Impugnazione del lodo arbitrale: la nuova disciplina non è retroattiva

Costituisce principio generale del nostro ordinamento che le condizioni di efficacia e gli effetti di un atto negoziale, che sia espressione di una valida manifestazione di volontà delle parti, sono disciplinati dalla legge in vigore al momento in cui esso è adottato e non possono essere modificati da una legge successiva, salvo che la nuova norma imperativa vada ad incidere sul contenuto dei contratti di durata anteriormente stipulati.

Deve escludersi che la clausola che prevede l’impugnabilità del lodo arbitrale nel merito per violazione di legge solo se espressamente pattuita sia applicabile a tutti gli arbitrati introdotti in data successiva all’introduzione di tale modifica legislativa, anche se nascenti da clausole arbitrali anteriormente stipulate. Così, con un’interessante pronuncia, anche di carattere sistematica in relazione alla dibattuta questione dell’irretroattività della legge, Cass., 6148/2012, depositata il 19 aprile 2012. I fatti di causa. La controversia sottoposta all’attenzione della Cassazione prende lo spunto da un contratto preliminare non seguito dalla stipula del contratto definitivo e, in forza di un clausola risolutiva espressa, dichiarato risolto dalla promittente venditrice, che riteneva la promissaria acquirente inadempiente ad una serie di obblighi previsti contratto stesso. Definita, come già concordato dalle parti, la controversia a mezzo lodo arbitrale, lo stesso viene impugnato innanzi alla Corte di appello, anche per ragioni attinenti al merito ed alle regole di diritto adottate dai giudici. Rigettato l’appello, il promissario acquirente ricorre per Cassazione, sostenendo, come meglio si illustrerà in seguito, che la riforma dell’art. 829 c.p.c. del 2006 consentirebbe di impugnare i lodi arbitrali per violazione delle norme di diritto solo se tale facoltà era espressamente prevista, anche con riferimento a clausole arbitrali sottoscritte in precedenza e che non prendevano in considerazione tale modalità di impugnativa. Clausola compromissoria come e perché. Secondo quanto previsto dall’art. 806 c.p.c., è possibile devolvere ad uno o più arbitri la definizione di controversie che non abbiano ad oggetto diritti indisponibili. Si tratta, in altri termini, della decisione delle parti che, in presenza di una controversia – potenziale o già insorta – ritengono preferibile che la stessa sia risolta non dalla giurisdizione ordinaria ma da altri soggetti – appunto, arbitri – che, sulla base di determinate regole, in parte previste dal codice di procedura civile ed in parte definite dalle parti, andranno a definire la controversia, emettendo il c.d. lodo arbitrale, ossia, in sostanza, l’equivalente della sentenza emessa dal giudice. In giurisprudenza si è osservato che, considerato che tale scelta rappresenta un negozio unilaterale ad effetti anche processuali, espressione di un diritto potestativo sostanziale soggetto a decorrenza ed esercitabile fino alla costituzione del collegio arbitrale, la parte che lo abbia esercitato ha il potere di ritornare sulla propria decisione, fino a che questa non abbia prodotto effetti definitivi, mediante una revoca, anche implicita, che si manifesti attraverso la nomina dell’arbitro di parte, come espressione di volontà a favore del procedimento arbitrale. In linea di principio, non è possibile la devoluzione ad un collegio arbitrale di questioni che attengono a diritti non disponibili come, ad esempio, le questioni di natura familiare, i diritti delle personalità o le questioni di lavoro e previdenza con riferimento a quest’ultimi, peraltro, sono previsti degli speciali organismi per la definizione delle controversie senza dover far ricorso alla giurisdizione ordinaria. Si distingue l’arbitrato rituale dall’arbitrato irrituale. Secondo la giurisprudenza, e fermo restando che entrambi hanno natura privata, la differenza tra l’uno e l’altro tipo di arbitrato non può individuarsi soltanto sul rilievo che con il primo le parti abbiano demandato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma va ravvisata nel fatto che, nell’arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 c.p.c., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale – ossia, come titolo esecutivo previo controllo di legittimità formale da parte del tribunale - mentre nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’arbitro o agli arbitri la soluzione di controversie insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà In particolare, è stato qualificato come rituale l’arbitrato in un caso in cui, pur in presenza della previsione del necessario accordo delle parti per ricorrervi, il tenore della clausola compromissoria non lasciava dubbi sulla