Ausiliari, nessun compenso aggiuntivo per attività complementari o accessorie

In tema di liquidazione del compenso ai periti vige il principio di omnicomprensività dell’onorario, per cui per le attività complementari ed accessorie - che pur non essendo specificamente previste in sede di conferimento dell’incarico risultino tuttavia strumentali all’accertamento dell’incarico -, non vi è spazio per un ulteriore compenso, commisurato al tempo.

La Cassazione, con la decisione n. 2437 resa dalla Seconda sezione Civile il 4 febbraio 2014, si è occupata di spese di giustizia e di compensi per gli ausiliari del giudice e del pubblico ministero nel caso specifico si trattava di un collegio di due periti nominati da un pubblico ministero nell’ambito di un procedimento penale in materia di investimenti finanziari . Il caso. Nell’ambito di un processo penale, relativo alle vicende di prodotti finanziari venduti ai risparmiatori, il Pubblico Ministero incaricava due periti, commercialisti, di svolgere determinate indagini circa le operazioni di investimento e disinvestimento dei tutoli con tanto di presunti illeciti prelievi dai conti correnti dei risparmiatori . Si trattava di una indagine estremamente complessa ed articolata, anche perché inerente a portafogli riferibili a ben 118 esponenti e ai loro familiari. Su queste basi, il Pubblico Ministero commisurava l’onorario spettante ai periti alla sommatoria delle singole indagini peritali”, applicando, per ciascuna indagine, l’aliquota minima prevista dall’art. 2 delle tabelle allegate al d.m. 30 maggio 2002. Individuate n. 6 fattispecie autonome”, il Pubblico Ministero aveva quindi calcolato l’onorario nell’importo di euro 30.697,98, su cui aveva applicato l’aumento del 40% per il carattere collegiale dell’incarico. I periti, avverso il decreto di liquidazione del Pubblico Ministero, proponevano opposizione a norma dell’art. 170, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 15. Il Presidente del Tribunale rigettava però l’opposizione con ordinanza poi resa oggetto di ricorso per cassazione. Compensi per le prestazioni non previste nell’affidamento di incarico? La Cassazione, stroncati sul nascere almeno tre motivi di ricorso per inidoneità dei quesiti, affronta questo tema se per le operazioni effettuate per la consulenza svolta sui quesiti assegnati dal Pubblico Ministero, siano compatibili, con gli onorari variabili o fissi previsti dalla tabella allegata dal d.m. 30 maggio 2002, gli onorari a tempo contemplati nell’art. 4, legge n. 319/1980 ove risultino diverse dalla relazione sui risultati dell’incarico espletato, dalla partecipazione alle udienze e altre attività concernenti i quesiti, di cui all’art. 7 delle tabelle. Onorari incrementabili sino al doppio? Altro quesito sottoposto alla Suprema Corte se non debba trovare applicazione l’art. 52, d.P.R. n. 115/2002, che prevede l’aumento degli onorari sino al doppio, ove le prestazioni risultino di eccezionale importanza, complessità e difficoltà. Prevale il principio di omnicomprensività dell’onorario. Il Supremo Collegio rigetta entrambe le censure poco fa ricordate. Sotto il primo profilo, viene richiamato e riaffermato il principio, vigente in tema di liquidazione del compenso ai periti, di omnicomprensività dell’onorario, sancito dall’art. 29 del d.m. 30 maggio 2002, sicché per le attività complementari ed accessorie che, pur non essendo specificamente previste in sede di conferimento dell’incarico, risultino tuttavia strumentali all’accertamento dell’incarico, non vi è spazio per un ulteriore compenso, commisurato al tempo. Niente aumento sino al doppio . Quanto al secondo profilo, per gli Ermellini, l’ordinanza impugnata si è attenuta - nell’escludere l’aumento sino al doppio - al principio secondo cui, in tema di compenso agli ausiliari del giudice o del pubblico ministero, costituiscono prestazioni eccezionali – per le quali sarebbe consentita la maggiorazione art. 52, d.P.R. n. 115/2002 – quelle che, pur presentando aspetti di unicità o quanto meno, di assoluta rarità, risultino comunque avere impiegato l’ausiliario in misura notevolmente massiva, per importanza tecnico-scientifica, complessità e difficoltà.