La strada comunale frana: niente indennizzo per l'immobile abusivo

In tema di espropriazione per pubblica utilità, gli immobili costruiti abusivamente non sono suscettibili di indennizzo il proprietario non può trarre alcun beneficio dalla sua attività illecita.

In tema di espropriazione per pubblica utilità, gli immobili costruiti abusivamente non sono suscettibili di indennizzo il proprietario non può trarre alcun beneficio dalla sua attività illecita. Si è così espressa la Terza sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4206 depositata lo scorso 22 febbraio. La fattispecie. Un cittadino conveniva in giudizio il proprio Comune chiedendo il risarcimento dei danni subiti a seguito della costruzione di una strada comunale che, attraversando il suo fondo, aveva causato un movimento franoso. Per contro, il Comune chiedeva il rigetto della domanda sostenendo che i danni lamentati non erano riconducibili alla costruzione della strada ma ai movimenti franosi che avevano interessato tutta la zona. A conclusione del giudizio, il Tribunale adito accertava la responsabilità dell'ente locale, quale proprietario e costruttore della strada incriminata infatti, la causa dello smottamento era da attribuire alla mancata predisposizione di un adeguato drenaggio per lo smaltimento delle acque conseguentemente l'evento dannoso era da ascrivere a negligenza ed imperizia nella realizzazione della strada, ergo al Comune, che, pertanto, veniva condannato a pagare circa 35.000 euro in favore dell'uomo, a titolo di risarcimento danni. Comune condannato ad un minirisarcimento . La Corte d'appello confermava la decisione di primo grado, ma condannava il Comune a pagare solo 7.400 euro. L'uomo, però, ricorreva per cassazione, sostenendo che l'ente territoriale, costruttore e proprietario della strada, avrebbe arrecato danni al suo fabbricato e pertanto, in virtù degli artt. 2043 e 2053 c.c. avrebbe dovuto risarcirli in quanto sussiste la responsabilità del proprietario per il caso di danni provocati a terzi quale conseguenza della rovina di edificio. La S.C., investita della questione, rigetta il ricorso dell'uomo, ma per ragioni diverse da quelle poste a fondamento della decisione di secondo grado. L'immobile non era ancora suscettibile di sanatoria al verificarsi dello smottamento. In particolare, per la Corte territoriale, il carattere abusivo dell'immobile, danneggiato a causa della frana, induce a ritenere che non sussista nella fattispecie alcun danno risarcibile in quanto lo stesso non può essere considerato ingiusto , non rappresentando tale immobile un bene la cui proprietà è tutelata dall'ordinamento giuridico. Né, per i giudici di seconde cure, sarebbe stato l'evento dannoso a comportare l'insanabilità dell'opera, poiché l'immobile, proprio per il comportamento omissivo del proprietario, risultava, sia all'epoca dell'istanza di sanatoria, sia al momento del fatto illecito, ancora privo delle opere di completamento necessarie per il suo adeguamento alle prescrizioni di legge e quindi non era suscettibile di sanatoria. No all'indennizzo per l'immobile abusivo il danno non esiste. Per gli Ermellini, invece, il danno, ancor prima che ingiusto è inesistente in quanto il bene abusivo non è suscettibile di essere scambiato sul mercato in tema di espropriazione per pubblica utilità, gli immobili costruiti abusivamente non sono suscettibili di indennizzo, a meno che alla data dell'evento ablativo non risulti già rilasciata la concessione in sanatoria, per cui non si applica nella liquidazione il criterio del valore venale complessivo dell'edificio e del suolo su cui il medesimo insiste, ma si valuta la sola area, così da evitare che l'abusività degli insediamenti possa concorrere anche indirettamente ad accrescere il valore del fondo. In tale ipotesi, vale il principio generale per cui il proprietario dell'immobile abusivo non può trarre alcun beneficio dalla sua attività illecita.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 20 dicembre 2010 - 22 febbraio 2011, n. 4206 Presidente Petti - Relatore D'Amico Svolgimento del processo A.M. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Termini Imerese il Comune di Montemaggiore Belsito chiedendo il risarcimento dei danni che asseriva di aver subito a seguito della costruzione di una strada comunale che, attraversando un suo fondo, aveva causato un movimento franoso. Il Comune di Montemaggiore Belsito chiedeva il rigetto della pretesa sostenendo che i danni lamentati non erano riconducibili alla costruzione della strada ma ai movimenti franosi che avevano interessato tutta la zona. Il Tribunale ritenne che la causa dello smottamento era da attribuire alla mancata predisposizione di un adeguato drenaggio per lo smaltimento delle acque meteoriche e che, pertanto, l'evento dannoso era da ascrivere a negligenza ed imperizia nella realizzazione della strada. Affermava altresì il Tribunale che la responsabilità del fatto illecito era da attribuire al Comune, nella qualità di proprietario della strada e di appaltatore dei lavori di costruzione della medesima. Condannava pertanto il Comune al pagamento del risarcimento di Euro 35.260,00 in favore del M Avverso tale decisione proponeva appello il Comune. Si costituiva il M. chiedendo la conferma della sentenza di primo grado. La Corte d'Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese, condannava il Comune al pagamento, in favore di A M. , della somma di Euro 7.400,00, oltre accessori. Proponeva ricorso per cassazione A.M. con due motivi. Resisteva con controricorso il Comune di Montemaggiore Belsito. Motivi della decisione Con il primo motivo parte ricorrente denuncia Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. . Sostiene il M. che la sentenza resa dalla Corte d'Appello sul secondo motivo di gravame è carente