La nuova costruzione limita la servitù di veduta? Bisogna provarlo

Chi chiede la demolizione del nuovo edificio costruito su un fondo attiguo, rivendicando una servitù di veduta, deve provare l'acquisto del diritto.

Con la sentenza n. 18782 del 14 settembre, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio generale per cui chi fa valere in giudizio una domanda deve provarne gli elementi costituitivi, con la conseguenza che se si lamenta la lesione di una servitù di veduta, ad opera di una nuova costruzione, è necessario fornire la prova d'acquisto del diritto rivendicato. Il caso. La proprietaria di un immobile su due piani, il cui terrazzo si affacciava su un cortile, conveniva in giudizio i proprietari del citato cortile, poiché questi avevano costruito un edificio che le impediva l'esercizio della servitù di veduta sul fondo sottostante, esercitata fino a quel momento. Il Tribunale, accogliendo la domanda attrice, ordinava la demolizione della nuova costruzione, ma i proprietari proponevano appello, ritenendo non provato il diritto alla servitù di veduta. La Corte d'appello accoglieva il gravame e la donna proponeva ricorso per cassazione. Non adempiuto l'onere probatorio. Secondo i giudici di merito l'attrice non ha assolto l'onere probatorio relativo all'acquisto per usucapione del diritto di servitù di veduta da lei rivendicato. Si tratta di una valutazione motivata e supportata da un corretto esame dal materiale probatorio solo due dei sei testimoni sentiti avrebbero reso dichiarazioni a lei favorevoli e manca qualsiasi altra prova relativa al diritto in esame. Così ricostruito l'iter logico-giuridico attraverso il quale i giudici sono pervenuti a una decisione, ed essendo inammissibile un riesame del materiale probatorio in sede di legittimità, la S.C. ritiene condivisibile la conclusione in base alla quale l'acquisto per usucapione della servitù risulta non provata, secondo l'ordinaria ripartizione dell'onere della prova.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 16 febbraio - 14 settembre 2011, n. 18782 Presidente Rovelli - Relatore San Giorgio Svolgimento del processo 1. - Con atto di citazione notificato in data 28 giugno 1988, A.M. convenne in giudizio innanzi al Pretore di S. Antioco Giovanni, M. , G. , D. , A. , A.M. , T. e Pi.An. , eredi di P.N. , assumendo di essere proprietaria di una casa per civile abitazione in S. Antioco, composta da un piano terra e da un primo piano, il cui terrazzino si affacciava su di un cortile di proprietà degli eredi P. , tra cui P.G. , il quale vi aveva edificato una costruzione la cui terrazza, realizzata a livello del predetto terrazzino in violazione delle norme sulle distanze tra edifici previsti dallo strumento urbanistico del Comune, impediva l'esercizio della servitù di veduta sul fondo sottostante sino ad allora da lei esercitata, anche perché, alla distanza di circa tre metri dal parapetto del terrazzino, era stato realizzato un abbaino, alto circa due metri. Chiese, pertanto, che, dichiarata la proprietà dell'immobile, gli eredi P. venissero condannati all'abbattimento della loro costruzione in modo da ripristinare l'esercizio della predetta servitù. Costituitosi il solo P.G. , nelle more del processo fu ordinata la demolizione del muro eretto da P.G. al confine del terrazzino dell'attrice. Il Tribunale di Cagliari dichiarò l'acquisto per usucapione della servitù di veduta, osservando che dalle deposizioni testimoniali, confermate dalle prove documentali, era risultato provato che dai primi anni 60 nell'immobile della A. esisteva un terrazzo che permetteva di guardare ed affacciarsi verso il cortile del P. , ove, fino agli anni 70, non era esistita alcuna costruzione. 