Sì al diritto d'asilo per i cristiani perseguitati nei paesi islamici

Non può negarsi il diritto di asilo ai cristiani perseguitati nei paesi islamici.

Non può negarsi il diritto di asilo ai cristiani perseguitati nei paesi islamici. È la prima Sezione della Corte Suprema a confermarlo con la sentenza n. 26056 del 23 dicembre 2010. Richiesta di asilo politico. L'uomo arrivato in Italia nel 2002 aveva presentato richiesta di asilo politico presso la Questura di Torino. La domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato era stata negata dal Questore del capoluogo piemontese. Invano il nigeriano si era rivolto al tribunale ordinario e successivamente alla Corte d'appello di Torino che aveva rigettato sulla base dell'assenza di prova che lo Stato della Nigeria impedisse deliberatamente la libertà di culto. La Cassazione ha invece accolto il ricorso del cittadino nigeriano di religione cristiana. Fuga da regimi oppressivi. Secondo i giudici di legittimità la fuga da un Paese a prevalenza islamica come la Nigeria dipende dal timore di essere arrestato e processato senza garanzie . Tale fattore rende così legittima la richiesta di asilo e protezione come sbocco obbligato per chi decide la fuga da un regime oppressivo .

Cassazione - Sezione prima - sentenza 1 dicembre - 23 dicembre 2010, n. 26056 Presidente Vitrone - Relatore Macioce Ricorrente B.R. Svolgimento del processo Il Questore di Torino comunicò in data 17.8.2004 il provvedimento con il quale al richiedente B.R., cittadino OMISSIS giunto in Italia nel 2002 ed in tal momento invocante protezione internazionale, la Commissione Centrale aveva negato la chiesta tutela. Lo straniero propose quindi ricorso al Tribunale di Torino che, con sentenza 22.5.2006, ebbe a rigettare le domande principale e subordinata sul rilievo, per la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, della assenza di prova della esposizione del richiedente nel suo Paese a rappresaglie e vessazioni in ragione della sua fede cristiana e con riguardo ad una pretesa egemonia dei gruppi praticanti la shajria islamica il Tribunale negò anche la subordinata richiesta di asilo mancando prova che lo Stato della OMISSIS impedisse deliberatamente la libertà di culto. La Corte di Appello di Torino, alla quale il B. ebbe ad interporre gravame, con sentenza del 21.11.2008 ha rigettato il ricorso totalmente condividendo la motivazione adottata dal primo giudice ad avviso della Corte di merito, infatti, richiamato il principio per il quale l'onere della prova in materia gravava - se pur attenuato - sul ricorrente avverso il diniego di protezione, ha rilevato la contraddittorietà, genericità e vaghezza delle prospettazioni offerte e l'assenza di prove documentali di sorta, anche negando fondamento alle censure sul diniego della domanda di asilo del quale ha sottolineato il ruolo strumentale e procedimentale . Per la cassazione di tale sentenza il B. ha proposto ricorso il 23.12.2009 articolato su cinque motivi afferenti la domanda di riconoscimento dello status 1-2 , quella di asilo 3 - 4 e quella di protezione sussidiaria 5 , non resistite da difese degli intimati. Motivi della decisione Ad avviso del Collegio meritano piena condivisione le censure contenute nei motivi primo e secondo, rigetto quelle di cui al quinto motivo nel mentre resta assorbita la cognizione dei motivi terzo e quarto. Fondato è dunque il primo motivo, che denunzia il malgoverno operato in ordine ai canoni di formazione del convincimento del giudice in materia di protezione internazionale. Occorre al proposito richiamare quanto recentemente da questa Corte affermato nella sentenza n. 17576 del 2010 Coglie certamente nel segno la censura rivolta alla sommaria ed inappropriata valutazione assorbente delle insufficienze e delle contraddizioni delle allegazioni probatorie del richiedente la protezione internazionale la Corte di merito, condividendo la valutazione del primo giudice, ha esaminato la domanda di protezione sotto l'ottica prevalente della credibilità soggettiva del richiedente, totalmente dimenticando di adempiere ai doveri di ampia indagine, di completa acquisizione documentale anche officiosa e di complessiva valutazione anche della situazione reale del Paese di provenienza, doveri imposti dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 emanato in attuazione della direttiva 2005/85/CE , norma alla stregua della quale ciascuna domanda deve essere esaminata alla luce di informazioni aggiornate sulla situazione del Paese di origine del richiedente asilo, informazioni che la Commissione Nazionale fornisce agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative. La Corte di Milano ha del tutto ignorato tale norma così come il chiaro, ed alla sua decisione anteriore, indirizzo delle Sezioni Unite di questa Corte in materia per il quale anche il giudice deve svolgere un ruolo attivo nella istruzione della domanda di protezione internazionale, del tutto prescindendo dal principio dispositivo proprio del giudizio civile e dalle relative preclusioni, e di contro fondandolo sulla possibilità di acquisizione officiosa di informazioni e documentazione necessarie in tal senso S.U. n. 27310 del 2008 . Di qui la sommarietà della valutazione e l'erroneità del principale canone valutativo assunto dalla Corte di Torino a base della sua decisione, quello della credibilità soggettiva del richiedente asilo e della incombenza sul medesimo dell'onere di provare la sussistenza del fumus persecutionis a suo danno nel Paese di origine, là dove la condizione di persecuzione di opinioni, abitudini, pratiche doveva essere appurata sulla base di informazioni esterne ed oggettive afferenti il Paese di origine e solo la riferibilità specifica al richiedente poteva essere fondata anche su elementi di valutazione personali quali, tra i tanti, la credibilità delle affermazioni dell'interessato . Fondata è anche la censura contenuta nel secondo motivo che lamenta la illogicità della valutazione di inattendibilità delle dichiarazioni del B. fatta con riguardo alla pretesa pluralità di versioni fornite ritenere molteplici e contraddirtene le prime affermazioni, per le quali la fuga dal paese a prevalenza islamica fosse dipesa dal timore per il deducente di fede cristiana di essere arrestato e processato, non senza garanzie, rispetto a quelle rese alla Commissione, per le quali la fuga era dettata dalla speranza di trovare migliori condizioni di vita civile e democratica, è una affermazione la cui illogicità è evidente essendo la scelta di una paese civile e democratico nulla più che lo sbocco obbligato per chi decide la fuga da un regime oppressivo. Infondato è invece il quinto motivo, posto che, se pur con la errata motivazione della sussistenza di una domanda nuova , la questione della protezione umanitaria, indubbiamente spettante alla cognizione del Giudice ordinario alla luce dei pronunziati di questa Corte S.U. 11535 del 2009 e 19393 del 2009 , poteva essere portata alla cognizione del Tribunale e quindi della Corte soltanto ove al Questore fosse stato chiesto il rilascio del relativo permesso dopo il rigetto da parte della C.N. della richiesta di status, tale essendo la strada percorribile prima del 20.4.2005 entrata in vigore delle norme sulla protezione internazionale di cui alla L. 189 del 2002, art. 32 e ben prima della adozione del D.Lgs. 251 del 2007 che ha radicalmente sostituito la protezione umanitaria riconosciuta da decreto del Questore con la protezione sussidiaria erogabile dalle Commissioni territoriali . E poichè nessun permesso umanitario è stato chiesto, e rifiutato, non era prospettabile una sua diretta concessione da parte del giudice adito. Assorbita, come in premessa rammentato, è invece la cognizione dei motivi terzo e quarto afferenti la concessione di asilo , per la quale la Corte di merito ha affermato la mera collocazione strumentale e procedimentale rispetto alla domanda di riconoscimento dello status e nella cui sorte essa è pertanto coinvolta. Si cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e si rinvia alla stessa Corte perchè proceda a nuovo esame della domanda principale alla luce del principio di diritto affermato con riguardo al primo motivo ed astenendosi dall'argomentazione illogica riportata nella disamina del secondo motivo. P.Q.M. Accoglie primo e secondo motivo del ricorso, rigetta il quinto e dichiara assorbiti il terzo ed il quarto cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per regolare le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione.