La responsabilità professionale dell’avvocato sussiste solo se l’errore del legale è stato determinante nell’esito negativo del giudizio

Non è sufficiente provare il non corretto adempimento degli oneri professionali del legale per ottenere un risarcimento in quanto è necessario dimostrare che, alla stregua dei criteri probabilistici, se il legale non avesse commesso errori il giudizio avrebbe avuto un esito diverso per la parte.

La notifica dell’atto di citazione da parte della figlia di un ex cliente evocava in giudizio un avvocato. Secondo la ricostruzione dell’attrice, il padre aveva subito un danno a causa della superficialità con la quale l’avvocato aveva anni addietro seguito una causa immobiliare che aveva visto impegnato il padre, nel frattempo venuto a mancare. La prospettazione era la seguente il padre si era visto negare l’acquisto di due appartamenti di prestigio dal Tribunale e dalla Corte d’Appello. Entrambi i Giudici avevano infatti rilevato come il de cuius avesse acquistato un solo appartamento, mentre per l’altro non vi fosse prova dell’intervenuto acquisto. Il documento prodotto, infatti, non avrebbe avuto la firma della parte e sarebbe stato una mera proposta di acquisto mai sfociata in un contratto definitivo. Alla luce di tale soccombenza l’attrice aveva agito avverso il legale, affermando come la mancata attività giudiziale dello stesso avesse comportato un danno economico al padre e, conseguentemente, anche alla stessa. Secondo l’attrice, infatti, sarebbe bastato che l’avvocato avesse richiesto un giudizio di verificazione sulla scrittura contestata per verificare la bontà della firma e sovvertire l’esito del giudizio. L’avvocato, invece, affermava l’attrice, non solo non aveva domandato il giudizio di verificazione della scrittura privata prodotta, ma aveva anche disertato l’udienza di precisazione delle conclusioni e in generale tenuto una condotta processuale poco incisiva e dannosa per la parte. Sulla base di tale ricostruzione aveva agito in giudizio la parte che si assumeva danneggiata, chiedendo un ristoro per il danno patito. Si era difeso il legale convenuto negando gli addebiti ed evocando in giudizio, in eventuale manleva in caso di condanna, le proprie compagnie assicurative. Tanto il giudizio di prime cure, quanto quello d’appello, si erano conclusi con il rigetto della domanda e la condanna della parte attrice a risarcire le spese legali del convenuto e delle terze chiamate. A seguito della duplice soccombenza nei gradi di merito l’attrice agiva in sede di Cassazione. Per ottenere giustizia ella affidava le proprie doglianze ad un ricorso per Cassazione con il quale contestava la mancata condanna del legale, alla luce dei presunti errori commessi, nonché la condanna da parte dei Giudici di merito al rimborso delle spese di lite delle assicurazioni. Secondo l’attrice, infatti, le chiamate in causa erano state azionate dal convenuto e su questi sarebbe dovuto incombere l’ onere di pagare le relative spese legali. Il giudizio della Terza Sezione della Corte di Cassazione veniva affidato alla sentenza n. 3566/21, depositata l’11 febbraio. Detta decisione rigettava in toto la prospettazione della parte ricorrente e confermava così la decisione d’appello impugnata. Quanto alla responsabilità dell’avvocato, la Cassazione affermava che – al fine di ottenere una condanna del legale – la parte che si affermava danneggiata aveva l’onere di provare non solo il fatto e il danno subito, ma anche il nesso di causalità che li legava. In buona sostanza, quindi, alla ricorrente non sarebbe bastato invocare la presunta omissione operata dall’avvocato nella fattispecie non avere promosso il giudizio di verificazione ed avere omesso di partecipare all’udienza di precisazione delle conclusioni , ma avrebbe dovuto provare che proprio dalla mancata attività del legale sarebbe dipesa la soccombenza processuale del padre. In altre parole non basta provare il non corretto adempimento degli oneri professionali del legale per ottenere un risarcimento in quanto è necessario dimostrare che, alla stregua dei criteri probabilistici, se il legale non avesse commesso errori il giudizio avrebbe avuto un esito diverso per la parte. Nel caso in questione, sottolineava la Cassazione, la Corte d’Appello aveva riconosciuto che il documento in questione, lungi dall’essere un contratto di compravendita, era in realtà solamente una proposta di acquisto e – quindi – la mancata attivazione di un giudizio di verificazione delle firme non aveva avuto alcun effetto sull’esito finale