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 novembre 2013 - 4 febbraio 2014, n. 2437 Presidente Oddo – Relatore Giusti Ritenuto in fatto 1. - Nell'ambito di procedimento penale, relativo alle vicende di prodotti finanziari venduti ai risparmiatori dell'ex BNL Investimenti s.p.a. poi incorporata della Ras Bank s.p.a. , il pubblico ministero ha incaricato il Dott. C.I. e il Dott. L.E. , entrambi dottori commercialisti, di accertare se le operazioni di disinvestimento titoli disconosciute dai querelanti risultassero effettivamente seguite, secondo l'ammontare indicato nelle querele, con accredito degli importi liquidati sui conti correnti accesi dai querelanti o su conti transitori interni presso la BNL di oppure con la consegna di assegni circolari se risultassero altre operazioni di prelievo illecito o di ritenzione indebita, quali illustrate nelle querele, di somme appartenenti ai querelanti se vi fossero riscontri documentali di consegne di denaro contante, asserite dai querelanti nella mani del promotore finanziario D.G.G. , che le avrebbe trattenute per sé invece di investirle come concordato quali norme di settore e/o interne fossero state violate nelle suddette operazioni dove fossero confluite le somme illecitamente prelevate o indebitamente trattenute da D.G.G. , in particolare se fossero state versate su conti correnti accesi dallo stesso D.G. o da altri soggetti. Il 14 aprile 2006 i consulenti tecnici hanno depositato la relazione. 2. - Con il decreto del 16 giugno 2007 il pubblico ministero ha rilevato che - la verifica di migliaia di operazioni di disinvestimento di strumenti finanziari transitati, nel quinquennio, sulle diverse centinaia di portafogli titoli appartenenti ai 118 esponenti o a loro familiari aveva un saldo finale superiore a cinque milioni di Euro - l’analisi comparata degli strumenti finanziari risultati dai tantissimi portafogli predisposti e prospettati irregolarmente, rispetto agli effettivi strumenti finanziari presenti nei portafogli custoditi dalle società prodotto” con la reale quotazione di mercato, rendeva un valore contabile superiore a tre milioni di Euro - gli accertamenti sulle situazioni contabili relative ad operazioni di trasferimento di valori indicavano transazioni superiori a tre milioni di Euro - il valore degli ordini di investimento impartiti dai risparmiatori e non evasi, che avevano interessato le banche negoziatrici degli assegni emessi allo scopo, risultava superiore a 2.500.000 Euro - il valore contabile dei flussi elettronici interbancari presso le società prodotto” e la sede compartimentale di XXXXXX e OMISSIS della BNL, dei riscontri incrociati con le società prodotto” e le rispettive banche corrispondenti in ordine al controvalore dei titoli disinvestiti era superiore a 1.051.505 Euro - il riscontro documentale delle pratiche transitorie pervenute telematicamente alla filiale dei XXXXXXXX della BNL recava un valore degli smobilizzi accantonati superiore a 1.500.000 Euro. Tanto premesso, il pubblico ministero ha commisurato l'onorario alla sommatoria delle singole indagini peritali , applicando, per ciascuna indagine, l'aliquota minima prevista dall'art. 2 delle tabelle allegate al d.m. 30 maggio 2002. Individuate n. 6 fattispecie autonome , ha quindi calcolato l'onorario nell'importo di Euro 30.697,98, su cui ha applicato l'aumento del 40% per il carattere collegiale dell'incarico. 3. - L.E. e C.I. hanno proposto opposizione, a norma dell'art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, avverso il decreto di liquidazione del pubblico ministero del Tribunale di Lecce. 