Si oppone al decreto ingiuntivo che viene annullato, ma non ha pienamente ragione: deve pagare le spese di giudizio

In tema di spese processuali il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle stesse mentre, qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione.

Il caso. Una ditta svolge dei lavori di ristrutturazione di un immobile. La proprietaria non vuol pagare quanto chiesto dalla ditta che quindi, sulla base di una fattura emessa e di un preventivo sottoscritto dalla cliente, ottiene dal Presidente del Tribunale l’emissione di un decreto ingiuntivo. Nei giudizi di merito differisce la valutazione circa l’ammontare del credito. La donna si oppone e il G.O.A. annulla il decreto riconoscendo alla ditta un credito di minore importo. La disputa prosegue in appello e la Corte territoriale stabilisce che la proprietaria dell’immobile deve pagare una somma maggiore di quella determinata dal G.O.A., ma comunque minore rispetto a quella riconosciuta dal decreto ingiuntivo. Condanna inoltre la donna al pagamento delle spese di doppio grado. Si arriva quindi in Cassazione. in Cassazione non possono essere denunciati vizi di motivazione consistenti nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice di merito. La donna lamenta il fatto che i giudici di merito avrebbero disatteso la consulenza di parte e avrebbe aderito senza motivazione alla consulenza d’ufficio. In realtà queste doglianze si risolvono in mere censure di merito avverso valutazioni espresse dalla Corte di Appello il cui sindacato è sottratto al giudice di legittimità e sono dunque sono prive di pregio. Soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata al pagamento delle spese processuali. Altro motivo di doglianza proposto dalla donna è quello secondo la quale sarebbe viziata la motivazione della condanna alle spese dei due gradi di giudizio merito, emessa in ragione della prevalente soccombenza dell’opponente che pur avrebbe agito per ottenere la revoca dell’ingiusto decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti. A tal riguardo, la Suprema corte, con la sentenza n. 3595/12 depositata il 7 marzo scorso, precisa che in tema di spese processuali il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle stesse mentre, qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale delle parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione . La donna deve pagare le spese di giudizio. Nel caso specifico, poiché l’opposizione a decreto ingiuntivo non ha avuto un esito interamente vittorioso per la ricorrente, questa non può dolersi della pronuncia di condanna alle spese dei due giudizi di merito emessa nei suo confronti dalla Corte d’appello.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 18 gennaio – 7 marzo 2012, n. 3595 Presidente Schettino – Relatore Matera Svolgimento del processo C.P.I. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso il 5-3-1990 dal Presidente del Tribunale di Reggio Emilia, con il quale, sulla base della fattura n. 102 del 25-10-1989 e di un preventivo senza data da essa sottoscritto, le veniva intimato il pagamento in favore della s.r.l. Italedil della somma di lire 31.824.884, oltre interessi legali, per lavori di ristrutturazione di un immobile sito in Bologna, via Toscanini n. 6. Con sentenza del 9-5-2001 il G.O.A. revocava il decreto opposto riconosceva alla s.r.l. Italedil il credito di lire 12.801.700 compensava le spese di lite. Il giudice, nel disattendere le risultanze dell'espletata consulenza tecnica d'ufficio, determinava il predetto importo in base al prezzo dell'intera opera come conteggiato dal tecnico della parte committente, con detrazione della somma di lire 20.000.000 versata a ditte subappaltatrici. Avverso la predetta decisione proponevano appello principale la s.r.l. Italedil e appello incidentale la C.P. . Con sentenza depositata il 18-5-2005 la Corte di Appello di Bologna, in parziale accoglimento dell'appello principale, elevava la condanna della convenuta alla somma di lire 24.743.600, oltre interessi riconosceva alla C.P. il diritto al rimborso di quanto versato in eccedenza, oltre interessi e maggior danno rigettava per il resto l'appello incidentale condannava la convenuta al pagamento delle spese di doppio grado. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la C.P. , sulla base di sei motivi. L'intimata non ha svolto attività difensive. La ricorrente ha presentato istanza di trattazione del procedimento ai sensi dell'art. 26 della legge 12-11-2011 n. 183. Motivi della decisione 1 Con il primo motivo la ricorrente, lamentando la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 e 115 c.p.c., nonché vizi di motivazione, sostiene che la Corte di Appello ha disatteso la consulenza di parte opponente del geom. D. , in relazione alle voci 12 concernente la fornitura dei listelli di legno per il pavimento e 3 concernente lo smontaggio degli infissi interni del preventivo Italedil, in base ad argomenti illogici e contraddittori, e non ha tenuto conto degli elementi di prova forniti dall'appellante. Con il secondo motivo la C.P. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. Ili e 115 c.p.c. e vizi di motivazione, per avere la Corte di Appello, in relazione alla voce 7 concernente le rubinetterie e i sanitari indicati nel preventivo , valutato il prezzo dei materiali offerti dall'impresa in lire 1.500.000, sulla base della comune esperienza . Deduce che nella nozione di fatti notori previsti dall'art. 115 c.p.c. non possono essere comprese le nozioni di natura tecnica e, in particolare, i prezzi praticati da artigiani o produttori in un certo periodo. Con il terzo motivo viene dedotta l'omessa o insufficiente motivazione in relazione alla voce riportata al punto 12 , per avere la Corte di Appello aderito alla consulenza di ufficio, ritenendo, in contrasto con quanto risultante dalla fattura n. 27 del 2-7-1990 dalla ditta Valli Ermanno, che quanto sostenuto dal tecnico di parte committente riguardo al minor quantitativo di pavimentazione mancasse di dimostrazione. Con il quarto motivo la ricorrente, denunciando ancora vizi di motivazione, nonché la violazione e falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha computato sull'importo liquidato in favore dell'impresa l'IVA nella misura del 19%, invece che nella misura agevolata del 4% di cui la committente poteva usufruire. Con il quinto e il sesto motivo vengono dedotti violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 comma 2 c.p.c. e vizi di motivazione, in relazione alla pronuncia di condanna alle spese dei due gradi del giudizio di merito, emessa in ragione della prevalente soccombenza dell'opponente, pur avendo quest'ultima agito per ottenere la revoca dell'ingiusto decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti. 2 Il primo e il terzo motivo di ricorso, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, attraverso la formale prospettazione di violazione di legge e di vizi di motivazione si risolvono, in buona sostanza, in mere censure di merito avverso le valutazioni espresse dalla Corte di Appello circa la portata e consistenza delle opere effettivamente poste in essere dalla s.r.l. Italedil in relazione alle voci indicate ai n. 3 e 12 del preventivo. L'apprezzamento reso al riguardo dal giudice del gravame si sottrae al sindacato di questa Corte, costituendo espressione di un tipico accertamento in fatto riservato ai giudici di merito ed essendo sorretto da una motivazione che vale a rendere sufficiente conto delle ragioni delle soluzioni adottate. La Corte territoriale, infatti, con riferimento alla voce 12 , ha spiegato di aver tenuto conto della misura mq. 105 dei pavimenti in legno indicata dal fornitore e dal posatore, che vengono a smentire la diversa misura mq. 90 indicata nella relazione D. e, in relazione alla voce 3 , ha rilevato che la lettera del 20-9-1990 del geom. P. e il contratto con la Poliedil dimostrano che i vecchi telai furono rimossi per essere sostituiti dalle nuove finestre. È evidente, pertanto, che la ricorrente, nel sostenere la piena attendibilità dei dati riportati nella consulenza tecnica di parte e nell'affermare che gli stessi risultano sorretti da adeguati elementi probatori, invoca una diversa interpretazione delle risultanze processuali, preclusa in questa sede. Per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, i vizi di motivazione denunciabili con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5 non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perché spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova Cass. Sez. 2, 14-10-2010 n. 21224 5-3-2007 n. 5066 Cass. 21 aprile 2006, n. 9368 Cass., 20 aprile 2006, n. 9234 Cass, 16 febbraio 2006, n. 3436 Cass., 20 ottobre 2005, n. 20322 . Né sussiste la dedotta violazione dell'art. 115 c.p.c., a mente del quale il giudice ha l'obbligo di decidere iuxta alligata et probata . Nella specie, infatti, ai fini della formazione del proprio convincimento, il giudice di merito ha tenuto conto delle circostanze di fatto dedotte dalle parti e delle prove dalle medesime fornite, delle quali, nell'esercizio dei compiti istituzionali affidatigli dalla legge, ha liberamente valutato la consistenza e rilevanza ai fini della decisione. 3 Anche il secondo motivo deve essere disatteso. La Corte di Appello, nel ritenere ingiustificata la pretesa della convenuta di detrarre, con riferimento alla voce 7 , l'intero costo lire 3.380.000 del materiale sanitario direttamente acquistato dalla committente, di maggior pregio rispetto a quello indicato nel preventivo, ha ritenuto, in base alla comune esperienza, di quantificare in lire 1.500.000 il prezzo dei materiali offerti dall'impresa rubinetterie di tipo medio e sanitari di serie come indicati nel preventivo . Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la decisione impugnata, in relazione al dato di comune esperienza recepito, non è incorsa nella violazione dell'art. 115 c.p.c Come è stato precisato da questa Corte, le massime o nozioni di comune esperienza costituiscono regole di giudizio di carattere generale, derivanti dall'osservazione reiterata di fenomeni naturali e socioeconomici, di cui il giudice è tenuto ad avvalersi, in base all'art. 115 cpv. c.p.c., sia per la valutazione delle prove, che per l'argomentazione di tipo presuntivo Cass. 28-10-2010 n. 22022 . Ne deriva che la quantificazione di una somma dovuta può logicamente ascriversi a regole d'esperienza allorché abbia ad oggetto una prestazione di carattere usuale e ricorrente, suscettibile di oscillazioni minime da caso a caso, ovvero quando tale determinazione costituisca la risultante concreta di fatti realmente notori come i prezzi di mercato di beni di frequente utilizzo e di nozioni di pratica comune come il corrispettivo orario di semplici attività manuali , che possono essere posti dal giudice a fondamento della decisione cfr. in tema di corrispettivo d'appalto, Cass. 26-10-1970 n. 2162 . Allorquando, invece, siano in gioco importi di particolare rilievo o che derivino dalla valutazione di utilità complesse, la corretta esperienza delle quali richieda per di più un sapere tecnico, la quantificazione del dovuto eccede l'ambito di applicabilità delle nozioni di cui all'art. 115 cpv. c.p.c. Cass. 4-10-2011 n. 20313 . Nel caso in esame, pertanto, la Corte di Appello ha legittimato fatto ricorso, ai fini della determinazione della somma inerente alla voce in questione, a nozioni di comune esperienza, trattandosi di prezzi di mercato di beni di frequente utilizzo e che, per il loro ridotto valore, non richiedono specifiche acquisizioni di natura tecnica. 4 Parimenti infondato è il quarto motivo. La Corte di Appello ha ritenuto che sull'importo liquidato in favore dell'impresa doveva essere aggiunta l’IVA nella misura indicata nella fattura e, quindi, versata dall'attrice, considerando irrilevante che la C.P. fosse in condizione di potersi avvalere di agevolazione al 4% invece che al 19% , dal momento che la stessa non aveva inviato alla controparte la documentazione necessaria, pur avendo avuto da tempo ricevuto indicazione di quale sarebbe stata la fatturazione. La valutazione espressa al riguardo resiste alle censure mosse dalla ricorrente, apparendo immune da vizi logici ed essendo basata sui fatti allegati e provati dalle parti, in conformità a quanto prescritto dall'art. 115 c.p.c 5 Prive di pregio, infine, si palesano le censure mosse con gli ultimi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente in quanto tra loro connessi. Giova premettere che, in tema di spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse Cass. 6-10-2011 n. 20457 Cass. 31-3-2006 n. 17457 Cass. 16-3-2006 n. 5828 Cass. 2-8-2002 n. 11537 Cass. 14-11-2002 n. 16012 Cass. 1-10-2002 n. 14095 mentre, qualora ricorra la soccombenza reciproca, è rimesso all'apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità, decidere quale della parti debba essere condannata e se ed in quale misura debba farsi luogo a compensazione Cass. 23-6-2000 n. 8532 Cass. 3-3-1994 n. 2124 . Deve altresì rammentarsi che, nel procedimento per ingiunzione, la fase monitoria e quella di cognizione che si apre con l'opposizione fanno parte di un unico processo, nel quale l'onere delle spese è regolato in base all'esito finale del giudizio di opposizione ed alla complessiva valutazione dello svolgimento di esso e della soccombenza Cass. 3-9-2009 n. 19120 Cass. 1-2-2007 n. 2217 Cass. 8-8-1997 n. 7354 . Nella specie, pertanto, poiché l'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla C.P. conclusasi, nonostante la revoca del provvedimento monitorio, con la condanna dell'opponente al pagamento di una somma, sia pure inferiore rispetto a quella richiesta dalla creditrice non ha avuto un esito interamente vittorioso per l'odierna ricorrente, quest'ultima non può dolersi della pronuncia di condanna alle spese dei due giudizi di merito emessa nei suoi confronti dalla Corte di Appello condanna che risulta correttamente motivata, sul piano logico e giuridico, in ragione della prevalente soccombenza dell'opponente, la quale, come è stato spiegato dalla Corte di Appello, oltre al rigetto della domanda sulla base della risoluzione del contratto per inadempimento, pretendeva un risarcimento danni. 6 Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato. Poiché la società intimata non ha svolto attività difensive,. non va adottata alcuna pronuncia sulle spese. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.