necessità del dissenso o della impossibilità di una delle parti perché si potesse derogare alla clausola medesima. L’impugnazione del lodo arbitrale quando? L’art. 829 c.p.c. prevede, con un’elencazione tassativa, una serie di motivi che consentono di impugnare il lodo reso dagli arbitri, a prescindere da ogni dichiarazione preventiva di rinuncia a tale facoltà in particolare, si segnalano, per la loro rilevanza e maggiore applicazione pratica, le seguenti cause di impugnazione per nullità 1 se la convenzione d'arbitrato e' invalida 2 se gli arbitri non sono correttamente nominati 3 se il lodo è reso da arbitro privo dei requisiti richiesti dalla legge o dalle parti 4 se verteva su diritti indisponibili o su questioni non rimesse alla devoluzione arbitrale 5 se privo di una motivazione, del dispositivo o della firma degli arbitri 5 se il lodo è stato depositato dopo il termine fissato dalle parti 6 se non sono state rispettate le procedure stabilite dalle parti a pena di nullità 7 se non è stato rispettato il principio del contradditorio. Regole particolari, come vedremo, valgono per le questioni relative all’applicazione delle regole di diritto. Violazione delle regola di diritto e impugnazione del lodo prima e dopo la riforma del 2006. Secondo l’articolo 829, secondo comma, c.p.c. come modificato dalla legge 25/1994, con riferimento al lodo arbitrale rituale, l’impugnazione per nullità è altresì ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile . Successivamente, la legge 40/2006 ha riformato tale articolo, disponendo invece, con un principio diverso e opposto a quanto in precedenza previsto, che l’impugnazione per violazione delle regole di diritto relative al merito della controversia è ammessa se espressamente disposta dalle parti o dalla legge . Secondo la parte ricorrente, tale disposizione si sarebbe dovuta applicare agli arbitrati avviati successivamente all’introduzione di tale modifica normativa, anche se riferiti a clausole arbitrali sottoscritte in precedenza. La Cassazione risolve la questione respingendo il motivo di ricorso in questione, sostenendo che una siffatta interpretazione, oltre a non trovare riscontro nella legge stessa, si pone in contrasto con i principi previsti dagli artt. 3 e 24 della costituzione secondo i Giudici di Piazza Cavour, infatti, la prospettiva poc’anzi riferita determinerebbe disparità di trattamento tra coloro che hanno stipulato una convenzione arbitrale in data anteriore e quelli che l’hanno stipulata in data posteriore alla legge di riforma, ma anche tra coloro che hanno sottoscritto la clausola arbitrale prima, i quali, paradossalmente, manterrebbero il diritto all’impugnativa a secondo della data di avvio del procedimento, ossia con riferimento ad un dato del tutto casuale. Secondo la Cassazione, quindi, in assenza – come nel caso di specie – di una modifica normativa che sancisca la nullità delle pregresse clausole arbitrali o che obblighi le parti ad adeguarle o modificarle, le clausole di devoluzione arbitrale e le regole nelle stesse descritte devono ritenersi valide ed efficaci tra le parti.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 8 febbraio – 19 aprile 2012, n. 6148 Presidente Vitrone – Relatore Cristiano Svolgimento del processo Immobiliare Contrada Canova s.r.l. e B.M.G. sottoscrissero l’8.6.2000 un contratto preliminare con il quale la prima si obbligava a vendere e la seconda ad acquistare, per sé o per persona da nominare, un appartamento al grezzo facente parte di un fabbricato ancora da edificare, sito nel comune di . Le parti pattuirono che eventuali controversie insorte dal contratto sarebbero state rimesse alla decisione di un arbitro unico. Nell'agosto del 2006 la promittente venditrice contestò alla promissaria acquirente l'inadempimento alle obbligazioni assunte ed, avvalendosi della clausola risolutiva espressa contenuta nel regolamento negoziale, le comunicò che il contratto doveva intendersi risolto per suo fatto e colpa. Nel settembre successivo M.G B. , unitamente ad A V. - persona da lei designata quale acquirente dell'immobile - promosse giudizio arbitrale per ottenere l'emanazione di un lodo che tenesse luogo, ai sensi dell'art. 2932 c.c., del contratto non concluso. Immobiliare Canova si costituì in giudizio chiedendo che fosse riconosciuta la legittimità del suo recesso dal preliminare, con conseguente diritto alla ritenzione della caparra versata da B. , o che, in subordine, il contratto venisse dichiarato risolto per inadempimento della promissaria acquirente. L'arbitro unico, con lodo del 6.3.08, respinse le domande proposte da B. e V. e, in accoglimento della riconvenzionale dell'Immobiliare Canova, dichiarò che quest'ultima aveva legittimamente esercitato il proprio