La delibera comunale immediatamente esecutiva non può costituire vincolo negoziale con l’avvocato

Il requisito della forma scritta previsto a pena di nullità, quale strumento di garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, al fine di prevenire eventuali arbitri e consentire l’esercizio della funzione di controllo, non può essere surrogato dalla deliberazione con cui l’orano competente a formare la volontà dell’ente abbia autorizzato il conferimento dell’incarico professionale.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 22652/20 depositata il 19 ottobre. L’ avvocato proponeva ricorso ex art. 14 d.lgs. n. 150/2011 per ottenere la liquidazione dei compensi per l’attività di difesa svolta in favore del Comune nel procedimento avente ad oggetto il risarcimento dei danni provocati dalla fuoriuscita di liquami dalle condotte fognarie. Avverso l’ordinanza con cui il Tribunale accoglieva la domanda del difensore e respingeva le riconvenzionali, il Comune propone ricorso per cassazione pretendendo erroneamente, a parere della stessa Corte, di far coincidere il perfezionamento del contratto di incarico professionale con l’ adozione della delibera di giunta , in quanto immediatamente esecutiva. Posto il vincolo di forma ad substantiam che caratterizza i negozi con la Pubblica Amministrazione , la Cassazione afferma che il contratto di incarico professionale poteva considerarsi validamente concluso solo con lo scambio contestuale di proposta ed accettazione scritte che, nel caso di specie, è coinciso con il rilascio della procura e la sottoscrizione degli atti difensivi. Per contro, la delibera di giunta sostanziava un mero atto interno dell’Amministrazione comunale , a nulla rilevando la sua immediata esecutività e il fatto che fosse stata portata a conoscenza del difensore, quali evenienze impossibilitate a soddisfare i requisiti formali imposti dalla legge. A tal proposito la Cassazione ribadisce il principio giurisprudenziale secondo cui il requisito della forma prescritto a pena di nullità, quale strumento di garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione , al fine di prevenire eventuali arbitri e consentire l’esercizio della funzione di controllo, non può essere surrogato dalla deliberazione con cui l’orano competente a formare la volontà dell’ente abbia autorizzato il conferimento dell’incarico professionale , non essendo tale atto qualificabile come una proposta contrattuale suscettibile di accettazione anche per fatti concludenti , ma come provvedimento ad efficacia interna, avente quale unico destinatario l’organo legittimato a manifestare all’esterno la volontà dell’ente . Pertanto, la Suprema Corte conclude che l’immediata esecutività della delibera consentiva al Comune di procedere alla sola stipulazione anticipata del contratto ma non anche alla costituzione immediata del vincolo negoziale. Inoltre, concludono i Giudici, circa i requisiti di regolarità contabile del rapporto , la delibera dell’ente territoriale, che autorizzi il proprio rappresentante a stare in giudizio, non necessita dell’indicazione della spesa e dei mezzi per farvi fronte . Tali requisiti, infatti, non operano rispetto ai provvedimenti riguardanti la partecipazione alle controversie giudiziarie, sia per l’incerta incidenza del relativo onere economico, condizionato dalla soccombenza, sia per preventivo inserimento nel bilancio dell’ente di una voce generale inerente alle spese di lite .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 2 luglio – 19 ottobre 2020, n. 22652 Presidente Manna – Relatore Fortunato Fatti di causa L’avv. D.L.G. ha proposto ricorso D.Lgs. n. 150 del 2011, ex art. 14, per ottenere la liquidazione dei compensi per l’attività di difesa svolta in favore del Comune di Taurasi nel procedimento n. 1285/2011, definito con sentenza del tribunale di Benevento n. 7/2017. Ha esposto di aver ricevuto l’incarico con Delib. Giunta Comunale 16 febbraio 2012, n. 30 che il patrocinio era stato svolto nel giudizio promosso da F.E.M. e G.C. , avente ad oggetto il ristoro dei danni provocati dalla fuoriuscita di liquami dalle condotte fognarie che la causa si era conclusa con la condanna del Comune al risarcimento di Euro 31176,11, oltre accessori che, con