Il patteggiamento costituisce elemento di prova nel processo civile

La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. costituisce uno  degli elementi di prova del quale il giudice di merito deve tener conto nel suo iter argomentativo decisionale. Ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presupponendo pur sempre una ammissione di colpevolezza, esonera la controparte dall'onere della prova.

La Cassazione, con la sentenza n. 23386 del 15 ottobre 2013, affronta il tema della valutazione a fini probatori di un patteggiamento nell’ambito di un processo per responsabilità civile. Come noto, la parte civile o la persona offesa, se non è ancora intervenuta la costituzione di parte civile non può intervenire in alcun modo sulla scelta di patteggiare, e si trova costretta ad agire separatamente, in sede civile, per la richiesta di risarcimento dei danni subiti. Il fatto. La titolare di un conto corrente e di un dossier titoli conveniva in giudizio l’istituto bancario chiedendone la condanna per la sottrazione di somme ivi depositate da parte di un suo funzionario. Il processo si svolgeva anche nei confronti del funzionario infedele e del fratello dell’attrice, nonché della compagnia assicurativa presso la quale la banca era assicurata, essendo quest’ultima stata autorizzata a chiamarli in causa. Mentre i due convenuti chiedevano il rigetto delle domande di manleva proposte nei loro confronti, l’assicurazione eccepiva la inoperatività della polizza perché, questa, copriva eccezionalmente eventi occorsi anche prima della sua stipula, ma solo nel limite di due anni antecedenti la denuncia del sinistro che invece era accaduto oltre un biennio prima . Il Tribunale accoglieva solo in parte la domanda attorea, condannando la banca al pagamento di circa Euro 792.000,00. Rigettava, invece, le domande di manleva, non ritenendo provato il rapporto associativo tra il funzionario ed il fratello di parte attrice, ed accogliendo l’eccezione di inoperatività della polizza sollevata dall’assicurazione. In appello la pronuncia veniva riformata, con accoglimento delle domande di rivalsa formulate dalla banca. I giudici di seconde cure, infatti, ritenevano provata la condotta illecita del dipendente dell’istituto bancario, certamente di natura dolosa per essersi concretata in atti di falso e truffa aggravati. Quanto alla domanda di garanzia contro l’assicurazione, questa doveva essere accolta perché le clausole di eccezionale limitazione temporale erano inefficaci, in quanto non sottoscritte specificamente ex art. 1341, comma 2, c.c. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione la compagnia assicurativa. Resistevano con controricorso le controparti. La compagnia assicurativa lamenta l’omessa e/o insufficiente motivazione in ordine all’accertamento della responsabilità del funzionario bancario nella causazione dell’evento lesivo. A suo dire tale responsabilità si sarebbe fondata esclusivamente sulla sentenza penale di patteggiamento emessa nei confronti del funzionario, senza che fossero emerse a suo carico prove determinanti del presunto fatto illecito commesso. Censurabile appare, inoltre, anche l’applicazione fatta dal giudice di seconde cure in merito all’operatività dell’art. 1341, comma 2, c.c. La sentenza penale di patteggiamento quale elemento di prova. Il ricorso è ritenuto non meritevole di accoglimento da parte della Suprema Corte. Per gli ermellini la Corte d’Appello non ha accertato la responsabilità del funzionario su affermazioni puramente apodittiche. La sentenza penale di patteggiamento della pena, infatti, è stata solo uno degli elementi di una valutazione complessiva che ha condotto a ritenere responsabile il dipendente della banca. Questo elemento, infatti, è stato vagliato anche alla luce di altre circostanze determinati quali, ad esempio, l’aver seguito a domicilio la pratica della cliente e l’essersi adoperato, una volta scoperto, per ottenere una dichiarazione liberatoria nei confronti della banca. Quanto al profilo dell’inoperatività della disciplina ex art. 1341, comma 2, c.c. questa discende dalla natura decadenziale della clausola contenuta nel form negoziale adottato dalla banca che, creando sul punto uno squilibrio sinallagmatico, necessità di una duplice sottoscrizione. Concludendo . In definitiva se è pacifico che la sentenza di patteggiamento non ha efficacia di giudicato nel procedimento civile art. 445 c.p.p. , essa tuttavia può costituire per il giudice civile un decisivo elemento di prova per il suo convincimento. In altri termini ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, il magistrato dovrà motivare le ragioni per cui l’imputato avrebbe chiesto di essere punito con pena patteggiata per una sua insussistente responsabilità ed il perché giudice penale abbia accolto tale richiesta, anziché proscioglierlo cfr. ex multis Cass. n. 9456/2013 . Si è così dinanzi ad una prova di tipo presuntivo, che per essere superata necessità di una rigorosa motivazione, il cui vizio è sicuramente censurabile in Cassazione. Â

