Architetti e redazione: quali limiti all'accettazione di incarichi da privati?

di Carmen Ceschel

di Carmen Ceschel La Cassazione chiarisce che le limitazioni poste dall'art. 41 bis della legge n. 1150/1942 ai professionisti incaricati di redigere strumenti urbanistici sussistono sino all'approvazione definitiva degli stessi, pur se il professionista sia chiamato alla mera adozione dello strumento senza doversi occupare delle successive controdeduzioni ed osservazioni prima dell'approvazione. La questione. Nel caso de quo, un architetto era stato incaricato di redigere la variante parziale al piano regolatore generale di un Comune. L'incarico era limitato alla stesura degli elaborati e non comprendeva il compito di occuparsi delle successive controdeduzioni ed osservazioni prima dell'approvazione definitiva. Adottata la variante, ma prima dell'approvazione, una società privata presentava al Comune una proposta di piano attuativo, inerente un'area compresa nella suddetta variante, a firma anche dell'architetto. Con l'approvazione della variante, il Comune adottava anche il piano attuativo. Il Consiglio dell'Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di Milano sospendeva per un mese l'architetto dall'iscrizione all'albo per violazione dell'art. 29 del codice deontologico applicabile ratione temporis in relazione all'art. 41 bis, l. n. 1150/1942, introdotto dall'art. 14 bis, l. n. 765/1967. Il ricorso contro tale sanzione disciplinare veniva rigettato dal Consiglio dell'Ordine Nazionale e l'architetto si rivolgeva alla Corte di Cassazione. Vietato agli architetti assumere incarichi privati se lavorano per la P.A La S.C., chiamata a pronunciarsi sulla questione, rigetta il ricorso dell'Architetto. L'art. 41 bis citato prevede che i professionisti incaricati di redigere strumenti urbanistici, fino all'approvazione degli strumenti redatti, nell'ambito del Comune interessato possono assumere solo incarichi di progettazione di opere ed impianti pubblici le eventuali violazioni vanno segnalate al rispettivo Consiglio dell'Ordine per i provvedimenti amministrativi del caso. L'art. 29 del codice deontologico, nel testo applicabile al caso in esame, sancisce che gli architetti e i collaboratori che eseguono per incarico di pubbliche amministrazioni strumenti urbanistici e loro varianti devono astenersi, dal momento dell'incarico e fino alla loro approvazione definitiva, dall'assumere incarichi privati di progettazione nell'area oggetto dello strumento urbanistico. L'architetto sostiene che l'incarico a lui assegnato dal Comune era limitato alla sola adozione dello strumento, senza comprendere il compito di occuparsi delle successive controdeduzioni ed osservazioni prima dell'approvazione definitiva pertanto, il divieto, successivamente all'adozione, sarebbe venuto meno. La Corte replica che tale interpretazione, anche se vi sia una specifica delimitazione dell'incarico, come nel caso in esame, sarebbe in palese violazione della ratio delle limitazioni previste dagli art. 29 del codice deontologico e 41 bis della legge urbanistica. Strumento urbanistico da redigere in modo disinteressato ed imparziale. Le norme tutelano l'interesse pubblico allo svolgimento dell'incarico di redazione di uno strumento urbanistico in modo disinteressato ed imparziale per tale ragione è necessaria la persistenza della limitazione temporale sino all'approvazione definitiva degli stessi strumenti urbanistici. La possibilità di assumere incarichi da privati, mentre lo strumento urbanistico è ancora in fieri, quantomeno comporterebbe l'accettazione del rischio che le scelte effettuate per lo svolgimento dell'incarico pubblico possano non essere esclusivamente ispirate dalla ottimale cura della cosa pubblica. Da tutelare la concorrenza con gli altri architetti. Le stesse norme, inoltre, possono ritenersi poste a tutela anche delle regole di concorrenza leale con i colleghi ipotizzando la spendita di un incarico pubblico in corso di svolgimento, verrebbero favoriti i contatti con privati, relativi alla progettazione nella stessa area interessata dallo strumento urbanistico, subito dopo la sua adozione. La Corte, pertanto, conclude chiarendo che le limitazioni di cui all'art. 41 bis della legge urbanistica persistono sino alla definitiva approvazione dello strumento Cfr. Cass. n. 10555/1990 n. 2481/1991 .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 31 gennaio - 3 marzo 2011, n. 5116 Presidente Trifone - Relatore Carluccio Ragioni di fatto e di diritto 1. L'arch. G.G. proponeva ricorso al Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori avverso la delibera del Consiglio dell'Ordine di Milano, con la quale gli era stata inflitta la sanzione della sospensione dell'iscrizione all'Albo per un mese. Il ricorso veniva rigettato decisione 11 luglio 2006 . Il G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta decisione con quattro motivi, corredati da quesiti. Il P.M. presso il Tribunale di Milano e il Consiglio dell'Ordine di Milano, ritualmente intimati, non hanno presentato difese. 