Il Tribunale applica il patto di quota lite in assenza dello stesso? Incorre in vizio di ultra petizione

Incorre in violazione del disposto ex art. 112 c.p.c. il Tribunale che per determinare la liquidazione dell'opera professionale forense fonda la propria pronuncia su un insussistente patto di quota lite, anziché sulla tariffa ex d.m. n. 55/2014 errando, al contempo, per la quantificazione del dovuto, sulla tabella da applicare al caso di specie procedimento di istruzione preventiva e non già ordinario e sommario .

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 21535/20, depositata il 7 ottobre. Due avvocati evocavano in giudizio un loro cliente domandandogli il pagamento del compenso professionale ex d.m. n. 55/2014. L'attività professionale eseguita atteneva ad una procedura di accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445- bis , c.p.c Il Tribunale accoglieva la domanda attorea nella misura richiesta dagli avvocati, ma sulla base di un documento introdotto nella fase istruttoria avente ad oggetto un patto di quota lite . A nulla valevano le eccezioni del cliente in ordine all'assenza di mandato conferito. Ricorre per cassazione il cliente soccombente. Per ciò che qui più rileva, la parte soccombente faceva rilevare come il Tribunale fosse caduto in error in procedendo l'organo giudicante infatti aveva fondato l'accoglimento della domanda sulla scorta di un patto di quota lite che però non era stato addotto dai professionisti a fondamento della loro pretesa creditoria. La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso sotto il profilo test'è accennato. La domanda attorea, infatti, era stata fondata esclusivamente sull'applicazione dei parametri come da tariffa forense. Non solo, detti parametri non erano stati utilizzati in modo corretto sotto il profilo del quantum in ragione della natura del procedimento svoltosi in primo grado. In altri termini il Tribunale è incorso in un vizio di ultra petizione nel momento in cui ha liquidato il compenso preteso per l'opera professionale compiuta dagli avvocati fondandola su un patto di quota lite e non già ai sensi dell'art. 2233 c.c., in assenza di previo accordo tra le parti. A tutto voler concedere detto patto di quota lite era stato a produrlo il cliente non per avvalersene, ma a scopo prettamente difensivo, atteso che detto documento portava solo la sottoscrizione di soggetto estraneo alla lite e dunque per dimostrare l'assenza di mandato alle liti. La violazione del disposto ex art. 112 c.p.c. è consistita dunque nell'aver il Tribunale fondato la propria decisione su un insussistente patto di quota lite , a discapito di una liquidazione in forza di tariffa forense, innovando così parzialmente la causa petendi ragione fattuale e giuridica della domanda . Anche il quantum è errato, perché nella circostanza non poteva essere comunque applicata la Tabella n. 2 allegata al d.m. n. 55/14, ossia quella per i giudizi ordinari e sommari dinanzi al Tribunale. Gli Ermellini, infatti, evidenziano che il procedimento ex art. 445- bis c.p.c. è un procedimento d'istruzione preventiva. Pertanto doveva trovare applicazione la tariffa ex n. 9 della tabella conferente dunque alla natura del procedimento che non è certamente contenzioso. Non resta dunque che cassare l'ordinanza del Giudice di prime cure, rimettendo nuovamente al Tribunale la questione, in altra composizione collegiale, che dovrà provvedere uniformandosi agli enunciati principi di diritto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 22 luglio – 7 ottobre 2020, n. 21535 Presidente/Relatore Gorjan Fatti di causa Gli avv.ti C.R. e D.I.V. ebbero ad avviare lite - ex art. 702 bis c.p.c. ed L. n. 794 del 1942, art. 28 - nei riguardi del loro cliente M.G. chiedendo il pagamento del loro compenso professionale in dipendenza dell’attività di patrocinio svolta nella procedura di accertamento tecnico preventivo obbligatorio, ex art. 445 bis c.p.c., quantificato in Euro 4.427,77. S’oppose il M. disconoscendo il conferimento dell’incarico, poiché affidato a patronato sindacale con assicurazione della gratuità dell’opera di assistenza rilevando che il procedimento doveva esser trattato secondo il rito ordinario stante il disconoscimento del rapporto contrattuale e, comunque, denunciando l’incongruità del compenso richiesto. Il Tribunale di Foggia ebbe a provvedere secondo il rito D.P.R. n. 150 del 2011, ex art. 