Il limite del doppio mandato vale anche in caso di soppressione e accorpamento dell’ordine

Agli artt. 28 co. 12 e 36 co. 1 l. n. 247/2012 - che disciplinano il reclamo avverso i risultati delle elezioni per il rinnovo dei consigli dell’ordine forensi con formulazione identica a quella dell’art. 6 cit. d.lgs. n. 382/1944, dunque con la conferma della giurisdizione del CNF e senza alcuna distinzione circa l’oggetto specifico della controversia – vanno ribaditi i principi già affermati con rifermento al detto art. 6, tesi a valorizzare l’autonomia degli ordini professionali, ravvisata anche nella devoluzione delle relative controversie ad una giurisdizione speciale. Pertanto, la giurisdizione del CNF non è limitata alle controversie riguardanti la regolarità delle operazioni elettorali perché relative al rispetto di norme tese alla tutela di interessi generali, mentre quelle riguardanti l’eleggibilità e in generale l’elettorato, rientrerebbero nella giurisdizione ordinaria, perché riguardanti diritti soggettivi. Tale criterio di riparto, riconosciuto con riguardo al CNF con il solo distinguo che la giurisdizione è del Giudice amministrativo , per il quale è però assente una norma specifica, non vale per le controversie relative alle elezioni dei consigli dell’ordine

che costituiscono oggetto di una specifica disposizione, avente la finalità di concentrare la giurisdizione in un unico organo composto da soggetti eletti tra gli appartenenti all’ordine professionale, e costituente pertanto espressione dell’autonomia di quest’ultimo. Siccome fondata sul riferimento ad una determinata materia, tale unificazione consente di prescindere dalla natura delle situazioni giuridiche coinvolte. Né vi è pregiudizio della tutela giurisdizionale, atto che le norme prevedono l’impugnabilità delle decisioni del CNF innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, prefigurando così un sistema di adeguata tutela dei diritti soggettivi, nel rispetto agli artt. 3, 24, 102, 111 e 113 della Costituzione, anche in considerazione del fatto che il CNF è organo giurisdizionale speciale istituito prima della Costituzione e quindi escluso dal divieto previsto dall’art. 102 co.2 di istituzione di nuovi giudici speciali o eccezionali, ed operante sino alla revisione prevista dalla sesta delle disposizioni transitorie e finali. In quanto riguardante la disciplina dell’elettorato passivo, che prescinde dal rapporto creatosi tra candidato e ente a seguito dell’espletamento del vecchio mandato, avendo piuttosto riguardo al fatto storico del pregresso esercizio delle funzioni, quale elemento potenzialmente atto a influenzare la regolarità della nuova competizione, il divieto di cui all’art. 3 co.3 sec. per. l. n. 113/2017 non ha attinenza con l’individuazione della sorte dei rapporti dell’ente in caso di soppressione e di trasferimento delle funzioni. Il limite ex art. 3 cit. trova infatti il fondamento nel legame che si crea tra consigliere e corpo elettorale o parte di esso, la cui intensificazione, nel caso di rielezione può riflettersi non solo sulla posizione di uguaglianza tra i candidati, ma anche sulla correttezza e imparzialità dell’esercizio delle funzioni. Pertanto, l’unica interpretazione coerente con le finalità della norma è quella di escludere dalle competizioni elettorali il candidato che abbia già esercitato due mandati esecutivi nell’ordine soppresso con trasmigrazione degli iscritti ad altro consiglio . Tale in sintesi il contenuto della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 2603/21, depositata il 4 febbraio, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. Per il CNF la fusione di due ordini crea un diverso bacino elettorale il limite del doppio mandato non vale. Un avvocato propose due distinti reclami avverso le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine davanti al Consiglio Nazionale Forense impugnando la delibera con cui era stata costituita la Commissione elettorale, il verbale di questa, con cui era stata esclusa la sua candidatura e la delibera contenente la proclamazione degli eletti. Per quel che ancora rileva, l’avvocato contestava il motivo della sua esclusione, dato dal superamento dei due mandati consecutivi di consigliere dell’Ordine, con lo svolgimento delle funzioni di consigliere e presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Montepulciano, soppresso ed accorpato all’Ordine di Siena con la revisione della geografia giudiziaria. Il Consiglio Nazionale Forense accolse il reclamo . Sempre per quel che qui rileva, il Consiglio escluse il proprio difetto di giurisdizione, rilevando che l’art. 36 l. n. 247/2012 conferisce inequivocabilmente al CNF l’intero contenzioso relativo al procedimento elettorale, prevedendo, in materia ordinamentale, una giurisdizione generalizzata e non frazionata” SS.UU. n. 2603/2021 . Nel merito poi, il CNF ritenne assorbente la questione dell’ineleggibilità , affermando che la fusione di due Ordini forensi dà vita ad un diverso bacino elettorale ”, per via di un maggior numero di aventi diritto all’elettorato attivo, di un più ampio territorio di riferimento e, eventualmente, anche di un più ampio numero di consiglieri da eleggere inoltre, che l’eccezionalità delle norme riguardanti il diritto all’elettorato ne preclude l’applicazione in via estensiva o analogica ed il limite del doppio mandato non vale per chi intenda candidarsi ad un Consiglio dell’Ordine diverso da quello di cui ha fatto parte precedentemente . Di diverso avviso le Sezioni Unite della Corte di Cassazione , a cui ricorrono alcuni consiglieri eletti nonché lo stesso Consiglio dell’Ordine, mentre il candidato escluso resiste con controricorso. La rinuncia ad un motivo di ricorso non richiede la sottoscrizione della parte. Al primo motivo i ricorrenti rinunciano la censura riguardava la nullità della sentenza ex art. 158 c.p.c. per l’inclusione, nell’elenco dei componenti del consiglio giudicante, del nominativo di un avvocato la cui nomina era stata sospesa in via cautelare dal Tribunale di Roma per ineleggibilità ai sensi dell’art. 34 l. n. 247 che in effetti non aveva partecipato alla discussione del reclamo e alla deliberazione della decisione, errore materiale di cui il CNF aveva poi disposto la correzione. Tale rinuncia, osservano le Sezioni Unite, a differenza di quella prevista dall’art. 390 c.p.c, non richiede la sottoscrizione della parte nè il rilascio di uno specifico mandato, non comportando la disposizione di un diritto oggetto di contesa, ma esclusivamente una valutazione tecnica circa la modalità di esercizio della facoltà di impugnazione, rimessa al difensore si menzionano i precedenti di Cass. nn. 17893/2020, 22269/2016, 11154/2006 . Non risultando contestata l’esistenza dell’errore, del quale è stata disposta la correzione, i ricorrenti non hanno più alcun interesse alla censura, della quale è pertanto superflua la valutazione della fondatezza. Piena giurisdizione del CNF in materia elettorale a salvaguardia dell’autonomia della professione. Con il secondo motivo i ricorrenti affermano la violazione degli artt. 28 co.12 e 36 co.1 l. n. 247/2012 e contestano la sentenza impugnata laddove ha escluso il difetto di giurisdizione del CNF in ordine alla questione dell’ineleggibilità . Premettendo che la giurisdizione del CNF è limitata alle questioni riguardanti le regolarità e legittimità delle operazioni elettorali e della delibera della proclamazione degli eletti, essi sostengono che la giurisdizione sia qui del giudice ordinario vertendosi, in tema di contenzioso elettorale amministrativo, in materia di diritti soggettivi pubblici - la titolarità del diritto di elettorato – che non possono essere degradati dalla Pubblica Amministrazione”. Aggiungono che mancando