2. Il comportamento addebitato all'architetto, quale emerge dagli atti del processo, è pacifico. Il G., su incarico del Comune, redigeva, con altri colleghi, la variante parziale al Piano Regolatore Generale. L'incarico era limitato alla stesura degli elaborati e non comprendeva il compito di occuparsi delle successive controdeduzioni e osservazioni prima dell'approvazione definitiva. Nel periodo successivo all'adozione da parte del Comune della variante avvenuta il 19 marzo 2003 e prima dell'approvazione definitiva della stessa il 10 febbraio 2004 , una società privata presentava 4 febbraio 2004 al Comune una proposta, anche a firma dell'arch. G., di Piano attuativo inerente un'area compresa nella suddetta Variante. Nella stessa data 10 febbraio 2004 dell'approvazione definitiva della variante, il Comune adottava il piano attuativo della società privata. 3. Il quadro normativo di riferimento è dato dalla previsione normativa della legge urbanistica e dalle norme deontologiche. La prima L. n. 1150 del 1942, art. 41 bis - introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 14 limita gli incarichi, nell'ambito territoriale di riferimento, che possono essere assunti dai professionisti incaricati della redazione degli strumenti urbanistici soggettivamente, al committente pubblico temporalmente, fino alla approvazione degli strumenti urbanistici redatti quindi, prevede la segnalazione delle violazioni al rispettivo Consiglio dell'ordine per i provvedimenti amministrativi del caso. Le norme deontologiche degli architetti, secondo il Testo Unificato delle norme di deontologia per l'esercizio della professione di architetto, applicabile ratione temporis, prevedono, in generale, lo svolgimento della professione senza che sussistano condizioni di incompatibilità. In particolare, per gli architetti incaricati dalle pubbliche amministrazioni della redazione di strumenti urbanistici, l'obbligo - esteso a collaboratori - di non assumere incarichi da privati nella stessa area sino all'approvazione definitiva degli strumenti pubblici. Quindi, la sanzione della sospensione fino a tre mesi per i contravventori. 4. La decisione del Consiglio Nazionale degli Architetti impugnata ha confermato la sospensione inflitta dal Consiglio dell'ordine locale sulla base delle seguenti argomentazioni a non risulta violato il R.D. n. 2537 del 1925, art. 44, relativo alla procedura richiesta per l'avvio e lo svolgimento del procedimento disciplinare, né è fondato il ricorso in ordine alla non corretta contestazione degli addebiti b quanto al merito, la condotta - di progettazione di natura privata prima che intervenisse l'approvazione dello strumento urbanistico, che lo stesso ricorrente aveva progettato a seguito di incarico del Comune - integra la violazione dell'art. 29 del codice deontologico, in relazione all'art. 41 bis della Legge Urbanistica. 5. Con i primi due motivi di ricorso viene dedotta la nullità della decisione del Consiglio dell'ordine locale, per la mancata assistenza del difensore nell'audizione preliminare dinanzi al relativo Presidente primo , nonché per la diversità della contestazione tra la fase precedente e la delibera di apertura del procedimento secondo . I motivi sono entrambi inammissibili, non censurando la decisione oggetto di ricorso. 6. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione art. 132 c.p.c. in ordine alla modifica dell'addebito disciplinare - che vi sarebbe stata tra la decisione dell'ordine locale dove si faceva riferimento solo alle norme deontologiche e la decisione del Consiglio nazionale dove si fa riferimento alla norma deontologica, in riferimento all'art. 41 bis della legge urbanistica -, con conseguente incomprensibilità della motivazione laddove fa proprie le ragioni di merito sostenute dal primo giudice. Il motivo va rigettato. La decisione impugnata che ratione temporis è impugnabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e u.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, senza le limitazioni precedentemente previste per i ricorsi ex art. 111 Cost. , pur sintetica, motiva efficacemente e non ingenera dubbi di sorta in ordine alle ragioni per cui si conferma la decisione del primo giudice. Né aveva motivo di soffermarsi sul preteso cambiamento dell'imputazione rispetto alla decisione dell'ordine locale, perché tale mutamento non c'è stato. Infatti, quest'ultima richiama solo le norme deontologiche, mentre la decisione impugnata mette in relazione la norma deontologica fondamentale l'art. 29 con la limitazione degli incarichi prevista dalla legge al fine di prevenire situazioni di incompatibilità. Dalla lettura delle due disposizioni delle quali si è detto emerge con evidenza che non possono non riferirsi allo stesso fatto, con conseguente negazione di qualunque pregiudizio al diritto di difesa. 7. Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge dell'art. 29 del codice deontologico, in relazione all'art. 41 bis della legge urbanistica nella parte in cui la sentenza impugnata, sulla base di tali norme, ha ritenuto vietati e, quindi, suscettibili di sanzioni disciplinari gli incarichi, provenienti da privati, assunti dal professionista come nella specie , dopo l'adozione da parte dell'ente pubblico dello strumento urbanistico e prima dell'approvazione definitiva dello stesso, nonostante l'incarico pubblico fosse limitato alla sola adozione dello strumento. Poi, per l'ipotesi che la Corte, ritenga legittima tale interpretazione, si eccepisce l'illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 recte 3 e 41 Cost., dell'art. 29 del Codice deontologico. 7.1. Deve preliminarmente precisarsi che, per esaminare la censura di violazione di legge prospettata, non è necessario affrontare e risolvere il problema della natura delle norme deontologiche in argomento, con i connessi profili del sindacato di legittimità ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 e dell'interpretazione secondo i canoni di interpretazione dei contratti art. 1362 c.c., e segg. o secondo quelli previsti per la legge art. 12 preleggi . Argomento sul quale la Corte non si è ancora espressamente pronunciata in riferimento alle norme deontologiche degli architetti rispetto alle quali si registra Cass. n. 11488 del 1996 e Cass. n. 15523 del 2006 , dopo il cambiamento di indirizzo Cass. S.U. n. 26810 del 2007 , rispetto alle norme del codice disciplinare forense, che - superando contrapposte posizioni - ne ha affermato la natura di fonti normative integrative del precetto legislativo, come tali interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità. Infatti, nella specie, la norma del codice deontologico, nella cui violazione si è sostanziato l'illecito disciplinare ascritto al professionista, riempie di contenuto la previsione generale prevista, per i professionisti in genere, dall'art. 41 bis della legge urbanistica, e, come tale, assume il rango di norma di diritto ai fini dell'interpretazione di questa Corte si v. in riferimento ai geometri Cass. n. 13078 del 2004 . 7.2. L'interpretazione della norma deontologica, in riferimento alla generale norma di legge, compiuta dal Consiglio Nazionale, è corretta. Quella sostenuta dal ricorrente - secondo cui il divieto sussisterebbe solo sino all'adozione dello strumento, quantomeno nel caso di specifica delimitazione dell'incarico pubblico che escluda l'assistenza al Comune per le osservazioni e deduzioni - sarebbe in palese violazione della ratio delle limitazioni previste, da contrapposti e corrispondenti angoli visuali, dal legislatore e dal codice deontologico. La tutela dell'interesse pubblico allo svolgimento dell'incarico di redazione di uno strumento urbanistico in modo disinteressato e imparziale, evidentemente perseguita dalle disposizioni in argomento, fonda la persistenza della limitazione temporale sino all'approvazione definitiva degli stessi strumenti urbanistici. La possibilità di assumere incarichi da privati subito dopo l'adozione, mentre lo strumento urbanistico è ancora in fieri, quantomeno, accetterebbe il rischio che le scelte effettuate per lo svolgimento dell'incarico pubblico possano non essere esclusivamente ispirate dalla ottimale cura della cosa pubblica. Inoltre, per altro verso, le limitazioni previste possono anche leggersi come poste a tutela delle regole di corretta concorrenza tra professionisti. È sufficiente ipotizzare la spendita dell'incarico pubblico, in corso di svolgimento, per favorire contatti con privati, ai fini di incarichi di progettazione nella stessa area oggetto della strumento urbanistico, subito dopo la sua adozione. Peraltro, la Corte, che pure non si è sino ad ora occupata espressamente della delimitazione temporale del divieto, ha comunque avuto modo di applicare l'art. 41 bis in argomento, affermando indirettamente la persistenza delle limitazioni sino alla definitiva approvazione Cass. S.U. n. 10555 del 1990 Cass. n. 2481 del 1991 . Il quarto motivo, quindi, va rigettato. 7.3. L'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 29 del Codice deontologico, prospettata in riferimento agli artt. 2 recte 3 e 41 Cost., è inammissibile. Le questioni di legittimità costituzionale possono avere ad oggetto le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni, secondo quanto disposto dall'art. 134 Cost., comma 1. La Corte costituzionale ha sempre interpretato restrittivamente tale parametro, escludendo fonti diverse da quelle elencate, con l'eccezione di qualche rara pronuncia concernente, a determinate condizioni, i regolamenti C. cost., n. 257 del 1991 e n. 456 del 1994 . 7.3.1. Peraltro, se si volesse ipotizzare che l'eccezione è stata sostanzialmente sollevata rispetto all'art. 41 bis, come esplicitato dalla norma deontologica, la stessa non sarebbe non manifestamente infondata. Le limitazioni, temporali e territoriali, all'assunzione di incarichi professionali da privati non possono ritenersi limitative della libertà di iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost. se si considera il bilanciamento dei valori rispetto all'esigenza di assicurare il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione art. 97 Cost. . Senza trascurare la possibilità, di cui si è detto, di leggere le norme in argomento come poste, anche, a tutela della concorrenza nell'esercizio delle libere professioni. Né secondo quanto deduce il ricorrente , potrebbe ritenersi leso l'art. 3 Cost., per la diversa interpretazione sostenuta da alcuni collegi locali, trattandosi di questione di fatto, non idonea a radicare una questione di costituzionalità. Ovvero, per la diversa norma deontologica prevista per gli ingegneri, trattandosi di comparazione tra norme deontologiche di diversi ordini professionali. 8. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla per le spese. P.Q.M. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. Nulla per le spese.