L’esposizione oggettiva e soggettiva ai rischi è il parametro per la concessione della protezione sussidiaria

In tema di immigrazione di extracomunitario e quindi di status di rifugiato, il magistrato è tenuto ad esercitare il potere-dovere d’integrazione istruttoria onde adempiere alla preventiva esigenza di conoscere ed acquisire le informazioni necessarie a comprendere il contesto generale in cui collocarle.

E’, così, illegittima la sentenza con cui, ritenuta la veridicità delle dichiarazioni dell’extracomunitario ed accertata la situazione di violenza indiscriminata nello Stato di sua provenienza e quindi il danno grave consistente nel forte pericolo per la vita e l’incolumità fisica, venga negata la protezione internazionale sulla base della riconduzione del pericolo all’incolumità alla tipologia del lavoro svolto. Il principio si argomenta dalla ordinanza n. 24066, depositata il 24 ottobre 2013. Il caso. Un cittadino pakistano adiva le vie legali giudiziarie onde ottenere una misura di protezione internazionale od umanitaria dichiarava, così, di essere stato, in qualità di addetto alla sicurezza aeroportuale di una città del Pakistan, avvicinato e sequestrato da alcuni talebani armati che volevano estorcergli informazioni sulla sicurezza a fini terroristici, di essere intervenuto per sventare un attentato e di essere stato vittima di un attentato e, quindi, ricoverato in ospedale. Anche in secondo grado il ricorso veniva respinto poiché il giudice, nonostante avesse ritenuto le dichiarazioni veritiere e che il Pakistan fosse uno Stato sui generis , individuava l’eziologia dei rischi e delle violenze subìte dallo straniero nella specifica attività lavorativa di quest’ultimo. La tutela dell’extracomunitario tra diritto al soggiorno ed espulsione. In primis , vanno richiamati il d.lgs n. 286/1998, il d.lgs n. 251/2007, il d.lgs n. 25/2008, il d.lgs n. 158/2009 e l’art. 3 CEDU. E’ da sottolineare, sotto il duplice profilo formale e sostanziale, che il magistrato non può omettere di verificare il grado di violenza di matrice terroristica presente nello Stato di provenienza dell’extracomunitario segnatamente, egli non può limitare, arbitrariamente, le proprie funzioni giurisdizionali istruttorie e giungere, così, ad una decisione viziata. Va censurato l’iter argomentativo contraddittorio del provvedimento giurisdizionale. In ambito di ingresso dell’extracomunitario sul territorio italiano, va riconosciuta, contrariamente a quanto sostenuto da App. Napoli n. 4004/2012, la protezione sussidiaria in caso di situazione di pericolo all’incolumità personale dell’immigrato, maturata in uno stato di violenza indiscriminata lo status di rifugiato politico va, invece, riconosciuto se le violenze e le minacce rivolte all’extracomunitario siano state giustificate da motivazioni politiche, religiose o razziali. Ergo , il ricorso va accolto e la sentenza va annullata.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 23 aprile - 24 ottobre 2013, n. 24066 Presidente Di Palma – Relatore Acierno Svolgimento del processo e motivi della decisione Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Napoli, confermando la pronuncia del Tribunale, ha respinto la domanda di protezione internazionale proposta dal cittadino pakistano M.K. . Il richiedente aveva dichiarato, a sostegno della domanda proposta, di essere stato addetto alla sicurezza aeroportuale di omissis di essere stato avvicinato da alcuni talebani armati che volevano estorcergli informazioni sulla sicurezza dell'aeroporto a fini terroristici di essere successivamente intervenuto per sventare un attentato nel corso del quale un terrorista si era fatto esplodere di essersi fatto trasferire a di essere stato vittima di un attentato anche in questa località di essere stato ricoverato in ospedale e di essere fuggito dopo la dimissione dall'ospedale. Tali dichiarazioni venivano ritenute dal giudice di secondo grado veritiere, così come veniva riconosciuto che il era uno stato nel quale i talebani trovavano rifugio con la connivenza delle autorità pubbliche ma, nello stesso tempo, i rischi paventati e le violenze subite venivano esclusivamente riferite alla specifica attività lavorativa svolta dal richiedente con la conseguenza che sarebbe stato sufficiente cambiare lavoro per poter evitare futuri pericoli. In conclusione la Corte d'Appello riteneva che la situazione denunciata dal cittadino straniero fosse soltanto scaturita dalla tipologia di lavoro svolto e non rientrasse in alcuna delle cause giustificative di una misura di protezione internazionale od umanitaria. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il cittadino straniero affidandosi a quattro motivi. La parte ricorrente ha anche depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Nel primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 7, 14 del d.lgs n. 251 del 2007 degli artt. 8 ed 11 del d.lgs. n. 25 del 2008, così come modificato dal d.lgs. n. 158 del 2009 nonché degli artt. 5, comma sesto, e 19, comma primo, del d.lgs. n. 286 del 1998, per non avere la Corte d'Appello riconosciuto lo status di rifugiato al ricorrente nonostante la valutazione di veridicità delle dichiarazioni da esso rese e senza aver verificato mediante il potere dovere d'integrazione istruttoria officiosa previsto dalla legge se la situazione oggettiva del paese fosse coerente con la dedotta natura meramente lavorativa delle persecuzioni e gravi atti di violenza dallo stesso subite. In particolare, la Corte d'Appello avrebbe omesso di verificare se l'attività di sorveglianza aeroportuale svolta dal cittadino pakistano fosse equiparabile, quanto meno in senso lato, ad attività di pubblica sicurezza così da prefigurare un conflitto tra autorità statuali e organizzazioni terroristiche. Nel secondo motivo è stata dedotta la violazione oltre che del sopraindicato art. 3 del d.lgs. n. 251 del 2007 anche degli artt. 5, 7, 14 nonché gli artt. 8 e 25 del d.lgs. n. 25 del 2008. È stata, inoltre, censurata la sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di motivazione, risultando l'iter argomentativo della Corte d'Appello contraddittorio in ordine all'esclusione del riconoscimento delle ragioni di persecuzione e grave violenza subite dal cittadino OMISSIS ed in particolare in ordine alla predicata cessazione delle violenze e persecuzioni a carico del ricorrente una volta cambiato lavoro. Anche in ordine ai requisiti per la protezione sussidiaria, la Corte d'Appello ha omesso di verificare officiosamente se le dichiarazioni del ricorrente potessero denunciare una situazione di violenza indiscriminata nel paese, in quanto dominato dagli attentati terroristici e dalla debolezza quando non connivenza delle autorità governative. L'inclusione della vicenda narrata in un contesto esclusivamente lavorativo è avvenuta, secondo il ricorrente, in dispregio della corretta ermeneusi delle norme che descrivono le condizioni per il riconoscimento delle misure tipiche di protezione internazionale, nonché omettendo il chiaro insegnamento della recente pronuncia della Corte di Giustizia n. 465/07 del 17/2/09. La Corte ha omesso di verificare il grado di violenza di matrice terroristica presente in . Tale omissione deve ritenersi tanto più grave di fronte ai due attentati e al sequestro di persona subiti dal ricorrente, anche in considerazione del contesto ritenuto credibile in cui sono maturati. Nel terzo motivo viene formulata analoga censura sotto il profilo dell'omessa valutazione dei presupposti per il riconoscimento di una misura di protezione umanitaria, tenuto conto della giurisprudenza della CEDU in ordine alla violazione dell'art. 3 della Convenzione Europea dei diritti umani. Nel quarto motivo viene denunciata la grave carenza di motivazione ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. riscontrata nella sentenza impugnata in ordine alla natura meramente apodittica della dedotta riconducibilità esclusivamente all'ambito lavorativo dei fatti di persecuzione e violenza narrati dal ricorrente escludendo ogni rilievo alla situazione generale del paese pur esposta e ritenuta verosimile. I primi due motivi, logicamente connessi ed affrontabili unitariamente sono fondati. La sentenza impugnata parte da due affermazioni di cruciale rilievo, fondate sulla corretta applicazione dell'art. 3 del d.lgs. n. 251 del 2007, relativo ai criteri di valutazione della veridicità delle dichiarazioni rese dal cittadino straniero e 10 del d.lgs. n. 25 del 2008, relativo alla preventiva esigenza di conoscere ed acquisire le informazioni necessarie a comprendere il contesto generale nel quale le predette dichiarazioni devono essere collocate. In primo luogo la Corte ritiene del tutto verosimili le dichiarazioni del ricorrente, alla luce dei parametri stabiliti nel citato art. 3. Pertanto, deve ritenersi veritiero che il ricorrente sia stato reiteratamente minacciato anche di morte per non aver rivelato informazioni relative alla sicurezza dell'aeroporto omissis , di aver in quell'aeroporto subito insieme ad altri colleghi un attentato di essere stato trasferito a richiesto all'aeroporto di e di essere anche in questa sede stato vittima di un attentato nel quale un kamikaze si era fatto esplodere. Peraltro prima dei due atti di violenza il ricorrente