Insinuazione al passivo di professionisti associati: la legittimazione spetta ai singoli professionisti

I professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività non trasferiscono per ciò solo all'associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d'opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente, sicché non sussiste una legittimazione alternativa del professionista e dello studio professionale. Rimane salva, peraltro, la possibilità di una diversa conclusione da parte del giudice all’esito dell’esame dello statuto dell’associazione, onde stabilire, da tale accertamento, la legittimazione dell’associazione in luogo dei singoli professionisti.

Con l’ordinanza n. 23489/20, depositata il 27 ottobre, il S.C. affronta il tema del rapporto – per quanto attiene alla legittimazione alla proposizione dell’ insinuazione in sede fallimentare – tra singoli professionisti ed associazione professionale, qualora quest’ultima sia composta dai medesimi professionisti che hanno svolto le prestazioni oggetto di rivendicazioni. Il caso. Uno studio professionale proponeva ricorso avverso il provvedimento del giudice delegato che respingeva la richiesta di ammissione allo stato passivo per dei crediti maturati in capo ai propri associati per prestazioni professionali . Alla base del rigetto, l’assenza di prova in ordine alla legittimazione dell’associazione professionale in luogo dei singoli professionisti. L’associazione, per contro, sosteneva, innanzi al Tribunale e, successivamente, davanti alla Cassazione, la piena legittimazione dell’associazione in virtù degli accordi tra gli associati e consacrati nello statuto. Statuto che però viene tardivamente depositato – oltre i termini di cui all’art. 99 l. fall. – e che quindi non viene esaminato dal giudicante nei diversi gradi di giudizio. Il S.C. conferma il rigetto della domanda, sostenendo che, in assenza di evidenze documentali, non vi era prova della legittimazione dell’associazione in luogo dei singoli professionisti. Opposizione allo stato passivo quando produrre i documenti. Uno dei temi oggetto del ricorso in Cassazione riguardava la tempestività dei documenti depositati e, nello specifico, lo statuto dell’associazione professionale, depositato nei giorni a seguire del ricorso. Sul punto, secondo l’art. 99 l. fall., il ricorrente si costituisce in giudizio con il deposito del ricorso e del fascicolo di parte, contenente i documenti posti a fondamento della domanda. Alla stregua dei principi generali dei procedimenti che iniziano con ricorso, quest'ultimo ed il fascicolo di parte contenente i documenti prodotti devono essere depositati contestualmente , stante il disposto dell'art. 99, comma 2, n. 4, l.fall., sicché, ove la costituzione avvenga mediante l'invio di un messaggio di posta elettronica certificata eccedente la dimensione massima stabilita nelle relative specifiche tecniche, il deposito degli atti o dei documenti può avvenire mediante gli invii di più messaggi , purché gli stessi siano coevi - cioè strettamente consecutivi - al deposito del ricorso ed eseguiti entro la fine del giorno di scadenza. Insinuazione allo stato passivo e legittimazione. La questione della tardività della produzione documentale si collega strettamente al tema della legittimazione posto che attraverso la documentazione – ritenuta tardiva – l’associazione professionale avrebbe voluto dimostrare la propria legittimazione. In termini generali, va premesso che la proposizione della domanda d'ammissione allo stato passivo da parte dello studio professionale, in quanto pone, secondo consolidato orientamento, una mera presunzione d'esclusione della personalità del rapporto professionale, resta superata e vinta proprio in presenza di documentazione che consenta d'individuare i compensi riferiti alle prestazioni direttamente e personalmente svolte dal singolo associato allo studio, e, in simile evenienza, non può precludere di per sé il riconoscimento della prelazione a quel singolo personale credito. Insinuazione e privilegio. Pacifico, al tempo stesso, è il fatto che il credito, che costituisce in via prevalente la remunerazione di una prestazione lavorativa resa personalmente da un professionista, è tutelato dall'art. 2751- bis c.c., indipendentemente dal fatto che il prestatore abbia inteso organizzare il proprio lavoro in forma associativa e che il privilegio del credito sia fatto valere dallo studio associato, eventuale cessionario del credito stesso. Quale rapporto tra associazione e singoli professionisti. Le circostanze poc’anzi riferite non suscitano perplessità, mentre ben più complesso è il rapporto – come anche nel caso di specie – tra i singoli professionisti e l’associazione dagli stessi composta. In termini generali, l'art. 36 c.c. stabilisce che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati , che ben possono attribuire all'associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti. Legittimazione all’insinuazione del passivo i professionisti o l’associazione. Se, peraltro, il fenomeno associativo tra professionisti non può intendersi univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi, lo stesso è però idoneo – in sè - ad attribuire all'associazione la titolarità di un rapporto professionale. Ciò non