note del 24.1.2017 e del 8.2.2017, il resistente aveva proposto di impugnare la sentenza ma che l’amministrazione aveva deciso di prestare acquiescenza alla pronuncia ed aveva poi respinto la richiesta di pagamento del compenso calcolato nei minimi tabellari, deducendo di aver stanziato in bilancio la minor somma di Euro 1851,30. Ha chiesto la condanna del Comune di Taurasi al pagamento di Euro 3117,11, oltre accessori e spese di lite. Si è costituita l’Amministrazione comunale, resistendo alla domanda e instando - in via riconvenzionale - per far accertare che il difensore aveva diritto al solo importo indicato nella Delib. di incarico, pari ad Euro 1500,00 oltre accessori, e per ottenerne la condanna al risarcimento del danno per responsabilità professionale, sostenendo che il resistente aveva negligentemente svolto il patrocinio, determinando l’esito sfavorevole della lite. Ha eccepito la compensazione tra la somma di Euro 3907,42 richiesta con il ricorso introduttivo o tra l’importo di Euro 1500,00 previsto della Delib. di incarico e la maggior somma di Euro 10256,19 corrisposta a titolo risarcitorio in favore di F.E.M. e G.C. , a causa della tardiva o mancata proposizione dell’eccezione di prescrizione parziale del credito, oggetto del giudizio R.G. 1285/2011. All’esito, il Tribunale di Benevento ha accolto la domanda del difensore ed ha respinto le riconvenzionali. Secondo il giudice di merito, il rapporto professionale era stato costituto - nel rispetto della forma scritta ad substantiam - solo con la sottoscrizione degli atti difensivi ed il rilascio della procura, non essendo stata precedentemente perfezionata alcuna convenzione con cui le parti avessero limitato il compenso all’importo indicato nella Delib. di incarico. Ha escluso la responsabilità del difensore per l’esito sfavorevole della lite, osservando che la sentenza n. 7/2017 nulla aveva statuito sull’eventuale tardività dell’eccezione di prescrizione sollevata dal difensore e che, comunque, la citazione introduttiva del giudizio era stata notificata in data 16.12.2011, mentre l’incarico era stato conferito con Delib. 12 marzo 2012 immediatamente esecutiva e pubblicata nell’albo pretorio il 12.3.2012 , solo 14 giorni prima della udienza fissata per il 26.3.2012, sostenendo che - pertanto l’intempestiva costituzione in giudizio era addebitabile all’ente . Ha liquidato in favore dell’avv. D.L. Euro 3.972,00 per compenso ed Euro 16,50 per esborsi, nonché Euro 9023,00 oltre accessori, a titolo di spese processuali, ponendo a carico del Comune l’importo di Euro 4.500,00 per responsabilità processuale aggravata ex art. 96 c.p.c., comma 3, osservando che l’amministrazione aveva infondatamente contestato al difensore di non aver proposto tempestivamente l’eccezione di prescrizione del credito, dato che il mandato difensivo era stato conferito quando erano ormai scaduti i termini per la costituzione tempestiva, come emergeva dalla documentazione di cui il Comune aveva avuto piena disponibilità. Per la cassazione dell’ordinanza il Comune di Taurasi ha proposto ricorso in cinque motivi, illustrati con memoria. L’avv. D.L.G. ha depositato controricorso. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 134, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver il tribunale omesso di considerare che la Delib. di incarico era immediatamente esecutiva e quindi efficace sin dal 16.2.2012 - a prescindere dalla successiva pubblicazione nell’albo pretorio, avvenuta in data 12.3.2012 - per cui, avendo il Comune conferito il mandato in tempo per la costituzione tempestiva, il difensore doveva esser ritenuto responsabile per non aver ritualmente sollevato l’eccezione di prescrizione del credito, oggetto del giudizio definito con sentenza n. 7/2017. Il secondo motivo deduce la violazione del R.D. n. 383 del 1934, artt. 284, 288, L. n. 144 del 1989, art. 23, comma 3, L. n. 55 del 1990, art. 55, D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 191, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver l’ordinanza escluso che le parti avessero perfezionato un accordo sul compenso del difensore, trascurando che la Delib. n. 30 del 2012, aveva previsto un corrispettivo di Euro 1500,00, oltre accessori con imputazione della