Non rilevano i problemi di comunicazione tra difensore e cliente depresso

Ai fini della valutazione della richiesta di rimessione in termini dell’appellante, che abbia proposto l’appello oltre i termini brevi, non rilevano i problemi di comunicazione intercorsi tra avvocato e cliente, restando gli stessi ascritti alla dinamica interna del rapporto e quindi irrilevanti sul versante esterno. Tanto più se al procuratore in primo grado era stato conferito ampio mandato, con previsione espressa del potere di proporre appello in caso di esito negativo della pronuncia.

La questione posta al vaglio della Cassazione nell’annotata pronuncia, offre degli interessanti spunti di riflessione che trovano abbrivio nella notificazione della sentenza di primo grado al procuratore costituito, passando attraverso il rapporto di procura tra difensore e cliente, per poi giungere al successivo proponimento tradivo dell’appello ed all’impossibilità di rimettere in termini l’appellante. A tale ultimo proposito, è appena il caso di ricordare come dal luglio del 2009, con l’abrogazione dell’art. 184 bis c.p.c. e la sua sostanziale trasfusione di contenuto nell’art. 153, comma 2, c.p.c., la rimessione in termini può essere riconosciuta per ogni termine di decadenza ed in ogni fase del processo, non essendo più la sua concessione limitata alle ipotesi in cui le parti sono decadute dalla possibilità di compiere determinate attività difensive nel corso dell’istruttoria. La sua concessione resta comunque una scelta discrezionale del giudice che può decidere di non rimettere la parte in termini se ritiene, ad esempio, che la decadenza non sia stata determinata da causa non imputabile alla parte ovvero da forza maggiore. Ciò che rende interessante la pronuncia è l’affermazione secondo cui non rilevano, ai fini della valutazione in merito alla tempestiva proposizione dell’appello i problemi di comunicazione intercorsi tra procuratore e cliente, tanto più se si considera che il cliente, nel caso di specie, aveva già conferito in primo grado al suo legale il potere di proporre gravame in caso di esito negativo della sentenza. Il fatto. Su domanda proposta dalla curatela fallimentare, il Tribunale adito pronunciava sentenza di risoluzione del contratto di compravendita immobiliare, quest’ultimo disposto dal medesimo Tribunale con altra sentenza pronunciata ex art. 2932 c.c., nei confronti della promittente parte acquirente, per suo inadempimento. Al contempo la compravendita era dichiarata inefficace per mancato pagamento del prezzo dell’immobile da parte del promissario acquirente. Quest’ultima, soccombente in primo grado, proponeva appello sostenendo principalmente che il ritardo dell’impugnazione fosse da ascriversi alla tardiva comunicazione relativa alla notificazione della sentenza, fatta dal suo procuratore, nonché al suo stato di depressione che gli aveva impedito una proposizione tempestiva del gravame. Costituitasi in giudizio, l’appellata eccepiva in via preliminare l’inammissibilità dell’impugnazione per tardiva sua proposizione. La Corte territoriale competente riteneva l’appello inammissibile argomentando che la sentenza di primo grado era stata notificata al procuratore domiciliatario dell’appellante il data 19.5.2003 mentre l’appello era proposto il 27.12.2003, vale a dire ben oltre il termine breve per appellare ex art. 326 c.p.c Argomentava ancora il giudice di secondo grado, che le condizioni di salute addotte dall’appellante non avrebbero potuto giustificare il ritardo nella proposizione dell’appello, alla luce del mancato raggiungimento della prova in merito alla negligenza del procuratore nell’informarlo della notifica della sentenza. Inoltre, la domanda di rimessione in termini avanzata da parte appellante, secondo il giudice di seconde cure era inammissibile, in quanto riferita ad un istituto processuale eccezionale, riservato alla sola fase istruttoria ed insuscettibile di applicazione analogica. Avverso la decisione di secondo grado la promittente parte acquirente proponeva ricorso alla Corte di Cassazione affidandolo a cinque motivi. Con il primo ed il secondo motivo venivano dedotte rispettivamente la violazione degli artt. 183 e 294 c.p.c., in ordine alla negazione della richiesta di rimessioni in termini per tardiva sua proposizione, nonché