“Una parcella per due”: se entrambi gli avvocati hanno svolto tutte le attività indicate, il compenso non può essere diviso a metà

In caso di mandato alle liti conferito a due avvocati, entrambi hanno diritto ad ottenere il pagamento di tutte le prestazioni professionali indicate in parcella, salvo che il cliente dimostri lo svolgimento esclusivo dell’attività da parte di un avvocato rispetto all’altro oppure la qualità di dominus di uno di essi.

Così la Corte d’Appello de L’Aquila con la sentenza n. 371/21 del 10 marzo scorso decidendo sul ricorso avverso la pronuncia con cui il Tribunale di Avezzano ha quantificato la somma dovuta a due avvocati a titolo di prestazioni professionali per l’attività professionale svolta. La somma veniva riconosciuta nella misura della metà per ciascun avvocato, in applicazione dell’art. 8 l. prof. for Dinanzi alla Corte d’Appello i legali deducono, per quanto d’interesse, l’erroneità di tale decisione, avendo entrambi svolto tutte le attività descritte nella parcella , compresa la partecipazione alle udienze. La doglianza risulta fondata. La Corte adita sottolinea infatti come il giudice di prime cure abbia riconosciuto il diritto al 50% del compenso per ciascun difensore non avendo essi indicato separatamente indicato le prestazioni singolarmente svolte. Giustamente, gli avvocati hanno ribadito in appello di aver entrambi svolto tutte le attività risultanti dalla parcella, circostanza peraltro confermata dai verbali di udienza e dalla sottoscrizione di tutti gli atti di causa da parte di entrambi. Risulta inoltre pacifico che la parte abbia rilasciato mandato per la propria difesa ad entrambi gli avvocati. Trattandosi peraltro di un notaio, la Corte d’Appello aggiunge che essendo la notaio persona particolarmente qualificata, la stessa non poteva non rendersi conto delle implicazioni derivanti dalla designazione di due difensori, che se da un lato le garantiva una migliore difesa sia per l'autonomo apporto professionale che per la combinata sintesi di uno studio congiunto, dall'altro imponeva la retribuzione di tutte le prestazioni svolte . Gli appellati resistono alla censura richiamando un precedente arresto giurisprudenziale secondo cui in caso di procura ad litem rilasciata congiuntamente a due avvocati, il legale che non ha svolto opera professionale ed è un semplice collaboratore dello studio, non può rivendicare il diritto al compenso se il lavoro è stato svolto solo dal titolare Cass.Civ. n. 19343/17 . Nella vicenda in esame tale principio non può però trovare applicazione in quanto non è stato dimostrato lo svolgimento esclusivo dell’attività di un avvocato rispetto all’altro, né tantomeno la qualità di dominus di uno di essi. In conclusione, in applicazione della più recente giurisprudenza di legittimità Cass.Civ. 19255/18 e 29822/19 deve essere affermato il diritto di entrambi gli appellanti ad ottenere il pagamento di tutte le prestazioni professionali da ciascuno indicate in parcella . La Corte d’Appello riforma dunque la sentenza impugnata e riconosce a ciascun avvocato la somma dovuta per l’attività professionale svolta.