del giudizio. Quanto al secondo aspetto introdotto dal ricorso, ossia riguardo alle spese legali delle assicurazioni evocate nel giudizio di merito, la Cassazione confermava che – essendo stata l’attrice la parte soccombente – le spese legali delle altre parti avrebbe dovuto essere poste a suo carico . Secondo gli Ermellini, infatti, una volta rigettata la domanda principale il relativo onere va posto a carico della parte soccombente che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia [] anche se l’attore non ha formulato alcuna domanda nei confronti del terzo sul punto si veda anche Corte di Cassazione, sentenza n. 2492/2016 n. 23552/2011 e n. 6514/2004 . All’esito del processo, quindi, la Cassazione confermava l’esito deciso dalla Corte d’Appello e condannava la ricorrente al versamento del contributo unificato nella misura maggiorata.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 21 ottobre 2020 – 11 febbraio, n. 3566 Presidente Armano – Relatore Sestini Rilevato che F.M. , in qualità di erede del padre T. , agì nei confronti dell’avvocato R.G. per sentirne dichiarare la responsabilità professionale per la negligente assistenza prestata al genitore in un giudizio svoltosi avanti alla Corte di Appello di Genova, conclusosi con sentenza n. 423/1993 che aveva rigettato la richiesta del F. di vedersi riconoscere la proprietà di due appartamenti che assumeva essergli stati ceduti da tale P.A. rilevò la F. che, nell’anno XXXX, il padre aveva agito nei confronti del curatore dell’eredità beneficiata e rilasciata di P.A. per sentir accertare l’avvenuto acquisto in proprio favore della proprietà di due appartamenti del Condominio OMISSIS , contraddistinti dai civici OMISSIS che il Tribunale di Savona aveva dichiarato autentica la sottoscrizione di P.A. in calce alla scrittura privata del 6.10.1965 con cui era stato trasferito al F. l’immobile OMISSIS , mentre aveva rigettato la domanda concernente l’altro immobile, ritenendo che per lo stesso fosse intervenuta soltanto una proposta di vendita che la sentenza era stata impugnata sia da F.T. che, con distinto gravame, da S.D. , M.L. e P.O. che quest’ultima, quale erede di P.A. , aveva disconosciuto la documentazione apparentemente riferibile al de cuius, mentre l’avv. R. , difensore del F. , non aveva proposto istanza di verificazione e non aveva coltivato il giudizio, non comparendo neppure all’udienza di precisazione delle conclusioni che la Corte di Appello genovese aveva riformato la sentenza di primo grado, dichiarando non autentiche le sottoscrizioni di P.A. relative alle scritture private del 6.10.1965 e del 17.3.1966, disconosciute e non sottoposte a verificazione, e rigettando pertanto le domande del F. che senza esito era rimasto il successivo giudizio di cassazione, come pure il tentativo di resistere all’ordine di rilascio degli immobili disposto dal Tribunale di Savona e dalla Corte di Appello di Genova tanto premesso, evidenziò che, se l’avv. R. avesse adempiuto diligentemente al proprio mandato e avesse richiesto la verificazione delle scritture disconosciute, con molta probabilità sarebbe stata confermata la sentenza di primo grado e al F. sarebbe stata riconosciuta anche la proprietà del secondo appartamento chiese pertanto che venisse accertata la responsabilità professionale dell’avv. R. , con condanna del medesimo al risarcimento dei danni, quantificati in complessivi 1.000.000,00 di Euro di cui 800.000,00 Euro corrispondenti al valore degli immobili ed il residuo a titolo di danno morale il convenuto resistette e chiamò in causa, per l’eventuale manleva, le proprie assicuratrici della responsabilità civile, Reale Mutua di Assicurazioni s.p.a. e Zurich Insurance Company s.a., le quali si costituirono in giudizio chiedendo la reiezione della domanda attorea e di quella di manleva o, in subordine, l’accoglimento di quest’ultima nei limiti delle rispettive polizze il Tribunale rigettò la domanda della F. , condannandola al pagamento delle spese di lite in favore del R. e delle terze chiamate in causa pronunciando sul gravame della F. , la Corte di Appello di Genova ha confermato la sentenza impugnata, salvo ridurre le spese liquidate in favore delle compagnie assicuratrici per il giudizio di primo grado la Corte ha osservato, fra l’altro, che il diritto al risarcimento del danno non insorge automaticamente quale conseguenza di qualsivoglia inadempimento del professionista, dovendosi piuttosto valutare, sulla base di un giudizio probabilistico, se, in assenza dell’errore commesso dall’avvocato, l’esito