In appello stesso rito del primo grado, anche se è errato

Solo il giudice dell’impugnazione può mutare il rito con cui il processo è erroneamente iniziato. Però, la proposizione dell’appello segue le forme previste dal rito con cui si è trattata la causa nel primo grado.

La fattispecie. Un uomo e una donna si vedono dichiarare inammissibile, perché tardivo iscritto a ruolo oltre il termine lungo ex art. 327 c.p.c. , l’appello proposto avverso una sentenza del Tribunale di Roma, che aveva rilevato la carenza di legittimazione attiva dei due attori, in relazione alla domanda avanzata con citazione per il pagamento di somme dovute a titolo di restituzione e ripetizione dei canoni di locazione. Citazione o ricorso, questo è il problema. Tra l’altro, l’appello è stato proposto con citazione e non con ricorso, stante il peculiare regime processuale che governa la materia locatizia . I due ricorrono per cassazione, osservando che la Corte territoriale ha errato a non ritenere applicabile il rito ordinario anziché quello speciale, visto che, in primo grado, la controversia si era svolta con tale rito. La S.C., a sua volta, ritiene fondato il ricorso e lo accoglie. In effetti – precisa la Corte di legittimità - la Corte territoriale non ha considerato che il primo grado del giudizio, pur in materia locatizia, si era svolto con il rito ordinario . Rito ordinario anziché speciale? Appello presentato con le forme del rito ordinario. Ricordando una decisione delle Sezioni Unite della Cassazione sent. 20749/2008 , gli Ermellini chiariscono che ove una controversia sia stata, anche erroneamente, trattata in primo grado con il rito ordinario, anziché con quello speciale del lavoro, le forme del rito ordinario debbono essere seguite anche per la proposizione dell’appello, che va proposto con citazione ad udienza fissa. Se, invece, la controversia sia stata trattata con il rito del lavoro anziché con quello ordinario, la proposizione dell’appello segue le forme della cognizione speciale . Il principio di ultrattività del rito è derogabile solo dal giudice. Attribuire al soccombente in primo grado la possibilità - in sede di appello – di adottare una modalità di impugnazione diversa da quella imposta dal rito, significa attribuire all’appellante una facoltà di mutamento, per cui è, invece, competente esclusivamente il giudice dell’impugnazione. Nella specie la rettifica è avvenuta regolarmente, ma il giudice dell’appello avrebbe dovuto valutare anche l’ammissibilità dell’impugnazione con riguardo ai requisiti previsti dall’applicazione del rito ordinario, compresa la sospensione dei termini .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 settembre 2011 – 19 gennaio 2012, n. 774 Presidente Petitti – Relatore Parziale Fatto e diritto 1. - L.C. e L.G. impugnano la sentenza 1217 del 2006 della Corte d'appello di Roma, depositata il 9 giugno 2006, non notificata, con la quale veniva dichiarato inammissibile, perché tardivo, l'appello proposto avverso la sentenza del Tribunale di Roma dell'8 maggio 2003, che aveva dichiarato la carenza di legittimazione attiva degli odierni ricorrenti in relazione alla domanda avanzata con citazione per il pagamento di somme dovute a titolo di restituzione e ripetizione di canoni di locazione e per indennizzo risarcitorio ex articolo 1 della legge n. 61 del 1989. 2. - La Corte territoriale riteneva tardivo l'appello proposto con citazione e non con ricorso stante il peculiare regime processuale che governa la materia locatizia”, perché iscritto al ruolo e depositato in data 1 luglio 2004, oltre il termine lungo dell'articolo 327 c.p.c. essendo stata la sentenza pubblicata l’8 maggio 2003, pur computando nei termini anche il periodo di sospensione di cui alla legge 742 del 1969. Osservava, inoltre, la Corte territoriale che la notifica dell'atto d'appello, effettuata con plico raccomandato spedito il 23 giugno 2004 non valeva a sanare l'inammissibilità perché, pur convertendosi l'atto in ricorso, doveva tenersi conto della sola data di deposito dello stesso. 3. - Parte ricorrente articola un unico motivo di ricorso e il relativo quesito di diritto, osservando che la Corte aveva errato a non ritenere applicabile il rito ordinario piuttosto che quello speciale, perché la controversia in questione in primo grado si era svolta con tale rito. In applicazione del principio della ultrattività del rito l'impugnazione doveva essere dichiarata ammissibile posto che la citazione era stata notificata un anno e 46 giorni dopo la pubblicazione della sentenza. 4. - Veniva attivata la procedura ex art. 375 cpc, per la verifica della regolarità della notifica del ricorso. All'udienza camerale del 27 maggio 2010 veniva accertata la regolarità e il ricorso veniva rinviato a nuovo ruolo previo nuovo esame preliminare. 5. - Parte intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede. 6. - All'esito del nuovo esame preliminare, il consigliere relatore delegato ha depositato relazione con la quale ritiene che il ricorso possa essere accolto, perché manifestamente fondato. La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite. 7. - Il ricorso è fondato e va accolto. In effetti, la Corte territoriale non ha considerato che il primo grado del giudizio, pur in materia locatizia, si era svolto col rito ordinario. Occorre osservare al riguardo che Cass. Sezioni Unite 2008 n. 20749 ove una controversia sia stata, anche se erroneamente, trattata in primo grado con il rito ordinario, anziché con quello speciale del lavoro, le forme del rito ordinario debbono essere seguite anche per la proposizione dell'appello, che va proposto con citazione ad udienza fissa. Se, invece, la controversia sia stata trattata con il rito del lavoro anziché con quello ordinario, la proposizione dell'appello segue le forme della cognizione speciale. Ciò, in ossequio al principio della ultrattività del rito, che - quale specificazione del più generale principio per cui l'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio dell'apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche implicita, dell'azione e del provvedimento compiuta dal giudice - trova specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice Cass. 14/01/2005, n. 682 . Poiché il rito, in senso ampio, attiene non solo alla fase procedimentale durante lo specifico grado, ma anche alla fase successiva dell'impugnazione, ritenere che il soggetto soccombente possa adottare in questa seconda fase una forma ed una modalità di impugnazione diverse da quelle impostegli dal rito, con cui è stata emessa la sentenza, significa attribuire al soggetto impugnante una facoltà di mutamento, che invece compete esclusivamente al giudice dell'impugnazione art. 439 c.p.c. . È quindi solo il giudice dell'impugnazione, anche a garanzia delle controparti, che ha il potere di rettificazione del rito, con la possibilità del passaggio al rito speciale o viceversa cfr. Cass. n. 1313/1979 ”. Ciò in effetti è avvenuto, ma il giudice dell'appello avrebbe dovuto valutare l'ammissibilità dell'impugnazione con riguardo ai requisiti previsti dalla applicazione del rito ordinario, compresa la sospensione dei termini. 8. - Il ricorso va accolto, il provvedimento impugnato cassato, e la causa va rimessa per nuovo esame ad altro giudice del merito pari ordinato, che si indica in diversa sezione della stessa corte di appello, cui è anche demandato, ex art. 385 cpc, di pronunziare sulle spese del giudizio di legittimità. P.T.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che deciderà anche sulle spese.