inequivoci riferimenti letterali”, le norme in parola non possono interpretarsi nel senso dell’attribuzione della giurisdizione in materia di elettorato passivo, essendo norme che richiedono una stretta interpretazione, e non essendovi ragione per disarticolare” la competenza per i casi in cui la lite riguarda le elezioni del CNF da quelle in cui invece riguarda i consigli dell’Ordine. Il motivo è respinto dalla Sezioni Unite, che in primis richiamano un excursus normativo e giurisprudenziale sul punto. Si ricorda quindi che sul tema del contenzioso elettorale riguardante i consigli degli ordini la Corte ha ripetutamente affermato che l’art. 6 del d.lgs. n. 382/1944, che consente ad ogni professionista di proporre reclamo alla allora Commissione Centrale, poi divenuta Consiglio Nazionale ex d.lgs. n. 6/1946 contro i risultati dell’elezione, ha conferito ai consigli nazionali di alcuni ordini, tra cui il CNF, già qualificati come organi di giurisdizione speciale riguardo a situazioni di conflitto riguardanti le funzioni dell’ordine, una nuova competenza giurisdizionale , riguardante situazioni di conflitto riguardanti la struttura stessa degli ordini tra i precedenti richiamati, quelli di Cass. SS.UU. nn. 1444/1998 e 12461/1995 . Inoltre, le SS.UU. rammentano che è stata ritenuta legittima un’ interpretazione estensiva della disposizione, tale per cui si sono ritenute devolute ai consigli nazionali anche le controversie in materia di convocazione dell’assemblea degli iscritti per le votazioni, affermandosi così che la materia elettorale delle professioni non è stata ripartita tra più giudici e che il Legislatore, con l’istituzione della giurisdizione professionale, ha voluto tutelare l’autonomia dei collegi nazionali, che sarebbe invece limitata da un’interpretazione più restrittiva si richiama Cass. SS. UU. n. 9296/2003 . Sulla base di tali considerazioni, si prosegue, è stata esclusa l’applicazione dell’art. 6 l. n. 1034/1971, che attribuiva al giudice amministrativo la giurisdizione in materia elezioni degli enti locali, spiegandosi che i consigli degli ordini, in quanto enti pubblici a carattere associativo, hanno natura diversa , e che risponde maggiormente a principi di razionalità la previsione di un unico giudice competente in materia elettorale si richiama Cass. SS.UU. n. 23209/2009 . Tali principi, osserva la Corte, vanno ribaditi anche con riferimento agli artt. 28 co.12 e 36 co.1 l. n. 247/2012, laddove, nell’ambito della riforma della professione forense , il reclamo avverso i risultati delle elezioni per il rinnovo dei consigli dell’ordine viene disciplinato con formulazione identica a quella dell’art. 6 cit., dunque con la conferma della giurisdizione del CNF e senza alcuna distinzione circa l’oggetto specifico della controversia. Per la considerazione di tali dati, normativi e giurisprudenziali, tesi a valorizzare l’ autonomia degli ordini professionali , che si esprime anche nella devoluzione delle relative controversie ad una giurisdizione speciale Cass. SS.UU. n. 2603/2021 la Corte respinge la tesi dei ricorrenti, che vorrebbe applicare adattare” alla situazione de qua quanto elaborato con riferimento agli enti locali, affermando che la giurisdizione del CNF al pari di quella del giudice amministrativo dall’art. 6 l. n. 1034/1971 e poi 126 d.lgs. n. 126/2010 è limitata alle controversie riguardanti la regolarità delle operazioni elettorali perché relative al rispetto di norme tese alla tutela di interessi generali, a differenza di quelle riguardanti l’eleggibilità e in generale l’elettorato, che rientrano nella giurisdizione ordinaria, perché riguardanti diritti soggettivi. Tale criterio di riparto, riconosciuto con riguardo al CNF con il solo distinguo che la giurisdizione è del Giudice amministrativo, si richiama Cass. SS.UU. n. 2451/2006 , per il quale è però assente una norma specifica, non è applicabile alle controversie relative alle elezioni degli ordini forensi , che invece costituiscono oggetto di una specifica disposizione, avente la finalità di concentrare la giurisdizione in un unico organo composto da soggetti eletti tra gli appartenenti all’ordine professionale, e costituente pertanto espressione dell’autonomia di quest’ultimo . Siccome fondata sul riferimento ad una determinata materia, tale unificazione consente di prescindere dalla natura delle situazioni giuridiche coinvolte . Dunque, non vale la distinzione operata normalmente in materia di riparto della giurisdizione tra diritti soggettivi e interessi legittimi e difatti il CNF ha già in altre materie competenza in fatto di diritti soggettivi e cioè riguardo all’ iscrizione dell’albo e in materia disciplinare. D’altronde, non v’è pregiudizio della tutela giurisdizionale, atto che le norme art. 36 co.6 l. n. 247/2012, come in passato l’art. 56 R.D.L. n. 1578/1933 prevedono l’impugnabilità delle decisioni del CNF innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione di guisa che si prefigura un meccanismo di adeguata tutela dei diritti soggettivi , nel rispetto agli artt. 3, 24, 102, 111 e 113 della Costituzione anche in considerazione del fatto che il CNF è organo giurisdizionale speciale istituito prima della Costituzione e quindi escluso dal divieto previsto dall’art. 102 co.2 di istituzione di nuovi giudici speciali o eccezionali, ed operante sino alla revisione prevista dalla sesta delle disposizioni transitorie e finali richiama in particolare, Corte Cost. n. 284/1986, e, sulla giurisdizione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri e Architetti, Cass. n. 22090/2019 . Il terzo ed il quarto motivo sono esaminati congiuntamente. Per i ricorrenti l’accorpamento degli ordini comporta una successione a titolo universale che impone il conteggio del mandato espletato per il primo. Con il terzo si lamenta la violazione degli artt. 1 d.lgs. n. 155/2012, 3 co.3 l. n. 113/2017, 11- quinquies d.l. n. 135/2018 e 36 co.6 l. n. 247/2012 si afferma che, nell’escludere l’applicazione del divieto in virtù dell’accorpamento, il CNF ha erroneamente applicato i principi in materia di successione di enti pubblici alla materia de qua . Premettono che l’art. 1 d.lgs n. 155/2012, riguardante la revisione della geografia giudiziaria, nulla ha disposto riguardo agli ordini circondariali costituiti presso i tribunali che venivano soppressi, che dunque devono considerarsi estinti ex lege , e che l’ordine accorpante è succeduto a titolo universale, essendo subentrato nelle funzioni e nei rapporti ed avendo anche assorbito l’apparato organizzativo, ciò in mancanza di previsioni riguardo la liquidazione ed in considerazione della natura associativa dell’ente, che esclude l’estinzione della comunità di riferimento. Tale successione, si rileva, è espressamente prevista per gli enti territoriali e va applicata anche agli ordini forensi, per cui il doppio mandato svolto per il primo Consiglio deve riferirsi anche per il secondo né può opporsi in contrario la tutela del diritto all’elettorato passivo, posto che il Legislatore ha optato nella specie per una preferenza per l’esigenza della rotazione delle cariche pubbliche. Per i ricorrenti il limite di due mandati consecutivi evita fenomeni di sclerotizzazione e valorizza l’uguaglianza dei candidati. Con il quarto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 co.3 l. n. 113/2017, 11- quinquies d.l. n. 135/2018 e 36 co. 6 l. n. 247/2012 si afferma che, escludendo l’operatività del limite del doppio mandato, il CNF non ha tenuto conto della ratio sottesa allo stesso, che è quella di evitare fenomeni di sclerotizzazione nocivi per il corretto svolgimento delle funzioni di rappresentanza nonché di valorizzare l’uguaglianza dei candidati . Il limite del doppio mandato vale anche per i mandati