negativo per il cliente si sarebbe ugualmente prodotto che è indubbio che l’avv. R. ha tenuto una condotta omissiva colpevole, non avendo proposto l’istanza di verificazione delle scritture disconosciute, per la prima volta nel giudizio di appello, da P.O. quale erede di P.A. per affermare la responsabilità del difensore, odierno appellato, occorre, però, accertare il danno in capo alla cliente, ossia verificare, sulla base di un accertamento prognostico, il probabile non certo esito favorevole dell’azione giudiziale qualora il difensore avesse tenuto la condotta omessa l’odierna appellante, invece, già in primo grado non soltanto non ha offerto alcuna prova atta a dimostrare che le sottoscrizioni di cui alle scritture in questione fossero da attribuirsi a P.A. non ha neanche prodotto gli originali delle scritture private , ma nemmeno ha asserito, neanche nel presente grado, la necessità di siffatta prova peraltro, rispetto all’appartamento contraddistinto come OMISSIS , l’attrice, quand’anche fosse riuscita a dimostrare l’autenticità della sottoscrizione apposta sulla scrittura del 17.3.1967, avrebbe dovuto superare l’avvenuto rigetto nel merito della domanda proposta da F.T. , basato sul rilievo che tale scrittura non conteneva un contratto, ma costituiva una semplice lettera di proposta ha proposto ricorso per cassazione F.M. , affidandosi a tre motivi hanno resistito, con distinti controricorsi, R.G. e la Zurich Insurance Public Limited, Rappresentanza Generale per l’Italia. Considerato che col primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., comma 2 e dell’art. 2236 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 assume di aver provato la totale responsabilità dell’avv. R. nel non aver coltivato il giudizio di appello, nel non aver presenziato alle udienze e nel non aver proposto l’istanza di verificazione ed evidenzia che la sentenza della Corte di Appello del 1993 aveva respinto le domande avanzate da F.T. solo perché la controparte aveva disconosciuto le scritture private e non era stata proposta l’istanza di verificazione assume pertanto di aver provato senza alcun ragionevole dubbio sia la negligenza dell’Avv. R. , sia il nesso di causalità tra la condotta negligente dell’avvocato ed il danno subito dalla stessa, sia appunto il danno che è stato correttamente quantificato dal CTU nominato nel primo grado del giudizio evidenzia, altresì, che tutti gli elementi probatori acquisiti nei due gradi di giudizio militano in senso favorevole alla riconducibilità della firma al sig. P. e argomenta sul punto il motivo è inammissibile, in quanto non investe adeguatamente la ratio decidendi posta a fondamento del rigetto della domanda risarcitoria da parte della Corte di Appello, la quale - come detto - ha riconosciuto l’inadempimento del R. , ma ha rilevato che la F. non aveva dimostrato ancorché in termini di più probabile che non che l’esito della causa sarebbe stato diverso nel caso in cui l’avvocato avesse tenuto la condotta omessa e, segnatamente, che la verificazione - se richiesta - avrebbe accertato l’autenticità della sottoscrizione del P. e ciò in base al principio – consolidato - secondo cui la responsabilità dell’avvocato non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell’attività professionale, occorrendo verificare se l’evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone Cass. n. 2638/2013 cfr. anche Cass. n. 1984/2016 e Cass. n. 13873/2020 invero la ricorrente insiste nell’evidenziare l’inadempimento del R. ed assume di aver provato sia il danno che il nesso causale fra quest’ultimo e la condotta negligente dell’avvocato, ma non contesta specificamente l’assunto della Corte territoriale circa la necessità che l’attrice dimostrasse che l’espletamento della verificazione delle sottoscrizioni disconosciute avrebbe molto probabilmente secondo un criterio di preponderanza dell’evidenza dato esito favorevole alla tesi della F. per di più, la ricorrente omette di censurare l’ulteriore passaggio della sentenza impugnata con cui la Corte ha rilevato che la domanda relativa all’immobile OMISSIS non era stata accolta in primo grado per il fatto che il Tribunale aveva ritenuto che la scrittura del 17.3.1966 documentasse una mera proposta, con la conseguenza che, a prescindere dalla questione della mancata verificazione della sottoscrizione del P. , avrebbe comunque dovuto superare l’avvenuto rigetto nel merito della domanda proposta da F.T. per altro verso, la ricorrente svolge in questa sede argomenti volti ad evidenziare la riconducibilità