Persa la causa per negligenze ininfluenti dell’avvocato? Il compenso va comunque pagato

Non può essere applicata l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. per negare il pagamento del compenso all’avvocato che sia incorso in negligenza professionale, se il cliente non dimostri che la condotta sia stata causativa del danno subito non potendosi avvalere, perché contrario a buona fede, dell’esercizio di poteri di autotutela.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25464/20, depositata il 12 novembre. Una società si avvaleva in giudizio del patrocinio di un avvocato per ottenere un indennizzo a seguito di un furto subito nel proprio esercizio commerciale. La causa in primo grado veniva persa giacché l’avvocato produceva in ritardo la prova necessaria all’accoglimento della domanda nei confronti della compagnia assicurativa convenuta. La società, a fronte delle ragioni della soccombenza, evocava in giudizio l’avvocato imputandogli negligenza professionale per l’attività difensiva malamente svolta, onde, per l’effetto, ottenere la condanna al pagamento in proprio favore dei danni patiti e la pronuncia di nulla dovergli versare a titolo di compenso. Il Tribunale rigettava la domanda attorea. La società ricorreva in appello. Il giudice di seconde cure riformava in parte qua la sentenza gravata, dichiarando che la società nulla doveva all’avvocato per il compenso professionale, condannando, al contempo, quest’ultimo alla rifusione degli esborsi sostenuti e al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio. Per la Corte d’Appello la negligenza professionale era sussistente in ragione del fatto che l’avvocato aveva omesso di formulare i capitoli di prova in relazione alle specifiche modalità del furto subito, omissione, questa, che integrava sicuramente una attività difensiva carente. Tuttavia, con specifico riferimento alla quantità e al valore dei beni oggetto di furto, nulla era stato possibile provare, atteso che neanche nel corso del giudizio di gravame la società aveva capitolato specifiche circostanze idonee a provare in punto di quantum il danno lamentato. Nonostante ciò la Corte d’Appello aveva ritenuto meritevole di accoglimento la domanda di accertamento negativo del credito professionale e la condanna alla rifusione dei soli costi sostenuti in dipendenza del rigetto della domanda nei confronti della compagnia di assicurazione. Ricorre per cassazione l’avvocato. Il ricorso in cassazione è affidato a tre motivi a Violazione degli artt. 2236 c.c., 1176, co. 2 c.c., e2697 c.c. giacché la Corte d’Appello ha ritenuto integrata la responsabilità professionale anche senza la prova che vi fosse un nesso di causalità tra il comportamento professionale omissivo ed il rigetto della domanda nei confronti della compagnia assicurativa b Violazione degli artt. 2229 c.c. e 2233, co. 1, c.c., per avere la Corte d’Appello ritenuto inesistente il diritto del professionista a ricevere il proprio compenso, pur avendo escluso l’esistenza di una negligenza tale da arrecare il danno lamentato dalla società c Violazione degli artt. 91 c.p.c. e 92 c.p.c. per avere la Corte d’Appello condannato il professionista al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio pur in accoglimento di una minima parte della domanda e dunque in presenza di una sostanziale soccombenza reciproca. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso dell’avvocato . Gli Ermellini ribadiscono, una volta ancora, che l’ eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. può essere opposta dal cliente per non pagare il compenso all’avvocato, solo se la responsabilità professionale di quest’ultimo abbia inciso causa-effetto sull’esito negativo del giudizio intrapreso. Questo perché l’avvocato non può garantire l’esito favorevole del giudizio al contempo il cliente non può esercitare il potere di autotutela per negare d’emblée all’avvocato il versamento dell’onorario. Il cliente, in altri termini, deve provare, secondo il criterio probabilistico, che quel comportamento negligente dell’avvocato abbia pregiudicato irrimediabilmente le possibilità di vittoria nel giudizio intrapreso. In conclusione. Dalla sentenza commentata possiamo sicuramente trarre l’insegnamento che il compenso all’avvocato è dovuto dal cliente, eccezion fatta per tutte le volte in cui quest’ultimo riesca a dimostrare che quella condotta professionale es. omissioni, carenze, dimenticante, ecc. abbia inciso in concreto e secondo il principio del più probabile che non” sul vittorioso esito della causa. Viceversa lo strumento dell’eccezione di inadempimento è destinato a permanere nel limbo del giuridicamente irrilevante. Nel caso di specie, la società nulla è riuscita a dimostrare in ordine al concreto danno subito, neppure in appello e da qui l’applicazione dell’art. 1460 c.c. è risultata per il giudice di nomofilachia impropriamente applicata.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 1 ottobre – 12 novembre 2020, n. 25464 Presidente Scoditti – Relatore Cirillo Fatti di causa 1. La S.N. e soci s.n.c. si avvalse del patrocinio dell’avv. F.R. in un giudizio volto ad ottenere il riconoscimento, nei confronti della propria società di assicurazione, dell’indennizzo derivante da un furto subito nel proprio esercizio commerciale. La domanda fu respinta sul rilievo che la prova necessaria al suo accoglimento era stata dal difensore tardivamente prodotta e che il richiamo al contratto di assicurazione avrebbe dovuto essere compiuto con la memoria di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, trattandosi di una precisazione della domanda. A seguito dell’esito negativo di tale causa, la società S.N. e soci s.n.c. convenne in giudizio l’avv. F.R. , davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità professionale per le manchevolezze a lui riconducibili nello svolgimento dell’attività difensiva, nonché per ottenere il riconoscimento di nulla dovere versare al professionista per l’attività svolta. Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale rigettò la domanda. 2. La pronuncia è stata impugnata dalla società soccombente e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 20 aprile 2018, in parziale riforma di quella di primo grado, ha dichiarato che la società appellante nulla doveva all’avv. F. a titolo di onorari professionali ed ha condannato il professionista alla rifusione della somma di Euro 2.598,40 a titolo di esborsi sostenuti, nonché al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio. Ha osservato la Corte territoriale che l’appello era fondato nella parte in cui aveva imputato al difensore l’omessa formulazione dei capitoli di prova in relazione alle specifiche modalità del furto, omissione che integrava gli estremi della negligenza professionale. In relazione, però, alla quantità ed al valore della merce rubata, pur avendo omesso l’avv. F. di chiedere una prova specifica, la società S.N. neppure nel giudizio di appello aveva capitolato apposite circostanze o depositato documenti atti a supportare il lamentato danno . Ciò nonostante, meritava accoglimento il motivo di appello relativo all’accertamento negativo del credito professionale ed agli esborsi sostenuti in dipendenza del rigetto della domanda proposta contro la società di assicurazione, somma quest’ultima da ritenere dovuta in quanto collegata all’accertato inadempimento professionale. 3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre l’avv. F.R. con atto affidato a tre motivi. La società S.N. e soci non ha svolto attività difensiva in questa sede. Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., e non sono state depositate memorie. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 , violazione dell’art. 2236 c.c. e dell’art. 1176 c.c., comma 2, nonché dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente la responsabilità professionale nonostante non vi fosse un nesso di causalità tra il comportamento omissivo del professionista ed il rigetto della domanda contro la società di assicurazione. 2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , violazione dell’art. 2229 c.c. e dell’art. 2233 c.c., comma 1, per avere la sentenza ritenuto inesistente il diritto del professionista al pagamento del compenso professionale, pur avendo escluso l’esistenza di una negligenza tale da causare il danno lamentato. 3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 , violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la Corte di merito condannato l’avv. F. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio pur in presenza di un accoglimento molto limitato della domanda e, quindi, di una sostanziale reciproca soccombenza. 4. Il primo ed il secondo motivo, benché tra loro diversi, possono essere trattati congiuntamente, e sono entrambi fondati. La sentenza impugnata, pur avendo evidenziato alcune negligenze professionali imputabili all’avv. F. nella causa nella quale egli aveva assistito la società S.N. , ha poi rigettato la domanda risarcitoria avanzata da quest’ultima, limitandosi a riconoscere soltanto l’insussistenza del diritto al compenso professionale. Costituisce acquisizione pacifica nella giurisprudenza di questa Corte, alla quale l’odierna pronuncia intende dare continuità, il principio per cui l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere opposta dal cliente all’avvocato che abbia violato l’obbligo di diligenza professionale, purché la negligenza sia idonea a incidere sugli interessi del primo, non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole del giudizio ed essendo contrario a buona fede l’esercizio del potere di autotutela ove la negligenza nell’attività difensiva, secondo un giudizio probabilistico, non abbia pregiudicato le possibilità di vittoria v. le sentenze 5 luglio 2012, n. 11304, 15 dicembre 2016, n. 25894, e 22 marzo 2017, n. 7309 . Ancora più di recente, poi, si è ribadito che nell’ipotesi in cui un’azione giudiziale svolta nell’interesse del cliente non abbia potuto conseguire alcun risultato utile, anche a causa della negligenza o di omissioni del professionista, non è solo per questo ravvisabile un’automatica perdita del diritto al compenso da parte del professionista, ove non sia dimostrata la sussistenza di una condotta negligente causativa di un effettivo danno, corrispondente al mancato riconoscimento di una pretesa con tutta probabilità fondata ordinanza 21 giugno 2018, n. 16342 . La Corte d’appello non ha fatto buon governo di tali principi perché, mentre da un lato ha riconosciuto la sostanziale irrilevanza delle negligenze imputate all’avv. F. - sul rilievo che la società appellata non aveva in alcun modo precisato, neppure in appello, quale fosse l’entità del danno realmente subito - ha poi, contraddittoriamente, negato il diritto del professionista al compenso condannando per di più il medesimo alla rifusione della somma di Euro 2.598,40 probabilmente pari alla condanna alle spese subita dalla società S.N. nel giudizio patrocinato dall’avv. F. . Ne consegue che, data l’ininfluenza delle negligenze, la Corte di merito avrebbe dovuto indagare in modo chiaro e preciso sulle ragioni per le quali ha negato il diritto al compenso professionale, apparendo l’eccezione di inadempimento impropriamente applicata. 2. Il terzo motivo rimane assorbito. 3. In conclusione, sono accolti il primo ed il secondo motivo, con assorbimento del terzo. La sentenza impugnata è cassata e il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, affinché riesamini la questione alla luce delle indicazioni contenute nella presente pronuncia. Al giudice di rinvio è demandato anche il compito di liquidare le spese dell’odierno giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, con assorbimento del terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione personale, anche per le spese del presente giudizio di cassazione.