2. Il convenuto fu pertanto condannato alla demolizione di quanto eseguito in violazione delle norme sulle distanze legali e al risarcimento dei danni. La sentenza fu impugnata dal P. , che negò che fosse intervenuta la usucapione della servitù, in quanto il terrazzino di cui si tratta era situato all'ultimo piano, costruito quando l'edificio dei P. esisteva già. 3. - Con sentenza depositata il 26 aprile 2005, la Corte d'appello di Cagliari accolse il gravame, osservando che l'attrice non aveva assolto l'onere probatorio relativo all'acquisto per usucapione della servitù di veduta da lei rivendicata. A parte la considerazione che dall'iter argomentativo del primo giudice sembrava emergere l'errore di aver ritenuto che il termine per l'usucapione fosse di dieci e non di venti anni, osservò la Corte di merito che dall'esame delle diverse deposizioni era emerso che la possibilità di prospicere sul fondo dei P. , se mai fosse esistita, sarebbe stata esercitata da un cortile o da una finestra, ma non dal terrazzino all'ultimo piano di casa A. , composta da un piano terra e da un primo piano, confinante con la terrazza del P. , a livello del pavimento della terrazza dalla quale essa A. esercitava la veduta dal fondo sottostante secondo quanto dedotto nella citazione di primo grado. 4. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre A.M. sulla base di due motivi. Resiste con controricorso P.G Motivi della decisione 1. - Con il primo motivo si deduce omessa o insufficiente nonché contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte e rilevabile d'ufficio, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 1061 e 1158 cod. civ Secondo la Corte cagliaritana, l'attrice, attuale ricorrente, non avrebbe fornito la prova dell'acquisto del proprio diritto, perché, dei sei testimoni sentiti, solo due avrebbero reso dichiarazioni a lei favorevoli. Sarebbero emerse, peraltro, contraddizioni nella interpretazione delle testimonianze esaminate, poiché il giudice di secondo grado avrebbe tratto conseguenze non coerenti con le premesse poste, avrebbe tralasciato alcune testimonianze, ritenendole imprecise e generiche, senza chiarire le ragioni di tale convincimento, e sarebbe venuto meno ai propri doveri di valutare compiutamente le ulteriori risultanze processuali, e, in particolare, le produzioni documentali idonee a chiarire i tempi della realizzazione degli edifici di cui si tratta, addossati l'uno all'altro sullo stesso livello all'epoca della domanda. 2.1. - La censura non può trovare ingresso nella presente sede. 2.2. - Essa, infatti, è evidentemente rivolta a conseguire un riesame delle emergenze processuali e del materiale probatorio inibito alla Corte di legittimità, in presenza di una motivazione immune da vizi logici ed errori giuridici. Nella specie, la Corte cagliaritana ha fatto buon governo del proprio potere discrezionale di valutazione delle prove e di controllo della relativa attendibilità, soffermandosi puntigliosamente sulle diverse deposizioni testimoniali e sulla documentazione in atti, e consentendo la ricostruzione precisa dell'iter logico-giuridico attraverso il quale essa è pervenuta ad affermare che l'attrice non aveva assolto l'onere probatorio a lei incombente in ordine agli elementi costitutivi della domanda, e, quindi, ha concluso per la esclusione dell'avvenuto acquisto per usucapione della servitù dalla stessa rivendicata. 3. - Con la seconda censura si lamenta ancora omessa o insufficiente nonché contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte e rilevabile d'ufficio, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 871, 872 e 873 cod. civ Si rileva che il giudice di primo grado aveva accolto la domanda dell'attrice non solo per aver ritenuto perfezionato l'acquisto della servitù di veduta per effetto dell'usucapione, ma anche per essere stato L'edificio di proprietà del convenuto realizzato in violazione della normativa in materia di distanze legali. Pur non essendo stata tale questione affrontata nell'atto di appello, la Corte di merito aveva accolto il gravame. 4.1. - La doglianza è destituita di fondamento. 4.2. - In realtà, la domanda dell'attrice, attuale ricorrente, riguardava solo la configurabilità di un diritto di servitù, mentre non risulta essere stata proposta in nessuna sede alcuna domanda di rispetto della normativa in materia di distanze legali tra costruzioni. 5. - Il ricorso deve, conclusivamente, essere rigettato. In ossequio al principio della soccombenza, le spese del presente giudizio, che vengono liquidate come da dispositivo, devono essere poste a carico della ricorrente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi Euro 1700,00, di cui Euro 1500,00 per onorari.