toglie, peraltro, che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni possono attribuire all'associazione la legittimazione – come visto in precedenza - oltre a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati. Sicché, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato - cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici - rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico, in quanto, come visto in precedenza, il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, ordinanza 22 settembre – 27 ottobre 2020, n. 23489 Presidente Scaldaferri – Relatore Pazzi Rilevato che 1. il Giudice delegato al omissis s.r.l. non ammetteva al passivo della procedura il credito vantato dallo studio legale tributario F. D. P. per il complessivo importo di Euro 120.242,33, concernente le prestazioni professionali svolte dagli Avvocati F. , P. e S. , in mancanza dell’allegazione dell’avvenuta cessione del credito da parte di tali professionisti all’associazione istante, la quale dunque non risultava legittimata a presentare l’insinuazione 2. il Tribunale di Catania, a seguito dell’opposizione proposta, rilevava il persistere della mancata dimostrazione della legittimazione ad agire dello studio associato opponente, il cui statuto era stato prodotto senza il rispetto dei termini previsti dal combinato disposto dalla L. Fall., art. 99, comma 2, n. 4, e del D.L. n. 90 del 2014, art. 51, comma 2, lett. b , e non poteva quindi essere preso in esame l’intestazione delle fatture allo studio professionale non era poi, a giudizio del collegio di merito, prova sufficiente della titolarità del credito in capo all’associazione professionale 3. per la cassazione del decreto di rigetto dell’opposizione, depositato in data 27 settembre 2018, ha proposto ricorso lo studio legale tributario F. D. P. prospettando quattro motivi di doglianza l’intimato omissis s.r.l. non ha svolto difese parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c Considerato che 4.1 il primo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. Fall., art. 99, comma 2, in quanto il Tribunale di Catania avrebbe fornito un’interpretazione estensiva della norma ampliandone gli effetti decadenziali a ipotesi non espressamente previste dalla legge la norma infatti, in tesi di parte ricorrente, imporrebbe soltanto l’indicazione all’interno del ricorso dei documenti che l’opponente intende offrire in comunicazione, da depositare poi nel prescritto termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’esito di accertamento del passivo 4.2 il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16-bis, comma 7, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 51, comma 2 il deposito di tutti i documenti indicati nel ricorso sarebbe stato in ogni caso completato entro la scadenza del termine fissato dalla legge, giacché la norma, laddove prevede che il deposito debba intendersi come tempestivo ove eseguito entro la fine del giorno di scadenza , dovrebbe intendersi come riferita non al momento del deposito del ricorso in opposizione, ma all’epoca in cui spira il termine per proporre opposizione allo stato passivo 4.3 i motivi, da esaminarsi congiuntamente perché volti a criticare l’interpretazione delle norme al cui combinato disposto il Tribunale ha fatto ricorso, sono manifestamente infondati questa Corte ha già avuto modo di osservare Cass. 20746/2015 che, nella specificità del procedimento disciplinato dalla L. Fall., art. 99, col deposito del ricorso si attivano sia la formazione del fascicolo d’ufficio che l’iscrizione a ruolo, nonché la costituzione in giudizio, col deposito del fascicolo di parte, secondo i principi generali dei procedimenti che iniziano con ricorso i documenti di cui il ricorrente intende avvalersi devono perciò essere prodotti ed inseriti nel fascicolo di parte, da depositarsi alla costituzione, pena l’inammissibilità delle produzioni e non già dell’intera opposizione dunque, il deposito del ricorso e del fascicolo di parte contenente i documenti prodotti deve essere contestuale il che comporta che ove la costituzione avvenga mediante l’invio di un messaggio di posta elettronica certificata eccedente la dimensione massima stabilita nelle relative specifiche tecniche il deposito degli atti o dei documenti può sì avvenire mediante invii di più messaggi di posta elettronica certificata - ai sensi del D.L. 18 ottobre 2012, n. 17, art. 16 bis, comma 7, convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, come modificato dal D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 51, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114 -, a patto però che gli stessi siano coevi al deposito del ricorso ed eseguiti entro la fine del giorno di scadenza Cass. 31474/2018 per invii coevi si devono poi intendere invii strettamente consecutivi, di modo che non si presta a censure di sorta la statuizione impugnata laddove ha tenuto conto soltanto della documentazione depositata lo stesso giorno della costituzione in giudizio, escludendo invece quella trasmessa, in maniera non immediatamente successiva, a distanza di alcuni giorni 5.1 il terzo motivo di ricorso si duole, a mente dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’intervenuta violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto l’attività professionale nella quale trovava titolo il credito dedotto in giudizio era - in tesi di parte ricorrente - di per sé sufficiente ad escludere il conferimento di un mandato impersonale all’associazione e lasciava invece presumere che l’associazione professionale avesse chiesto l’ammissione quale cessionaria del credito dei singoli associati 5.2 il motivo è inammissibile 5.2.1 la doglianza in esame assume l’erroneità della valutazione presuntiva compiuta dal Tribunale in merito all’avvenuta cessione del credito, in quanto il necessario conferimento del mandato professionale a singoli professionisti, la sicura riconducibilità al patrocinio in sede giudiziale della causa del credito e il fatto che gli Avvocati F. , P. e S. non avessero presentato alcuna insinuazione per il loro compenso portavano invece a considerazioni di opposto tenore a conforto di questi argomenti la censura fa menzione di una serie di pronunce di questa Corte Cass. 8974/2016, Cass. 4486/2015, Cass. 17207/2013 e Cass. 22439/2009 in cui si è ritenuto che l’iniziativa processuale assunta da un’associazione professionale lasciasse presumere l’avvenuta cessione in suo favore del credito - si badi, già ammesso al passivo in sede di verifica - di pertinenza del professionista i casi così esaminati riguardavano però fattispecie in cui, una volta riconosciuta la legittimazione dell’associazione professionale tramite l’ammissione del credito al passivo e muovendo da questo presupposto, rimaneva da vagliare la questione attinente al riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 2 diverso è il caso in cui, come nella specie, non vi sia prova della legittimazione attiva dell’associazione a reclamare il compenso per un’attività svolta, pacificamente, in virtù di un mandato che deve necessariamente essere conferito a singoli professionisti a questo proposito questa Corte cfr. Cass. 15694/2011, Cass. 4268/2016 e Cass. 15417/2016 ha già avuto modo di chiarire che l’art. 36 c.c., - stabilendo che l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all’associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati - consente di ritenere esistente la legittimazione attiva dello studio professionale associato ove per l’appunto il giudice del merito accerti la suddetta circostanza ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d’imputazione di rapporti giuridici - rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l’incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi in un simile quadro di principi può rinvenirsi un corretto punto di equilibrio rispetto a quanto altre volte affermato circa il fatto che i professionisti, che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, non trasferiscono per ciò solo all’associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d’opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente Cass. 6994/2007, Cass. 13042/2003 occorre dunque che il giudice di merito si faccia carico di stabilire in concreto il tenore dello statuto interno dell’associazione medesima, onde consentire di desumere da questo accertamento la prova della legittimazione attiva dell’associazione 5.2.2 nel caso di specie il Tribunale, facendosi carico del compito che gli spettava, ha ritenuto che mancasse la prova della legittimazione attiva dell’associazione, ritenendo insufficiente a tal fine l’emissione delle fatture da parte dell’associazione professionale un simile accertamento non si presta a censure in questa sede spetta infatti al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico, verificare la loro rispondenza ai requisiti di legge e apprezzare in concreto l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente ma anche nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità risulta così inammissibile in questa sede una censura che oltre a valorizzare circostanze di cui non vi è menzione all’interno del provvedimento impugnato, quale l’assenza di insinuazione degli Avvocati F. , P. e S. proponga una diversa lettura degli elementi presi in esame dal giudice del merito al fine di valutarne la pregnanza in termini di prova presuntiva e lamenti la mancata espressa inclusione nel novero degli elementi valutati di talune circostanze, in quanto l’individuazione degli elementi rilevanti a tal fine e l’apprezzamento della loro gravità, precisione e concordanza è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, a cui il disposto dell’art. 116 c.p.c., attribuisce il compito di valutare le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, non rivedibile in questa sede Cass. 8023/2009, Cass. 10847/2007, Cass. 1404/2001 6. rimane assorbito, in senso improprio, il quarto motivo di ricorso con cui il ricorrente si duole della violazione dell’art. 2751 bis c.c., n. 2, dato che l’avvenuta esclusione del credito avrebbe precluso il riconoscimento del privilegio previsto per le retribuzioni dei professionisti , giacché la riconosciuta mancanza di legittimazione all’insinuazione esclude la necessità di provvedere sulla collocazione privilegiata del credito non ammesso 6. per tutto quanto sopra esposto il ricorso va pertanto respinto la mancata costituzione in questa sede della procedura fallimentare intimata esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.