era stato sequestrato da tre persone armate al fine di estorcergli informazioni relative alla sicurezza dell'aeroporto omissis . In secondo luogo la Corte afferma che la situazione del è caratterizzata da una forte frequenza di terroristi talebani, rifugiatisi in questo paese per la connivenza delle istituzioni politiche. Pur partendo da queste due affermazioni convergenti verso il riconoscimento di una situazione non solo oggettivamente indicativa di un clima generalizzato di violenza non controllata dalle istituzioni ma anche soggettivamente caratterizzata da una forte e reiterata esposizione al rischio di subire violenze personali ed anche la morte da parte del richiedente, la Corte d'Appello ha rigettato la domanda ritenendo la pur grave situazione soggettiva del cittadino pakistano dovuta esclusivamente al lavoro svolto. Pervenendo a tale conclusione la Corte, tuttavia, non ha fatto buon governo delle norme che pure ha illustrato in modo esauriente nella prima parte della motivazione relative alle condizioni di riconoscimento delle misure tipiche di protezione internazionale ed in particolare l'art. 14 del d.lgs. n. 251 del 2007 relativo alla protezione sussidiaria. Ritiene questa Corte che le dichiarazioni del ricorrente e la situazione oggettiva descritta nel provvedimento consentono di ritenere sussistente a suo carico una situazione di danno grave consistente nel forte pericolo per la propria vita ed incolumità fisica derivante da una situazione di violenza sostanzialmente indiscriminata, determinata da un'organizzazione terroristica, operante in modo incontrastato, non trovando adeguata opposizione e contenimento da parte delle autorità statuali e locali che, anzi, secondo quanto accertato nel provvedimento impugnato, sarebbero conniventi o tolleranti al riguardo. Peraltro, gli episodi descritti hanno ad oggetto non soltanto un pericolo futuro ma anche l'intervenuta sottoposizione a violenze e minacce dovute alla mancata collaborazione del ricorrente con la predetta organizzazione terroristica. Non è, conseguentemente, logico ritenere tale situazione esclusivamente derivante dall'attività lavorativa svolta. Deve, al riguardo, osservarsi, in primo luogo, che le competenze del ricorrente non sono annullabili mediante il mero cambiamento di occupazione ed, in secondo luogo, che non possono ridursi a conflittualità lavorative le violenze e le minacce di un gruppo terroristico tuttora operante e capillarmente diffuso nel , dedito ad attività quasi esclusivamente violente, in particolare dirette verso coloro che non collaborano alla realizzazione degli obiettivi dell'organizzazione. In conclusione, pur dovendosi escludersi il riconoscimento dello status di rifugiato politico, in quanto le violenze e le minacce rivolte al ricorrente non sono state giustificate da motivazioni politiche religiose o razziali ma dalla volontà di estorcere coercitivamente informazioni utili in ordine alla sicurezza degli aeroporti, deve ritenersi che, sulla base della ricostruzione soggettiva ed oggettiva dei fatti esposta nella sentenza impugnata, deve essere riconosciuta, ai sensi dell'art. 384 secondo comma, cod. proc. civ. al ricorrente la misura della protezione sussidiaria, essendo la situazione di grave danno alla persona evidenziata, maturata in una situazione di violenza indiscriminata. Può procedersi alla decisione di merito, non risultando necessari ulteriori accertamenti alla luce della completa ricostruzione fattuale operata dalla Corte d'Appello di Napoli. L'accoglimento dei primi due motivi determini l'assorbimento dei rimanenti. Occorre procedere alla liquidazione delle spese di lite di tutti i gradi di giudizio. Essendo documentata la ammissione del ricorrente ad opera del competente COA al patrocinio a spese dello Stato, ai sensi dell'art. 133 del d.P.R. 115 del 2002 la condanna della soccombente amministrazione viene pronunziata in favore dell'Erario nella misura indicata in dispositivo, e restando ovviamente irrilevante la dichiarazione di essere antistatario formulata dal difensore nel ricorso prima della delibera di ammissione al g.p. Cass. 15189 del 2012 . P.Q.M. La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, riconosce a M.K. la protezione sussidiaria. Condanna la parte intimata a pagare in favore dell'erario Euro 900 per compensi ed Euro 200,0 per esborsi, quanto al procedimento davanti al Tribunale Euro 1.200,00 per compensi ed Euro 200,00, per esborsi, quanto al procedimento davanti la Corte d'Appello Euro 1.600,00, per compensi ed Euro 200,00 per esborsi quanto al presente procedimento, oltre ad accessori di legge dovuti per ogni grado.