Corte d’Appello de L’Aquila, sez. Civile, sentenza 27 febbraio – 10 marzo 2021, n. 371 Presidente Iannaccone – Relatore De Nisco Ragioni in fatto e diritto della decisione In parziale accoglimento della domanda avanzata dal notaio e di alcuni degli , che hanno assunto il rischio derivante dalla polizza n. stipulata in data 29/1/2010 dal Consiglio Nazionale del Notariato, il Tribunale di Avezzano ha quantificato in complessivi Euro 103.236,00 la somma dovuta agli avv. e a titolo di prestazioni professionali per la difesa svolta in favore del notaio nella causa n. 1756/2009, promossa da terzi davanti al Tribunale di Avezzano in applicazione dell'art. 8 della legge professionale forense ha riconosciuto il diritto di ciascuno dei predetti avvocati a percepire la misura di 1/2 della predetta somma pari ad Euro 63.444,72, ivi comprese spese generali, IVA e CAP e detratta la ritenuta di acconto e, detratti gli acconti pacificamente ricevuti, ha condannato i predetti convenuti alla restituzione in favore del notaio della complessiva somma di Euro 5.996,28, maggiorata di interessi dalla data di notifica dell'atto di citazione. Gli avvocati e hanno proposto appello, deducendo 1 l'erroneità della decisione nella parte in cui ha fatto applicazione delle tariffe di cui al D.M. n. 55 del 2014, invece che quelle di cui al D.M. n. 127 del 2004, per non avere il primo giudice adeguatamente tenuto conto degli effetti del giudicato esterno derivante dal DI 164/2012, non opposto, ottenuto dalla appellata notaio contro gli appellati assicuratori per il rimborso della somma di Euro 41.850,00 versata a titolo di acconto per le prestazioni professionali dedotte in giudizio 2 l'erroneità della decisione nella parte in cui ha affermato il diritto di ciascuno di essi appellanti al pagamento solo della metà del compenso maturato, pur avendo entrambi svolto tutte le attività descritte nelle parcelle, ivi compresa la partecipazione alle udienze 3 l'erroneità della decisione nella parte in cui non ha posto a carico della appellata assicurazione le spese di lite, nonostante l'accertato difetto di legittimazione della compagnia assicurativa in ordine alle domande svolte. Hanno quindi concluso come in epigrafe. Il notaio e gli hanno resistito al gravame, eccependone in via preliminare l'inammissibilità per violazione degli artt. 342 e 348 bis c.p.c., e in via incidentale hanno impugnato la sentenza a nella parte in cui ha ritenuto di liquidare il compenso agli appellanti individuando il valore della causa da loro patrocinata in Euro 20.024.000,00, invece che in Euro 38.000, ovvero, in subordine, in un massimo di Euro 626.000,00 e facendo applicazione dello scaglione medio invece che di quello minimo b nella parte in cui, nel liquidare le spese del procedimento di primo grado, non ha tenuto conto delle spese non imponibili di lite. Hanno concluso quindi come in epigrafe. Preliminarmente, va disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello, atteso che l'atto di gravame contiene argomentazioni atte a confutare quanto ritenuto in prime cure rendendo possibile, attraverso l'esame complessivo dell'atto, l'individuazione dell'oggetto della domanda e degli elementi di fatto e di diritto sui quali essa si fonda. È infatti da escludere che la riforma abbia trasformato l'appello da gravame a motivi illimitati, in impugnazione a critica vincolata, atteso che i possibili motivi di censura non vengono limitati a specifici errores in procedendo o in iudicando. La parte appellante ha del resto censurato l'iter logico-giuridico seguito dal primo giudice, indicando con inequivocabile nettezza i motivi dell'evidenziato dissenso, prospettando una propria alternativa ricostruzione fattuale e proponendo essa stessa un ragionato progetto alternativo di decisione fondato su precise censure rivolte alla sentenza di primo grado. Il requisito della specificità dei motivi di impugnazione è quindi da ritenersi nella fattispecie rispettato, atteso che alle non scindibili argomentazioni della sentenza impugnata sono state contrapposte le puntuali allegazioni del reclamante, finalizzate ad inficiare il fondamento logico-giuridico delle prime, in riferimento alle quali non sembra che possa affermarsi