Dai grafici per capire che le riforme pensionistiche servono

Nell’ambito del sistema pensionistico italiano rimane confermata l’estensione, a partire dal 2012, del regime contributivo a tutti i lavoratori, compresi quindi quelli che, sulla base della precedente legislazione, avrebbero percepito una pensione calcolata secondo il regime retributivo ossia coloro che al 31/12/1995 avevano più di 18 anni di contributi .

Inoltre, in linea con gli assetti normativo-istituzionali presenti nella maggior parte dei Paesi europei, il sistema pensionistico italiano mantiene due canali di accesso al pensionamento a il pensionamento di vecchiaia a cui si accede con almeno 20 anni di contributi versati e un requisito di età predefinito dalla legge che, per il biennio 2019-2020 e 2021-2022 è pari a 67 anni b il pensionamento anticipato consentito, indipendentemente dall’età e dalla data di prima assunzione con un periodo di contribuzione elevato, pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e a 41 anni e 10 mesi per le donne adeguato, dal 2027, agli incrementi della speranza di vita, cui si aggiunge, limitatamente ai lavoratori assunti dopo il 1 gennaio 1996 e a condizione di aver maturato un importo del trattamento pensionistico sufficientemente elevato, la possibilità di accedere al pensionamento anticipato fino a tre anni prima del requisito di età per il pensionamento di vecchiaia, avendo maturato come minimo almeno 20 anni di contributi. A partire dal 2013, tutti i requisiti di età inclusi quelli per l’accesso all’assegno sociale e quello contributivo per l’accesso al pensionamento anticipato indipendentemente dall’età anagrafica sono indicizzati alle variazioni della speranza di vita misurata dall’Istat. Al di fuori di quanto stabilito dal Decreto Legge n. 4/2019 , che ha previsto per il canale di pensionamento anticipato indipendente dall’età la disapplicazione per il periodo 2019-2026 degli adeguamenti per la speranza di vita, per tutti gli altri requisiti di accesso al pensionamento, tali adeguamenti avvengono ogni due anni, in base ad una procedura interamente di natura amministrativa che garantisce la certezza delle date prefissate per le future revisioni. Con medesima periodicità ed analogo procedimento è previsto, inoltre, l’adeguamento dei coefficienti di trasformazione in funzione delle probabilità di sopravvivenza. La previsione della spesa pensionistica in rapporto al PIL basata sulle ipotesi dello scenario EPC-WGA è riportata nella figura sottostante. Dopo la crescita del triennio 2008-2010, imputabile esclusivamente alla fase acuta della recessione, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL risente negativamente dell’ulteriore fase di contrazione degli anni successivi. A partire dal 2015, in presenza di un andamento di ciclo economico più favorevole e della graduale prosecuzione del processo di innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL si riduce per circa un triennio attestandosi al 15,2 per cento nel 2018. Dopo il 2018, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL inizia una lunga fase di crescita che si protrae per circa un ventennio. Negli anni dal 2019 al 2022, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL fa inizialmente registrare un significativo rimbalzo, raggiungendo un livello pari al 17,1 per cento nel 2020 a cui segue un ripiegamento nei due anni seguenti, alla fine dei quali si attesta su un livello pari al 16,1 per cento, quasi un punto percentuale di PIL al di sopra del dato del 2018. In questi anni, l’aumento dell’incidenza della spesa in rapporto al prodotto è spiegato dalla forte contrazione dei livelli di PIL a seguito degli effetti dell’emergenza sanitaria. A questi effetti, però, si aggiunge un maggior ricorso al pensionamento anticipato, risultante dalle misure previste dal Decreto Legge n. 4/2019 che, nel periodo dal 2019 al 2021 favoriscono una più rapida uscita dal mercato del lavoro e il conseguente aumento del numero di pensioni in rapporto al numero di occupati. Successivamente, anche per un parziale recupero dei livelli occupazionali, si assiste ad un triennio di sostanziale stabilità, al termine del quale, però, la spesa in rapporto al PIL ricomincia a crescere per un decennio passando dal livello del 16,1 per cento del 2026 al