Su chi grava l’onere di dimostrare l’avvenuto conferimento del mandato?

Laddove sia in contestazione l’instaurazione di un rapporto di prestazione d’opera professionale, grava sull’attore l’onere di dimostrarne l’avvenuto conferimento, mentre compete al giudice del merito valutare se gli elementi offerti, complessivamente considerati, siano in grado di fornire una valida prova presuntiva.

Lo ha precisato la Cassazione con ordinanza n. 3438/20 depositata il 12 febbraio. Il caso. L’avvocato chiedeva l’ammissione al passivo del fallimento della società del credito derivante da prestazioni professionali di assistenza legale svolte nei confronti del legale rappresentante della società nell’ambito di quattro procedimenti penali a suo carico. Il Tribunale escludeva il credito vantato dal professionista poiché considerava il mandato come conferito al legale rappresentante in proprio e dunque riteneva la prestazione svolta non riferibile alla società. Avverso tale decisione, l’avvocato propone ricorso per cassazione. Conferimento incarico. Secondo il ricorrente, il Tribunale ha omesso di considerare che la prestazione professionale aveva tratto origine dalle scritture private sottoscritte dalle società fallita per il tramite del legale rappresentante e mai contestate. A tal proposito, la Corte afferma che il rapporto di prestazione d’opera professionale postula il conferimento del relativo incarico, sicché quando, come nel caso di specie, sia contestata l’instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull’attore l’onere di dimostrarne l’avvenuto conferimento, mentre compete al giudice del merito valutare se gli elementi offerti, complessivamente considerati, siano in grado di fornire una valida prova presuntiva . Nel caso di specie, afferma la Cassazione, il Tribunale ha preso in esame i contratti indicati dal ricorrente, e ha adeguatamente escluso che l’incarico si riferisse anche alla società, pertanto, la doglianza sollevata dal ricorrente deve dirsi infondata. Per tali motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 29 ottobre 2019 – 12 febbraio 2020, n. 3438 Presidente Didone – Relatore Federico Fatti di causa L’avv. T.S.M. ha chiesto l’ammissione al passivo del fallimento della spa, in privilegio ex art. 2751 bis c.c., del credito di 40.929,00 Euro derivante da prestazioni professionali di assistenza legale svolte nell’interesse del signor R.C. , imputato, nella sua qualità di legale rappresentante della società debitrice, in quattro procedimenti penali. Il giudice delegato ha escluso il credito, trattandosi di compensi non dovuti dalla società. Il Tribunale di Firenze ha respinto l’opposizione L. Fall., ex art. 98 proposta dall’avv. Ma.Sa. , rilevando, in primo luogo che il mandato professionale era stato conferito dal R. in proprio in secondo luogo la prestazione non era riferibile alla società poiché i comportamenti contestati al R. non si configuravano come atti svolti nell’espletamento del mandato professionale di amministratore della società debitrice. Avverso detto decreto ricorre per cassazione, con tre motivi, l’avv. Ma.Sa. . La curatela del Fallimento spa resiste con controricorso. In prossimità dell’odierna adunanza il ricorrente ha depositato memoria illustrativa. Ragioni della decisione Il primo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo in relazione ai tre contratti con i quali l’avv. T.S. da una parte ed il signor R. dall’altra, nella sua veste di legale rappresentante della spa, avevano concluso un contratto di prestazione di opera professionale per i tre procedimenti oggetto della richiesta di insinuazione al passivo, pattuendo il relativo compenso. Il Tribunale avrebbe omesso di rilevare una questione che pure era stata portata alla sua attenzione, vale a dire il fatto che la prestazione professionale dell’opponente trovava la propria origine nelle tre scritture private sottoscritte dalla società fallita per il tramite del legale rappresentante e mai contestate. Il secondo motivo denuncia violazione di legge, censurando la decisione impugnata per aver omesso di considerare l’esistenza dei contratti di conferimento dell’incarico professionale, conclusi prima del fallimento dalla società, i quali costituiscono il titolo in forza del quale il credito del ricorrente va ammesso al passivo del fallimento. I motivi che, in quanto connessi, vanno unitariamente esaminati, sono inammissibili, in quanto si risolvono in una mera richiesta di rivalutazione dei fatti già oggetto del sindacato del giudice di merito. Il rapporto di prestazione d’opera professionale postula infatti il conferimento del relativo incarico, sicché quando, come nel caso di specie, sia contestata l’instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull’attore l’onere di dimostrarne l’avvenuto conferimento, mentre compete al giudice del merito valutare se gli elementi offerti, complessivamente considerati, siano in grado di fornire una valida prova presuntiva Cass. 1792/2017 . Nel caso di specie, il tribunale ha preso in esame i contratti indicati dal ricorrente, come desumibile dalla loro specifica indicazione mandati professionali prodotti sub doc, 3,7,11 ed ha ritenuto, con adeguato apprezzamento di merito, che si sottrae al sindacato di legittimità, che l’incarico professionale era stato conferito dal R. in proprio e non anche dalla società, ritenendo dunque che obbligato fosse il R. , nel cui esclusivo interesse si era dispiegata l’attività professionale del ricorrente. Non sussiste dunque nè l’omesso esame di un fatto decisivo, posto che tutti i documenti risultano essere stati presi in esame, nè la dedotta violazione di legge, che si risolve, come già evidenziato, nella censura alla valutazione di merito ed interpretazione dei titoli dedotti a fondamento della pretesa creditoria effettuata dal tribunale ed incensurabile nel presente giudizio. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 1720 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 , deducendo che il tribunale avrebbe erroneamente ritenuto non dovuto il rimborso delle spese legali per la difesa del legale rappresentante della società, il quale era stato prosciolto con formula piena perché il fatto non sussiste , pur trattandosi di spese relative all’attività svolta dal R. quale amministratore della società e dunque nell’esclusivo interesse di quest’ultima. Il motivo è inammissibile per difetto di decisività. L’art. 1720 c.c., infatti, si riferisce al rimborso delle spese sostenute dal mandatario per difendersi in un procedimento causalmente riconducibile all’esecuzione del mandato in relazione a tale domanda di rimborso, applicando in via analogica la disposizione dell’art. 1720 c.c., comma 2, all’amministrazione della società di capitali, deve ritenersi che la legittimazione al rimborso spetta evidentemente all’amministratore nei confronti della società, ma non può configurarsi un’azione diretta del terzo creditore professionista nei confronti della società. Non vale dunque invocare a fondamento del credito dell’odierno ricorrente nei confronti della società la disposizione dell’art. 1720 c.c., comma 2, che trova applicazione al rapporto tra mandante società e mandatario amministratore . Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 4.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario per spese generali in misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.