Il difensore d’ufficio ha diritto al rimborso delle spese del procedimento monitorio se l’imputato è irreperibile

In tema di compensi professionali, il difensore è tenuto ad esperire le procedure per il recupero dell’onorario e delle spese, non potendo queste essere poste a carico dell’erario solo per l’assunzione officiosa dell’incarico professionale tuttavia, se tali procedure non sono possibili perché il debitore è irreperibile, il difensore non può esperire alcuna attività in tal senso, e le spese vanno poste a carico dell’erario, che ha diritto di ripetere le somme anticipate da chi si è reso successivamente irreperibile.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16585/21, depositata il 10 giugno. Il Tribunale di Milano liquidava a favore da un avvocato i compensi maturati in qualità di difensore d’ufficio dell’imputato nell’ambito di un procedimento penale, escludendo però il rimborso delle spese sostenute per il procedimento monitorio finalizzato al recupero del credito. L’avvocato ricorre in Cassazione, lamentando il rigetto della richiesta di liquidazione delle spese sostenute per la procedura monitoria intrapresa nei confronti del proprio assistito, sul presupposto che non fosse stata esperita anche la procedura esecutiva . Il ricorso è fondato. Il Tribunale infatti avrebbe disatteso l’opposizione del ricorrente assumendo che il mancato esperimento della procedura esecutiva, una volta conseguito il decreto ingiuntivo nei confronti del proprio assistito, avrebbe precluso all’avvocato di poter chiedere il rimborso delle spese sostenute per la procedura monitoria, senza tenere in considerazione la condizione di irreperibilità dell’imputato. La Corte di Cassazione infatti afferma che, nel caso in cui l’autorità giudiziaria abbia dichiarato l’irreperibilità dell’indagato, dell’imputato o del condannato, il relativo difensore d’ufficio che abbia richiesto la liquidazione dei compensi per l’attività professionale svolta non abbia l’onere di provare la persistenza di tale irreperibilità . Il difensore, pertanto, non è tenuto ad esperire le procedure per il recupero dell’onorario e delle spese, se il debitore è irreperibile, e le spese vanno poste a carico dell’erario, che ha diritto di ripetere le somme anticipate da chi si è reso successivamente reperibile la condizione di irreperibilità, pertanto, deve riguardare una situazione sostanziale di fatto che, rendendo irrintracciabile il debitore, impedisca di effettuare qualsiasi procedura per il recupero del credito professionale. Per questi motivi, la Corte cassa il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Milano.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, 14 aprile – 10 giugno 2021, n. 16585 Presidente Lombardo – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione L’avvocato G.C. proponeva opposizione avverso il decreto dell’11/05/2017 con il quale il Tribunale di Milano aveva liquidato i compensi maturati in qualità di difensore d’ufficio dell’imputato T.B.F. , nell’ambito di un procedimento penale pendente dinanzi al medesimo ufficio giudiziario, escludendo però il rimborso delle spese sostenute per il procedimento monitorio finalizzato al recupero del credito. Il Tribunale adito con ordinanza del 22/10/2018 rigettava l’opposizione rilevando che il difensore d’ufficio di un imputato in un processo penale ha diritto anche al rimborso delle spese per le procedure di recupero del credito non andate a buon fine, posto che l’infruttuosa attività recuperatoria costituisce un presupposto per la liquidazione in surrogazione a carico dello Stato. Tuttavia, affinché possa ritenersi che l’attività recuperatoria sia stata vanamente eseguita è necessario che sia stata anche instaurata una procedura esecutiva, che nella specie mancava, il che precludeva il rimborso delle spese della procedura monitoria. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso G.C. sulla base di un motivo, cui il Ministero della Giustizia resiste con controricorso. Il motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, denuncia erronea applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 116, laddove è stata rigettata la richiesta di liquidazione anche delle spese sostenute dalla ricorrente per la procedura monitoria esperita nei confronti del proprio assistito, sul presupposto che non fosse stata esperita anche la procedura esecutiva. Si assume che in realtà aveva documentato, alla luce della certificazione rilasciata dal DAP, e dalla quale risultavano gli indirizzi forniti dal proprio assistito all’atto della scarcerazione, avvenuta in data successiva all’emissione del decreto ingiuntivo, nonché della certificazione anagrafica, che, come confermato anche dalle varie notifiche del decreto ingiuntivo presso i suddetti indirizzi, ma tutte andate a vuoto, il T. era divenuto irreperibile. Ne deriva che alcuna utile attività esecutiva potesse essere in concreto esperita. Una volta, quindi, ritenuto che la ricorrente avesse fatto tutto quanto era nelle proprie possibilità per recuperare il credito maturato nei confronti dell’assistito, le relative spese sino a quel momento sostenute dovevano essere rimborsate, come ormai ribadito dalla cosante giurisprudenza. Una volta disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per pretesa carenza del requisito di autosufficienza, riscontrandosi il rispetto nell’atto de quo dei requisiti di forma e di sostanza prescritti dalla legge, rileva il Collegio che il ricorso è fondato. Il Tribunale ha disatteso l’opposizione della ricorrente assumendo simpliciter che il mancato esperimento della procedura esecutiva, una volta conseguito il decreto ingiuntivo nei confronti del proprio assistito, precludeva all’avv. G. di poter richiedere il rimborso delle spese sostenute per la procedura monitoria. Deduce in senso contrario la ricorrente che, come attestato dalla documentazione