4. - Il Presidente del Tribunale di Lecce, con ordinanza in data 3 novembre 2008, ha rigettato l'opposizione. Il Presidente del Tribunale ha osservato quanto segue - i prodotti finanziari, spesso molto sofisticati, si riassumono, pur sempre, nell'affidamento di somme di denaro da parte di un risparmiatore perché, alle scadenze previste, gli siano restituite somme maggiori, con il rischio che gli vengano, invece, restituite somme minori a causa dell'andamento sfavorevole del mercato dei valori mobiliari acquistati con le somme iniziali - queste operazioni sono riconducibili al concetto di prestito, sicché la ricerca e la lettura analitica dei documenti rappresentativi del loro svolgimento, che sono state il contenuto essenziale della consulenza, rientrano nell'art. 7 del d.m. 30 maggio 2002 - i Dott. C. e L. hanno dovuto effettuare calcoli solo marginalmente e non hanno dovuto verificare specifici rendiconti ne consegue che il loro lavoro, già in base al tenore dei quesiti, non ha riguardato la materia contabile prevista dall'art. 2 né quelle dei rendiconti e situazioni contabili previste dall'art. 5 del citato decreto ministeriale - secondo l'art. 29 delle tabelle tutti gli onorari, se non è stabilito diversamente nelle stesse tabelle, sono comprensivi di ogni attività concernente i quesiti pertanto, non vi è spazio per riconoscere un ulteriore compenso, commisurato al tempo, per l'esame della documentazione in sé. 4. - L.E. e C.I. hanno proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del Presidente del Tribunale di Lecce. Il ricorso, privo del conclusivo quesito di diritto, è stato proposto nelle forme del rito penale e depositato nella cancelleria del giudice a quo . In detto procedimento A.V. ha depositato memoria. Questa Corte, con ordinanza interlocutoria 21 dicembre 2012, n. 23836, resa in esito all'udienza pubblica del 28 novembre 2012, ha assegnato alla parte ricorrente a il termine perentorio di giorni sessanta dalla comunicazione della presente ordinanza per proporre e notificare ricorso per cassazione secondo le forme del codice di procedura civile b il termine perentorio di giorni venti dalla notificazione per il deposito del ricorso nella cancelleria della Corte. Il C. ed il L. hanno quindi notificato, in data 6, 11 e 13 marzo 2013, ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questa sede. Il Ministero della giustizia ha depositato in data 16 aprile 2013 un atto di costituzione ai fini dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione. Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo violazione dell'art. 2 delle tabelle allegate al d.m. 30 maggio 2002 si chiede di stabilire se dal tenore dei quesiti posti e dagli accertamenti eseguiti dai ricorrenti e risultanti dalla perizia rivolti a determinare e a ricostruire la gestione contabile dei numerosissimi strumenti finanziari transitati nei dossier titoli intestati o cointestati ai querelanti e diretti a risalire alla destinazione finale di quella ingente somma di denaro prodotta dal disinvestimento degli strumenti finanziari , la medesima perizia debba inquadrarsi nella materia contabile e, come tale debba essere liquidata. Con il quarto motivo si denuncia la falsa applicazione dell'art. 7 del d.m. 30 maggio 2002. Tale norma non sarebbe, ad avviso del ricorrenti, atteso il quesito rivolto ai periti, applicabile nella specie. 1.1. - I motivi - da esaminare congiuntamente, stante la loro stretta connessione - sono, entrambi, inammissibili per inidoneità dei quesiti, come eccepito dal pubblico ministero. Nessuno dei due quesiti si conclude infatti con un quesito che individui tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata. I quesiti formulati a pag. 21-22 e a pag. 31-32 si limitano a demandare a questa Corte l'accertamento diretto di quale sia la norma applicabile, sul rilievo - assertivo - che l'attività demandata ai periti dal pubblico ministero conferente l'incarico sarebbe inquadrabile nella materia contabile e non in quella attinente a prestiti, ma senza indicare né dove sarebbe ravvisabile l'errore giuridico contenuto nell'ordinanza impugnata né quale sarebbe il principio da affermare al posto di quello applicato dal giudice a quo . 