spesa al relativo capitolo di bilancio e con l’espressa previsione che la somma era da intendersi comprensiva di diritti, spese ed accessori fiscali , richiamando la precedente Delib. n. 179 del 2011, con cui erano stati fissati i principi per il conferimento degli incarichi stabilendo che, in caso di esito negativo della lite, sarebbe stato corrisposto solo l’importo di Euro 1000,00 . Tale somma era l’unica che poteva esser liquidata all’avv. D.L. , dovendosi osservare i requisiti di regolarità contabile dell’impegno di spesa assunto dal Comune, imposti a pena di nullità. I due motivi, che, per la stretta connessione, necessitano di un esame congiunto, sono infondati. Il Comune ricorrente pretende erroneamente di far coincidere il perfezionamento del contratto di incarico professionale con l’adozione della Delib. di giunta, in quanto immediatamente esecutiva. Per contro, come correttamente osservato nell’ordinanza impugnata, il contratto di incarico poteva considerarsi validamente concluso solo con lo scambio contestuale di proposta ed accettazione scritte, dato il vincolo di forma ad substantiam che caratterizza i negozi con la pubblica amministrazione, venendo, nello specifico, a coincidere con il rilascio della procura e la sottoscrizione degli atti difensivi, avendo il tribunale stabilito in fatto, nessuna precedente convenzione era stata perfezionata dalle parti. La Delib. di incarico sostanziava - in definitiva - un atto meramente interno dell’amministrazione comunale, non avendo rilievo nè che detta Delib. fosse immediatamente esecutiva, nè che fosse stata portata a conoscenza del o consegnata materialmente al difensore, non potendo tali evenienze soddisfare i requisiti formali imposti per legge Cass. 6555/2014 Cass. 12316/2015 Cass. 13656/2013 Cass. 1167/2013 Cass. 8000/2010 Cass. 15296/2007 Cass. 1752/2007 . È principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il requisito della forma prescritto a pena di nullità, quale strumento di garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, al fine di prevenire eventuali arbitrii e consentire l’esercizio della funzione di controllo, non può essere surrogato dalla deliberazione con cui l’organo competente a formare la volontà dell’ente abbia autorizzato il conferimento dell’incarico professionale, non essendo tale atto qualificabile come una proposta contrattuale suscettibile di accettazione anche per fatti concludenti , ma come provvedimento ad efficacia interna, avente quale unico destinatario l’organo legittimato a manifestare all’esterno la volontà dell’ente Cass. 6555/2014 Cass. 24679/2013 Cass. 1167/2013 . L’immediata esecutività della Delib. consentiva - in altri termini al Comune di procedere, tramite i propri organi rappresentativi, all’anticipata stipula del contratto, senza produrre anche l’effetto di costituire immediatamente il vincolo negoziale, dato inoltre che - per la tempestiva costituzione in giudizio e per la rituale proposizione dell’eccezione di prescrizione - il rilascio della procura alle liti. Quanto ai requisiti di regolarità contabile del rapporto, deve ribadirsi che la Delib. dell’ente territoriale che autorizzi il proprio rappresentante a stare in giudizio, non necessita dell’indicazione della spesa e dei mezzi per farvi fronte. Tali requisiti non operano rispetto ai provvedimenti riguardanti la partecipazione alle controversie giudiziarie, sia per l’incerta incidenza del relativo onere economico, condizionato alla soccombenza, sia per il preventivo inserimento nel bilancio dell’ente di una voce generale inerente alle spese di lite Cass. 21007/2019 Cass. s.u. 10098/2002 . 2. Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 1337 e 1338 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver l’ordinanza escluso la responsabilità da contatto sociale a carico del difensore, sebbene questi non avesse sollecitato l’amministrazione a perfezionare un accordo sul compenso conforme alle previsioni della Delib. di incarico, e per affermato erroneamente che tale responsabilità non si configura in ambito contrattuale. Il motivo è infondato. Deve osservarsi che, a prescindere dalla correttezza dalla tesi sostenuta dal tribunale secondo cui la responsabilità da contatto sociale non è ipotizzabile con riferimento ai rapporti contrattuali, questione su cui può rinviarsi a Cass. 24071/2017 Cass. 14188/2016 Cass. 22819/2010 , è tuttavia evidente come neppure sposando la tesi formulata in ricorso poteva prospettarsi, a carico del resistente, un dovere di sollecitare o esigere la formalizzazione dell’accordo sul compenso in forma scritta, meno che mai in termini riduttivi rispetto alla somma liquidata in giudizio accordo al quale il difensore non era, di certo, tenuto ad aderire , essendo il Comune tenuto, di propria iniziativa, a conformarsi alle regole di buon andamento, sollecitando la formalizzazione di una convenzione avente i medesimi contenuti economici della Delib. di incarico, in modo da pervenire ad un risparmio di spesa. 3. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per non aver il tribunale pronunciato sulla domanda volta ad accertare che l’unico compenso spettante al difensore fosse quello fissato nella Delib. di incarico. Il motivo è infondato. La pronuncia ha chiaramente precisato che il contratto di patrocinio si era perfezionato con il conferimento della procura ad litem e che non stata conclusa alcuna convenzione volta a fissare i compensi spettanti al resistente. Su tale premessa il tribunale ha, perciò, proceduto autonomamente alla liquidazione del corrispettivo in base alle attività comprovate in giudizio. Tali statuizioni postulano l’accertata insussistenza, da parte del giudice di merito, di un vincolo derivante dalla Delib. di incarico riguardo all’ammontare del compenso spettante al difensore, e presuppongono una statuizione implicita di infondatezza della domanda essendo la tesi del ricorrente incompatibile con l’impianto motivazionale della pronuncia impugnata , sufficiente ad escludere la denunciata omissione di pronuncia. 4. Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 96 c.p.c., comma 3, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver l’ordinanza condannato il Comune a risarcire il danno da responsabilità processuale aggravata, benché il ricorrente non avesse affatto resistito pretestuosamente in giudizio, e per aver liquidato un importo oggettivamente irragionevole ed eccessivo. Il motivo, nei termini in cui è formulato, non può trovare accoglimento. La condanna ex art. 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità previste dai commi 1 e 2 della medesima disposizione. La sua applicazione richiede una condotta oggettivamente valutabile quale abuso del processo , prescindendosi, invece, dalla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave. Nello specifico, il tribunale ha legittimamente valorizzato il fatto che l’amministrazione avesse insistito nella domanda riconvenzionale di risarcimento, imputando al difensore di non essersi costituito tempestivamente, ciò pur avendo piena disponibilità della documentazione comprovante l’impossibilità di formalizzare in tempo la costituzione in giudizio e di proporre ritualmente l’eccezione di prescrizione. La Delib. di incarico era stata - difatti - adottata il 12.3.2012, allorquando era ormai scaduto il termine di costituzione ex art. 167 c.p.c., rispetto alla data di celebrazione della prima udienza, fissata per il 26.3.2012, ed era ormai preclusa la possibilità di sollevare le eccezioni in senso stretto. Quanto alla quantificazione del danno, dell’art. 96 c.p.c., comma 3, nel testo attualmente in vigore, disponendo che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una somma equitativamente determinata , non fissa alcun limite quantitativo, nè massimo, nè minimo, al contrario dell’ormai abrogato comma 4 dell’art. 385 c.p.c., che stabiliva, per il giudizio di cassazione, il limite massimo del doppio dei massimi tariffari. Il principio secondo cui la determinazione giudiziale deve osservare il criterio equitativo, potendo essere calibrata anche sull’importo delle spese processuali o su un loro multiplo, con l’unico limite della ragionevolezza Cass. 21570/2012 Cass. 17902/2019 , risulta - in concreto - osservato, posta inoltre la genericità delle contestazioni sollevate, sul punto, dall’amministrazione ricorrente. Il ricorso è quindi respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1150,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.