Equa riparazione e criteri di liquidazione del compenso professionale

La Cassazione ha ribadito i criteri che devono essere seguiti per la liquidazione delle spese processuali al legale, chiarendo che, ai sensi dell’art. 4, c.1, d.m. n. 55/2014, il giudice può anche scendere al di sotto dei limiti risultanti dall’applicazione delle misure percentuali di scostamento, a condizione che ne dia specifica motivazione e nel rispetto dell’art. 2233, c.2, c.c

Così con l’ordinanza n. 7780/20, depositata il 10 aprile. Il fatto. La Corte d’Appello riconosceva alle parti ricorrenti la somma di euro 1.700 a titolo di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi della l. 89/2001 . Ricorrendo in Cassazione le parti lamentano che le spese siano state liquidate in misura inferiore al minimo tariffario, in violazione degli artt. 91 c.p.comma e 2233, c.2, c.c., oltre che del d.m. n. 55/2014. Liquidazione del compenso professionale. La Cassazione rileva che in tema di liquidazione delle spese processuali art. 4, comma 1, d.m. n. 55/2014 il giudice può scendere al di sotto come può salire al di sopra dei limiti risultanti dall’applicazione delle misure percentuali di scostamento, a condizione che ne dia specifica motivazione e nel rispetto dell’art. 2233, c.2, c.c Osservano i Giudici che, posto che lo scaglione riferibile al valore della causa va da 1.100 euro a 5.200, la liquidazione del compenso professionale effettuata dalla Corte d’Appello risulta essere immotivatamente al di sotto dei limito stabili dal d.m. n. 55/2014. Infatti, i valori medi di detto scaglione, per i giudizi che si svolgono innanzi alla Corte d’Appello, sono di 510 euro per la fase di studio, 510 euro per la fase introduttiva, 945 euro per la fase istruttoria e 810 euro per quella decisoria, riducibili fino al 70% per la fase istruttoria e fino alla metà per le altre fasi. Inoltre la Cassazione precisa che la diminuzione fino al 70% prevista dall’art. 4 del d.m. n. 55/2014, va intesa nel senso che la diminuzione applicabile sul valore medio può essere determinata in una percentuale non superiore a questa, ossia nel senso che l’importo minimo liquidabile corrisponde al 30% di tale valore medio. Chiarito questo, la Suprema Corte accoglie e cassa il decreto impugnato, rinviando alla Corte d’Appello.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 11 luglio 2019 – 10 aprile 2020, n. 7780 Presidente D’Ascola – Relatore Cosentino Rilevato che le ricorrenti nominate in epigrafe hanno impugnato il decreto col quale la corte d’appello di Perugia ha riconosciuto loro la somma di Euro 1.700 ciascuna a titolo di equa riparazione per l’irragionevole durata del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, ed ha posto a carico dell’Amministrazione le spese di lite che il ricorso si fonda su un unico motivo - riferito alla violazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 2233 c.c., comma 2, oltre che del D.M. n. 55 del 2014 - con il quale ci si duole della misura, inferiore al minimo di tariffa, delle spese liquidate che il Ministero della Giustizia si è costituito con comparsa ai soli fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione che la causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio dell’11 luglio 2019, per la quale non sono state depositate memorie Considerato che, come questa Corte ha già avuto modo di precisare, in tema di liquidazione delle spese processuali, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, il giudice può scendere anche al di sotto o salire pure al di sopra dei limiti risultanti dall’applicazione delle massime percentuali di scostamento, purché ne dia apposita e specifica motivazione Cass. 11601/18 conf. Cass. 2386/17 e sempre nel rispetto del disposto dell’art. 2233 c.c., comma 2, il quale preclude di liquidare somme praticamente simboliche, non consone al decoro della professione Cass. 30286/17 . che, tenuto conto dello scaglione riferibile al valore della causa da Euro 1.100 a 5.200 , la liquidazione del compenso professionale effettuata dalla corte territoriale, in complessive Euro 210,00 oltre accessori , risulta porsi immotivatamente al di sotto dei minimi imposti dal D.M. n. 55 del 2014 che, infatti, ai sensi del decreto ministeriale n. 55/2014, i valori medi di detto scaglione, per i giudizi davanti alla corte di appello, sono di Euro 510 per la fase di studio, di Euro 510 per la fase introduttiva, di Euro 945 per la fase istruttoria e di Euro 810 per la fase decisoria, riducibili fino al 70% per la fase istruttoria e fino al 50% per le altre fasi alla stregua del medesimo D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1 che è opportuno precisare che, per la fase istruttoria, l’espressione, contenuta alla fine del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, diminuzione di regola fino al 70% , va interpretata, in conformità al suo chiaro tenore letterale, nel senso che la diminuzione applicabile sul valore medio può essere determinata in una percentuale non superiore al 70% del medesimo, ossia nel senso che l’importo minimo liquidabile corrisponde al 30% di tale valore medio non già nel diverso senso che l’importo minimo liquidabile corrisponda al 70% del valore medio, ossia che la diminuzione applicabile sul valore medio non possa eccedere il 30% del medesimo in termini, Cass. 7482/19 che pertanto la sentenza gravata va cassata con rinvio alla corte di appello di Perugia, in diversa composizione, che riliquiderà le spese del giudizio di merito, e ove intenda scendere al di sotto dei minimi tariffari pur sempre nel rispetto del limite del decoro della professione imposto dall’art. 2233 c.c. , comma 2, motiverà specificamente sulle ragioni di tale decisione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato per quanto di ragione e rinvia alla corte di appello di Perugia, in diversa composizione, che riliquiderà le spese del giudizio di merito e regolerà le spese del giudizio di legittimità.