2. - Il secondo mezzo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 della legge 8 maggio 1980, n. 319, e 29 delle tabelle allegate al d.m. 30 maggio 2002. Con esso si pone la questione se per le operazioni effettuate per la consulenza svolta sui quesiti assegnati dal pubblico ministero, siano compatibili, con gli onorari variabili o fissi previsti nelle tabelle allegate al d.m. 30 maggio 2002, gli onorari a tempo contemplati nell'art. 4 della legge n. 319 del 1980 ove risultino diverse dalla relazione sui risultati dell'incarico espletato, dalla partecipazione alle udienze e altre attività concernenti i quesiti, di cui all'art. 7 delle tabelle e se non debba trovare applicazione l'art. 52 del d.P.R. n. 115 del 2002, che prevede l'aumento degli onorari sino al doppio, ove le prestazioni risultino di eccezionale importanza, complessità e difficoltà . 2.1. - La censura è infondata, sotto entrambi i profili in cui è prospettata. Per un verso, in tema di liquidazione del compenso ai periti, vige il principio di omnicomprensività dell'onorario, sancito dall'art. 29 del d.m. 30 maggio 2002, sicché per le attività complementari ed accessorie che, pur non essendo specificamente previste in sede di conferimento dell'incarico, risultino tuttavia strumentali all'accertamento tecnico, non vi è spazio per un ulteriore compenso, commisurato al tempo. A ciò aggiungasi che, in ogni caso, il quesito di diritto, con cui si conclude il motivo, neppure si da cura di indicare specificamente in che cosa siano consistite le ulteriori indagini, di natura differente, che sarebbero state affidate a ed espletate dai consulenti. Per l'altro verso, nell'escludere l'aumento sino al doppio, l'ordinanza impugnata si è attenuta, evidentemente, al principio secondo cui, in tema di compenso agli ausiliari del giudice o del pubblico ministero, costituiscono prestazioni eccezionali - per le quali, ai sensi dell'art. 52 del d.P.R. n. 115 del 2002 è consentita la detta maggiorazione - quelle prestazioni che, pur non presentando aspetti di unicità o, quanto meno, di assoluta rarità, risultino comunque avere impiegato l'ausiliare in misura notevolmente massiva, per importanza tecnico-scientifica, complessità e difficoltà cfr., sul previgente art. 5 della legge 8 luglio 1980, n. 319, Cass., Sez. I, 8 ottobre 1997, n. 9761 Cass., Sez. II, 31 marzo 2006, n. 7632 . Sotto questo profilo, la doglianza articolata dai ricorrenti mira a sollecitare la Corte di cassazione ad operare una valutazione di puro merito sulla ricorrenza, nella specie, delle condizioni in fatto che giustificherebbero il riconoscimento dell'aumento. 3. - Il terzo motivo violazione dell'art. 6 della legge 8 luglio 1980, n. 319 chiede a questa Corte di stabilire se la maggiorazione del 40% del compenso per gli incarichi collegiali debba comunque essere erogata, in difetto di disposizione del magistrato che abbia disposto la consulenza tecnica, secondo cui ognuno degli incaricati deve svolgere personalmente per intero l'incarico affidatogli, e ciò a prescindere dall'applicazione dell'art. 2 o dell'art. 7 delle tabelle allegate al d.m. 30 maggio 2002 . 3.1. - Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi . Occorre infatti rilevare che il pubblico ministero, nel liquidare il compenso ai periti, precisò come risulta dalla pag. 2 del provvedimento impugnato che sull'importo di Euro 30.697,98 doveva essere applicato l'aumento del 40% per il carattere collegiale dell'incarico. Il giudice dell'opposizione ha confermato il decreto del pubblico ministero, né consta che abbia escluso il detto aumento che nessuna opposizione incidentale aveva messo in discussione . Di qui l'astrattezza della censura veicolata con il motivo. 4. - Il ricorso è rigettato. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, nessuno degli intimati avendo svolto attività difensiva in questa sede dopo la proposizione del ricorso nelle forme del rito civile. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.