l’inapplicabilità dell’istituto della rimessioni in termini nella fase impugnatoria. Con la terza censura parte appellante contestava la mancata considerazione da parte della Corte Territoriale dell’eccezione, in ordine alla produzione, ai fini della notifica, di una fotocopia della sentenza priva della formula di passaggio in giudicato. Il quarto motivo di gravame considerava l’insufficiente e contraddittoria motivazione sull’onere della prova posto erroneamente a carico dell’appellante. In relazione a tale situazione la Corte d’Appello, alla luce del mancato raggiungimento della prova in merito alla circostanza che il procuratore dell’appellante non lo avesse edotto della notificazione della sentenza di primo grado, era giunta a richiedere all’appellante la prova del fatto negativo, senza peraltro accertarsi dell’incapacità d’intendere e di volere dell’appellante stesso. Il quinto motivo sollevava la questione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione per contrarietà ai principi di eguaglianza e diritto alla difesa in ogni stato e grado del processo. In appello non viene espressamente contestata la conformità della copia della sentenza di primo grado al suo originale. Nel decidere il caso la Cassazione ha considerato preminente la trattazione del terzo motivo di ricorso rilevando che l’eccezione fosse infondata per tabulas i giudici hanno infatti rilevato che, nella prima udienza utile in appello, l’appellante non avesse espressamente mosso alcuna esplicita contestazione in ordine alla conformità della copia della sentenza di primo grado notificatagli, al suo originale. A tale proposito gli ermellini hanno condiviso l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità secondo cui, qualora venga prodotta in giudizio la copia fotostatica di una scrittura privata, l'esigenza di accertarne la conformità all'originale con tutti i mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni, insorge, ai sensi dell'art. 2719 c.c., solo in presenza di una specifica contestazione della parte interessata alla conformità medesima, e non anche quando sia in discussione esclusivamente l'efficacia probatoria dell'atto in relazione al suo contenuto ex multis Cass. civ. n. 10855/10 Cass. civ. n. 21133/11 Cass. civ. n. 16232/04 . Nessuna rilevanza al difetto di comunicazione tra cliente ed avvocato. Con riferimento ai restanti motivi di gravame, i giudici di nomofilachia hanno rilevato che ai fini della decisione debba essere posto giusto rilievo all’ampio mandato conferito dal ricorrente al suo procuratore in primo grado. Questo, infatti, assegnava al procuratore un potere esteso in ogni fase e grado del processo, ivi compreso quello di proporre appello avverso l’eventuale pronuncia negativa di primo grado. Parimenti la Corte ha evidenziato come la circostanza addotta dal ricorrente in merito al difetto di comunicazione tra cliente ed avvocato, a causa della crisi depressiva del primo che non si era curato di ritirare e leggere la comunicazione del suo legale riferita alla soccombenza nel giudizio di primo grado, non può avere alcuna rilevanza. Invero, i giudici hanno affermato come in tale situazione, proprio alla luce degli ampi poteri conferiti al procuratore nel mandato alle liti, questi ben avrebbe potuto decidere discrezionalmente se proporre oppure no l’appello, in ragione del fatto che lo stesso era stato già abilitato dal cliente ad esercitare il predetto potere, all’atto del mandato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 9 ottobre - 15 novembre 2012, n. 20008 Presidente Goldoni – Relatore Piccialli Svolgimento del processo Con sentenza del 17.10.2002, pubblicata l'11.11.2002 il Tribunale di Milano, in accoglimento della domanda proposta dal Fallimento della società Il Castelletto s.r.l. nei confronti di P.M. , pronunziò la risoluzione, per inadempimento di quest'ultimo, della compravendita immobiliare, disposta con sentenza ex art. 2932 c.c. n. 2267/95 del medesimo tribunale, contestualmente dichiarata inefficace, per mancato pagamento da parte del suddetto, promissario acquirente, del prezzo dell'immobile. Avverso detta sentenza il P. propose appello, cui resistette rappellato, preliminarmente eccependo l'inammissibilità del gravame, in quanto tardivo. In accoglimento di tale eccezione, la Corte di Milano, con sentenza del 30/5-9/6/2006 dichiarò il gravame inammissibile, con condanna dell'appellante alle spese, sulla base delle seguenti essenziali ragioni a la sentenza di primo grado era stata notificata al P. , presso il suo procuratore e difensore domicilitario in data 19.5.2003 e l'atto di appello notificato il 27.12.2003, con notevole ritardo dunque in relazione al termine breve di cui all'art. 326 c.p.c. b le condizioni di salute malattia depressiva addotte dall'appellante non avrebbero potuto giustificare il ritardo, in assenza di alcuna prova circa l'eventuale negligenza, nel renderlo edotto dell'atto notificatola parte del suo procuratore c la domanda di rimessione in termini ex art. 184 bis c.p.c., oltre ad essere tardiva, perché proposta soltanto in sede di trattazione della causa in appello, era inammissibile, essendo stato invocato un istituto applicabile alla sola fase istruttoria, di carattere eccezionale ed insuscettibile di applicazione analogica d conseguentemente irrilevante era la questione di legittimità costituzionale dedotta, peraltro in termini molto generici , dall'appellante. Contro la suddetta sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Ha resistito il fallimento intimato con rituale controricorso. Vi sono memorie di ambo le parti. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 183 e 294 c.p.c., per essergli stata negata la rimessione in termini, per ritenuta tardività, senza considerare che la relativa istanza era stata formulata dopo che la parte interessata appreso che quella avversa aveva eccepito la pretesa avvenuta notificazione della sentenza , nell'udienza immediatamente successiva alla proposizione di tale eccezione. Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 184 bis, 294 e 327 c.p.c., censurandosi l'affermazione della corte di merito secondo cui le norme sulla rimessione in termini si applicherebbero soltanto alla fase istruttoria, e non anche a quella impugnatoria, senza tener conto della portata generale dell'istituto, secondo il testo della norma come modificata dalla L. 534/95, non più contenente il limitato riferimento agli artt. 183 e 184 c.p.c., né considerando il rinvio generalizzato alle norme del processo di primo grado, contenuto nell'art. 359 c.p.c Con il terzo motivo si deduce omessa motivazione in relazione al fatto decisivo e controverso, ai fini della decadenza dell'appellante dal gravame, derivante dalla notifica della sentenza di primo grado. Si sostiene che la difesa del P. aveva rilevato che l'eccezione avversa si era basata sulla produzione di una semplice fotocopia della suddetta sentenza notificata, priva di attesta zione di passaggio in giudicato, e si lamenta che la corte territoriale abbia del tutto omesso l'esame di tale controeccezione, cui avrebbe dovuto far seguito il deposito dell'atto originale. Con il quarto motivo si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ad un fatto controverso e decisivo, in ordine ad onere della prova erratamente imposto all'appellante . La corte di merito, considerando che non vi sarebbe stata prova che il suo procuratore domiciliatario non l'avesse reso edotto dell'avvenuta notificazione della sentenza, avrebbe preteso una impossibile prova del fatto negativo, peraltro irrilevante, poiché comunque avrebbe dovuto anzitutto accertarsi della sussistenza o meno di una incapacità di intendere e di volere impeditiva di una valida determinazione al riguardo. Con il quinto motivo, infine, si ripropone ed illustra la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 327 c.p.c., in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., per contrarietà ai principi di eguaglianza e diritto alla difesa in ogni stato e grado del processo, della mancanza di una esplicita norma sulla rimessione in termini applicabile finalizzata ad evitare la decadenza dalle impugnazioni, in caso di non imputabilità del ritardo alla parte. Tanto premesso, va anzitutto esaminato il terzo mezzo d'impugnazione, per l'evidente priorità logico-giuridica rispetto ai rimanenti. Il motivo di ricorso risulta infondato per tabulas , rilevandosi, dall'esame in questa sede consentito, in ragione della natura processuale della censura del processo verbale della prima udienza di trattazione del giudizio di appello tenutasi il 20.4.04 , che