diritto di recesso. I soccombenti impugnarono il lodo dinanzi alla Corte d'Appello di Venezia, eccependo preliminarmente l'illegittimità costituzionale dell'art. 27 del d. lgs. n. 40/06, nella parte in cui stabilisce che il riformato art. 829 comma 3 c.p.c., che ha previsto l'impugnabilità nel merito del lodo per violazione delle regole di diritto solo se espressamente pattuita dalla parti o dalla legge, sia immediatamente applicabile a tutti gli arbitrati introdotti in data successiva alla sua entrata in vigore, ancorché nascenti da clausole arbitrali anteriormente stipulate chiesero quindi che il lodo venisse dichiarato nullo per violazione, fra l'altro, dell'art. 1537 c.c. e che la Corte pronunciasse sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c Immobiliare Canova, costituitasi, eccepì preliminarmente l'inammissibilità dell'impugnazione, ai sensi dei commi 2 e 3 del riformato art. 829 c.p.c., e concluse nel merito per il suo rigetto. Con sentenza del 2.4.010 la Corte adita, in parziale accoglimento dell'impugnazione, annullò il lodo, respinse ogni altra domanda proposta dalle parti e compensò le spese del giudizio. Per quanto ancora nella presente sede interessa, la Corte territoriale rilevò preliminarmente che non v'era bisogno di rimettere al giudice delle leggi la q.l.c. dell'art. 27 del d. lgs. n. 40/06 perché, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma transitoria, dovevano applicarsi alle impugnazioni tutte le norme di nuova istituzione non derogabili dalle parti ovvero quelle per le quali, se derogabili, le parti non avevano in precedenza disposto, sicché non poteva ritenersi travolta la clausola contrattuale che prevedeva l'impugnabilità del lodo ai sensi del previgente art. 829 comma 2 c.p.c. ritenne poi fondata la censura con la quale B. e V. avevano dedotto la nullità del lodo per violazione dell'art. 1537 c.c., norma applicabile alla sola vendita definitivamente conclusa ma non al preliminare, atteso il diritto del promittente compratore a misurare l'immobile quando la sua estensione sia criterio di determinazione del prezzo complessivo affermò, pertanto, che gli impugnanti, cui era stato negato di misurare l'immobile, avevano legittimamente rifiutato di stipulare il definitivo. Imm.re Contrada Canova ha chiesto la cassazione della sentenza, con ricorso affidato a cinque motivi ed illustrato da memoria. B. e V. hanno resistito con controricorso ed hanno a loro volta proposto ricorso incidentale. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo del ricorso principale, Immobiliare Contrada Canova denuncia violazione dell'art. 112 cpc, per avere la Corte territoriale omesso di esaminare l'eccezione di inammissibilità dell'impugnazione, da essa sollevata, ai sensi dell'art. 829 comma 2 c.p.c., sul rilievo della rinuncia degli impugnanti ai motivi di nullità per violazione delle regole di diritto. 2 Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 27 n. 4 d. lgs. n. 40/06. Osserva che, in presenza di una disciplina transitoria che ha ben presente la distinzione fra convenzioni di arbitrato e domande di arbitrato e che stabilisce in modo chiaro ed inequivoco che le nuove norme introdotte dagli artt. 21-25 fra cui quella che ha modificato l'art. 829 c.p.c. si applicano ai procedimenti arbitrali la cui domanda sia stata proposta dopo il 2.3.06, non v'è spazio per una diversa interpretazione e che pertanto, allorché la convenzione sia stata stipulata nel vigore della previgente disciplina, è riservata alle parti diligenti di introdurre la possibilità di impugnare il lodo per violazione delle regole di diritto, esteriorizzando in modo adeguato la corrispondente volontà. 3 Con il terzo motivo, la ricorrente, denunciando vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, deduce che il rilievo officioso della Corte territoriale, di dover applicare nella specie la normativa anteriore alla riforma, appare privo di fondamento logico-giuridico. 4 I motivi, che sono fra loro connessi e che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati e devono essere respinti. Nel regime anteriore alla riforma, l'allora comma 2 dell'art. 829 c.p.c. prevedeva, in senso diametralmente opposto all'attuale comma 3, che l'impugnazione per nullità è ammessa se gli arbitri nel giudicare non hanno osservato le regole di diritto, salvo che le parti li avessero autorizzati a decidere secondo equità o avessero dichiarato il lodo non impugnabile . Ciò significa che, in mancanza di esplicite previsioni derogatrici, le parti che stipulavano il patto compromissorio intendevano riservarsi la possibilità di impugnare il lodo per violazione di norme sostanziali. Ebbene, costituisce principio generale del nostro ordinamento, discendente dall'applicazione dell'art. 