in corso all’entrata in vigore della l. n. 113/2017. Il limite del doppio mandato è previsto dall’art. 3 co.3 l. n. 113/2017 il comma successivo prevede che non si tiene conto dei mandati di durata inferiore ai due anni, mentre il quarto periodo del comma terzo ammette la ricandidatura quando sia trascorso un numero di anni pari a quello in cui si è svolto precedentemente il mandato. Le Sezioni Unite avevano interpretato la norma nel senso che l’espressione due mandati consecutivi” doveva essere relativa anche ai mandati svolti, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore e fin dalla sua prima applicazione in forza di quanto previsto dall’art. 17 co.3 sul punto si richiama Cass. n. 32781/2018 . Interpretazione confermata successivamente dall’art. 11 -quinquies co.1 d.l. n. n. 135/2018 conv. con modif. in l. n. 12/2019, contenente un’interpretazione autentica della norma su citata. La questione della legittimità costituzionale, poi sollevata, è stata dichiarata infondata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 173/2019 che ha escluso, da un lato, il contrasto dell’art. 3 co. 3 sec. per. l. n. 113/2017 con gli artt. 3, 48 e 51 Cost., sotto il profilo della irragionevole limitazione dell’elettorato attivo e passivo, e con gli artt. 2, 3, 18 e 118 Cost. sotto il profilo dell’illegittima ed irragionevole compressione dell’ambito di autonomia riservato agli ordini circondariali forensi, e dall’altro il contrasto dell’art. 11- quinques del d.l. n. 135/2018 con gli artt. 2, 3, 18, 48, 51 e 118 Cost. sotto il profilo del superamento dei limiti di ragionevolezza delle norme retroattive di interpretazione autentica . Ai sensi delle dette disposizioni - si prosegue - l’esercizio del mandato per due mandati consecutivi, anche per una parte soltanto di ogni biennio purché non di durata inferiore a un biennio comporta un’ineleggibilità per quattro anni , anche se il mandato sia stato svolto anche parzialmente prima dell’entrata in vigore della l. n. 113/2017. Nella specie, il caso sottoposto al vaglio della Corte riguarda la candidatura da parte di un avvocato che ha svolto due mandati esecutivi senza che sia trascorso il quadriennio dal termine dell’ultimo. La questione è dunque se debba darsi rilievo ai mandati espletati nell’ambito dell’Ordine soppresso, ai fini dell’operatività del detto divieto. Il focus non è il rapporto tra candidato e nuovo ente, ma il rapporto tra candidato e corpo elettorale. Le Sezioni Unite non concordano con la tesi dei ricorrenti secondo cui l’accorpamento tra i due ordini, per via del trasferimento di funzioni e di organizzazione e la conseguente successione a titolo universale nei rapporti giuridici esclude la possibilità di distinguere tra i due enti ai fini dell’imputabilità del mandato. In quanto riguardante la disciplina dell’elettorato passivo, che prescinde dal rapporto creatosi tra candidato e ente a seguito dell’espletamento del vecchio mandato, riguardando piuttosto il fatto storico del pregresso esercizio delle funzioni, quale elemento potenzialmente atto a influenzare la regolarità della nuova competizione, il divieto di cui all’art. 3 co.3 sec. per. l. n. 113/2017 non ha attinenza con l’individuazione della sorte dei rapporti dell’ente in caso di soppressione e di trasferimento delle funzioni. Non vale dunque nella specie il principio ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di soppressione di enti pubblici per il quale la successione si manifesta diversamente a seconda che la legge o l’atto che dispone la soppressione preveda o no il permanere delle finalità dell’ente ed il trasferimento ad altro ente, anche di strutture e complesso delle posizioni giuridiche, con conseguente successione a titolo universale, o previa liquidazione, con conseguente successione a titolo particolare si menzionano Cass. nn. 8377/2016, 535/2002, 5971/1983 . A prescindere dalle difficoltà di inquadrare l’ elettorato attivo e passivo tra le situazioni giuridiche trasmissibili, per la Corte è invece determinante il fatto che la questione dell’ammissibilità di un nuovo mandato consecutivo si sarebbe posta ugualmente, anche se il Legislatore avesse regolato la sorte dei rapporti facenti capo all’ordine soppresso con la liquidazione anziché con il trasferimento all’ordine subentrato. Il limite ex art. 3 cit. trova infatti il fondamento, non nel rapporto che si è creato tra consigliere e consiglio dell’ordine a seguito dello svolgimento del mandato, ma nel legame che si crea tra consigliere e corpo elettorale o parte di esso, la cui intensificazione, nel caso di rielezione può riflettersi non solo sulla posizione di uguaglianza tra i candidati, ma anche sulla correttezza e imparzialità dell’esercizio delle funzioni. E tale approccio è stato chiarito dalle Sezioni Unite quando hanno affermato l’applicabilità della norma anche alle fattispecie dove il mandato era stato espletato prima, anche in parte, dell’entrata in vigore della l. n. 113/2017 la finalità perseguita al pari di norme analoghe riferite ad altri ordini professionali è quella di assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti all’esercizio delle funzioni di governo degli ordini , favorendone l’avvicendamento agli organi di vertice per garantire par condicio tra i candidati ed evitare la sclerotizzazione delle compagini si richiama Cass. SS.UU. n. 32781/2018 . Anche la Corte Costituzionale , laddove ha escluso la difformità ai principi della Costituzione dell’art. 3 co.3 cit., ha affermato che la finalità perseguita dalla norma è nella valorizzazione delle condizioni di uguaglianza di cui all’art. 51 Cost. in materia di accesso alle cariche elettive, che sarebbe compromessa, se alla competizione potessero partecipare coloro che provengano da due o più mandati consecutivi, avendo potuto consolidare il rapporto con l’elettorato, caratterizzato nella specie da peculiare prossimità nella stessa sentenza la Corte Costituzionale ha poi osservato che il divieto favorisce l’immissione di forze fresche” ed impedisce situazioni di cristallizzazione della rappresentanza. Se tale è la ratio della norma, allora - si prosegue -, correttamente la sentenza impugnata ha fatto riferimento esclusivamente al rapporto tra i corpi elettorali dei Consigli, senza tenere in considerazione la questione della successione tra i due ordini. La questione non era stabilire se per effetto dall’accorpamento il mandato fosse da riferirsi al nuovo Consiglio, ma verificare se il rapporto creatosi tra l’avvocato e l’elettorato di Montepulciano potesse influire l’esito delle elezioni, favorendolo. Le Sezioni Unite, però, non condividono le conclusioni della sentenza del CNF , che si è soffermata solo sul dato formale rappresentato dalla costituzione di un nuovo bacino elettorale, senza invece considerare il preesistente legame tra candidato ed elettori , non reciso dalla nascita del nuovo bacino elettorale, quantitativamente diverso dai due, ma risultante dalla sommatoria degli stessi . Ne consegue che non può escludersi la possibilità di un’alterazione della posizione di uguaglianza tra i candidati né quella di un condizionamento del futuro esercizio delle funzioni di consigliere, certamente non ridotta dal semplice aumento di numero degli iscritti dato meramente casuale, la cui considerazione è incompatibile con le esigenze di certezza, cui devono rispondere le norme in materia di diritto di elettorato. Le conseguenze del ragionamento del CNF, dunque dell’ammettere la nuova candidatura per via della costituzione di un nuovo bacino elettorale, sotto i due profili considerati appaiono ancora più evidenti se si pensi che significherebbero ammettere allo svolgimento di quattro mandati i candidati dell’ordine soppresso, come anche quelli dell’ordine