picco del 17,4 per cento del 2036. Dopo tale punto di massimo, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL fa registrare una debole decrescita almeno fino al 2045, anno in cui raggiunge il livello del 17,0 per cento. In questi anni, la crescita del rapporto tra spesa pensionistica e PIL è ascrivibile all’aumento del numero di pensioni rispetto al numero degli occupati dovuta all’ingresso in quiescenza delle generazioni del baby boom che viene solo in parte compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento e dall’effetto di contenimento degli importi pensionistici esercitato dalla graduale applicazione del sistema di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa. Dopo il 2045, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL inizia velocemente a decrescere portandosi al 15,9 per cento nel 2050 e al 13,9 per cento nel 2060 fino a convergere al 13,4 per cento nel 2070. La rapida riduzione del rapporto fra spesa pensionistica e PIL nella fase finale del periodo di previsione è determinata dall’applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati. Tale andamento si spiega sia con la progressiva uscita delle generazioni del baby boom sia con l’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento in funzione della speranza di vita. La figura sottostante presenta la previsione della spesa pensionistica in rapporto al PIL a legislazione vigente ponendola a confronto con quella che si sarebbe avuta sulla base dei regimi antecedenti i principali interventi di riforma. Rispetto alla legislazione immediatamente precedente, gli interventi successivi e, in particolare, le misure contenute nel Decreto Legge n. 4/2019 convertito con Legge n. 26/2019 incluse nello scenario a normativa vigente producono, nel periodo 2019-2035, un incremento di incidenza della spesa pensionistica in rapporto al PIL pari, in media, a circa 0,2 punti annui, con profilo progressivamente decrescente a partire dai primi anni di previsione, ove è più concentrata la maggiore incidenza della spesa in rapporto al PIL. Cumulativamente, la minore incidenza della spesa in rapporto al PIL derivante dal complessivo processo di riforma avviato nel 2004 ammonta a circa 60 punti percentuali di PIL al 2060. MEF, documento di economia e finanza 2021 . Non senza ricordare che le ipotesi demografiche Eurostat, con base 2019 prevedono per l’Italia 1 un flusso netto di immigrati di circa 213 mila unità medie annue, con un profilo fortemente crescente fino al 2025 e linearmente decrescente successivamente 2 un livello della speranza di vita al 2070 pari a 87 anni per gli uomini e a 90,9 anni per le donne 3 un tasso di fecondità totale al 2070 pari a 1,52. Tuttavia, occorre rilevare come l’Istat, recependo le rilevazioni del Censimento permanente, abbia rivisto significativamente al ribasso il numero di residenti in Italia per il 2019 e per il 2020, con un impatto per lo più concentrato nella fascia di età 15-74. Inoltre, sulla base dei dati del Bilancio demografico mensile, l’Istat ha recentemente aggiornato il dato della popolazione complessiva al 31 dicembre 2020. Rispetto al livello della popolazione del 2021 stimato da Eurostat nelle previsioni demografiche con base 2019, i nuovi dati mostrano una riduzione di circa 944 mila soggetti. In questo contesto, gli effetti negativi prodotti dall’epidemia Covid-19 hanno solo in parte contribuito ad amplificare la tendenza ormai consolidata al declino di popolazione che è comunque in atto dal 2015. Tenendo conto di queste recenti rilevazioni, la previsione della spesa pensionistica in rapporto al PIL è stata effettuata a partire da una ricostruzione per età della popolazione residente al 1 Gennaio 2021. Ricordo che per i lavoratori assunti dopo il 01.01.1996, per i quali la pensione è interamente calcolata con il sistema contributivo, l’accesso al pensionamento di vecchiaia è soggetto anche al conseguimento di un importo minimo di pensione pari a 1,5 volte l’assegno sociale del 2012, rivalutato in base all’andamento del PIL e che, per tali lavoratori, l’accesso alla pensione di vecchiaia anticipata è soggetto anche al conseguimento di un importo minimo di pensione pari a 2,8 volte l’assegno sociale rivalutato in base all’andamento del PIL pari, per il 2021, a € 460,28 per 13 mensilità.