Possibile l’appello avverso le sentenze del giudice di pace, ma a precise condizioni

Le sentenze del Giudice di Pace, pronunciate secondo equità a norma dell’art. 113, co. 2, c.p.c., sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, delle norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 3005 dell’11 febbraio 2014. Il fatto. Il Tribunale di Savona dichiarava inammissibile l’appello proposto da alcuni condomini avverso la sentenza del Giudice di Pace della città ligure, la quale rigettava l’opposizione al decreto con il quale era stato loro ingiunto il pagamento, in favore del condominio, di spese condominiali. La decisione era dovuta al fatto che la sentenza del Giudice di pace era stata pronunciata secondo equità in quanto di valore inferiore a 1100 euro. Pertanto, non era appellabile se non per violazione dei principi regolatori della materia che, tuttavia, non erano stati evidenziati nell’appello. I condomini propongono ricorso in Cassazione. Appellabilità delle sentenze del Giudice di Pace. Gli Ermellini ricordano che, secondo l’art. 339, co. 3, c.p.c., come modificato dal d.l. n. 40/2006, le sentenze del Giudice di Pace, pronunciate secondo equità a norma dell’art. 113, co. 2, c.p.c., sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, delle norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia. Principi informatori della materia. Se il ricorso denuncia la violazione di un principio informatore della materia, deve indicare chiaramente e in modo specifico quale sia quello violato e il contrasto tra questo e la regola equitativa individuata dal Giudice di Pace. Si tratta, infatti, di principi non codificati conseguentemente, è chi ne lamenta la violazione che deve individuarli. Solo dopo, il giudice di legittimità potrà verificarne l’esistenza e la loro eventuale violazione. Motivi di appello non formulati correttamente. La Suprema Corte specifica, inoltre, che ex art. 342 c.p.c., l’atto d’appello deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti e i motivi di impugnazione., pena l’inammissibilità. Nel caso di specie, manca l’indicazione dei principi regolatori della materia che sarebbero stati violati e, quindi, il giudice di merito ha deciso nell’ambito del devolutum , giudicando le censure non solo inammissibili ma anche tardive, in quanto formulate solo in comparsa conclusionale. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 dicembre 2013 – 11 febbraio 2014, 3005 Presidente Goldoni – Relatore Proto Osserva in fatto 1. Con sentenza depositata il 27/1/2011 il Tribunale di Savona dichiarò inammissibile l'appello proposto dai sigg.ri H.J.A. e M.A.S. avverso la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Savona con la quale era stata rigettata la loro opposizione al decreto con il quale era loro ingiunto il pagamento, a favore del Condominio Villa dei Fiori, via XI Febbraio 10 Vado Ligure, di spese condominiali per l'importo di euro 958,00 per spese condominiali. Il Tribunale rilevò che la sentenza emessa dal Giudice di Pace era stata pronunciata secondo equità in quanto di valore inferiore a euro 1.100,00 e che pertanto non era appellabile se non per la violazione dei principi regolatori della materia che tuttavia non erano stati evidenziati, nell'appello le successive censure indicate nella comparsa conclusionale erano tardive e inammissibili. 2. I ricorrenti propongono ricorso per cassazione deducendo, quale unico motivo, la violazione dell'art. 338 c.p.c. in relazione all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. sostenendo che - la sentenza del Giudice di Pace era appellabile in quanto pronunciata in violazione dei principi che regolano la concessione e la revoca dei decreti ingiuntivi - nell'atto di appello avevano sostenuto che il capitale richiesto in sede monitoria non corrispondeva a quello effettivamente dovuto - che nel primo grado avevano prodotto documentazione attestante l'integrale estinzione del debito - che a fronte di pagamenti anche parziali prima dell'emissione del decreto ingiuntivo o durante il giudizio di opposizione il decreto doveva essere revocato - che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non è limitato alla verifica delle condizioni di ammissibilità e validità del decreto, ma si estende anche ai fatti costitutivi, modificati ed estintivi con