subentrante, determinando quella cristallizzazione della rappresentanza” che la norma vuole evitare. L’unica interpretazione coerente con le finalità della norma è dunque quella di escludere dalle competizioni elettorali il candidato che abbia già esercitato due mandati esecutivi nell’ordine soppresso con trasmigrazione degli iscritti ad altro consiglio . Nessun rilievo riconoscono le Sezioni Unite alle norme sulla rieleggibilità del sindaco, il cui richiamo è stato già in varie occasioni escluso dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale, per le profonde differenze esistenti tra gli enti territoriali e i consigli degli ordini, aventi natura di enti pubblici a carattere non associativo menziona tra tante Cass. n. 32781/2018 e Corte Cost. n. 173/2019 d’altronde, si precisa, laddove la Corte, nell’affermare che il divieto opera solo per chi ha ricoperto la carica nei confronti della stessa popolazione e nello stesso territorio comunale, ha considerato il caso di una candidatura in un territorio del tutto diverso da quello dove l’interessato aveva svolto i mandati precedenti, senza considerare il caso della fusione tra comuni si riferisce alla sentenza Cass. n. 7949/2013 , tema su cui non si rinvengono neppure precedenti nella giurisprudenza amministrativa. Infine, le Sezioni Unite escludono che l’applicazione del divieto possa contrastare con il divieto di interpretazione estensiva e analogica delle norme eccezionali , in quanto limiterebbero il diritto all’elettorato passivo si afferma che nella specie, come in altri casi, non si tratta di estendere in via interpretativa l'ambito applicativo della causa d'ineleggibilità ad un caso apparentemente non riconducibile alla norma che la prevede o addirittura estraneo alla portata semantica della stessa, benché caratterizzato da un'identità di ratio , ma solo di verificarne la compatibilità con le caratteristiche specifiche della fattispecie esaminata, mediante il ricorso agli ordinari criteri ermeneutici, tra i quali la ricerca dell'intenzione del legislatore si pone, in caso di equivocità del testo da interpretare, come strumento sussidiario, utilizzabile in via integrativa ove la ricostruzione del senso letterale delle parole non consenta di sciogliere ogni ambiguità, e destinato ad assumere un rilievo prevalente soltanto in via eccezionale, quando l'effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione appaia incompatibile con il sistema normativo sul punto si richiamano Cass. SS.UU. nn. 32781/2018, 12461/2018 e 9700/2004 .

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 6 ottobre 2020 – 4 febbraio 2021, n. 2603 Presidente Curzio – Relatore Mercolino Fatti di causa 1. L’Avv. B.M. , iscritto all’Ordine degli Avvocati di Siena, propose due distinti reclami al Consiglio Nazionale Forense avverso le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine per il quadriennio 2019/2022, impugnando la Delib. 27 giugno 2019, con cui era stata costituita la Commissione elettorale, il verbale di quest’ultima con cui non era stata ammessa la sua candidatura e la Delib. 10 luglio 2019, recante la proclamazione degli eletti. A sostegno dell’impugnazione, denunciò la violazione della L. 12 luglio 2017, n. 113, art. 9, osservando che la Commissione elettorale era costituita, oltre che dal presidente del Consiglio dell’Ordine e dal consigliere segretario, da soli tre componenti sorteggiati tra gli iscritti non componenti del Consiglio dell’Ordine che avevano manifestato la loro disponibilità a farne parte, e per il resto da componenti del Consiglio dell’Ordine designati senza sorteggio tra i consiglieri non ricandidati che avevano offerto la loro disponibilità. Sostenne inoltre che la composizione della Commissione si poneva in contrasto con l’art. 9 cit., comma 3, in quanto la maggioranza dei componenti faceva parte del Consiglio dell’Ordine, e contestò mancata ammissione della sua candidatura, in quanto motivata con l’avvenuto superamento del limite di due mandati consecutivi di consigliere dello Ordine, per effetto dello svolgimento delle funzioni di consigliere e presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Montepulciano, soppresso ed accorpato a quello di Siena nell’ambito della revisione della geografia giudiziaria. Riuniti i due reclami e disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti coloro che erano stati proclamati eletti, si costituirono il Consiglio dell’Ordine e gli Avv. P.A. , A.S. , S.T.L. , C.G. e S.S. . 1.1. Con sentenza del 14 febbraio 2020, il CNF ha accolto il reclamo, annullando le elezioni. A fondamento della decisione, il CNF ha escluso innanzitutto la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del Comitato per le Pari Opportunità, la cui elezione non aveva costituito oggetto d’impugnazione, nonché il proprio difetto di giurisdizione, osservando che della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 36, attribuisce inequivocabilmente al CNF l’intero contenzioso relativo al procedimento elettorale, prevedendo, in materia ordinamentale, una giurisdizione generalizzata e non frazionata. Nel merito, ha ritenuto assorbente la censura riguardante l’ineleggibilità del reclamante, affermando che la fusione tra due Ordini forensi provoca la nascita di un diverso bacino elettorale, in conseguenza del maggior numero di aventi diritto all’elettorato attivo, del più ampio territorio di competenza e talvolta del maggior numero complessivo dei consiglieri da eleggere ha aggiunto che, avuto riguardo all’eccezionalità delle disposizioni incidenti sul diritto all’elettorato, non suscettibili di applicazione estensiva o analogica, il limite del doppio mandato non è applicabile ad un soggetto che intenda candidarsi ad un Consiglio dell’Ordine diverso da quello di cui ha fatto parte in precedenza. 2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione da un lato gli Avv. P. , A. , S.T. , C. e S. e dall’altro il Consiglio dell’Ordine, ciascuno per quattro motivi, illustrati anche con memoria. L’Avv. B. ha resistito con controricorsi, anch’essi illustrati con memoria. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva. Ragioni della decisione 1. Preliminarmente, si rileva che, unitamente alla memoria di cui all’art. 378 c.p.c., la difesa dei ricorrenti ha depositato copia di un’ordinanza emessa il 19 marzo 2020, con cui il CNF ha disposto la correzione di errori materiali contenuti nella sentenza impugnata, e consistenti, tra l’altro, nell’inclusione tra i componenti del Collegio giudicante dell’Avv. Antonio Baffa, che non aveva partecipato alla discussione del reclamo ed alla deliberazione della decisione. Preso atto di tale provvedimento, la difesa dei ricorrenti ha dichiarato di rinunciare al primo motivo d’impugnazione, con cui aveva dedotto la nullità della sentenza per violazione dell’art. 158 c.p.c., proprio in relazione alla partecipazione alla deliberazione del predetto Avvocato, la cui proclamazione quale componente del CNF era stata sospesa in via cautelare dal Tribunale di Roma con ordinanza del 17 dicembre 2019, per ineleggibilità ai sensi della L. n. 247 cit., art. 34. Tale rinuncia, a differenza di quella prevista dall’art. 390 c.p.c., non richiede la sottoscrizione della parte nè il rilascio di uno specifico mandato, non comportando la disposizione del diritto in contesa, ma costituendo espressione di una valutazione tecnica in ordine alle più opportune modalità di esercizio della facoltà d’impugnazione, rimessa alla discrezionalità del difensore cfr. Cass., Sez. III, 27/08/2020, n. 17893 Cass., Sez. I, 3/11/ 2016, n. 22269 Cass., Sez. V, 15/05/2006, n. 11154 per effetto della stessa, deve ritenersi superfluo qualsiasi apprezzamento in ordine alla fondatezza della censura proposta con il predetto motivo, al cui esame i ricorrenti non hanno ormai alcun interesse, non risultando contestata l’effettiva sussistenza dell’errore materiale che ha costituito oggetto di correzione. 