Opting out in Cassa Forense: seconda puntata

In questa seconda parte dirò cose sgradevoli” ma realistiche. Il sistema previdenziale forense si è affermato quando gli avvocati erano pochi, in periodo di forte espansione demografica e soprattutto economica. Per questo è stato adottato il sistema di finanziamento a ripartizione con calcolo retributivo della pensione.

Questo sistema ha consentito politiche di sostegno dei redditi nell’età post lavorativa e di prevenzione della povertà tra gli anziani ma ha mostrato, al tempo stesso, una intrinseca tendenza al sovradimensionamento e all’eccessiva generosità. È noto che, mediamente, in Cassa Forense paghi 1, come contribuzione, e incassi 4, come pensione. Naturalmente vi sono avvocati che versano in contribuzione 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 per ricevere, al momento del pensionamento, sempre 4. Ma questi benefattori, per lo più locati al Centro - Nord, sono pochi 7-8% sul totale e oggi non sono più in grado di finanziare il sistema. Bisogna altresì tener conto del processo demografico in corso , da leggersi come riduzione della natalità e aumento della speranza di vita, con un’evidente contrazione della platea dei lavoratori iscritti ovvero dei soggetti che contribuiscono al sistema pensionistico rispetto a quella dei pensionati ovvero dei soggetti che ne beneficiano . Recentemente, in un convegno organizzato da ANF a Roma, proprio il Direttore di Cassa Forense ha fatto presente che, secondo le proiezioni attuariali di Cassa Forense, nel 2050 il rapporto iscritti attivi / pensionati sarà di 1 1. L’ insostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici a ripartizione è un concetto sul quale vi è un sempre più largo consenso il che impone la necessità di correggere le distorsioni microeconomiche. Tali distorsioni, che non dipendono dal meccanismo finanziario della ripartizione in sé e per sé, ma piuttosto dall’assenza di una forte correlazione, a livello individuale tra contributi versati e prestazioni incassate. Il sistema non è equo perché le retribuzioni più dinamiche, che sono anche quelle mediamente più elevate, risultano nettamente avvantaggiate, in termini di tasso di rendimento, rispetto ai profili retributivi più bassi e più piatti. Oggi l’Italia è seconda solo alla Spagna per numerosità di avvocati con un insostenibile rapporto sulla popolazione, in specie al Sud dove raggiunge un tasso che non può che creare totale povertà. A mio giudizio l’insieme di questi dati dovrebbe indurre il management di Cassa Forense a una riforma di sistema. Non basta più una riforma parametrica, che implica aggiustamenti più o meno rilevanti nei parametri che definiscono il sistema al fine di ricondurlo all’equilibrio finanziario come incrementi delle aliquote contributive, aumento dell’età effettiva di accesso alla pensione, modifiche nei coefficienti utilizzati nelle formule per il calcolo della pensione, restrizioni ai meccanismi di indicizzazione. Qui ci vuole una riforma radicale perché le misure parametriche sovra descritte rappresentano un classico esempio di conflitto intergenerazionale, giacché l’aumento dei contributi penalizza soprattutto le classi giovani e lavorative, mentre la riduzione delle pensioni si scontra, oltre che con la giurisprudenza dei diritti acquisiti, anche con il disagio morale derivante dal venire meno a passate promesse. Bisogna uscire dalla lettura miope dei dati oggi abbiamo 250 mila avvocati, per lo più poveri, che si arrabattano nel quotidiano per sopravvivere e che quindi non riescono anche solo a pensare al loro futuro previdenziale. L’opting out io lo vedo come un rapido ritorno in INPS o una profondissima riforma strutturale che veda un primo pilastro obbligatorio, con prestazioni uguali per tutti, e un secondo pilastro a capitalizzazione pura dove ognuno possa costruirsi la sua pensione in base alle rispettive esigenze e possibilità. Continuare nell’esistente con piccoli ritocchi a me pare oggi un’inutile e dannosa perdita di tempo.