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 settembre - 15 ottobre 2013, n. 23386 Presidente Carnevale – Relatore Scaldaferri Svolgimento del processo 1. R B. , titolare di un conto corrente e di un dossier titoli presso la Banca Mercantile Italiana s.c.a. r.l., convenne in giudizio l'Istituto dinanzi al Tribunale di Firenze chiedendone dichiararsi la responsabilità per la sottrazione di somme ivi depositate commessa da un suo funzionario, P.P.S. , a partire dal marzo 1987, con la conseguente condanna alla rifusione in favore di essa attrice. La Banca si costituì in giudizio contestando ogni sua responsabilità e chiedendo comunque di essere autorizzata alla chiamata in causa di S P.P. e B.R. , nonché della Fondiaria Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni s.p.a., presso la quale la Banca era assicurata per i danni provocati - fra l'altro - da infedeltà dei dipendenti. Entrambi si costituirono in giudizio chiedendo il rigetto delle domande di manleva proposte nei loro confronti. La Fondiaria eccepì, tra l'altro, l'inoperatività nella specie della polizza assicurativa, perché questa copriva eccezionalmente anche i fatti accaduti prima della stipula ma solo nel limite di due anni antecedenti la denunzia del sinistro, mentre i fatti lamentati dalla B. quali generatori di danno nei suoi confronti erano precedenti di oltre un biennio la denuncia effettuata dalla Banca. Il Tribunale di Firenze accolse in parte la domanda proposta da B.R. e da G B. intervenuta in corso di giudizio quale cessionaria del credito nei confronti della Banca Popolare di Lodi che nelle more aveva incorporato la Banca Mercantile con la condanna di quest'ultima al pagamento di Euro 792.992,84 oltre interessi legali e rigettò le domande di manleva proposte dalla Banca nei confronti del P.P. e della Fondiaria ritenendo – rispettivamente - non provato il dedotto rapporto associativo illecito del P.P. con il fratello della attrice Re Br. , e fondata l'eccezione della Fondiaria di inoperatività nella specie della garanzia assicurativa. Interposto appello da parte della Banca Popolare di Lodi, ed appello incidentale in punto spese di giudizio da parte della Fondiaria SAI s.p.a., la Corte d'appello di Firenze, con sentenza depositata il 19 gennaio 2005, ha rigettato l'appello proposto dalla Banca Popolare di Lodi avverso la condanna emessa nei suoi confronti e, in accoglimento dell'appello proposto dalla medesima avverso il rigetto delle domande di rivalsa, condannato in solido il P.P. e la Fondiaria SAI a tenere indenne la Banca Popolare di Lodi da quanto essa sarà tenuta a pagare a B.G. e N. essendo nelle more deceduta R B. in forza della sentenza di primo grado, dichiarando assorbito l'appello incidentale. Ha ritenuto, per quanto qui ancora rileva, la Corte di merito a che vi sono in atti prove sufficienti per affermare la attribuibilita a S P.P. , dipendente della Banca, degli illeciti dei quali la Banca è qui chiamata a rispondere, aventi certamente natura dolosa falso e truffa continuati e aggravati da parte del dipendente e nesso di occasionalità necessaria con le mansioni svolte dal medesimo, sì che meritano accoglimento sia la domanda della B. nei confronti della Banca sia la domanda di quest'ultima nei confronti del suo dipendente b che anche la domanda di garanzia nei confronti della Fondiaria merita accoglimento, dovendo ritenersi inefficaci, perché prive della specifica sottoscrizione richiesta dall'articolo 1341 cod.civ., le clausole, contenute nelle due polizze assicurative prodotte in primo grado, prevedenti anche la copertura dei sinistri avvenuti prima della stipula se denunciati entro determinati termini clausole che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, non erano in realtà dirette a introdurre - con determinati limiti - un effetto retroattivo della garanzia favorevole all'assicurato, bensì a precludergli - attraverso la fissazione di termini per la denuncia dei sinistri alla Compagnia prescindenti dalla data di conoscenza del fatto da parte sua - di usufruire di una copertura assicurativa che in realtà preesisteva alla stipula di quelle due polizze, come risultante dalle altre polizze assicurative ed