14, ed accogliendo la domanda proposta dai professionisti nella misura chiesta, osservava come il conferimento dell’incarico era provato dal mandato sottoscritto dal cliente portato nel ricorso per l’avvio del procedimento di istruzione preventiva e come la quantificazione del dovuto fosse inferiore a quanto concordato tra le parti con il patto di quota lite. Avverso l’ordinanza resa dal Collegio dauno, il M. ha proposto ricorso per cassazione articolato su due motivi, che ha illustrato anche con nota difensiva. Gli avv.ti C. e D.I. resistono con controricorso, illustrato anche con nota difensiva. Ragioni della decisione Il ricorso proposto dal M. s’appalesa fondato in relazione al secondo motivo d’impugnazione e in tale ambito va accolto. Con il primo mezzo d’impugnazione il M. lamenta violazione delle regole di diritto poste dalla L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, in quanto il primo Collegio, pur in presenza di immediata e radicale contestazione dell’esistenza di rapporto contrattuale tra le parti alla base dell’opera professionale relativamente alla quale era chiesto il pagamento del compenso, non ebbe a disporre la trattazione della lite con il rito ordinario, che gli avrebbe consentito di dispiegare le opportune difese, compresa la proposizione di querela di falso avverso la sottoscrizione, a lui attribuita, in calce al mandato portato sul ricorso giudiziale ex art. 445 bis c.p.c., bensì ebbe a trattarlo e definirlo secondo il rito speciale D.P.R. n. 150 del 2011, ex art. 14. La censura s’appalesa priva di pregio giuridico posto che è insegnamento di questo Supremo Collegio - Cass. SU 4485/18 - che, ad esito della novella legislativa ex D.P.R. n. 150 del 2011, la proposizione di contestazioni circa l’inesistenza del rapporto contrattuale di prestazione d’opera professionale non incide sulla cognizione della questione con il rito speciale previsto dall’art. 14 citato D.P.R Gli arresti di legittimità evocati nel ricorso risultano all’evidenza, in ragione della loro datazione, correlati alla disposizione normativa antecedente la novella del 2011 citata. D’altronde nulla impediva al cliente di proporre la querela di falso posto che - Cass. Sez. 3 n. 17467/18 - l’esame di detto incidente imponeva la sua separazione con trattazione secondo il rito ordinario a cognizione piena e sospensione del procedimento con il rito speciale sino a definizione della proposta querela. Le altre questioni svolte nell’argomentazione critica o sono apprezzamenti sul merito della questione, irrilevanti in questa sede di legittimità, ovvero - il cenno alla non abilitazione dell’ - all’epoca - Dott. D.I. non risulta questione sottoposta all’esame del Tribunale, sicché si configura siccome nuova in questa sede di legittimità. Con la seconda ragione di doglianza il M. rileva violazione del disposto ex art. 112 c.p.c., nonché della regola D.M. n. 55 del 2014, ex art. 4 comma 1 - tariffa forense - poiché il Collegio dauno, da un lato, ha risolto la lite in forza di patto di quota lite non addotto dai professionisti a sostegno della loro pretesa, fondata invece espressamente sui parametri della tariffa forense, e dall’altro non rilevato che detti parametri erano stati erroneamente utilizzati per la quantificazione del compenso, poiché non pertinenti alla natura del procedimento giudiziale - in tesi - patrocinato. La censura s’appalesa fondata sotto entrambi i profili prospettati. Il ricorrente individua il dedotto vizio di ultra petizione, in cui è incorso il Tribunale, nel fatto che in ricorso introduttivo gli avv. C. e D.I. ebbero espressamente a liquidare il preteso compenso per l’opera professionale prestata in forza dei parametri di tariffa forense, mentre il Collegio di prime cure ebbe ad rigettare la sua opposizione - senza per altro esaminare la correttezza della liquidazione alla luce della tariffa forense - ritenendo che la pretesa si fondasse su patto di quota lite. Per valutare detta censura, trattandosi di error in procedendo, è dato a questa Corte esaminare gli atti introduttivi del giudizio avanti il Tribunale ed effettivamente la domanda, siccome esposta dagli odierni resistenti e consolidatasi con le difese svolte dall’odierno ricorrente, non appare fondata sul patto di quota lite bensì esclusivamente sulla liquidazione in forza dei parametri di tariffa forense, a sensi dell’art. 2233 c.c., in assenza di previo accordo tra le