Dai numeri alla riforma

Dall’esame combinato del consuntivo 2019 e del preventivo 2020 di Cassa Forense si possono evidenziare questi numeri il patrimonio di Cassa Forense è pari a 13,7 miliardi ma il debito latente, e cioè il valore delle prestazioni pensionistiche maturate, è pari a 53 miliardi con il funding ratio che diminuisce dal 26,3% al 25,8%

- gli avvocati in totale sono 244.952 di cui 13.529 pensionati attivi - gli avvocati tenuti a versare contributi soggettivi in sede di Mod. 5/2019 sono stati circa 130 mila rispetto al totale - per quasi la metà degli iscritti Cassa gli obblighi contributivi, con riferimento al contributo soggettivo, si esauriscono con il versamento del solo contributo minimo - gli iscritti tenuti a pagare per intero il contributo minimo sono circa 142 mila oltre 106 mila che hanno fruito delle agevolazioni di cui al regolamento ex art. 21 - vi è un profondo squilibrio sia nel numero che nella quantità di reddito tra gli avvocati del Sud e gli avvocati del Nord. Sulla base di questi numeri non è più rinviabile una profonda riforma di sistema che, a mio giudizio, dovrà muoversi secondo le seguenti direttrici di marcia - abolizione del contributo soggettivo minimo - riparametrazione dei ricavi per contributi stimati per il 2020 in 1.678,6 milioni di euro secondo criteri di proporzionalità al reddito e con aliquote progressive secondo scaglioni - contenimento della spesa previdenziale l’importo medio per il calcolo della pensione di vecchiaia, da regolamento, viene moltiplicato per ciascun anno di effettiva iscrizione e contribuzione, per un coefficiente del 1,40. A decorrere dal 2021 il CdA deve provvedere alla rideterminazione del coefficiente adeguandolo alla variazione intervenuta della speranza di vita della popolazione attiva degli iscritti. Si potrebbe anche rivedere il famoso, per la storia, emendamento Lolli che consente il pensionamento anticipato senza riduzioni per chi abbia 65 anni di età e almeno 40 anni di effettiva iscrizione e contribuzione. Personalmente non vedo alternative perché il timing non è quello giusto per pensare ad aumenti della contribuzione. Si dovrà tener conto di alcuni principi fissati recentemente dalla Corte Costituzionale e che qui ripropongo La tendenza a perpetuare il deficit strutturale nel tempo, attraverso uno stillicidio normativo di rinvii, finisce per paralizzare qualsiasi ragionevole progetto di risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il principio di equità intragenerazionale che intergenerazionale. Quanto al primo, è stata già sottolineata da questa Corte la pericolosità dell’impatto macroeconomico di misure che determinano uno squilibrio nei conti della finanza pubblica allargata e la conseguente necessità di manovre finanziarie restrittive che possono gravare più pesantemente sulle fasce deboli della popolazione sentenza n. 10 del 2015 . Ciò senza contare che il succedersi di norme che diluiscono nel tempo obbligazioni passive e risanamento sospingono inevitabilmente le scelte degli amministratori verso politiche di corto respiro”, del tutto subordinate alle contingenti disponibilità di cassa. L’equità intergenerazionale comporta, altresì, la necessità di non gravare in modo sproporzionato sulle opportunità di crescita delle generazioni future, garantendo loro risorse sufficienti per un equilibrato sviluppo. È evidente che, nel caso della norma in esame, l’indebitamento e il deficit strutturale operano simbioticamente a favore di un pernicioso allargamento della spesa corrente. E, d’altronde, la regola aurea contenuta nell’art. 119, sesto comma, Cost. dimostra come l’indebitamento debba essere finalizzato e riservato unicamente agli investimenti in modo da determinare un tendenziale equilibrio tra la dimensione dei suoi costi e i benefici recati nel tempo alle collettività amministrate Corte Costituzionale n. 18/2019 .