delle sottoscrizioni al P. , in tal modo tuttavia sollecitando la Corte a compiere - sul punto - un proprio accertamento di merito, inibito in ambito di legittimità va infine rilevato, quale ulteriore motivo di inammissibilità della censura deducente il vizio di omesso esame di fatti decisivi, che, a fronte di una doppia conforme di rigetto, la ricorrente non ha dimostrato - al fine di superare la preclusione di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5 - che la decisione di appello è fondata su ragioni diverse da quelle poste a base della decisione di primo grado cfr. Cass. n. 5528/2014 col secondo motivo che denuncia la nullità della sentenza per essere essa manifestamente infondata a causa dell’illogicità dell’iter processuale del primo grado di giudizio , la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondata la doglianza con cui l’appellante aveva sostenuto che, ammettendo la CTU estimativa del danno, il Tribunale aveva riconosciuto la fondatezza nell’an della richiesta risarcitoria e non avrebbe pertanto potuto escludere la responsabilità del convenuto con la decisione definitiva il motivo è inammissibile e, comunque, infondato inammissibile, in quanto reitera l’analoga doglianza svolta in appello senza censurare specificamente le considerazioni svolte sul punto dalla Corte di Appello comunque infondato, poiché - come osservato dalla sentenza impugnata - le ordinanze del giudice istruttore sono sempre modificabili e revocabili fatte salve le limitazioni di cui all’art. 177 c.p.c. e non possono pregiudicare la decisione della causa, di talché l’ammissione di una CTU estimativa del danno non comporta l’affermazione della fondatezza dell’an della pretesa risarcitoria il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e censura la sentenza per avere condannato la F. al pagamento delle spese processuali nonostante che fosse stata accolta la domanda di accertamento della negligenza professionale del R. la ricorrente si duole pertanto della mancata compensazione delle spese di lite aggiunge che, in ogni caso la condanna alle spese non poteva essere estesa a quelle sostenute dalle compagnie assicuratrici la cui chiamata in causa non era stata effettuata dall’attrice, ma dal R. anche questo motivo è inammissibile e, comunque, infondato inammissibile, perché non investe specificamente le ragioni della decisione, basata sul rilievo della soccombenza totale della F. e sulla circostanza che la chiamata in causa delle assicuratrici era stata determinata dalla pretesa avanzata dall’attrice, risultando pertanto ad essa ascrivibile sulla base del principio di causalità comunque infondato, in quanto la F. è risultata totalmente soccombente rispetto alla domanda risarcitoria, rispetto alla quale l’accertamento dell’inadempimento del R. integrava soltanto uno dei presupposti per l’eventuale accoglimento mancato per difetto di prova del nesso causale e non ha costituito un capo autonomo della statuizione di primo grado confermata in sede di appello inammissibile nella parte in cui censura la scelta della Corte di non avvalersi della possibilità di compensazione delle spese di lite, scelta che, concernendo una facoltà discrezionale del giudice di merito, non può essere sindacata in sede di legittimità cfr. Cass. n. 24502/2017, Cass. n. 8421/2017 e Cass. n. 15317/2013 infondato, infine, nella parte in cui contesta la condanna della F. alla rifusione delle spese in favore delle compagnie assicuratrici, in quanto la Corte di merito si è attenuta al principio consolidato secondo cui, in tema di spese giudiziali sostenute dal terzo chiamato in garanzia, una volta rigettata la domanda principale, il relativo onere va posto a carico della parte soccombente che ha provocato e giustificato la chiamata in garanzia, in applicazione del principio di causalità, e ciò anche se l’attore soccombente non abbia formulato alcuna domanda nei confronti del terzo Cass. n. 2492/2016 cfr. Cass. 23552/2011, Cass. n. 7674/2008 e Cass. n. 6514/2004 il ricorso va pertanto, nel complesso, rigettato ricorrono giusti motivi per l’integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2 nel testo risultante dalla L. n. 263 del 2005 e succ. mod., applicabile ratione temporis, trattandosi di causa avviata nell’anno 2008 , in considerazione delle peculiarità della vicenda e della sussistenza di pacifici profili di negligenza nell’attività professionale svolta dall’avv. R. sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese di lite. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.