2. Con il secondo motivo, i ricorrenti deducono la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 28, comma 12 e art. 36, comma 1, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il difetto di giurisdizione del CNF in ordine alla questione dell’ineleggibilità dell’Avv. B. . Premesso infatti che la giurisdizione del CNF è limitata alle questioni riguardanti la regolarità e la legittimità delle operazioni elettorali e della Delib. di proclamazione degli eletti, sostengono che, in tema di contenzioso elettorale amministrativo, quelle concernenti la titolarità del diritto di elettorato attivo o passivo sono devolute alla cognizione del Giudice ordinario, indipendentemente dalla natura dell’ente interessato, avendo ad oggetto diritti soggettivi pubblici che non possono essere degradati dalla Pubblica Amministrazione. Aggiungono che, in assenza di inequivoci riferimenti letterali, l’art. 28, comma 12 e art. 36, comma 1 cit. non possono essere interpretati nel senso dell’attribuzione al CNF delle giurisdizione in materia di elettorato passivo, trattandosi di norme di stretta interpretazione, e non sussistendo ragionevoli argomenti che consentano di disarticolare la competenza in ordine alle controversie riguardanti la formazione del CNF da quella relativa alle controversie riguardanti l’elezione dei Consigli dell’Ordine. 2.1. Il motivo è infondato. In tema di contenzioso elettorale riguardante i consigli degli ordini professionali, questa Corte ha più volte affermato in passato che il D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, n. 382, art. 6, il quale consente a ciascun professionista iscritto all’albo di proporre reclamo alla commissione centrale rinominata consiglio nazionale dal D.Lgs.Lgt. 21 giugno 1946, n. 6 contro i risultati dell’elezione, ha attribuito ai consigli nazionali di alcuni ordini professionali ivi compreso quello degli avvocati , già qualificati come organi di giurisdizione speciale in relazione a situazioni conflittuali attinenti alle funzioni dello ordine, una nuova competenza giurisdizionale, avente ad oggetto le situazioni conflittuali concernenti la struttura stessa degli ordini cfr. Cass., Sez. Un., 11/02/1998, n. 1444 1/09/1999, n. 518 4/12/1995, n. 12461 è stata ritenuta inoltre legittima un’interpretazione estensiva della medesima disposizione, in virtù della quale ai consigli nazionali dei predetti ordini devono ritenersi devolute anche le controversie relative alla fase di convocazione dell’assemblea degli iscritti per procedere alle votazioni, precisandosi che la materia elettorale relativa alle professioni non è stata ripartita tra più giudici e che il legislatore ha voluto salvaguardare, mediante l’istituzione della giurisdizione professionale, l’autonomia dei collegi nazionali degli ordini professionali, che risulterebbe menomata da un’interpretazione restrittiva cfr. Cass., Sez. Un., 10/06/2003, n. 9296 . Sulla base di tali considerazioni, è stata esclusa l’applicabilità della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 6, che attribuiva al Giudice amministrativo la giurisdizione in ordine alle controversie riguardanti lo svolgimento delle operazioni per le elezioni degli organi degli enti locali, osservandosi da un lato che, in quanto enti pubblici non economici a carattere associativo, i consigli degli ordini hanno una natura diversa dai predetti enti, e dall’altro che risponde a criteri di evidente razionalità concentrare presso un unico giudice l’intera gamma delle controversie elettorali cfr. Cass., Sez. Un., 3/11/2009, n. 23209 . Tali principi devono essere ribaditi anche in riferimento alla L. n. 247 del 2012, art. 28, comma 12, e 36, comma 1, con cui, nell’ambito della riforma dell’ordinamento della professione forense, è stato disciplinato il reclamo avverso i risultati delle elezioni per il rinnovo dei consigli dell’ordine, confermandosi, con formulazione testuale identica a quella dell’art. 6 cit., l’attribuzione della relativa giurisdizione al CNF, senza operare alcuna distinzione in relazione all’oggetto specifico della controversia. Alla luce di tali sviluppi normativi e giurisprudenziali, intesi a valorizzare l’autonomia degli ordini professionali, che si esprime anche nella devoluzione delle relative controversie ad una giurisdizione speciale, non può condividersi la tesi sostenuta dai ricorrenti, che vorrebbe estendere o meglio, adattare alla materia in esame i principi elaborati in riferimento al contenzioso elettorale degli enti locali, sostenendo che la predetta giurisdizione così come quella già attribuita al Giudice amministrativo dal D.P.R. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 6 e ribadita dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 126 è limitata alle controversie aventi ad oggetto la regolarità delle operazioni elettorali, in quanto concernenti l’osservanza di norme rivolte alla tutela di interessi generali della collettività, mentre quelle riguardanti l’eleggibilità dei candidati o, più in generale, l’elettorato attivo e passivo, restano attribuite alla giurisdizione ordinaria, in quanto coinvolgenti posizioni di diritto soggettivo. Tale criterio di ripartizione della giurisdizione, ritenuto operante per le controversie riguardanti l’elezione del CNF con la sola differenza che la giurisdizione in ordine alle controversie riguardanti la regolarità delle operazioni elettorali spetta al Giudice amministrativo cfr. Cass., Sez. Un., 6/02/2006, n. 2451 , trova infatti giustificazione nella mancata previsione di un’autonoma disciplina, e non è quindi applicabile alle controversie relative alle elezioni dei consigli dell’ordine, le quali costituiscono oggetto di una specifica disposizione, avente la finalità di concentrare la giurisdizione in un unico organo composto da soggetti eletti tra gli appartenenti all’ordine professionale, e costituente pertanto espressione dell’autonomia di quest’ultimo. In quanto fondata sul riferimento ad una determinata materia, tale unificazione consente di prescindere dalla natura delle situazioni giuridiche coinvolte nella vicenda processuale, la cui distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi mal si attaglia peraltro alla varietà delle competenze attribuite al CNF, comprendenti anche controversie che, come quelle attinenti all’iscrizione nell’albo professionale o quelle in materia disciplinare, hanno ad oggetto diritti soggettivi. Essa non comporta d’altronde alcuna menomazione della tutela giurisdizionale, dal momento che la L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6 così come, in passato, il R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 56 prevede espressamente l’impugnabilità delle decisioni adottate dal CNF dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, in tal modo prefigurando un sistema di adeguata tutela dei diritti soggettivi degli interessati, manifestamente non contrastante con gli artt. 3, 24, 102, 111 e 113 Cost., anche alla luce del fatto che il Consiglio Nazionale costituisce un organo giurisdizionale speciale, istituito prima dell’entrata in vigore della Costituzione medesima e quindi escluso dal divieto di cui all’art. 102, comma 2 e legittimamente operante fino a quando non venga attuata la revisione contemplata dalla sesta disposizione transitoria in quest’ultimo senso v., in particolare, Corte Cost. sent. n. 284 del 1986 cfr. in riferimento alla giurisdizione del Consiglio Nazionale degli Ingegneri ed Architetti, Cass., Sez. II, 4/09/2019, n. 22090 . 3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. 