parti. Difatti espressamente nella liquidazione del dovuto presente nel ricorso introduttivo L. n. 794 del 1942, ex art. 28, depositato dai resistenti, la tassazione appare esser stata operata secondo i parametri forensi ex tabella 2 - giudizi ordinari e sommari avanti il tribunale - per l’indicato scaglione di valore del procedimento senza cenno alcuno all’esistenza di un patto di quota lite tra le parti. Effettivamente fu il resistente a cennare all’esistenza di detto patto e produrlo in giudizio ma, non già, per avvalersene quale fonte regolatrice del rapporto, bensì per rimarcare la sua difesa fondata sull’inesistenza di un rapporto contrattuale di natura professionale tra lui e gli avv.ti C. e D.I. - soggetti non firmatari del documento contrattuale portante il patto di quota lite -. Di conseguenza non avendo alcuna delle parti in lite invocato quale fatto, posto a regolamento del loro rapporto, il patto di quota lite - documento che porta solo la sottoscrizione di soggetto estraneo alla lite e prodotto in causa dal M. - effettivamente il Collegio di prime cure non poteva fondare la sua decisione su detto fatto a preferenza della liquidazione in forza della tariffa forense - condotta che presuppone l’assenza di apposito patto tra le parti - espressamente utilizzata dai professionisti per liquidare il compenso preteso. Rimane così configurata la violazione del disposto ex art. 112 c.p.c., poiché se il Collegio dauno ha mantenuto fermo l’ammontare del petitum, ossia la somma pretesa, tuttavia ha parzialmente innovato la causa petendi ossia la ragione fattuale e giuridica a fondamento della liquidazione del compenso professionale preteso - assenza di patto ed utilizzo della tariffa forense. La soluzione adottata dal Tribunale ha consentito di non esaminare la doglìanza afferente l’erronea applicazione dei parametri di tariffa utilizzati per quantificare il compenso preteso. Difatti espressamente i ricorrenti in prime cure ebbero a ritenere che l’opera professionale prestata nell’ambito del procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio, ex art. 445 bis c.p.c., fosse da compensare con i parametri di cui al n. 2 della tabella allegata al D.M. n. 55 del 2014, ossia quella per i giudizi ordinari e sommari avanti il tribunale per lo scaglione di valore compreso tra 5.201 Euro e 26.000 Euro. Il M. contesta detta scelta poiché il procedimento ex art. 445 bis c.p.c., risulta qualificato siccome procedimento d’istruzione preventiva, sicché doveva trovar applicazione la tariffa ex n. 9 della tabella ossia quella prevista per i procedimenti di istruzione preventiva. Effettivamente, stante la natura e funzione del procedimento ex art. 445 bis c.p.c., il compenso deve esser liquidato secondo i parametri pervisti per i procedimenti afferenti l’istruzione preventiva e, non già, i giudizi ordinari o sommari avanti il Tribunale. La procedura in questione ha natura di un tentativo obbligatorio di conciliazione mediante l’espletamento d’accertamento di valenza squisitamente tecnica che le parti non abbiano contestato neì suoi risultati, senza che risulti instaurato alcun contenzioso sul punto che debba esser risolto con l’intervento del Giudice. Difatti in caso di contestazione delle risultanze dell’accertamento tecnico si prende atto che la conciliazione non è risuscita ed alle parti è consentito dar avvio al procedimento in sede contenziosa. Dunque non v’è ragione alcuna per ricondurre - ai fini della tassazione del compenso al difensore secondo la tariffa forense - la procedura disciplinata dall’art. 445 bis c.p.c., nell’ambito dei giudizi contenziosi avanti il Tribunale a preferenza del suo inquadramento in dipendenza della sua struttura e funzione, sia formale che sostanziale, siccome atto d’istruzione preventiva. Di conseguenza l’ordinanza adottata dal Tribunale di Foggia, in accoglimento del secondo motivo d’impugnazione, va cassata e la questione rimessa nuovamente al Tribunale di Foggia, in altra composizione collegiale, che provvederà uniformandosi ai principi di diritto dianzi enunziati. Il Giudice del rinvio disciplinerà anche, ex art. 385 c.p.c., comma 3, le spese di questo giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Foggia, in altra composizione, che provvederà anche a disciplinare le spese di questo giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, nell’adunanza di Camera di consiglio, il 22 luglio 2020.