appendici di proroga prodotte in appello dalla Banca c che con tale nuova produzione documentale - non preclusa dall'articolo 345 cod.proc.civ. trattandosi di prove precostituite - la Banca non ha mutato la domanda originariamente formulata nell'atto di chiamata in causa ma ha solo precisato il riferimento – già implicito nell'atto originario - al complessivo rapporto assicurativo evolutosi nel tempo attraverso vari documenti contrattuali che in ogni caso, quand'anche si volessero considerare le sole due polizze richiamate in primo grado, il carattere decadenziale delle clausole in questione non potrebbe negarsi, con la conseguente inefficacia a norma dell'articolo 1341 cod.civ Avverso tale sentenza la Fondiaria - SAI s.p.a. ha proposto ricorso a questa Corte per quattro motivi, cui resiste con controricorso la Banca Popolare Italiana già Banca Popolare di Lodi s.c.r.l. P.P.S. ha a sua volta notificato controricorso con ricorso incidentale affidato a due motivi, cui resiste la Banca con controricorso. La Fondiaria - SAI e la Banca Popolare Italiana hanno depositato memorie illustrative. Motivi della decisione 1. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale, avendo ad oggetto la stessa sentenza, debbono essere riuniti a norma dell'articolo 335 cod.proc.civ 2. Con il primo motivo del ricorso principale della Fondiaria si censura, sotto il profilo della omessa e/o insufficiente motivazione nonché sotto quello della violazione degli artt. 444 e 445 cod.proc.pen., l'accertamento in ordine alla responsabilità di P.P. nella causazione del danno lamentato dalla B. la Corte di merito avrebbe basato tale accertamento su affermazioni puramente apodittiche, prive di riferimenti a singoli e determinati atti illeciti, e su una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, emessa nei confronti del P.P. peraltro successivamente cassata da questa Corte che di per sé non costituisce prova nel processo civile. Il motivo non merita accoglimento. La Corte di merito cfr. pagg. 49-51 sentenza non ha basato l'accertamento in questione sulla sola sentenza penale di patteggiamento della pena peraltro successivamente cassata per motivi processuali del tutto avulsi dal tema qui in discussione , avendo invece considerato la circostanza della richiesta da parte del P.P. di applicazione della pena nell'ambito di una valutazione complessiva, come uno degli elementi di un quadro probatorio coerente, del quale fanno parte anche la circostanza che il predetto fosse l'unico funzionario incaricato dalla banca di seguire anche a domicilio la cliente B. e la disponibilità, da lui manifestata per iscritto alla B. al momento della scoperta degli ammanchi, ad aderire a qualsiasi richiesta pur di ottenere una dichiarazione liberatoria nei confronti della banca. Tale iter argomentativo, da un lato, non è in contrasto con il disposto dell'articolo 445 cod.proc.pen. - che certo non impedisce al giudice civile di considerare la condotta espressa dalla parte in sede di procedimento penale tra le circostanze delle quali tener conto nella valutazione della prova cfr. tra molte n. 6863/03 n. 10847/07 n. 26263/11 -, dall'altro non appare privo di logica né carente. 3. Con il secondo motivo del ricorso principale si censura, sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto artt. 112 e 345 cod.proc.civ. , il rigetto della eccezione relativa al mutamento in appello della domanda di adempimento della garanzia assicurativa. Si sostiene che tale domanda, essendo inerente ad un diritto eterodeterminato, non sarebbe individuabile invocando un rapporto assicurativo complessivo prescindendo dai titoli - cioè le singole polizze con le relative appendici - da cui sorgono i diritti che in tale rapporto vogliono farsi confluire che la Corte d'appello, sostenendo in sostanza che il Tribunale - male interpretando l'atto di chiamata in causa - aveva omesso di pronunciarsi sulle altre polizze che sarebbero state implicitamente richiamate con tale atto e ritenendo quindi una efficacia decadenziale della clausola che solo in relazione ai diritti nascenti da tali altre polizze poteva prospettarsi , ha erroneamente individuato i limiti della domanda proposta, avendo la Banca nell'atto di chiamata in causa ed anche nella lettera di denuncia fatto riferimento alle due sole polizze e appendici relative al periodo 31.12.90-31.12.94, quali fatti costitutivi della pretesa azionata. Anche tale motivo non merita accoglimento. Premesso che nella specie le altre polizze risultano prodotte in appello al solo fine di dimostrare la effettiva natura decadenziale della clausola di retroattività della