7 settembre 2012, n. 155, art. 1, L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, D.L. 14 dicembre 2018, n. 135, art. 11-quinquies e della L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6, osservando che, nell’escludere l’applicabilità del divieto del terzo mandato consiliare consecutivo, in virtù dell’accorpamento dell’Ordine degli Avvocati di Montepulciano a quello di Siena, il CNF ha erroneamente applicato i principi in tema di successione degli enti pubblici. Premesso che il D.Lgs. n. 155 del 2012, art. 1, nel procedere alla revisione della geografia giudiziaria, nulla ha disposto in ordine alla sorte degli ordini circondariali costituiti presso i tribunali da sopprimere, che devono quindi considerarsi estinti ex lege, affermano che l’ordine accorpante è succeduto a titolo universale allo ordine estinto, essendo subentrato nelle relative funzioni e nei relativi rapporti giuridici ed avendo assorbito il relativo apparato organizzativo, in mancanza della previsione di qualsiasi forma di liquidazione ed in considerazione della natura associativa dell’ente soppresso, la quale esclude l’estinzione della comunità di riferimento. Rilevato che la predetta successione è espressamente prevista in caso di fusione per incorporazione tra enti territoriali, affermano che, rispetto all’Ordine di Montepulciano, quello di Siena non può considerarsi un ente diverso, sicché il doppio mandato svolto nel Consiglio del primo deve considerarsi correttamente imputato al secondo, senza che possa invocarsi, in contrario, la tutela del diritto di elettorato passivo, in quanto il legislatore ha ritenuto, nella specie, di dover attribuire la prevalenza all’esigenza di favorire la rotazione nelle cariche pubbliche. 4. Con il quarto motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa applicazione della L. n. 113 del 2007, art. 3, comma 3, D.L. n. 135 del 2018, art. 11-quinquies e della L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6, sostenendo che, nell’escludere l’operatività del limite di due mandati consecutivi, il CNF non ha tenuto conto della ratio di tale disposizione, consistente nell’evitare fenomeni di sclerotizzazione nocivi per il corretto svolgimento delle funzioni di rappresentanza, nonché di valorizzare l’uguaglianza dei candidati, che potrebbe essere compromessa dal forte legame consolidatosi tra una parte dell’elettorato e coloro che abbiano ricoperto la carica per due o più mandati consecutivi. 5. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto la medesima questione, sia pure sotto profili diversi. È opportuno premettere che, come concordemente riferito dalle parti, l’Avv. B. , già iscritto nell’albo degli Avvocati di Montepulciano, a seguito della soppressione di quell’Ordine, verificatasi per effetto del D.Lgs. n. 155 del 2012, che dispose la soppressione del Tribunale di Montepulciano e l’accorpamento del relativo circondario a quello del Tribunale di Siena, fu iscritto ex lege nell’albo degli Avvocati di quest’ultimo Tribunale, con decorrenza dal 1 gennaio 2015 è altresì incontestato che, in qualità d’iscritto nell’albo di Montepulciano, il professionista era stato eletto componente del Consiglio dell’Ordine per il quadriennio 2011/2014, nell’ambito del quale aveva svolto le funzioni di Presidente, e che a seguito della trasmigrazione nell’albo di Siena è stato poi eletto componente del relativo Consiglio dell’Ordine per il quadriennio 2015/2018. È per tale ragione che la Commissione elettorale costituita ai fini dello svolgimento delle operazioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine per il quadriennio 2019/2022 ha dichiarato inammissibile la sua candidatura, affermando che lo svolgimento delle funzioni di consigliere, senza soluzione di continuità, per un periodo di tempo complessivamente superiore a due mandati, si poneva in contrasto con il divieto posto dalla L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, secondo periodo. Com’è noto, tale disposizione stabilisce che i consiglieri dell’Ordine non possono essere eletti per più di due mandati consecutivi, facendo comunque salvo quanto previsto dal comma successivo, secondo cui, ai fini dell’osservanza del predetto divieto, non si tiene conto dei mandati di durata inferiore ai due anni il quarto periodo del comma 3 precisa inoltre che la ricandidatura è possibile quando sia trascorso un numero di anni uguale agli anni nei quali si è svolto il precedente mandato. La norma era stata interpretata da queste Sezioni Unite nel senso che l’espressione due mandati consecutivi , da essa utilizzata, doveva intendersi riferita anche ai mandati espletati anche soltanto parzialmente prima della sua entrata in vigore, con la conseguenza che, a far data dall’entrata in vigore della L. n. 113 del 2017, e fin dalla sua prima applicazione in forza dell’art. 17, comma 3, della stessa, non erano eleggibili gli avvocati che avessero già espletato due mandati consecutivi esclusi quelli di durata inferiore al biennio, ai sensi del medesimo art. 3, comma 4 di componente del consiglio dell’ordine, anche se solo in parte sotto il regime anteriore alle riforme di cui alle leggi n. 247 del 2012 e 113 del 2017 cfr. Cass., Sez. Un., 19/12/2018, n. 32781 . Tale interpretazione ha poi trovato conferma nel D.L. n. 135 del 2018, art. 11-quinquies, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 11 febbraio 2019, n. 12, con cui il legislatore ha fornito l’interpretazione autentica della disposizione in esame, stabilendo che, fermo restando quanto disposto dal terzo periodo e dell’art. 3, comma 4, ai fini del rispetto del divieto si tiene conto dei mandati espletati, anche solo in parte, prima della sua entrata in vigore, compresi quelli iniziati anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 247 del 2012. In seguito, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale del plesso normativo in questione, escludendo da un lato il contrasto della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, secondo periodo, con gli artt. 3, 48 e 51 Cost., sotto il profilo dell’irragionevole limitazione del diritto di elettorato attivo e passivo, e con gli artt. 2, 3, 18 e 118 Cost., sotto il profilo dell’illegittima ed irragionevole compressione dell’ambito di autonomia riservato agli ordini circondariali forensi, e dall’altro il contrasto del D.L. n. 135 del 2018, art. 11-quinquies, con gli artt. 2, 3, 18, 48, 51 e 118 Cost., sotto il profilo del superamento dei limiti di ragionevolezza delle norme retroattive di interpretazione autentica cfr. Corte Cost., sent. n. 173 del 2019 . Per effetto di tali disposizioni, lo svolgimento di due mandati consecutivi di componente del consiglio dell’ordine degli avvocati, anche per una parte soltanto di ciascun quadriennio ma per un periodo non inferiore ad un biennio comporta pertanto l’ineleggibilità alla medesima carica per un ulteriore quadriennio, ancorché il duplice mandato sia stato in parte espletato in epoca anteriore all’entrata in vigore della L. n. 113 del 2017 ne consegue, in riferimento alla fattispecie in esame, che, ove dovesse conferirsi rilievo, ai fini dell’operatività del divieto in esame, sia al mandato espletato presso il Consiglio dell’Ordine di Montepulciano nel quadriennio 2011/2014 che a quello espletato presso il Consiglio dell’Ordine di Siena nel quadriennio 2015/2018, dovrebbe escludersi la facoltà dell’Avv. B. di partecipare alla competizione elettorale per la medesima carica relativamente al quadriennio 2019/2022, avendo egli già svolto due mandati consecutivi, e non essendo trascorso un quadriennio dalla cessazione dell’ultimo. Ad opposte conclusioni dovrebbe invece pervenirsi qualora, conformemente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata, si ritenesse che, in quanto espletato presso