Avvocato sotto processo: da quale momento decorre il termine di prescrizione dell’azione disciplinare?

In tema di prescrizione dell’azione disciplinare di cui all’art. 51 r.d. n. 1578/1933, occorre distinguere il caso in cui i fatti siano punibili solo a livello disciplinare in quanto contrari ai doveri di probità, correttezza e dirittura professionale, da quello in cui il procedimento disciplinare abbia ad oggetto fatti costituenti reato e per i quali sia stata intentata azione penale.

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 1609/20, depositata il 24 gennaio. Falso verbale d’udienza per contestare la contravvenzione stradale. Un avvocato veniva rinviato a giudizio della Procura della Repubblica del Tribunale di Firenze per i reati di cui agli artt. 476, 482, 640 e 56 c.p. per aver formato un falso verbale di udienza penale del Tribunale di Catanzaro attestante la sua presenza dinanzi al giudice in qualità di difensore, al fine di ottenere l’annullamento di una contravvenzione stradale elevata dal Comune di Firenze per un’infrazione commessa il giorno prima della data riportata nel falso verbale di udienza. Il procedimento penale si concludeva con dichiarazione di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Il Consiglio dell’Ordine infliggeva invece all’avvocato la sanzione della sospensione per un anno. Il CNF confermava la decisione escludendo la retroattività della nuova disciplina della prescrizione nelle more intervenuta, sottolineando la gravità della condotta e il fatto che la condotta rimproverata risultava incontroversa. L’avvocato ha dunque proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione. Prescrizione. Il Collegio afferma che l’art. 56 l. n. 247/2012, entrato in vigore dopo la commissione del fatto, non è applicabile alla fattispecie non essendo il potere disciplinare sanzionatorio soggetto al principio del favor rei per la sua natura amministrativa. Viene comunque sottolineato che nel caso in esame il termine di prescrizione non era decorso nel momento in cui veniva intrapresa l’azione disciplinare. In tema di prescrizione dell’azione disciplinare di cui all’art. 51 r.d. n. 1578/1933, le Sezioni Unite precisano infatti che occorre distinguere il caso in cui i fatti siano punibili solo a livello disciplinare in quanto violino esclusivamente i doveri di probità, correttezza e dirittura professionale art. 38 , da quello in cui il procedimento disciplinare abbia ad oggetti fatti costituenti reato e per i quali sia iniziata l’azione penale art. 44 . Nella prima ipotesi, il termine di prescrizione inizia a decorrere dalla commissione del fatto, mentre nella seconda l’azione disciplina è collegata al fatto storico della pronuncia penale e la prescrizione decorre dunque dal momento in cui il diritto di punire può essere esercitato e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza penale. La vicenda in esame rientrava nella seconda ipotesi, con la conseguenza che l’azione disciplinare intentate contro l’avvocato ricorrente risulta pienamente tempestiva. In conclusione, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 3 dicembre 2019 – 24 gennaio 2020, n. 1609 Presidente Curzio – Relatore Perrino Fatti di causa Si legge nella narrativa della sentenza impugnata che nei confronti dell’avv. B.F. fu aperto procedimento disciplinare a seguito della nota datata 8 ottobre 2008 con la quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze ne aveva disposto il rinvio a giudizio per i reati previsti e puniti dagli artt. 476, 482, 640 e 56 c.p., per aver formato un falso verbale di udienza penale del Tribunale di Catanzaro attestante la sua presenza dinanzi al giudice in qualità di difensore, al fine di procurarsi l’ingiusto profitto dell’annullamento della contravvenzione stradale elevata dal Comune di Firenze per un’infrazione commessa il giorno prima della data riportata nel verbale l’orario riportato nel verbale di Catanzaro ore 8,30 induceva difatti a escludere la presenza dell’avvocato a Firenze il giorno prima nel momento ore 18,14 nel quale risultava commessa la contravvenzione stradale. Successivamente, ossia in data 16 novembre 2010, il procedimento fu ripreso, poiché al Consiglio dell’ordine degli avvocati era pervenuta copia della sentenza penale con la quale il Tribunale di Firenze aveva condannato l’avv. B. alla pena di anni due e mesi due di reclusione per i reati ascrittigli. Il procedimento disciplinare fu poi rinviato sino alla pronuncia della sentenza con la quale la Corte d’appello di Firenze dichiarò non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Il Consiglio dell’ordine inflisse quindi all’incolpato la sanzione della sospensione per un anno, ritenendo documentata la formazione del falso verbale. Il Consiglio nazionale forense ha rigettato il successivo appello proposto dall’avv. B. . Al riguardo ha escluso la retroattività della nuova disciplina dei termini di prescrizione, nelle more intervenuta, anche in considerazione della medesimezza dell’imputazione penale rispetto all’addebito disciplinare ha sottolineato che le circostanze di fatto oggetto dell’incolpazione, ossia l’esistenza del ricorso contro il verbale di contravvenzione, l’allegazione a questo del verbale di udienza del 2 agosto 2004 ore 8.30 e la falsità del verbale, sono incontroverse e ha rimarcato la gravità della condotta, che ha reputato totalmente in contrasto con la deontologia professionale. Contro questa decisione propone ricorso l’avv. B. per ottenerne la cassazione, che affida a quattro motivi, cui non v’è replica. Ragioni della decisione 1.