11 delle preleggi, che le condizioni di efficacia e gli effetti di un atto negoziale, che sia espressione di una valida manifestazione di volontà delle parti, sono disciplinati dalla legge in vigore al momento in cui esso è adottato e non possono essere modificati da una legge successiva Cass. nn. 17995/07, 11876/07, Cass. S.U. n. 15608/01 . L'irretroattività della legge, se pur non elevata, fuori della materia penale, a dignità costituzionale, rappresenta, del resto, una regola essenziale del sistema, cui, salvo un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillità dei cittadini Corte costituzionale n. 155/90 . In materia contrattuale, l'unica eccezione a tale principio è costituita dall'intervento di una nuova disposizione di legge che, introducendo una norma imperativa condizionante l'autonomia negoziale delle parti, incida sul contenuto dei contratti di durata anteriormente stipulati, o di quelli che non hanno ancora avuto esecuzione alla data della sua entrata in vigore, determinando la sopravvenuta nullità o inefficacia della clausola pattizia in essi inserita che sia eventualmente in contrasto con la norma imposta, la quale sostituisce o integra per l'avvenire la clausola difforme, relativamente agli effetti che il contratto dovrà produrre e non ha ancora prodotto. Cass. n. 1689/06 . Non è certo questo il caso della clausola compromissoria stipulata anteriormente all'entrata in vigore della legge di riforma dell'arbitrato, non essendovi alcuna norma, fra quelle introdotte dagli artt. 20/25 del d.lgs. n. 40/06, che ne abbia decretato la sopravvenuta invalidità il comma 3 dell'art. 829 cpc riformato, nell'escludere l'impugnazione del lodo per la violazione di regole di diritto relative al merito della controversia, salva l'espressa diversa volontà delle parti, si è infatti, nella sostanza, limitato ad operare un capovolgimento del regime anteriore, riconducendo a regola ciò che era in precedenza previsto come eccezione e ad eccezione ciò che era in precedenza previsto come regola. Ritenere che, per effetto della disposizione transitoria di cui all'ari 27 del citato d.lgs., la nuova regola debba essere obbligatoriamente applicata anche alle convenzioni di arbitrato concluse prima del 2.3.06 solo perché il giudizio arbitrale è stato introdotto in data successiva e che perciò sia preclusa alle parti l'impugnazione del lodo per violazione di norme sostanziali ancorché, all'epoca della stipulazione del patto compromissorio esse non fossero tenute a manifestare espressamente una volontà in tal senso equivarrebbe ad ammettere che, in assenza di una ragione giustificatrice, la norma contrasta con i principi generali che si sono appena enunciati in materia di irretroattività della legge e di immodificabilità della disciplina contrattuale per effetto di mutamenti successivi della legislazione. Invero, come è stato correttamente osservato in dottrina, siffatta interpretazione implicherebbe l'automatica sostituzione del contenuto della convenzione di arbitrato a suo tempo previsto e voluto dai contraenti, ricollegando al loro silenzio un significato diametralmente opposto a quello stabilito dalla legge al momento della stipulazione del patto, così privandoli di un mezzo di impugnazione al quale, in quel momento, certamente non intendevano rinunciare gli effetti giuridici della volontà negoziale validamente manifestata dalle parti verrebbero dunque ad essere modificati d'imperio da una legge successiva, pur se ancora tutelati e riconosciuti dall'ordinamento in favore di tutti coloro che, avendo stipulato il patto dopo il 2.3.06, hanno avuto cura di prevedere espressamente l'impugnabilità del lodo per violazione delle regole di diritto. Così interpretata la norma transitoria violerebbe, inoltre, i principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost Sotto il primo profilo, essa determinerebbe disparità di trattamento non solo fra i contraenti che hanno stipulato la convenzione arbitrale in data anteriore e quelli che l'hanno invece stipulata in data posteriore all'entrata in vigore della legge di riforma consentendo, per quanto si è appena detto, solo a questi ultimi di scegliere se conservare la possibilità di impugnare il lodo per violazione di norme sostanziali , ma persino fra tutti gli appartenenti alla prima delle due categorie, i quali manterrebbero o meno il diritto a detta impugnazione a seconda della data di promovimento del giudizio arbitrale, e dunque in dipendenza di un fattore del tutto casuale, non essendo certamente prevedibile la data di insorgenza della lite. Sotto il secondo profilo, la norma comprimerebbe il diritto delle parti alla tutela giurisdizionale, nonostante la contraria volontà dalle stesse manifestata allorché sottoscrissero la