riferimento al momento della sentenza - che il Tribunale non doveva arrestarsi ad una pronuncia di inammissibilità dell'appello, ma decidere nel merito - che deve invece affermarsi l'ammissibilità dell'appello delle sentenze pronunciate dal Giudice di Pace secondo equità quando in principi informatori della materia che si intendono violati emergano dal contenuto dell'atto senza necessità di formule esplicite o sacramentali. Osserva in diritto 3. La sentenza del Giudice di Pace, in quanto pubblicata successivamente alla modifica apportata dal D.L. 2 febbraio 2006, n. 40, è regolata dall'art. 339 c.p.c., comma 3, come modificato dal D.L. n. 40 del 2006, art. 1, il quale statuisce che Le sentenze del Giudice di Pace, pronunciate secondo equità a norma dell'ari. 113 c p. c., comma 2, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia . Come evidenziato nella relazione del giudice relatore, questa Corte, seppure con riferimento al ricorso per Cassazione nel sistema anteriore alla riforma del 2006, ma con riferimento alla formulazione del motivo di impugnazione e, quindi, con principi applicabili anche ai motivi di appello, ha affermato che in tema di giudizio di equità, i principi informatori della materia non rappresentano una regola di giudizio, ma una limitazione del potere discrezionale nel determinare la regola equitativa del caso concreto, giacché il risultato della scelta operata dal giudice, pur potendo non coincidere con quello raggiunto dal legislatore, dovrà necessariamente rispettare i principi ai quali questi si è ispirato nel disciplinare la materia. Pertanto, il ricorso che denunci la violazione di un principio informatore della materia deve con chiarezza indicare specificamente quale sia il principio violato e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga in contrasto con esso, trattandosi di principi che - non essendo oggettivizzati in norme - devono essere prima individuati da chi ne lamenta la violazione e soltanto successivamente verificati dal giudice di legittimità prima nella loro esistenza e quindi nella loro eventuale violazione Cass. 284/2007 Cass. 8466/2010 . Nella specie, il Tribunale, nella sentenza impugnata con il ricorso, non solo ha rilevato che l'appellante non aveva individuato gli eventuali principi regolatori della materia che sarebbero stati violati, ma anche che le successive censure, formulate solo in comparsa conclusionale erano tardive e inammissibili. L'atto d'appello è strutturalmente e funzionalmente diverso dall'atto introduttivo del processo di primo grado, non contiene una domanda giudiziale che è già contenuta nella citazione in primo grado e deve invece contenere ex art. 342 c.p.c., anche nella formulazione previdente alla modifica introdotta con il D.L. n. 83 del 2012, l'esposizione sommaria dei fatti e i motivi d impugnazione , pena l'inammissibilità in altri termini, l'appellante doveva e deve indicare a pena di inammissibilità i motivi specifici dell'impugnazione individuando esattamente il limite violato dal giudice di pace nel decidere secondo equità e specificando i principi regolatori che ritiene violati nel caso di specie solo a queste condizioni il giudice di appello è tenuto ad emettere una pronuncia stricto iure. Pertanto correttamente il giudice di appello ha rilevato la mancata indicazione, nei motivi di appello, dei principi regolatori della materia che sarebbero stati violati, ha deciso nell'ambito del devolutum e ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello tenuto conto dell'inammissibilità delle censure formulate solo in comparsa conclusionale e quindi tardive e non essendo stato dedotto, come motivo di appello, il superamento, da parte del giudice di primo grado, del potere discrezionale nel determinare la regola equitativa del caso concreto. Solo con il ricorso per cassazione i ricorrenti formulano il motivo che, avrebbero dovuto formulare con l'atto di appello, ma, nella sostanza, introducono una questione di merito che attiene alla riferibilità di alcuni pagamenti ai crediti azionati con il decreto ingiuntivo. 4. In conclusione il ricorso deve essere rigettato per manifesta infondatezza. Non v'è luogo a pronunciare sulle spese di questo giudizio di Cassazione in quanto l'intimato non ha svolto difese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.