garanzia così definita nelle polizze , non già quali ulteriori fatti costitutivi dellla pretesa azionata dalla Banca, va osservato come le considerazioni svolte nel motivo non consentano di rilevare, nella sentenza impugnata, un'erronea interpretazione in astratto dei principi di diritto espressi dall'articolo 112 c.p.c. e quindi del collegamento tra questi e le clausole stesse. Né può dirsi che tale implicita prospettazione violi il disposto della norma processuale invocata, giacché si mostra invece in linea con la nozione, più volte indicata da questa Corte, di prove indispensabili come quelle dotate di un'influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove semplicemente rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia, essendo decisivo il loro apporto probatorio al materiale disponibile in primo grado. Così intesa - previa correzione della motivazione in diritto -, la statuizione censurata è dunque conforme al diritto e quindi non soggetta a cassazione articolo 384 comma 4 cod.proc.civ. . 5. Inammissibile è infine il quarto motivo del ricorso principale con il quale si critica, sotto il profilo del vizio di motivazione, l'ulteriore argomentazione espressa in sentenza secondo la quale, anche limitandosi all'esame delle due polizze depositate in primo grado, dovrebbe comunque ritenersi il carattere decadenziale della clausola in questione, con quanto ne consegue ex articolo 1341 cod.civ. Invero, priva di interesse per la parte ricorrente viene ad essere l'impugnazione di una delle due rationes decidendi poste a base della medesima pronuncia, ove, come nella specie, l'altra ratio sia ritenuta conforme al diritto dal giudice dell'impugnazione e sia idonea di per sé a sostenere la pronuncia stessa. 6. Quanto al ricorso incidentale proposto dal P.P. , con il primo motivo vengono formulate censure analoghe a quelle formulate dalla Fondiaria con il primo motivo del ricorso principale. Alle considerazioni già esaminate il ricorrente incidentale aggiunge che la consulenza tecnica d'ufficio grafologica, espletata in primo grado, sulla autenticità delle firme di emissione di alcuni assegni di conto corrente non lo ha indicato come autore delle firme apocrife e che la sua dichiarazione scritta diretta alla B. , con la quale si dichiarava disposto ad aderire a qualsiasi richiesta pur di ottenere una liberatoria nei confronti della Banca, non vale di per sé quale ammissione di responsabilità in ordine alla falsificazione degli assegni mediante la quale sono stati prodotti gli ammanchi di denaro sui conti B. . Considerazioni, queste, che si mostrano inidonee a condurre a conclusioni diverse da quelle già esposte cfr. supra, par. 2 , atteso che a la Corte di merito ha espressamente ritenuto non necessario - alla luce delle prove raccolte - estendere la consulenza tecnica d'ufficio grafologica, espletata in primo grado onde verificare la sussistenza delle falsificazioni, alla indagine sull'autore delle stesse, e tale scelta - peraltro non specificamente censurata - si sottrae al controllo di legittimità, essendo peraltro sostenuta da congrua motivazione sugli elementi probatori già acquisiti cfr. supra b la critica nei riguardi di tale motivazione, con riferimento alla esposta interpretazione dello scritto in questione, si mostra in effetti diretta a sollecitare un nuovo esame di merito non consentito in questa Sede. 7. Privo di fondamento è anche il secondo motivo del ricorso incidentale, con il quale si denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 112 cod. proc. civ. e il vizio di motivazione sulla condanna del P.P. in solido con la Fondiaria, nonostante tale solidarietà non risultasse compresa nella domanda formulata dalla Banca. Va infatti osservato come il giudice di merito, una volta accertato che più soggetti sono obbligati tutti per la medesima prestazione anche se per titoli diversi cfr. tra molte Sez. I n. 13272/06 Sez. 3 n. 17475/07 S.U. n. 16503/09 , rettamente li condanni in solido alla esecuzione di tale prestazione, a norma dell'articolo 1292 cod.civ., ancorché la solidarietà non abbia formato oggetto di specifica domanda da parte dell'attore. 8. Il rigetto di entrambi i ricorsi si impone dunque, ponendo a carico dei ricorrenti -in ragione della loro soccombenza - le spese di questo giudizio di cassazione, che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta condanna in solido la Fondiaria - S.A.I. s.p.a. e S P.P. al rimborso in favore della Banca Popolare Italiana s.c.r.l. delle spese di questo giudizio di cassazione, in Euro 12.000,00 per onorario e Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.