ictu oculi l'insussistenza di una ragionevole probabilità di accoglimento . Per quanto sopra, deve dunque ritenersi che l'atto di appello in esame contiene tutte le argomentazioni volte a confutare le ragioni poste dal primo giudice a fondamento della propria decisione, con conseguente ammissibilità del gravame. Va altresì disattesa l'eccezione di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.comma come inserito dall'art. 54 D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in L. 7 agosto 2012, n. 134 , dal momento che l'atto contiene argomentazioni difensive che introducono in giudizio questioni giuridiche di obiettiva controvertibilità, in riferimento alla quali, a prescindere da ogni valutazione in ordine alla fondatezza in concreto del gravame, non sembra potersi parlare aprioristicamente di non ragionevole probabilità di accoglimento dell'appello. Nel merito il primo motivo dell'appello principale non appare meritevole di accoglimento. Il primo giudice ha ritenuto di liquidare le competenze professionali maturate dagli odierni appellanti, in relazione alla difesa da loro svolta in favore dell'avv. nella causa civile n. 1756/2009 promossa davanti allo stesso Tribunale di Avezzano, facendo applicazione delle tariffe previste dal D.M. n. 55 del 2014, ritenendo non fornita di prova scritta l'allegata esistenza di un accordo sul compenso, che prevedeva l'applicazione delle tariffe previste dal D.M. n. 127 del 2004 ed escludendo che detta prova potesse essere ricavata dal giudicato formatosi in relazione al DI ottenuto dal notaio contro l'appellata compagnia assicuratrice per il rimborso ai sensi dell'art. 1917 c.comma dell'acconto versato per la propria difesa. Gli appellanti censurano le ragioni della decisione, rilevando che anche il giudicato formatosi in relazione ad un DI copre tutte le questioni relative alla esistenza e validità degli elementi costitutivi del diritto azionato in via monitoria , ivi compresi i fatti determinativi del quantum che doveva essere rimborsato e quindi del raggiunto accordo in ordine ai criteri di liquidazione del compenso dovuto agli avvocati. L'assunto non è condivisibile. Dalla lettura dell'invocato DI docomma 6 nel fascicolo degli appellati emerge che il notaio ha posto a base della domanda monitoria la circostanza di essere stata espressamente autorizzata per iscritto dagli alla nomina di due legali, da cui derivava il conseguente obbligo dell'assicurazione di provvedere alle spese di resistenza in giudizio, e l'avvenuto versamento da parte sua ai detti legali della somma di Euro 41.850,00 al netto di iva e inclusa la ritenuta d'acconto versata all'erario , in acconto. Nulla di più. Non vi è quindi alcun richiamo alla conclusione di un accordo sul compenso e alla sua misura e lo stesso non può neppure desumersi dall'importo chiesto a titolo di rimborso, trattandosi di un mero acconto. Fondato appare invece il secondo motivo di impugnazione, con il quale gli appellanti lamentano l'erronea applicazione dell'art. 8 delle Tariffe professionali forensi. Il giudice di primo grado, ha affermato il diritto di ciascuno degli appellanti alla liquidazione in suo favore solo del 50% del compenso complessivamente maturato per la difesa svolta in favore del notaio in applicazione dell'art. 8 delle tariffe professionali forensi, rilevando che gli stessi avevano presentato parcelle del tutto sovrapponibili e quindi non avevano indicato separatamente le prestazioni da ciascuno svolte. Gli appellanti censurano detto capo della sentenza, rilevando che entrambi avevano svolto tutte le prestazioni indicate in parcella, come risultava dai verbali di udienza, che riportavano la partecipazione di tutte e due gli avvocati, e come emergeva dalla sottoscrizione di tutti gli atti di causa da parte di entrambi. In punto di fatto è pacifico, oltre che documentalmente provato, che il notaio abbia rilasciato mandato per la propria difesa ad entrambi gli avvocati. Essendo la notaio persona particolarmente qualificata, la stessa non poteva non rendersi conto delle implicazioni derivanti dalla designazione di due difensori, che se da un lato le garantiva una migliore difesa sia per l'autonomo apporto professionale che per la