nessuna specifica contestazione fu dalla parte appellante sollevata in relazione all'avversa produzione della copia della sentenza di primo grado, con riferimento alla cui notificazione l'appellata aveva, nella propria comparsa di costituzione e risposta, eccepito l'inammissibilità del gravame. Il tenore delle argomentazioni difensive opposte dall'appellante a tale eccezione, segnatamente nella parte in cui si chiedeva, per le ragioni in narrativa indicate, la rimessione in termini per appellare, presupponevano quale dato non controverso l'avvenuta notificazione della sentenza in questione al procuratore e difensore del P. e, tuttavia, la mancata conoscenza da parte di quest'ultimo della relativa circostanza. Non essendovi stata, nella prima udienza o difesa successiva alla sua produzione, una contestazione, neppure implicita, della conformità all'originale di tale copia, contestazione che peraltro, secondo la giurisprudenza di questa Corte, oltre che tempestiva, avrebbe dovuto essere chiara e specifica v. nn. 21133/11, 10855/10, 28096/09, 16232/04 , alla stessa andava riconosciuta, sensi dell'art. 2712 c.c., piena efficacia probatoria nel giudizio. Altrettanto manifesta è l'infondatezza dei rimanenti motivi, da esaminarsi congiuntamente per la stretta connessione delle relative censure. Dirimente al riguardo è la considerazione anche in questo caso derivante dal diretto esame degli atti, consentito dalla natura processuale delle censure che il P. , nel rilasciare al proprio procuratore e difensore, in calce alla copia passiva dell'atto di citazione, un mandato ampio ed illimitato comprensivo anche di poteri di rinunzia e, sul piano sostanziale, di transazione , espressamente esteso ad ogni fase e grado del processo, avesse implicitamente conferito al medesimo anche la facoltà di proporre appello avverso l'eventuale decisione sfavorevole, così al riguardo rimettendosi ex ante alle valutazioni di opportunità processuale del proprio legale. In siffatto contesterei quale il convenuto risultava adeguatamente rappresentato, anche per la fase successiva al giudizio di primo grado, dal proprio difensore, quale unico organo esterno della parte processuale, come tale abilitato ad attivare quello di secondo grado, poco o punto rilevavano, sul versante esterno, eventuali disfunzioni incorse nello svolgimento di tale incarico e dovute a difetto di comunicazione, all'uno o all'altro soggetto ascrivibili ed esclusivamente attinenti alla dinamica interna del rapporto tra cliente ed avvocato. Ne consegue l'irrilevanza, agli effetti processuali, sia della circostanza peraltro rimasta allo stato di affermazione generica, non corredata da dati specificità pur appresi ex post che l'avvocato domiciliatario avesse epistolarmente informato della ricevuta notifica il P. , sia di quella successiva, che quest'ultimo, a cagione del suo stato depressivo, neppure si fosse curato di ritirare o, comunque, di leggere la non meglio precisata lettera, posto che il professionista ben avrebbe potuto, in forza dell'ampia delega ricevuta, nell'ipotesi in cui non gli fosse stato possibile comunicare con il cliente e nel limitato tempo consentito dagli artt. 325 e 326 c.p.c., proporre il gravame, ove ritenuto necessario o anche solo opportuno, restando salva la successiva facoltà del suo assistito, quando informato, di recedere dallo stesso. Conseguentemente difettano di rilevanza sia la questione proposta nel secondo motivo della estensibilità, ai termini impugnatori, della norma prevista dall'art. 184 bis c.p.c. introdotta dalla L. 353/90 e poi abrogata da quella n. 69/09 temporalmente ed astrattamente applicabile al processo in questionerà quella oggetto del secondo motivo , nell'ipotesi positiva, della tempestività dell'istanza, sia ancora, per l'ipotesi della non estensibilità, della questione di legittimità costituzionale dell'esclusione oggetto del quinto motivo , così come irrilevante risulta, per le ragioni in precedenza evidenziatela questione oggetto del quarto motivo in ordine all'onere della prova circa l'eventuale negligenza del difensore. Al rigetto del ricorso consegue, infine, la condanna del soccombente alle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio in favore del controricorrente, in misura di complessivi Euro 2.700,00 di cui 200 per esborsi.