clausola compromissoria senza escludere espressamente l'impugnabilità del lodo per violazione delle regole di diritto sostanziale, nella vigenza di un regime in cui tanto bastava a consentire l'impugnazione. Neppure può ipotizzarsi, secondo quanto sostenuto dalla ricorrente, che, una volta entrata in vigore la legge di riforma, fosse dovere dei contraenti attivarsi per modificare il testo della clausola compromissoria, aggiungendovi espressamente la previsione che in precedenza vi era implicitamente inclusa per adeguare la clausola alla disciplina sopravvenuta non basterebbe, infatti, l'iniziativa di una delle parti, ma occorrerebbe l'accordo di entrambe. Né, sotto altro profilo, la mancata attivazione potrebbe essere interpretata come rinuncia a far valere motivi di nullità del lodo per violazione di norme sostanziali, posto che la volontà di rinunciare ad un diritto si può desumere solo da un comportamento concludente, che non può consistere nell'inerzia del titolare rispetto al compimento di un' attività che non è dovuta. Va, da ultimo, rilevato che le modifiche apportate all'art. 829 c.p.c. dalla legge di riforma sono volte a delimitare l'ambito dell'impugnazione del lodo come riflesso della nuova disciplina dell'accordo arbitrale, laddove le convenzioni concluse prima del 2.3.06 continuano ad essere regolate dalla legge previgente, che prevedeva l'impugnabilità del lodo per violazione della legge sostanziale, a meno che le parti non avessero stabilito diversamente. Tali clausole, ancorché difformi dal nuovo modello negoziale, devono pertanto essere interpretate secondo la normativa codicistica anteriore ne consegue che, in difetto di una disposizione che ne sancisca la nullità o che obblighi le parti ad adeguarle al nuovo modello, la loro salvezza deve ritenersi insita nel sistema pur in difetto di un'esplicita previsione della norma transitoria. 4 Con il quarto motivo di ricorso Imm.re Contrada Canova, denunciando violazione degli arti 1385 e 1455 c.c., rileva che la Corte territoriale è pervenuta all'annullamento del lodo limitandosi ad affermare che, poiché l'art. 1537 c.c. non è applicabile al preliminare, gli impugnanti, cui era stato negato di misurare l'appartamento, avevano legittimamente rifiutato di stipulare il definitivo, senza effettuare alcuna comparazione fra la pretesa sua inadempienza e quella da essa imputata alla promissaria acquirente, di non aver offerto neppure in via informale il prezzo residuo. 5 Con il quinto motivo, la ricorrente, denunciando vizio di motivazione, osserva che il giudice d'appello ha erroneamente ritenuto che fosse circostanza pacifica che essa avesse impedito agli impugnanti di misurare l'appartamento, laddove costoro avevano lamentato soltanto di non aver potuto procedere alla misurazione in contraddittorio. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati nei limiti che di seguito si precisano. Il giudice d'appello, affermando che l'inadempimento dell'Immobiliare Canova all'obbligo di consentire ai promissari acquirenti di effettuare la misurazione dell'appartamento giustificava il rifiuto di costoro di stipulare il rogito e dunque di pagare il residuo prezzo dell'immobile ha implicitamente operato il giudizio di comparazione richiesto dall'art. 1460 c.c Sennonché la pacificità della circostanza assunta dalla Corte di merito a fondamento della decisione è smentita dalla lettura delle pagine del lodo riportate in ricorso che a loro volta richiamano la corrispondenza intercorsa fra le parti , dalle quali si evince che B. e V. non lamentarono mai che fosse stato loro impedito di eseguire le misurazioni, ma solo che la promittente venditrice avesse rifiutato di procedervi in contraddittorio. Ne consegue che, poiché la misurazione in contraddittorio non è un diritto del promissario acquirente Cass. n. 11279/95 , il fatto che B. e V. avessero ritenuto di non poterla o di non doverla effettuare, se non in presenza della promittente venditrice, non poteva essere imputato a fatto e colpa di quest'ultima e non poteva costituire circostanza di per sé sufficiente a giustificare il rifiuto a stipulare il rogito. La sentenza impugnata deve pertanto essere cassata, con rinvio della causa, per un nuovo giudizio, alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità. Resta assorbito il ricorso incidentale, sorretto da un unico motivo, con il quale B. e V. si dolgono della compensazione delle spese del giudizio di merito. P.Q.M. La Corte respinge i primi tre motivi del ricorso principale, accoglie il quarto ed il quinto motivo e dichiara assorbito il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, per un nuovo giudizio, alla Corte d'Appello di Venezia in diversa composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.