combinata sintesi di uno studio congiunto, dall'altro imponeva la retribuzione di tutte le prestazioni svolte. Non applicabile al caso di specie è quindi la giurisprudenza della Suprema Corte che nella materia de qua ha escluso la liquidazione delle competenze per la difesa svolta in favore dell'avvocato domiciliatario. Parimenti pacifico e in ogni caso documentato in atti è la circostanza che entrambi gli appellati abbiano sottoscritto tutti gli atti depositati in giudizio ed abbiano partecipato alle udienze svolte. Tali circostanze consentono di ascrivere ad entrambi lo svolgimento delle attività di cui è stato chiesto il pagamento. Ed infatti nulla questio quanto alla partecipazione alle udienze, mentre con riferimento agli atti depositati la sottoscrizione apposta da entrambi ne fa presumere la paternità congiunta. Si aggiunge che anche la corrispondenza intercorsa tra le parti depositata in atti è anche essa a firma congiunta di entrambi i procuratori. Gli appellati a riguardo negano il diritto al pagamento dell'intero importo maturato a titolo di prestazioni professionali in favore di entrambi gli avvocati, richiamando un precedente della Suprema Corte Cass. sent. n. 19343 del 3/8/2017 , in forza del quale in caso di procura ad litem rilasciata congiuntamente a due avvocati, il legale che non ha svolto opera professionale ed è un semplice collaboratore dello studio, non può rivendicare il diritto al compenso se il lavoro è stato svolto solo dal titolare . Il principio richiamato non è in contestazione, ma non è applicabile al caso di specie atteso che nella fattispecie all'esame della Corte di Cassazione le emergenze processuali avevano consentito di superare la presunzione di coincidenza o corrispondenza del contratto di patrocinio con la procura alle liti e dimostrato il conferimento dell'incarico professionale ad uno solo dei due legali indicati in procura, del quale il secondo era un mero collaboratore. Nella specie invece, a fronte delle emergenze documentali sopra richiamate, nulla è stato allegato e provato dagli appellati, che ne erano onerati, circa lo svolgimento esclusivo o in qualità di dominus di un avvocato rispetto all'altro. Pertanto, in applicazione del principio di diritto affermato anche da ultimo dalla Suprema Corte cfr. Cass. sent. 19255 del 19/7/2018 ord. n. 29822 del 18/11/2019 deve essere affermato il diritto di entrambi gli appellanti ad ottenere il pagamento di tutte le prestazioni professionali da ciascuno indicate in parcella. In parte qua la sentenza di primo grado deve pertanto essere riformata. Per ragioni sistematiche deve a questo punto essere esaminato il primo motivo di appello incidentale svolto dal notaio e dalla sua compagnia di assicurazione, con il quale si censurano i criteri utilizzati dal primo giudice per la liquidazione delle prestazioni dedotte in giudizio. Innanzitutto gli appellanti incidentali affermano che il primo giudice ha errato nell'individuare il valore della causa da in Euro 20.024.000,00, invece che in Euro 38.000, ovvero, in subordine, in un massimo di Euro 626.000,00, non avendo tenuto conto della relazione allegata nota in data 23/72010 a firma dei medesimi procuratori. Il richiamo a detto documento è inconferente. E' pur vero che lo stesso si conclude ritenendo prevedibile una vittoria assoluta, o nella ipotesi peggiore, molto improbabile, al massimo una condanna al pagamento di una somma assolutamente irrisoria , ma è anche vero che nelle quattro pagine precedenti è analiticamente esposta la linea difensiva sia pregiudiziale che di merito in ordine a tutte le domande risarcitorie avanzate nei confronti del notaio , che nulla toglie in ordine alla entità delle domande medesime. Del pari irrilevante è il rilievo che la domanda risarcitoria avanzata dalla sub c da sola avente un valore di oltre 19 milioni di euro non poteva essere ricondotta al notaio . Atteso che dalla medesima relazione sopra richiamata emerge che nel merito detto accertamento non poteva essere svincolato dalle acquisende prove, il cui onere era a carico della dr. , e il cui esito era tutt'altro che scontato attesa la chiosa dei difensori per cui si tratta, naturalmente, di una verità giudiziaria, che abbiamo cercato