per vizio di motivazione, stante che ha disatteso le risultanze della consulenza tecnica di Ufficio. La Corte d'Appello, prosegue parte ricorrente, non ha valutato la decisività delle risultanze della C.t.u. o le ha comunque erroneamente e insufficientemente valutate. La Corte d'Appello si è limitata ad affermare che, essendo il manufatto danneggiato abusivo, non vi sarebbe stato alcun danno risarcibile in quanto tale danno non può essere considerato ingiusto. Il c.t.u., prosegue parte ricorrente, ha invece dichiarato che il fabbricato era sanabile e che soltanto l'evento dannoso ha impedito al ricorrente di produrre il certificato di idoneità statica. La Corte d'appello non ha effettuato una adeguata disamina dell'unico elemento certo e provato C.T.U. in grado di fornire elementi decisivi per il giudizio, incorrendo così nel dedotto vizio di motivazione della impugnata sentenza il fabbricato aveva infatti tutti i requisiti per godere della concessione in sanatoria concessione non più ottenibile a causa dell'evento dannoso ascrivibile al Comune di Montemaggiore Belsito e non certamente a colpa del ricorrente. Il motivo è infondato. La Corte d'appello ha adeguatamente esaminato la C.t.u. ed ha correttamente motivato le sue scelte ritenendo congrui ed esaustivi gli accertamenti tecnici compiuti dal consulente tecnico sulle cause del fenomeno franoso in esame. La Corte ha peraltro rilevato che non è stato l'evento dannoso a comportare l'insanabilità dell'opera, poiché l'immobile, proprio per il comportamento omissivo del M. , risultava, sia all'epoca dell'istanza di sanatoria, sia al momento del fatto illecito, ancora carente delle opere di completamento necessarie per adeguare la costruzione alle prescrizioni di legge ed era dunque non suscettibile di sanatoria. È dunque infondata la tesi secondo la quale è stato l'evento dannoso addebitato al Comune a non consentire la produzione del certificato di idoneità statica, in quanto le deficienze strutturali dell'immobile preesistevano all'evento. Con il secondo motivo si denuncia Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2053 cod. civ. art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. . Sostiene parte ricorrente che il Comune di Montemaggiore Belsito, costruttore e proprietario della strada ha arrecato danni al suo fabbricato e pertanto, in virtù degli artt. 2043 e 2053 c.c. è tenuto a risarcirli in quanto sussiste la responsabilità del proprietario per il caso di danni provocati a terzi quale conseguenza della rovina di edificio. La Corte d'Appello di Palermo, prosegue parte ricorrente, ha omesso l'esame della tesi giuridica prospettata dallo stesso M., ossia che il Comune costruttore della strada avrebbe dovuto rispondere dei danni, stante che nei confronti dell'attuale ricorrente si trova su un piano paritario e non certamente di imperio. Il motivo è infondato, ma per una ragione diversa da quella sostenuta dall'impugnata sentenza. Secondo quest'ultima, infatti, il carattere abusivo dei manufatti del M. , risultati danneggiati a causa della frana, induce a ritenere che non sussista nella fattispecie alcun danno risarcibile in quanto lo stesso non può essere considerato ingiusto , non rappresentando gli immobili in questione un bene la cui proprietà è tutelata dall'ordinamento giuridico. Né, prosegue la Corte d'Appello, è condivisibile l'avviso espresso dal primo giudice secondo il quale sarebbe stato l'evento dannoso a comportare l'insanabilità dell'opera, poiché l'immobile, proprio per il comportamento omissivo del M., risultava, sia all'epoca dell'istanza di sanatoria, sia al momento del fatto illecito, ancora carente delle opere di completamento necessarie per il suo adeguamento alle prescrizioni di legge ed era dunque non suscettibile di sanatoria. Le conclusioni della Corte d'Appello sono condivisibili, ma devono fondarsi su una diversa motivazione. Si deve infatti osservare che il danno, ancor prima che ingiusto è inesistente in quanto il bene abusivo non è suscettibile di essere scambiato sul mercato. In tal senso, in tema di espropriazione per pubblica utilità, si ritiene che gli immobili costruiti abusivamente non sono suscettibili di indennizzo, a meno che alla data dell'evento ablativo non risulti già rilasciata la concessione in sanatoria, per cui non si applica nella liquidazione il criterio del valore venale complessivo dell'edificio e del suolo su cui il medesimo insiste, ma si valuta la sola area, sì da evitare che l'abusività degli insediamenti possa concorrere anche indirettamente ad accrescere il valore del fondo. La stessa regola vale anche per le ipotesi di espropriazione cosiddetta larvata previste dall'art. 46 della legge n. 2359 del 1865, atteso il necessario raccordo tra l'indennizzo previsto da tale norma e l'indennità di espropriazione anche se regolata da leggi speciali e ciò pure se il danno lamentato consista proprio nella diminuzione di godimento dell'immobile abusivo, poiché è principio di carattere generale desumibile dalla normativa sia urbanistica, che espropriativa art. 16, comma 9, legge n. 865 del 1971 , quello per cui il proprietario non può trarre alcun beneficio dalla sua attività illecita Cass., 14.12.2006, n. 26260 Cass., 30.1.2006, n. 25526 Cass., 12.5.2003, n. 7269 . Deve infine rilevare che l'affermazione del C.t.u. secondo la quale ove lo stesso ricorrente avesse avuto modo di far consolidare il corpo di fabbrica C . l'intero fabbricato oggetto della odierna contestazione . si sarebbe potuto sanare , ha carattere meramente ipotetico. A ragione la Corte d'Appello non ne ha perciò tenuto conto. Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere in conclusione rigettato, con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 1.000,00 per onorario, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.