- Col primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione della L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 65 e, in particolare, del principio del favor rei da esso stabilito, che ad avviso del ricorrente si dovrebbe applicare anche in relazione alla disciplina della prescrizione. Fa leva, in particolare, sulla disciplina della prescrizione introdotta dalla L. n. 247 del 2012, art. 56. Il motivo è infondato. 1.1.- Anzitutto, all’ipotesi in esame non è applicabile la L. n. 247 del 2012, art. 56, che è entrata in vigore successivamente alla commissione dei fatti dei quali si discute e ciò perché il potere disciplinare sanzionatorio in esame resta insensibile al diritto sopravvenuto più favorevole, per la sua natura amministrativa Cass., sez. un., 18 aprile 2018, n. 9558 e, da ultimo, sez. un., 25 marzo 2019, n. 8313 . 1.2.- Senz’altro, poi, nel caso in esame il termine di prescrizione non era inutilmente decorso quando l’azione disciplinare è stata promossa. Agli effetti della prescrizione dell’azione disciplinare regolata dal R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 51, occorre infatti distinguere il caso, previsto dall’art. 38, in cui il procedimento disciplinare tragga origine da fatti punibili solo in tale sede, in quanto violino esclusivamente i doveri di probità, correttezza e dirittura professionale, dal caso, previsto dall’art. 44, che ricorre nella fattispecie, in cui il procedimento disciplinare abbia luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l’azione penale. 1.2.1.- Nel primo caso, in cui l’azione disciplinare è collegata a ipotesi generiche e a fatti anche atipici, il termine prescrizionale comincia a decorrere dalla commissione del fatto nel secondo, invece, l’azione disciplinare è collegata al fatto storico di una pronuncia penale che non sia di proscioglimento perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso, ha come oggetto lo stesso fatto per il quale è stata formulata una imputazione, ha natura obbligatoria e non può essere iniziata prima che se ne sia verificato il presupposto. Ne consegue che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto di punire può essere esercitato, e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza penale, costituente un fatto esterno alla condotta Cass., sez. un., 9 maggio 2011, n. 10071 31 maggio 2016, n. 11367 . Il motivo va quindi respinto, poiché, a fronte della sentenza della Corte d’appello pronunciata il 17 marzo 2014, della quale si allega il passaggio in giudicato, l’azione disciplinare esercitata nei confronti dell’avv. B. nei mesi successivi è pienamente tempestiva. 2.- Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso, col quale si denuncia la violazione del principio di correlazione fra contestazione e decisione, perché l’incolpazione è stata correlata all’art. 24 codice deontologico e non già alla condotta valutata nel processo penale. Queste sezioni unite hanno anche di recente ribadito Cass. n. 8313/19, cit. che le previsioni del codice deontologico forense hanno natura di fonte meramente integrativa dei precetti normativi e si possono ispirare legittimamente a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività. Ne consegue che, al fine di garantire l’esercizio del diritto di difesa all’interno del procedimento disciplinare che venga intrapreso a carico di un iscritto al relativo albo forense, è necessario che all’incolpato venga contestato il comportamento ascritto come integrante la violazione deontologica e non già il nomen iuris o la rubrica della ritenuta infrazione il giudice disciplinare è libero d’individuare l’esatta configurazione della violazione tanto in clausole generali, quanto in diverse norme deontologiche o anche di ravvisare un fatto disciplinarmente rilevante in condotte atipiche non previste da dette norme. Il motivo va quindi respinto. 3.- Queste considerazioni fanno giustizia anche del terzo motivo di ricorso, col quale l’avvocato si duole della violazione della L. n. 247 del 2012, art. 65, in base alla considerazione che la violazione già prevista dall’art. 24 previgente codice deontologico solo vagamente corrisponde a quella oggi prevista dall’art. 50 del nuovo codice deontologico. 4.- Inammissibile è infine il quarto motivo di ricorso, col quale il ricorrente lamenta l’entità della sanzione irrogata, in quanto la quantificazione della sanzione è tipico apprezzamento di merito cfr. Cass., sez. un., 8 aprile 2009, n. 8615 . 5.- Il ricorso va quindi rigettato. Il che determina l’assorbimento dell’istanza cautelare di sospensione che lo correda. Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva. Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater. P.Q.M. rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.