un Consiglio dell’Ordine diverso da quello per il quale il professionista ha da ultimo concorso, il mandato di componente del Consiglio dell’Ordine di Montepulciano non possa essere computato ai fini dell’ineleggibilità alla carica di componente del Consiglio dell’Ordine di Siena, nonostante l’assorbimento da parte di quest’ultimo degli avvocati già iscritti nello albo del primo. Orbene, non può condividersi la tesi sostenuta dai ricorrenti, secondo cui la soppressione del Consiglio dell’Ordine di Montepulciano e l’accorpamento della relativa circoscrizione territoriale a quella del Consiglio dell’Ordine di Siena, avendo comportato il trasferimento in favore di quest’ultimo delle funzioni e dell’organizzazione del primo, con la conseguente successione a titolo universale nei relativi rapporti giuridici, escluderebbero la possibilità di distinguere tra i due enti, anche ai fini dell’imputabilità del mandato elettivo espletato presso ciascuno di essi. In quanto concernente l’individuazione delle condizioni per l’accesso alla carica di componente del consiglio dell’ordine, e quindi la disciplina dell’elettorato passivo, che prescinde dal rapporto giuridico instauratosi tra il candidato e l’ente a seguito della precedente assunzione della carica di consigliere, avendo piuttosto riguardo al fatto storico costituito dal pregresso esercizio delle medesime funzioni, quale elemento potenzialmente idoneo a condizionare la regolarità sostanziale della nuova competizione elettorale, il divieto posto dalla L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, secondo periodo, non ha alcuna attinenza con la problematica relativa all’individuazione della sorte spettante ai rapporti giuridici dell’ente, in caso di soppressione dello stesso e di trasferimento delle relative funzioni ad altro ente pubblico. Non può ritenersi dunque pertinente il richiamo dei ricorrenti al principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in tema di soppressione degli enti pubblici, secondo cui la successione nei rapporti giuridici degli stessi si attua in modo diverso a seconda che la legge o l’atto amministrativo che hanno disposto la soppressione abbiano previsto il permanere delle finalità dell’ente soppresso ed il loro trasferimento ad altro ente, unitamente al passaggio sia pure parziale delle strutture e del complesso delle posizioni giuridiche già facenti capo al primo ente, ovvero abbiano disposto la soppressione previa liquidazione , nel senso che nel primo caso la successione si attua in universum ius, con la conseguenza che tutti i rapporti giuridici che facevano capo all’ente soppresso passano all’ente subentrante, mentre nel secondo caso, difettando la contemplazione del permanere degli scopi dell’ente soppresso, la successione ha luogo a titolo particolare, limitata ai soli beni che residuino alla procedura di liquidazione, con la conseguenza che l’ente liquidatore non si sostituisce nella titolarità della sfera giuridica originaria dell’ente estinto cfr. Cass., Sez. lav., 27/04/2016, n. 8377 Cass., Sez. III, 18/01/2002, n. 535 Cass., Sez. I, 13/10/1983, n. 5971 . Indipendentemente dalla difficoltà di inquadrare il mandato elettivo nella specie venuto peraltro a scadenza prima ancora della soppressione del Consiglio dell’Ordine di Montepulciano o contestualmente ad essa tra le situazioni giuridiche soggettive trasmissibili, sia dal lato attivo che da quello passivo, risulta decisiva, in contrario, la considerazione che la questione relativa all’ammissibilità di un terzo mandato consecutivo si sarebbe posta ugualmente, anche nel caso in cui il legislatore avesse disciplinato espressamente la sorte dei rapporti giuridici già facenti capo ai consigli degli ordini soppressi, disponendone la liquidazione, anziché il trasferimento in favore dei consigli degli ordini subentrati nelle relative funzioni. L’ineleggibilità prevista dalla L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, secondo periodo, non trova infatti giustificazione nel rapporto costituitosi tra il candidato ed il consiglio dell’ordine in conseguenza della pregressa assunzione della carica di consigliere, bensì nel legame instauratosi tra lo stesso e il corpo elettorale o una parte di esso per effetto dello svolgimento delle relative funzioni, la cui intensificazione, nel caso in cui il medesimo soggetto sia rieletto più volte alla stessa carica, può incidere non solo sulla posizione di uguaglianza dei candidati, alterando la regolarità della competizione elettorale, ma anche sulla correttezza e l’imparzialità nell’esercizio delle predette funzioni. Nell’affermare l’applicabilità della norma in esame anche all’ipotesi in cui il doppio mandato consecutivo sia stato espletato in tutto in parte prima della sua entrata in vigore, queste Sezioni Unite hanno chiarito che la finalità dalla stessa perseguita, al pari di quella di analoghe disposizioni vigenti per l’elezione degli organi rappresentativi di altri ordini professionali, consiste nell’assicurare la più ampia partecipazione degli iscritti all’esercizio delle funzioni di governo degli ordini, favorendone l’avvicendamento nell’accesso agli organi di vertice, in modo tale da garantire la par condicio tra i candidati, suscettibile di alterazione per effetto di rendite di posizione, nonché di evitare fenomeni di sclerotizzazione nelle relative compagini, potenzialmente nocivi per un corretto svolgimento delle funzioni di rappresentanza degli interessi degli iscritti e di vigilanza sul rispetto da parte degli stessi delle norme che disciplinano l’esercizio della professione, nonché sull’osservanza delle regole deontologiche cfr. Cass., Sez. Un., 19/12/2018, n. 32781 . In termini non diversi si è espressa la Corte costituzionale, la quale, nel dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, secondo periodo, ha affermato che la finalità dallo stesso perseguita consiste essenzialmente nella valorizzazione delle condizioni di eguaglianza che l’art. 51 Cost., pone alla base dell’accesso alle cariche elettive, uguaglianza che, nella sua accezione sostanziale, sarebbe evidentemente compromessa da una competizione che possa essere influenzata da coloro che ricoprono da due o più mandati consecutivi la carica per la quale si concorre e che abbiano così potuto consolidare un forte legame con una parte dell’elettorato, connotato da tratti peculiari di prossimità . È stato inoltre osservato che il divieto del terzo mandato consecutivo per un verso favorisce il fisiologico ricambio all’interno dell’organo elettivo, immettendo forze fresche nel meccanismo rappresentativo nella prospettiva di assicurare l’ampliamento e la maggiore fluidità dell’elettorato passivo , e per altro verso blocca l’emersione di forme di cristallizzazione della rappresentanza, in linea con il principio del buon andamento dell’amministrazione, anche nelle sue declinazioni di imparzialità e trasparenza, riferito agli ordini forensi, e a tutela altresì di valori di autorevolezza di una professione oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore, in ragione della sua diretta inerenza all’amministrazione della giustizia e al diritto di difesa cfr. Corte Cost., sent. n. 173 del 2019 . Se questa è la ratio della norma in esame, allora deve condividersi la sentenza impugnata, nella parte in cui, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza delle condizioni per l’operatività del divieto, non ha fatto alcun cenno al subingresso del Consiglio dell’Ordine di Siena nelle funzioni già spettanti a quello di Montepulciano ed al trasferimento della struttura organizzativa di quest’ultimo, ma ha tenuto conto esclusivamente del rapporto tra i corpi elettorali dei due Consigli, unificatisi a seguito della soppressione del Tribunale di