un ambito regionale, e, dunque, superabili mediante il trasferimento in una zona più sicura del Paese . E comunque, aggiungono i giudici, alla luce della vicenda, come delineata dal giovane, non è plausibile il riconoscimento dello status di rifugiato, spettante solo a chi sia perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale, opinione politica . Arruolamento forzato. Ma quest’ultima considerazione dei giudici è, secondo la Cassazione, assai discutibile Soprattutto tenendo presente i dettagli della vicenda, da cui emerge che il giovane è fuggito dal Senegal a causa del timore provocato dall’azione dei ribelli del movimento di lotta per l’indipendenza della sua regione di appartenenza, i quali costringevano, con la forza, i giovani ad arruolarsi nelle loro fila . Ebbene, la minaccia, da parte di un gruppo armato propugnante la secessione di una parte del territorio nazionale, di arruolare, con la forza, i giovani residenti in quel territorio , spiegano i giudici del ‘Palazzaccio’, rappresenta, senza dubbio, minaccia di persecuzione per motivi di opinione politica . Rilevante, e decisivo, il carattere, all’evidenza politico, della finalità secessionista e del metodo – la lotta armata – scelto per realizzarla dai componenti del movimento.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 26 marzo – 9 aprile 2014, n. 8399 Presidente Di Palma – Relatore De Chiara Svolgimento del processo La Corte d'appello di Napoli ha accolto parzialmente il gravame proposto del sig. O.B., di nazionalità senegalese, avverso la sentenza con cui il Tribunale aveva respinto l'impugnazione del diniego di riconoscimento, da parte della competente Commissione territoriale, del suo diritto alla protezione internazionale. Ha infatti riconosciuto il solo diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, invocato in estremo subordine dall'appellante, mentre ha respinto la domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato e quella subordinata di riconoscimento della protezione sussidiaria, osservando - che i fatti che avevano determinato l'espatrio del B., come dal medesimo narrati alla Commissione il 16 gennaio 2012, erano remoti, risalendo al 2008 genericamente ascritti a ribelli e senza riferimenti precisi di ordine politico, etnico e religioso limitati a un ambito regionale e dunque superabili mediante il trasferimento dell'interessato in una zona più sicura del paese - che tali fatti non consentono il riconoscimento dello status di rifugiato, spettante solo a chi sia perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale, opinione politica - che nemmeno ricorrono i presupposti della protezione sussidiaria ai sensi dell'ars. 14 d.lgs. 19 novembre 2007, n. 251 senza peraltro spiegarne le ragioni . Il sig. B. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi. L'amministrazione intimata non ha svolto difese. Motivi della decisione 1. - I tre motivi di ricorso, con cui si denunciano violazioni di legge e vizi di motivazione, vanno esaminati congiuntamente attesa la loro connessione e parziale ripetitività. 2. - E' prioritaria, secondo l'ordine logico, la critica del rigetto della domanda principale di riconoscimento dello status di rifugiato, che il ricorrente affida a tre censure a a differenza di quanto affermato dalla Corte d'appello, la quale ha escluso la configurabilità di alcuno dei motivi di persecuzione rilevanti ai sensi dell'art. 8 d.lgs. n. 251 del 2007, i fatti come riferiti nella domanda giudiziale vanno qualificati come fatti di persecuzione per motivi politici b la circostanza che tali fatti risalgano al 2008 non è significativa, se non accompagnata dalla verifica della loro inattualità c né rileva il preteso carattere regionale dei medesimi fatti, dato che l'Italia non ha inteso avvalersi della facoltà prevista dall'art. 8 della direttiva 2004/83/CE ossia della facoltà di stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d’origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese . 2.1. - L'esame della censura sub a richiede un chiarimento preliminare. La Corte d'appello, nell'escludere che i fatti indicati dal ricorrente a motivazione della fuga dal proprio paese siano qualificabili come fatti di persecuzione per taluno dei motivi di cui all'art. 8 d.lgs. n. 251 del 2007, cit., e in particolare per motivi politici, ha avuto riferimento alla narrazione degli stessi fatta dal ricorrente durante l'audizione davanti alla Commissione territoriale il ricorrente fa invece riferimento ai fatti indicati nel ricorso giurisdizionale. Tra la prima e la seconda versione dei fatti sussiste però una differenza, solo nella seconda essendo precisato che i ribelli del MFDC movimento di lotta per l'indipendenza del Casamance, la regione del Senegal di dichiarata provenienza del ricorrente , il timore dei quali aveva indotto il Balde a fuggire, costringevano con la forza i giovani ad arruolarsi nelle loro fila. La Corte d'appello avrebbe dovuto far riferimento a quest'ultima versione, perché compito del giudice è prendere in esame la domanda giudiziale così come proposta. Ciò non esclude, ovviamente, che la Corte fosse poi libera di apprezzare la domanda stessa, nel merito, eventualmente traendo argomenti, in punto di plausibilità dei fatti posti a suo fondamento, anche da eventuali scostamenti della loro narrazione rispetto alla versione originariamente fornita in sede amministrativa ma ciò doveva essere frutto di una motivata valutazione, non già della pura e semplice sostituzione del contenuto della domanda giudiziale con quello del previo procedimento amministrativo. Tanto premesso, la questione che si poneva alla Corte d'appello e si pone tuttora è dunque se la minaccia, da parte di un gruppo armato propugnante la secessione di una parte del territorio nazionale, di arruolare con la forza nelle sue fila i giovani residenti in quel territorio, costituisca o meno, per questi ultimi, minaccia di persecuzione per motivi di opinione politica ai sensi del richiamato art. 8, lett. e , d.lgs. n. 251 del 2007, che riferisce tali motivi alla professione di un'opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori e alle loro politiche o ai loro metodi, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti . La risposta non può che essere positiva, considerato il carattere all'evidenza politico della finalità secessionista e del metodo - la lotta armata - scelto per realizzarla e considerato, altresì, che non è necessaria la traduzione in atti concreti, da parte del soggetto minacciato, della sua opinione contraria a quella del gruppo minacciante, e che la minaccia non deve necessariamente provenire dallo Stato, ben potendo provenire anche da partiti o organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio o comunque da altri soggetti non statuali, se i responsabili non possono o non vogliono fornire protezione art. 5, d.lgs. cit. . 2.2. - Va del pan accolta la censura sub b , poiché la circostanza che i fatti riferiti dal richiedente a fondamento della minaccia di persecuzione datino ad epoca più o meno risalente nel tempo non è di per sé sufficiente a far escludere l'attualità della minaccia di persecuzione, la quale ben potrebbe comunque persistere e va quindi verificata, nell'osservanza dei criteri e con le modalità di cui all'art. 3 d.lgs. n. 251 del 2007 e all'art. 8 d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25. 2.3. - Fondata è, infine, anche la censura sub c , poiché il diritto al riconoscimento dello status di rifugiato politico o della misura più gradata della protezione sussidiaria non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del paese d'origine ove non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi , atteso che tale esclusione, prevista nell'art. 8 della direttiva 2004/83/CE e il cui inserimento nell'atto normativo interno di attuazione della direttiva stessa costituisce una mera facoltà degli stati membri, non è stata trasposta nel d.lgs. n. 251 del 2007 Cass. 2294/2012 . 3. - Quanto sopra comporta la cassazione con rinvio della sentenza impugnata ed assorbe ogni ulteriore censura articolata nel ricorso, in particolare con riferimento alla domanda subordinata di protezione sussidiaria, il cui esame andrà del pari rinnovato nel giudizio di rinvio. Il giudizio di rinvio s'impone perché l'attendibilità dei fatti come narrati dal ricorrente è - a dispetto del contrario avviso espresso da quest'ultimo - tutt'altro che accertata dai giudici di appello, i quali si sono invece limitati ad esaminare quei fatti in astratto e a darne una qualificazione giuridica ostativa all'accoglimento della domanda. Il giudice di rinvio, indicato in dispositivo, si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati ai nn. 2.1, 2.2. e 2.3 e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla, Corte d'appello di Napoli in diversa composizione.