prodotta già in sede di presentazione dell’istanza di liquidazione, il T. , una volta scarcerato, non era più risultato reperibile presso gli indirizzi sia risultanti dalla certificazione anagrafica, sia dalla documentazione rilasciata dal DAP, recettiva delle dichiarazioni rese dalla parte all’atto della scarcerazione, atteso l’esito negativo dei vari tentativi di notifica del decreto ingiuntivo effettuati agli indirizzi suddetti. Reputa la Corte che la conclusione alla quale è pervenuto il giudice di merito sia frutto di una falsa applicazione delle norme richiamate nella rubrica del motivo. Ed, infatti, se è ormai costante l’affermazione per cui Cass. n. 30484/2017 il difensore d’ufficio che abbia inutilmente esperito la procedura esecutiva, volta alla riscossione dell’onorario, ha diritto al rimborso dei compensi ad essa relativi in sede di liquidazione degli stessi da parte del giudice, ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 116 conf. Cass. n. 24104/2011 Cass. n. 11720/2019 Cass. n. 22579/2019 Cass. n. 5609/2019 , il ricorso pone la diversa questione relativa agli oneri imposti al difensore nel caso di irreperibilità dell’assistito. Orbene, se, nel caso in cui l’autorità giudiziaria abbia dichiarato l’irreperibilità dell’indagato, dell’imputato o del condannato, si è sostenuto che il relativo difensore d’ufficio, che abbia richiesto la liquidazione dei compensi per l’attività professionale svolta, D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 117, non abbia l’onere di provare la persistenza di tale irreperibilità Cass. n. 20967/2017 , più controversa è stata la soluzione per la cd. irreperibilità di fatto, quale si prospetta nel caso in esame. Ritiene il Collegio di dover dare continuità a quanto affermato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte Cass. n. 13132/2015 . In tal senso si è ribadito che la nozione di irreperibile di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 117, alla luce dell’interpretazione della norma quale emerge dalla più recente giurisprudenza Cass. 20/7/2010 n. 17021 , atteso che la norma stessa non specifica la significazione del termine irreperibile e non richiama espressamente gli artt. 159 e 160 c.p.c., sicché, non chiarisce se irreperibile è solo il soggetto che tale sia stato dichiarato nel corso del procedimento penale con apposito decreto del giudice, ovvero anche la persona che, pur rintracciata nel procedimento penale, venga successivamente a trovarsi in una situazione di sostanziale irrintracciabilità, deve farsi coincidere con quest’ultima. Si è, infatti, ritenuto di dover valorizzare la ratio sottesa al combinato disposto del citato D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 116 e 117, per la quale il difensore è tenuto ad esperire le procedure per il recupero dell’onorario e delle spese, non potendo queste essere poste a carico dell’erario solo per l’assunzione officiosa dell’incarico professionale, se tali procedure non sono possibili perché se il debitore non è rintracciabile è, appunto, irreperibile, non può esigersi che il difensore esperisca alcuna attività in tal senso, questa essendo del tutto vanificata da tale condizione del debitore medesimo, e le spese, in tal caso, vanno poste a carico dell’erario, che ha diritto di ripetere le somme anticipate da chi si è reso successivamente reperibile . Ne discende che la condizione di irreperibilità afferisce ad una situazione sostanziale di fatto che, rendendo irrintracciabile il debitore, impedisca di effettuare procedura alcuna per il recupero del credito professionale. Depone per tale conclusione anche la considerazione che la irreperibilità deve sussistere al momento in cui il creditore è in grado di azionare la sua pretesa e se a quel momento il procedimento penale si è già concluso e non si faccia questione alcuna in sede di esecuzione, non è dato al giudice emettere più alcun decreto ex art. 160 c.p.p. la diversa tesi comporterebbe la conclusione - non conforme ai principi costituzionali - che se l’indagato, imputato o condannato non sia stato formalmente dichiarato irreperibile nel procedimento penale e tale si sia reso dopo la conclusione dello stesso, nessun compenso spetterebbe al difensore pur non essendo questi in grado di esperire alcuna procedura recuperatoria nei confronti di quel soggetto. Non si tratta, quindi, di apprezzare la diversità tra gli istituti di cui all’art. 159 c.p.p. e all’art. 161 c.p.p., comma 4, ma di accertare se il debitore fosse sostanzialmente irrintracciabile, anche in mancanza di un formale decreto ex art. 160 c.p.p., sicché non è esigibile da parte del difensore istante alcuna previa procedura intesa al recupero del credito professionale, tenuto conto anche della sostanziale equiparazione quoad effectum tra la irreperibilità formalmente dichiarata ex art. 159 c.p.p., e quella presunta ex lege ai sensi dell’art. 161 c.p.p., comma 4 conf. Cass. n. 8111/2014 . Il giudice dell’opposizione non poteva pervenire al rigetto della medesima limitandosi apoditticamente ad affermare che solo l’inutile esperimento della procedura esecutiva avrebbe permesso al difensore di rivolgersi allo Stato per surrogazione, ma avrebbe dovuto invece verificare, alla luce della documentazione versata in atti dall’opponente, se tenuto conto dell’attività svolta dalla medesima, al fine di assicurare il recupero del proprio credito nella specie con i vari tentativi di notifica del decreto ingiuntivo , fosse possibile affermare la condizione di irreperibile di fatto del proprio assistito, palesandosi in tal modo l’impedimento alla promozione dell’attività esecutiva. Il ricorso deve essere accolto ed il provvedimento impugnato deve essere cassato con rinvio al Tribunale di Milano, in composizione monocratica ed in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Milano in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.