Montepulciano e dell’accorpamento del suo circondario a quello del Tribunale di Siena. Il problema da risolvere non consisteva infatti nello stabilire se, per effetto della successione nei rapporti giuridici già facenti capo al Consiglio dell’Ordine di Montepulciano, il mandato di consigliere presso lo stesso espletato fosse imputabile al Consiglio dell’Ordine di Siena, in qualità di avente causa, ma se, a seguito dell’unificazione dei due corpi elettorali, il legame precedentemente instaurato con quello di Montepulciano per effetto dello svolgimento delle funzioni di consigliere presso il relativo Consiglio potesse influenzare l’esito delle elezioni per il rinnovo del Consiglio ad esso subentrato, favorendo un candidato a danno degli altri. Non meritano consenso, tuttavia, le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, la quale, richiamando l’orientamento del CNF e la giurisprudenza amministrativa in tema di rieleggibilità dei sindaci in caso di fusione tra comuni, si è soffermata esclusivamente sul dato formale costituito dalla nascita di un nuovo bacino elettorale, diverso da quello di entrambi i preesistenti Consigli, evidenziando il maggior numero degli aventi diritto all’elettorato attivo e la maggiore ampiezza del territorio di competenza, nonché il maggior numero di componenti da eleggere, ed ha pertanto escluso l’applicabilità del divieto al professionista che, come nel caso in esame, intenda candidarsi per un consiglio dell’ordine diverso da quello di cui abbia fatto precedentemente parte. La mera circostanza che l’accorpamento di un consiglio dell’ordine all’altro determini un allargamento del territorio di competenza di quest’ultimo ed un ampliamento del relativo corpo elettorale non risulta di per sé sufficiente a recidere il legame eventualmente instauratosi tra il candidato che sia stato precedentemente componente del consiglio soppresso ed i relativi elettori, che entrano pur sempre a far parte del nuovo bacino elettorale, quantitativamente diverso da quelli di entrambi i consigli, ma risultante dalla sommatoria degli stessi. Non può dunque escludersi la possibilità di un’alterazione nella posizione di uguaglianza dei partecipanti alla competizione elettorale, nè quella di un condizionamento nel futuro esercizio delle funzioni di consigliere, la cui portata non può essere certamente sminuita, come vorrebbe il controricorrente, in virtù del mero rapporto proporzionale nella specie, uno a cinque tra il numero degl’iscritti negli albi dei due Consigli, trattandosi di un dato meramente casuale, la cui considerazione risulta incompatibile con le esigenze di certezza cui deve rispondere l’applicazione delle norme che disciplinano il diritto di elettorato. L’incidenza del predetto legame e le conseguenze che ne possono scaturire sotto entrambi i predetti profili appaiono tanto più evidenti se si considera che, ove si escluda l’applicabilità del divieto in questione, gli avvocati già iscritti nell’albo del consiglio soppresso potrebbero essere eletti per due volte nel consiglio dell’ordine di nuova iscrizione, anche nel caso in cui avessero già espletato due mandati presso quello di provenienza, in tal modo venendo ad esercitare le relative funzioni per quattro mandati consecutivi, e ciò in palese contrasto con le esigenze di ampliamento della partecipazione alla funzione di governo e di ricambio nella compagine dei consigli che la norma mira a soddisfare. Tali inconvenienti risulterebbero poi ulteriormente accresciuti laddove, in coerenza con l’affermata novità del bacino elettorale, ed anche al fine di assicurare la parità di trattamento con gli altri candidati, dovesse ritenersi che, a seguito della fusione, il limite del doppio mandato consecutivo non possa trovare applicazione neppure agli avvocati già iscritti nell’albo del consiglio subentrato nelle funzioni di quello soppresso, in tal modo determinandosi proprio quella cristallizzazione della rappresentanza che il legislatore ha inteso evitare. L’unica interpretazione della L. n. 113 del 2017, art. 3, comma 3, secondo periodo, coerente con le finalità perseguite dal legislatore risulta pertanto quella secondo cui il divieto dalla stessa previsto opera anche in caso di soppressione di un consiglio dell’ordine e di trasmigrazione dei relativi iscritti nell’albo di un altro consiglio, precludendo quindi al professionista che abbia già svolto le funzioni di componente presso il consiglio dell’ordine di provenienza per il periodo previsto dalla legge la candidatura alle elezioni per il rinnovo del consiglio dell’ordine di nuova iscrizione. Nessun rilievo può assumere, in contrario, la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 18 agosto 2000, n. 267, in tema di rieleggibilità alla carica di sindaco, il cui richiamo è stato ritenuto inappropriato sia dalla giurisprudenza di legittimità che da quella costituzionale, in ragione delle profonde differenze riscontrabili tra gli enti territoriali ed i consigli degli ordini professionali, aventi natura di enti pubblici a carattere associativo cfr. per tutte, Cass., Sez. Un. 19/12/2018, n. 32781, cit., Corte Cost., sent. n. 173 del 2019, cit. in relazione all’ineleggibilità prevista dall’art. 51 del predetto decreto, d’altronde, questa Corte, nel precisare che il divieto opera soltanto qualora la carica di sindaco sia stata precedentemente ricoperta nei confronti della medesima popolazione e del medesimo territorio comunale, si è limitata a prendere in esame l’ipotesi in cui la candidatura venga presentata in un Comune del tutto diverso da quello in cui l’interessato abbia svolto le funzioni di sindaco per due mandati consecutivi, senza fare alcun cenno al caso della fusione tra Comuni cfr. Cass., Sez. I, 29/03/2013, n. 7949 , in ordine alla quale non si rinvengono precedenti neppure nella giurisprudenza amministrativa. Non può infine condividersi l’affermazione secondo cui l’applicazione del divieto in esame all’ipotesi di soppressione del consiglio dell’ordine si porrebbe in contrasto con il carattere eccezionale delle norme che prevedono cause d’ineleggibilità, non suscettibili d’interpretazione estensiva o analogica, in quanto aventi portata limitativa del diritto di elettorato passivo nella specie, infatti, come in altri analoghi casi, non si tratta di estendere in via interpretativa l’ambito applicativo della causa d’ineleggibilità ad un caso apparentemente non riconducibile alla norma che la prevede o addirittura estraneo alla portata semantica della stessa, benché caratterizzato da un’identità di ratio, ma solo di verificarne la compatibilità con le caratteristiche specifiche della fattispecie esaminata, mediante il ricorso agli ordinari criteri ermeneutici, tra i quali la ricerca dell’intenzione del legislatore si pone, in caso di equivocità del testo da interpretare, come strumento sussidiario, utilizzabile in via integrativa ove la ricostruzione del senso letterale delle parole non consenta di sciogliere ogni ambiguità, e destinato ad assumere un rilievo prevalente soltanto in via eccezionale, quando l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione appaia incompatibile con il sistema normativo cfr. Cass., Sez. Un., 19/12/2018, n. 32781 Cass., Sez. I, 21/05/2018, n. 12461 Cass., Sez. III, 21/05/2004, n. 9700 . 6. Il terzo motivo di ricorso va pertanto rigettato, mentre il quarto va accolto, e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata, con il rinvio della causa al CNF, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. dato atto della rinuncia al primo motivo di ricorso, rigetta il secondo ed il terzo motivo, accoglie il quarto, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia al Consiglio Nazionale Forense, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.