di rendere plausibile, tentando di provare l'elemento psicologico della conoscenza mediante presunzioni . Quanto poi alla circostanza che il notaio non era comunque tenuta a risarcire i danni derivanti dalla perdita di occasioni favorevoli, perché, ove avesse rilevato il difetto di poteri rappresentativi del sig. Sciarretta contestazione mossa al notaio dalla , la costituzione della società non sarebbe andata comunque a buon fine, questa Corte osserva che la violazione degli obblighi professionali aveva comunque precluso la conclusione dell'atto ben potendo le parti, adeguatamente avvisate dell'impedimento giuridico, superare lo stesso anche mediante diverse determinazioni. Sotto il profilo in esame il motivo si appalesa quindi infondato. In secondo luogo gli appellanti incidentali contestano l'applicazione dello scaglione medio invece che di quello minimo, affermando che il giudice di primo grado non avrebbe tenuto in considerazione la circostanza che le domande avanzate nei confronti del notaio erano state irritualmente introdotte da un terzo intervenuto nel giudizio e che per tale motivo erano state rigettate. A riguardo, come rilevato dal primo giudice, non emerge una sproporzione tra il criterio formale del disputatum rispetto a quello del decisum in quanto, la dr. è stata integralmente vincitrice in relazione alla domanda risarcitoria avanzata nei suoi confronti, rispetto alla quale i suoi procuratori avevano articolato una complessa strategia di difesa con la proposizione di più eccezioni processuali e di merito. Il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato all'opera professionale effettivamente prestata, non consente pertanto di escludere lo studio e lo svolgimento di difese più complesse di quelle poi accolte dal Tribunale per il rigetto della domanda. Anche a riguardo l'appello è infondato con conseguente conferma della sentenza impugnata in punto di liquidazione delle competenze maturate dagli avvocati e in misura pari ad Euro 103.236,00, oltre spese forfettarie IVA e CPA, e quindi a complessivi Euro 150.633,72 al lordo della ritenuta di acconto. Tenuto conto degli acconti già versati dal notaio , pari ad complessivamente ad Euro 69.441,00 17.685,00 +25.878,00 +25.878,00 , la stessa, quindi, deve essere condannata a pagare in favore di ciascuno dei predetti avvocati la complessiva somma di Euro 81.192,72. La sentenza impugnata deve pertanto essere integralmente riformata. Le conclusioni raggiunte determinano l'assorbimento del terzo motivo dell'appello principale e del secondo motivo dell'appello incidentale, dovendo le spese di lite del primo grado di giudizio essere regolate facendo applicazione del principio della soccombenza. Le stesse devono essere regolate facendo riferimento ai valori minimi indicati nelle tabelle allegate al D.M. n. 55 del 2014 per le cause del relativo scaglione di valore, tenuto conto della non complessità delle questioni esaminate. Anche le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in applicazione dei medesimi principi di cui sopra. Stante la soccombenza integrale dell'appellante incidentale ricorrono i presupposti per l'applicazione dell'art. 1, comma 17 L. n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte d'Appello di L'Aquila, definitivamente pronunciando sull'appello proposto avverso la sentenza n. 621 del 5/6/2017 pronunciata dal Tribunale di Avezzano, così decide nel contraddittorio delle parti in accoglimento dell'appello e in totale modifica della sentenza impugnata condanna al pagamento in favore dell'avv. e dell'avv. della complessiva somma di Euro 81.192,72 ciascuno condanna , in solido con gli , al rimborso in favore dei predetti avvocati delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 13.500,00, oltre spese forfettarie nella misura del 15% IVA e CPA condanna gli appellati in solido al rimborso in favore degli appellanti delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate nella misura di Euro 10.777,00, di cui Euro 777,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% IVA e CPA dichiara gli appellanti incidentali tenuti pagamento di una somma pari a quella già versata a titolo di contributo unificato ex art. 1, comma 17, L. n. 228 del 2012.